Difesa
Si esamina qui la d. da un punto di vista concettuale, tralasciando gli aspetti strettamente tecnico-operativi e privilegiando la funzione difesa nelle democrazie occidentali. La trattazione inizia dall'individuazione dei livelli decisionali, all'interno dei quali si prospettano le linee strategiche. Segue un panorama delle minacce presagibili nell'attuale contesto internazionale, l'analisi della missione che la funzione difesa svolge e delle capacità che deve sviluppare per soddisfare questa missione nel quadro delle condizioni al contorno, poste dalla situazione internazionale e in particolare italiana.
Lo sviluppo delle linee strategiche (policy) per la d. avviene all'interno di tre distinti livelli decisionali, ognuno caratterizzato da specifiche competenze e ambiti d'azione: politico-strategico, politico-militare e strategico-militare. I primi due competono all'autorità politica, il terzo è proprio del vertice militare. Il livello politico-strategico è responsabile della formulazione della politica di sicurezza e d. nazionale. Il governo e il Parlamento individuano il contesto strategico di riferimento e la sua possibile evoluzione, fornendo il quadro generale all'interno del quale sono individuati gli obiettivi che la nazione intende perseguire nel campo della tutela e della protezione dei cittadini, del territorio, degli interessi vitali e strategici e dei valori nazionali. Il livello politico-militare è di competenza del ministro della Difesa, che fa proprie le linee di politica militare, per quella parte che identifica le responsabilità e le aspettative affidate alla funzione difesa. Il documento di riferimento di questo livello è la direttiva ministeriale che identifica gli intendimenti politici, in termini di obiettivi e criteri di sviluppo dello strumento militare, affinché quest'ultimo possa contribuire a perseguire gli obiettivi di sicurezza e di d. nazionale. In tale documento sono altresì fornite le linee guida necessarie alla definizione delle priorità e degli indirizzi di pianificazione, le aree geografiche di interesse, nonché tutte quelle indicazioni ritenute indispensabili per una corretta funzione e un efficace impiego dello strumento militare. Il livello strategico-militare è rappresentato dal vertice militare. A questo livello si attua la traduzione in obiettivi militari degli intendimenti espressi dalla direttiva ministeriale, indicando le missioni per lo strumento militare e definendo i requisiti e le capacità che lo stesso dovrà possedere al fine di assolverle. Vengono descritte le aree geografiche ritenute di possibile impiego e definiti i principi cui ispirare la realizzazione dello strumento militare. Il documento cardine di questo livello va sotto il nome di concetto strategico.
Dalle analisi politico-militare e strategico-militare vengono costruiti gli scenari possibili nei quali si potrebbe dover impiegare, a medio e lungo termine, lo strumento militare. Scenari possibili, non già probabili, in quanto l'obiettivo non è prevedere il futuro quanto piuttosto interpretare correttamente le evoluzioni in corso, onde avviare in tempo le azioni più appropriate per predisporre le capacità necessarie. Porsi tali scenari possibili significa ipotizzare improvvisi cambiamenti geopolitici (quale fu, per es., il collasso dell'Unione Sovietica), tecnologici (crisi energetica), umanitari (pandemie, crisi idrica), per valutare quale potrebbe essere il loro impatto sulla funzione difesa e quindi come riformulare coerentemente lo strumento militare. Il contesto internazionale è l'ambito nel quale è possibile definire minacce e rischi ai quali un Paese può essere soggetto e rispetto ai quali deve organizzare la d. nazionale.
Il terrorismo internazionale
L'inizio del 21° sec. è stato caratterizzato da un nuovo tipo di minaccia, completamente diversa da quella affrontata nel periodo della guerra fredda. Nel passato le minacce principali provenivano da Stati nazione. Nel futuro prossimo minacce provenienti da attori statali saranno meno probabili; viceversa, molte delle minacce proverranno da attori non statali, gruppi terroristici, movimenti indipendentisti, sette estremiste, criminalità organizzata. Queste minacce pongono nuove sfide, in quanto possono essere transnazionali e agire in più Stati differenti assumendo una dimensione internazionale; i loro attori possono operare anche senza disporre di un territorio sotto il loro controllo e non possono essere identificati con i governi dei Paesi nei quali operano; pertanto non possono essere sconfitti tramite i tradizionali strumenti militari, ma soltanto utilizzando una strategia integrata economica, politica e militare.
Stati deboli o 'falliti' possono porre problemi più grandi di quelli strettamente militari. Essi possono diventare rifugio per terroristi e criminali o essere teatro di disastri umanitari di entità tale da imporre un intervento della comunità internazionale, come accaduto in Etiopia, Kosovo, Ruanda e Sudan.
La disponibilità di armi chimiche, biologiche, nucleari o radiologiche costituisce un'altra potenziale minaccia di cui la funzione difesa deve tener conto. Gli Stati che acquisiscono tali armamenti potrebbero non avere le capacità tecniche e la solidità politica per gestirli secondo i criteri dell'esercizio razionale della deterrenza. Tali armi potrebbero essere a loro volta trafugate da attori non statali per impieghi terroristici.
