AQUILEIA/CIVIDALE/UDINE/PORDENONE (MARZO-MAGGIO 1232), DIETA DI
Il ritorno di Federico II dalla crociata e la pace conclusa con papa Gregorio IX furono seguiti da un anno di intensi sforzi diretti al riordinamento interno del Regno di Sicilia (promulgazione delle Costituzioni di Melfi ed emanazione degli statuti sulla riforma economica nel settembre 1231). Quindi fu la situazione creatasi nell'Impero ad assorbire l'attenzione dell'imperatore: a Federico premeva infatti di imporre i diritti imperiali nell'Italia settentrionale, contrastando le città riunite nella Lega lombarda; e considerava, al tempo stesso, una necessità improrogabile chiarire il rapporto con il figlio, re Enrico (VII), in Germania.
Di fatto le due questioni erano strettamente connesse, in quanto Enrico, a causa delle violente azioni intraprese contro alcuni principi e della propensione ad appoggiare la borghesia delle città vescovili, aveva alimentato la crescente diffidenza dei principi dell'Impero. Da parte sua l'imperatore era convinto di poter realizzare i suoi progetti in Italia solo a patto di conquistarsi il benestare e l'appoggio di questi stessi principi. Di conseguenza, ritenne imprescindibile organizzare un incontro con Enrico per vincolarlo inequivocabilmente alla politica paterna e assicurarsi, in tal modo, in Germania la tranquillità e il sostegno che costituivano le premesse essenziali al raggiungimento dei suoi obiettivi in Italia.
Nel settembre 1231 Federico invitò formalmente la nobiltà e le città dell'Italia settentrionale, insieme al figlio Enrico e ai principi tedeschi, a partecipare ad una dieta generale da tenersi a Ravenna il 1o novembre successivo. L'imperatore, in quell'occasione, intendeva discutere con i convocati i provvedimenti da adottare per porre fine ai molteplici dissidi e conflitti che divampavano in Italia e per garantire una pace duratura all'Impero. Avvicinandosi il giorno della dieta, le città della Lega lombarda rinnovarono il loro patto, riunirono un esercito e, come era già accaduto nel 1226, sbarrarono i passi alpini.
Quando Federico a novembre giunse a Ravenna, accompagnato da un modesto seguito a dimostrazione delle sue intenzioni pacifiche, si raccolsero intorno a lui un cospicuo gruppo di vescovi dell'Italia settentrionale e alcuni principi tedeschi. Ma re Enrico e i rappresentanti delle città della Lega si tennero a distanza. Di conseguenza l'imperatore dovette rinviare a Natale le trattative con la Lega e convocò una nuova dieta ad Aquileia, in marzo, allo scopo di incontrare il re di Germania.
Poiché la Lega lombarda non cercò alcun contatto con l'imperatore fino a Natale, il 14 gennaio 1232 l'assemblea riunita a Ravenna mise al bando i suoi membri. Naufragò anche il successivo tentativo di mediazione intrapreso da due legati pontifici e Federico, sospettando che avessero favorito i suoi avversari, decise di abbandonare Ravenna il 7 marzo, proprio mentre questi si dirigevano verso la città.
A metà del mese di marzo 1232 l'imperatore, dopo aver sostato quattro o cinque giorni a Venezia, giunse per mare ad Aquileia. Si trattenne in città circa quattro settimane, dalla metà di aprile si stabilì a Cividale e in maggio si spostò prima a Udine e poi a Pordenone. Per oltre due mesi Federico risiedette insieme alla corte nella contea del Friuli, al confine con il Regno di Germania. Erano presenti alcuni dei suoi uomini di fiducia siciliani, tra cui l'arcivescovo Berardo di Palermo e il camerario Riccardo, ma furono i principi tedeschi, soprattutto quelli della Germania meridionale, a dare l'impronta determinante all'assemblea: alti prelati come il patriarca Bertoldo di Aquileia, gli arcivescovi di Magonza, Salisburgo e Magdeburgo, il cancelliere imperiale Sigfrido, vescovo di Ratisbona, i vescovi di Bamberga, Worms, Würzburg e Frisinga, l'abate di S. Gallo ed Ermanno di Salza, Gran Maestro dell'Ordine teutonico, e inoltre i duchi di Merania, Sassonia e Carinzia, il margravio di Baden e numerosi conti; a Pordenone giunse, infine, anche Federico duca d'Austria e di Stiria.
