Dieta
Il termine dieta (dal greco δίαιτα, "modo di vivere") ha assunto col tempo un duplice significato, in quanto può indicare l'insieme dei nutrienti ingeriti liberamente dall'uomo o da un gruppo etnico, per soddisfare il bisogno alimentare (per es. dieta mediterranea) e in tal caso riecheggia l'originario concetto di 'stile di vita'; oppure può richiamarsi, nel linguaggio corrente, al concetto di limitazione alimentare, in riferimento soprattutto al totale calorico (dieta dimagrante) o comunque alla proibizione di consumare particolari alimenti. Dal punto di vista socioculturale, l'adozione, per libera scelta personale dovuta a motivazioni di carattere fisicoestetico o eticofilosofico, di un particolare regime dietetico (inteso in senso più o meno ampio), segna tuttora, in molti casi, una precisa presa di posizione volta a sottolineare, oppure a negare, la propria adesione ai modelli dominanti.
l. Dieta fisiologica
Con dieta si può intendere sia l'insieme dei pasti giornalieri, abitualmente e liberamente composti nel quadro delle disponibilità, delle tradizioni e dei gusti personali, sia un particolare regime alimentare, proposto dal medico o spontaneamente adottato, ma comunque finalizzato a raggiungere vantaggi salutistici mediante l'esclusione o l'inclusione di particolari alimenti o gruppi di nutrienti. La confusione insita nella terminologia già riflette indirettamente l'approssimazione, l'empirismo e la mistificazione, che hanno accompagnato l'evoluzione della dietologia dai primordi della medicina greca all'attuale impostazione scientifica, basata sulla fisiopatologia digestiva e sulle implicazioni metaboliche, preventive e terapeutiche, insite nel moderno concetto di dieta. La dieta alimentare deve essere intesa come una scelta razionale e quindi come ripartizione della propria razione alimentare tra alcuni gruppi fondamentali e omogenei di alimenti (da cinque a sette secondo le varie proposte formulate dagli esperti), in modo da assicurare all'organismo, oltre agli apporti energetici, anche la copertura dei fabbisogni 'protettivi' (vitamine, minerali, fibre), l'approvvigionamento di alcune molecole particolari non sintetizzabili dall'organismo stesso (aminoacidi essenziali, acidi grassi essenziali) e quell'equilibrio percentuale fra carboidrati, proteine e grassi, che la fisiopatologia nutrizionale e l'epidemiologia ci propongono, al momento, come ottimale (dieta equilibrata, dieta 'prudente' ecc.).
Nelle scelte per la composizione della normale razione alimentare (dieta equilibrata) è possibile rispettare, preferibilmente a rotazione, le proprie preferenze, compensando nel pasto successivo, o comunque su un periodo più lungo, un eccesso lipidico o una carenza vitaminica. Il tutto in una relativa libertà di scelta e comunque senza alcuna vera proibizione, se non per le autolimitazioni legate al gusto, a un ideale eticofilosofico (dieta vegetariana, macrobiotica ecc.) o a problemi digestivi (per es. meteorismo da eccessivo consumo di legumi e verdure grossolane).
Nelle diete finalizzate (dieta ipoproteica, ipolipidica, iposodica ecc.), invece, è prevalente e invalicabile il concetto di esclusione o di apporto massimo consentito di particolari nutrienti, per cui, in questi casi, il gusto individuale può o deve essere sacrificato all'esigenza di limitare o di escludere particolari alimenti, regolandone anche le modalità di preparazione, di cottura e di conservazione. Sulla composizione della 'normale' dieta equilibrata, esistono raccomandazioni nazionali e internazionali (OMS, FAO), formulate e aggiornate da parte delle istituzioni competenti. La più autorevole fonte, al riguardo, è la pubblicazione curata dal National research council (NRC) statunitense, nota come RDA (Recommended dietary allowances), che dalla prima edizione, pubblicata nel 1943, è giunta alla decima revisione (1989), a riprova del continuo e indispensabile processo di aggiornamento scientifico in materia di nutrizione umana. Per l'Italia, le indicazioni e gli adattamenti nutrizionali, elaborati sulla base del clima, delle tradizioni e dei gusti prevalenti, sono stati forniti dalla Società italiana di nutrizione umana, in collaborazione con gli esperti di altre società scientifiche. Sotto l'acronimo di LARN (Livelli di assunzione raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana) queste raccomandazioni sono state recentemente riproposte (revisione 1996), non direttamente al pubblico ma in particolare ai medici, ai dietisti e a quanti lavorano per migliorare la nutrizione umana. Inoltre, nel 1997, l'Istituto nazionale della nutrizione ha fornito, con la pubblicazione delle Linee guida per una sana alimentazione italiana, anche delle sintetiche indicazioni pratiche che, in sintonia con i LARN, possono orientare chiunque nella realizzazione di una corretta alimentazione, ovvero di una dieta adeguata o equilibrata. Sulla base di questo consenso scientifico è possibile formulare una dieta orientativa, un modello alimentare in cui tutti gli alimenti figurino, possibilmente a rotazione, nell'ambito del gruppo di appartenenza e nei limiti generici in cui proteine, grassi e carboidrati debbono concorrere a una dieta equilibrata. I sette gruppi fondamentali di alimenti, necessari per la realizzazione di una dieta fisiologicamente corretta e utile alla prevenzione delle patologie cronicodegenerative correlate con l'alimentazione (diabete, aterosclerosi, tumori), sono: il gruppo delle carni, pesci, uova; il gruppo del latte e derivati; il gruppo dei cereali e tuberi; il gruppo dei legumi; il gruppo dei grassi da condimento; il gruppo degli ortaggi e frutta, fonti di vitamina A; infine il gruppo degli ortaggi e frutta, fonti di vitamina C. Per semplificare si potrebbe anche fondere il gruppo del latte e derivati con quello delle carni, pesci e uova (dato il preminente valore proteico di tutti questi alimenti) e si potrebbero unificare i due gruppi di ortaggi e frutta, ma è preferibile che la normale dieta sia la più variata possibile e quindi che attinga a più gruppi di riferimento.