In questo quadro di riferimento, in Italia come nelle democrazie occidentali, la missione con cui le forze armate devono soddisfare la funzione difesa si articola in quattro punti fondamentali: d. degli interessi vitali del Paese, salvaguardia dell'integrità territoriale, sicurezza delle vie di comunicazione e dei connazionali all'estero; d. collettiva degli spazi territoriali e degli interessi strategici dei Paesi alleati; contributo alla prevenzione e alla gestione delle crisi internazionali, nel quadro delle Nazioni Unite e del sistema di alleanze al quale si appartiene; concorso alla salvaguardia delle istituzioni democratiche e alle operazioni di soccorso in caso di calamità naturali. Questi compiti non sono indipendenti l'uno dall'altro, ma devono essere perseguiti in maniera sinergica per garantire la sicurezza e la d. di un Paese.
La minaccia posta dal terrorismo internazionale è risultata la più drammatica negli anni iniziali del 21° secolo. Anche se il primo obiettivo è stato costituito dagli Stati Uniti (11 settembre 2001), gli episodi di Madrid (marzo 2004) e Londra (luglio 2005) hanno dimostrato che l'Europa non è immune da attacchi terroristici.
La minaccia posta dal terrorismo internazionale fa sì che la d. del territorio metropolitano (homeland security) divenga sempre più importante per le democrazie occidentali. Ciò comporta che i Paesi debbano assegnare una più elevata priorità nelle pianificazioni delle capacità necessarie alla d. e alla sicurezza nazionale. Nei conflitti tradizionali diretti contro le strutture politiche e militari di Stati ostili, la successiva fase di ricostruzione sociale ed economica (state-building) può risultare più difficile e pericolosa della guerra vera e propria e, comunque, molto più prolungata nel tempo, come osservato nella crisi balcanica, in Afghānistān e soprattutto in ̔Irāq.
Nello scenario internazionale, l'esigenza di disporre di strumenti efficaci di gestione delle crisi, sempre più complesse, e di lotta al terrorismo internazionale ha impresso un'enorme accelerazione all'elaborazione concettuale di una nuova visione della d. e della sicurezza, di cui la trasformazione in atto nel 'sistema difesa' statunitense costituisce un punto di riferimento trainante, sia sul piano dottrinale sia su quello tecnologico. Per rispondere a queste esigenze, la NATO e l'Unione Europea, le due principali organizzazioni alle quali, oltre all'ONU, si riconduce la politica di sicurezza di molte delle democrazie occidentali, hanno avviato un processo di rinnovamento e trasformazione non soltanto dottrinale ma anche delle capacità operative.
Nell'ambito della globalizzazione la sicurezza è indivisibile e la trasformazione delle alleanze ha implicazioni importanti per la pianificazione delle capacità di d. nei decenni a venire. La NATO si è evoluta dalla d. dell'Europa alla d. degli interessi occidentali oltre i confini europei. I cambiamenti nella pianificazione delle forze riflettono gli sforzi che la NATO sta compiendo per conseguire la capacità di giocare un ruolo globale. La NATO Response Force (NRF), lanciata nel summit di Praga del 2002, è stata progettata per dispiegare forze in 5-6 giorni, dovunque nel mondo, e sostenerle fino a 30 giorni. Analogamente, il Prague Capabilities Commitment (PCC) tende ad accrescere la capacità di proiezione di potenza e a migliorare l'interoperabilità tra le forze militari dei Paesi membri. Allo stesso tempo, la NATO sta estendendo la sua attenzione verso il Mediterraneo e il Medio Oriente. Nel summit di Istanbul (giugno 2004) è stato infatti deciso di approfondire il dialogo mediterraneo ed è stata lanciata una nuova iniziativa, la Istanbul Cooperation Initiative (ICI), volta a favorire la cooperazione con Stati non membri dell'alleanza in settori quali il finanziamento della d., l'interoperabilità e il controllo democratico delle forze armate.
La politica europea di sicurezza e di difesa (PESD)
Dopo il Consiglio di Helsinki del dicembre 1999, la PESD è diventata parte integrante dell'agenda dell'Unione Europea, che ha iniziato a espandere i suoi orizzonti di sicurezza oltre l'Europa. Il documento sulla strategia europea in materia di sicurezza, A secure Europe in a better world. European Security Strategy, approvato a Bruxelles nel dicembre 2003, fornisce il quadro di riferimento di una Unione Europea che intende pensare e agire a livello globale. La stretta correlazione fra le minacce principali identificate dalla European Security Strategy e dalla National Security Strategy degli Stati Uniti (nel documento The National Security Strategy of the United States of America) mostra che la valutazione delle minacce sulle due sponde dell'Atlantico non è dissimile. L'attenzione sempre più marcata verso l'Africa mostra altresì che l'Unione Europea comincia a pensare in maniera globale. La creazione di gruppi di combattimento (battlegroups) composti di ca. 1500 uomini è vista in funzione di rapidi interventi in situazioni di crisi nella periferia orientale europea e in Africa. I battlegroups sono concepiti per agire in operazioni limitate, senza duplicare o entrare in conflitto con la NRF.