La dieta imperiale convocata in Friuli si occupò principalmente di problemi tedeschi. Come già era avvenuto a Ravenna, Federico provvide a soddisfare con i suoi diplomi le innumerevoli richieste dei principi, che intendevano veder garantite le loro rivendicazioni, confermati e talvolta anche ampliati i loro feudi, diritti e possedimenti. L'imperatore discusse con loro anche questioni giuridiche e controversie, e ascoltando i suggerimenti dei convenuti si adoperò, con le sue deliberazioni, per garantire la pace e il diritto in modo duraturo. In maggio, a Cividale, su istanza dei principi, accettò infine di riconoscere sia i principi laici che quelli ecclesiastici come domini terrae, detentori di tutti i diritti di sovranità fondamentali nei loro territori. Proprio un anno prima il figlio Enrico aveva già concesso loro questo privilegio, e quindi per l'imperatore si trattava di un passo obbligato onde evitare seri contrasti con i suoi sostenitori più importanti in Germania. Riuscì comunque a imporre alcuni piccoli ritocchi a favore della Corona.
L'evento di maggior risalto e più gravido di conseguenze di quei giorni fu l'incontro tra Federico e il figlio. È fuor di dubbio che l'imperatore fu molto contrariato per il comportamento di Enrico, che palesemente non accennava a compiere alcun preparativo per incontrarlo. Quindi, alla fine del febbraio 1232, Federico, in preda a una forte irritazione, inviò il cancelliere imperiale Sigfrido in Germania, e finalmente, persuaso dalle insistenze di quest'ultimo, il giovane sovrano si decise ad obbedire all'ingiunzione paterna. Già nella prima metà di aprile giunse ad Aquileia per presentarsi al cospetto del padre che non vedeva da dodici anni.
Purtroppo non possediamo notizie precise sullo svolgimento di quest'incontro tanto a lungo differito. Ma non dev'essere stato particolarmente cordiale. Infatti Federico, pur riconoscendo formalmente la sovranità regia illimitata del figlio, chiarì al tempo stesso inequivocabilmente il problematico rapporto fra imperatore e re ‒ che ora erano legittimati entrambi allo stesso modo a governare la Germania ‒ secondo i suoi intenti: vincolò Enrico, in una forma drastica e addirittura umiliante, a una subordinazione assoluta alle direttive imperiali. Il re dovette giurare di improntare il suo governo ai rigidi principi formulati per iscritto dal padre. Non siamo a conoscenza del testo, ma senz'altro era dato il massimo risalto alla richiesta di obbedienza incondizionata a ogni disposizione paterna. I principi dell'Impero promisero sotto giuramento di considerarsi sciolti dal loro vincolo di fedeltà al re e di prestare sostegno all'imperatore contro di lui se Federico avesse denunciato una violazione del giuramento da parte del figlio. Di conseguenza, qualora Enrico non avesse tenuto fede alla sua solenne promessa, la sua destituzione di fatto era già assicurata.
Il nuovo ordinamento, di cui si sentiva l'esigenza da lungo tempo, decise inequivocabilmente per la ripartizione delle responsabilità di governo tra padre e figlio. Il Regno tedesco non subì alcun danno immediato in seguito a questo riassetto, essendo come prima fortemente rappresentato nella persona di Federico. Tuttavia, Enrico, rigidamente vincolato alla volontà paterna, vedeva drasticamente ridursi per il futuro la possibilità di esercitare efficacemente e in autonomia il proprio dominio sulla Germania.
Fonti e bibliografia
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(traduzione di Maria Paola Arena)