2.
Se quella appena delineata è l'impostazione moderna del concetto di dieta fisiologica, ovvero della miscela nutritiva che può coprire sia le necessità energetiche, sia le molteplici e altrettanto fondamentali esigenze non caloriche dell'organismo, ben più complesso è il concetto di dieta terapeutica. Ogni deviazione dalle regole generali di fisiologia, a cui si ispira la normale dieta equilibrata, è una sorta di 'errore calcolato', di male minore, necessario per fronteggiare situazioni patologiche che disturbano, di caso in caso, l'assunzione, la digestione, l'assorbimento e il normale metabolismo dei nutrienti o l'eliminazione delle conseguenti scorie.
La formulazione di apposite diete è compito della branca applicativa della scienza dell'alimentazione, cioè della dietetica, che con un difficile e lungo iter si è liberata dalle incertezze empiriche delle sue origini, pur dovendo tuttora sottostare alle pressioni commerciali della diet industry e alle manipolazioni di troppi improvvisati dietologi e dietisti, privi della specifica formazione universitaria (che prevede la specializzazione in Scienza dell'alimentazione per il dietologo e un diploma universitario su base triennale per il dietista). Non esiste tuttora un sufficiente consenso scientifico sulla reale validità di tutte le diete speciali che figurano anche nei particolari menu dei maggiori ospedali. La prescrizione di una dieta è un atto medico la cui validità discende da una serie di principi generali, ma che nella pratica richiede sempre degli adattamenti individuali (non codificabili preventivamente) e dei continui aggiustamenti, in sintonia con l'evolvere della situazione clinica. La formulazione di protocolli dietetici per gruppi di patologie è dunque un supporto indicativo utile, ma la loro attuazione richiede o impone degli adattamenti individuali e una personalizzazione che possono discostarsi anche sensibilmente dalle premesse generiche, che hanno guidato gli esperti nella formulazione dei prototipi delle singole diete speciali. In questo senso sono del tutto tramontate le raccomandazioni generiche insite nella vecchia 'dieta in bianco' o nella dieta 'blanda', a suo tempo proposta per le affezioni gastrointestinali. Tra le diete speciali, di riconosciuta validità clinica e di impiego più frequente, possono essere annoverate le diete prive di glutine o di lattosio o di altro nutriente che promuova intolleranza o reattività allergica, le diete ipoproteiche, ipolipidiche, a basso o alto residuo di fibra, a ridotto contenuto di carboidrati semplici, ma anche le diete liquide o semiliquide e tutte le diete che vengono predisposte per la somministrazione parenterale, per sondino o per vena periferica o centrale.
3.
Nell'ambito della comunità scientifica, giustamente, non hanno mai trovato riconoscimento le infinite diete proposte, da veri specialisti o da presunti esperti, per il controllo del sovrappeso e dell'obesità, salvo per quanto si riferisce alla personalizzazione di una normale dieta ipocalorica, che sia rispettosa delle premesse fisiologiche riguardanti la presenza di una quota adeguata di proteine e di una quantità minima di carboidrati e grassi. Il temporaneo successo di alcune diete dimagranti (etichettate per lo più dal nome di un alimento, di una località o dal cognome stesso dell'ideatore) non deve incoraggiare le speranze degli obesi. La componente genetica e multifattoriale della grande obesità comporta, infatti, un trattamento cronico, di carattere non soltanto dietetico, per cui è illusorio pensare che delle diete squilibrate e irrazionali, anche se indubbiamente capaci di far perdere qualche chilo di peso in tempi brevi, possano risolvere il problema dell'obesità senza innescare quelle recidive che complicano il problema e finiscono per logorare la psicologia del paziente. 4. Diete personalizzate Una corretta impostazione dietologica prevede che le diete vengano catalogate e denominate soltanto in base ai ritocchi previsti per i singoli principi nutritivi. In questo senso, non è possibile parlare genericamente di diete dimagranti, ma piuttosto di diete ipocaloriche a diverso contenuto energetico; allo stesso modo non si dovrebbe parlare, per es., di diete per l'insufficienza renale ma di diete ipoproteiche, specificando la quota proteica per chilogrammo di peso e il totale energetico. Talvolta, si rendono necessari vari ritocchi nella composizione percentuale dei nutrienti di una dieta, in relazione alla complessità della situazione clinica, come può accadere, per es., nel caso di un diabetico obeso, iperteso e infartuato, nel quale la dieta dovrà essere caratterizzata da una serie di riferimenti esplicativi, del tipo: dieta ipocalorica, ipolipidica e iposodica a ridottissimo contenuto di carboidrati semplici. In contrasto con il declino e il motivato superamento di vecchie diete generiche (dieta in bianco, dieta blanda, dieta antiulcera, dieta per diabetici ecc.), la moderna dietetica ha ottenuto considerevoli successi mediante la somministrazione di diete speciali di sicura risposta clinica o l'impiego di nutrienti elementari, per via enterale e parenterale, grazie alla disponibilità di prodotti dietetico-farmacologici che ormai permettono al medico esperto di realizzare anche per via venosa o per sondino - con una sorta di meccano nutrizionale - ogni sorta di dieta, perfettamente controllata.
l. Implicazioni socioculturali delle diete
Nelle società moderne, le diete più diffuse sono riconducibili sostanzialmente a quattro tipologie: a) le diete elaborate e prescritte da esperti di formazione medica a scopo terapeutico per malattie dovute al tipo di alimentazione; b) le diete che raccomandano un regime basato solo su un tipo di alimenti e che dunque non sono adatte a essere seguite in modo continuativo; c) alcune regole pratiche derivanti da concezioni ideali, spesso d'ordine filosofico, applicabili ad ambiti fondamentali di vita, come, per es., il vegetarianismo, l'antroposofia e altri modelli considerati conformi alla natura; d) le diete basate su teorie mediche per una vita sana, che comportano l'adozione di un vincolante modello di comportamento. Le prime due tipologie intendono la dieta nella sua più stretta accezione corrente, che finalizza uno specifico regime alimentare a un determinato obiettivo terapeutico o estetico. Le altre tipologie, invece, sono espressione di più ampie concezioni, filosofiche ed etiche, della vita e della salute, fondate sulla convinzione che esista un'influenza reciproca tra condizioni fisiche, stato mentale e valori socialmente apprezzabili.
La durata delle diete può essere estremamente variabile: sono concepite come pratiche durature le forme alternative di esistenza fondate su convinzioni ideali e i comportamenti ispirati a una vita sana; molte diete ipocaloriche, invece, possono essere seguite solo temporaneamente, al contrario della maggior parte delle diete a scopo terapeutico che va osservata per sempre. Un'ulteriore differenza sta nel fatto che, in base all'obiettivo che ci si prefigge, alcune diete regolamentano solo il tipo di alimentazione, mentre altre investono anche ambiti di vita come il riposo, l'attività fisica e il sonno, e altre ancora dettano norme per l'intera condotta individuale. In generale, le diete che intendono agire solo sull'organismo si concentrano su ambiti puramente fisici, come le diete mediche e quelle dimagranti, mentre quelle che derivano da modelli filosofici si occupano di tutti gli aspetti non regolati dalla società in modo vincolante, come l'educazione, la sessualità e i comportamenti consumistici. Tutte le diete perseguono lo scopo di razionalizzare in qualche modo le abitudini quotidiane. Se sono motivazioni di salute che obbligano a seguire una dieta, è ben difficile che essa assuma una qualche valenza sociale. Invece il distacco dai modelli di vita corrente costituisce spesso insieme la causa e lo scopo della scelta di uno stile di vita e, quindi, di alimentazione alternativo. L'aspetto 'etico' della maggior parte delle diete può comunque essere colto nella loro tendenza a promuovere comportamenti che sono, in genere, positivamente valutati dal punto di vista sociale (la moderazione, la capacità di rinuncia, l'autocontrollo), in quanto ritenuti indizi della capacità dell'individuo di dare a tutta la sua esistenza una forma sistematica e controllata, in particolare per quel che riguarda le attitudini lavorative e produttive. Insomma, gli stili di vita alternativi, i modelli comportamentali coerentemente ispirati ai principi salutistici e in parte anche le diete dimagranti hanno certamente ripercussioni sociali.
La prova più evidente può essere vista nel fatto che la dieta è generalmente un fenomeno specifico di un determinato ceto e di un dato sesso: nel ceto medio si riscontra una tendenza a praticare le diete più frequentemente che nelle classi sociali inferiori, anche se alla fine del 20° secolo le differenze legate al ceto sono state soppiantate da quelle connesse al sesso (le donne seguono diete con una frequenza notevolmente maggiore rispetto agli uomini).
Per quanto riguarda in particolare le implicazioni sociali delle diete mediche, coadiuvanti nella terapia per malattie specifiche o comunque destinate a favorire, in via preventiva, migliori condizioni di salute, attualmente la loro prescrizione rientra a pieno diritto nel sistema sanitario pubblico; esse, dunque, hanno trovato una vera e propria istituzionalizzazione a livello sociale, economico e giuridico. Per la trasmissione di conoscenze dietetiche e di precetti pratici si sono create professioni specialistiche come quella del dietologo e del bromatologo; poiché, inoltre, la produzione industriale di preparati dietetici è divenuta un business che assicura introiti assai elevati, per garantire che questa produzione orientata al profitto soddisfi anche criteri terapeutici, il settore è stato disciplinato a livello giuridico in tutti i moderni Stati industriali. Si può notare infine che l'attuale dietetica medica, che considera ottimale un regime alimentare il più possibile vario ed equilibrato nella scelta dei diversi gruppi di cibi, sia per le persone sane sia anche in molte patologie (si preferisce, per quanto possibile, limitare anche drasticamente ma non escludere totalmente determinati alimenti), torna così a conformarsi a quella antica, ponendo in primo piano la prevenzione e mirando a far accettare e adottare al maggior numero di persone un determinato regime alimentare e di vita.
2.
In tutte le società il digiuno e la rinuncia al cibo sono tecniche culturali tradizionalmente sperimentate per esercitare l'ascesi richiesta dalla religione o per addestrarsi all'autodisciplina necessaria in tempi difficili (v. digiuno); in quest'ottica, la riduzione di peso è spesso solo una conseguenza secondaria, e non il vero e proprio fine ultimo. Nel mondo moderno secolarizzato, le motivazioni religiose che spingono al digiuno sono in larga parte scomparse e nella società del superfluo il patire la fame non è più un destino ineluttabile. Ciò nonostante, digiunare continua ad assumere ancora oggi un forte valore simbolico: chi sceglie liberamente di soffrire la fame, mettendo a rischio la propria vita con una volontaria rinuncia a mangiare, respinge quella atavica forma di solidarietà familiare e sociale che è la condivisione del cibo. È evidente, d'altra parte, che l'autorinuncia al cibo esiste come fenomeno socialmente rilevante solo nelle società in cui vi sono risorse alimentari sovrabbondanti. Vi sono in sostanza due varianti del digiuno: lo 'sciopero della fame', motivato politicamente, utilizzato come strumento di pressione, e il digiuno individuale e solitario degli anacoreti.
Anche chi desidera diventare magro si serve della volontaria astinenza dal cibo come strumento di pressione, ma in primo luogo nei confronti di sé stesso, per combattere i propri istinti: punto estremo di tale tendenza è l'anoressia (v.), fenomeno tipico di certe fasi della vita e prevalentemente del sesso femminile; ne soffrono soprattutto ragazze dell'Occidente industrializzato che vivono in famiglie del ceto medio e sono animate da grandi ambizioni intellettuali. Ci sono poi anche forme di digiuno e di astinenza, spesso non prescritte e condotte secondo criteri medici, che vengono attuate solo al fine di diminuire di peso, orientando l'aspetto fisico a un preciso ideale estetico. Sono soprattutto le donne a praticare tali diete perché l'ideale di bellezza femminile è principalmente riferito al corpo e ha una più forte codificazione rispetto a quello maschile. La diffusa aspirazione a una figura snella è, come è noto, un fenomeno culturale, ma anche sociale. Essere magri nelle moderne società occidentali sembrerebbe essere qualcosa di più di un semplice ideale estetico, attestando la capacità di saper controllare i propri istinti. L'autodisciplina e l'ascesi, tradizionali forme culturali di origine religiosa connesse con la moderazione nel mangiare, vengono ad assumere, così, nel mondo odierno una valenza etico-sociale anche in un contesto in larga parte secolarizzato.
m. ellmann, The hunger artists. Starving, writing, and imprisonment, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1993.
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