La Grand Strategy americana
L'evoluzione della politica di d. degli Stati Uniti influenza il contesto esterno della funzione difesa nei Paesi occidentali. La Quadrennial defense review (QDR) ridisegna ogni 4 anni la strategia di d. dell'unica superpotenza mondiale. Nonostante la grande enfasi sull'impiego di nuove tecnologie e sulla loro importanza per condurre rapidamente operazioni ad alta intensità, secondo la QDR molta attenzione dovrà essere assegnata a operazioni contro la guerriglia. Particolare rilievo meriteranno le azioni preventive, volte ad affrontare le minacce prima che queste determinino situazioni di crisi. Il problema dello sviluppo futuro delle capacità sarà perciò quello di trovare il giusto equilibrio fra impiego sempre più spinto di alte tecnologie nelle operazioni più impegnative e necessità di affrontare minacce non convenzionali, che invece si caratterizzano per l'impiego rudimentale dei sistemi d'arma. Sulla stessa linea si pone la necessità di dare adeguata attenzione a quella fascia grigia che corrisponde alla transizione tra la fase di combattimento e la fase di ricostruzione vera e propria. Non sono pochi, anche negli Stati Uniti, quelli che ritengono che le forze armate dovrebbero essere ridisegnate e bilanciate per acquisire maggiori capacità anche nella fase di stabilizzazione e ricostruzione.
Il caso Italia
Nel quadro internazionale, l'Italia sta operando in maniera attiva tanto in ambito NATO e Unione Europea, quanto all'interno di 'coalizioni dei volenterosi' che operano in varie parti del mondo per favorire la pacificazione e prevenire disastri umanitari. La capacità di svolgere tale ruolo è stata ed è possibile anche grazie alle scelte a suo tempo operate a livello nazionale e via via perfezionate nel corso del decennio a cavallo del nuovo secolo, in buona sostanza a un continuo processo di trasformazione i cui cardini sono rappresentati dalla legge sui vertici militari e dalla realizzazione di uno strumento militare interamente professionale, più contenuto quantitativamente ma operativamente superiore, fortemente integrabile nel contesto internazionale e in grado di esprimere capacità militari più efficaci.
Nel febbraio 1997 è stata approvata la legge denominata Riforma dei vertici militari (l. 18 febbr. 1997 nr. 25), che sancisce le seguenti attribuzioni: al capo di Stato maggiore della Difesa, sulla base delle direttive del ministro della Difesa, la responsabilità di fissare gli obiettivi, verificando le capacità operative delle forze armate, e di esercitare il comando delle operazioni e delle esercitazioni sia in ambito nazionale sia internazionale, avvalendosi di un Comando Operativo di vertice Interforze (COI); al segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, la responsabilità del controllo e dell'impiego dei fondi destinati al funzionamento dell'area tecnico-amministrativa e industriale nonché dei fondi destinati ai settori ricerca e sviluppo interforze; ai capi di Stato maggiore di forza armata la responsabilità dell'organizzazione, approntamento, addestramento e logistica della rispettiva forza armata.
La riorganizzazione è stata avviata in coerenza con i crescenti impegni al di fuori del territorio nazionale, nel Corno d'Africa, nel Vicino e Medio Oriente, nel Golfo Persico, nei Balcani, in Asia centrale. Fra i provvedimenti più significativi va citata la costituzione del COI, per la direzione unitaria delle operazioni e la riorganizzazione della componente operativa dell'Esercito italiano per conseguire un'elevata flessibilità di riconfigurazione e di proiettabilità, intesa come capacità di portarsi rapidamente nella zona delle operazioni, di comandi e reparti. La Marina militare ha riorganizzato l'intera squadra navale, attivando un'apposita struttura per la condotta di operazioni anfibie; analoghi provvedimenti sono stati adottati dall'Aeronautica militare per incrementare l'operatività e la proiettabilità sostenuta dei propri reparti di volo. L'obiettivo di medio-lungo termine, alla luce dell'attuale situazione internazionale, è quello di riuscire a sviluppare ulteriormente le capacità d'intervento in zone molto lontane, con dispositivi interforze prontamente proiettabili, pienamente integrati a livello nazionale e rapidamente integrabili sul piano multinazionale, con avanzate e specifiche capacità operative, logisticamente sostenibili: in sintesi, di poter rapidamente proiettare e integrare in coalizioni a geometria variabile dispositivi flessibili ed efficaci, caratterizzati da superiorità qualitativa in termini di informazioni operative, sopravvivenza, precisione d'ingaggio e sostenibilità logistica.
Alcuni risultati sono stati già conseguiti lungo questo indirizzo. In riferimento al contributo italiano previsto per la NRF, si nota che esso comprende, oltre a una consistente aliquota di forze tratta dalle formazioni di più elevato livello operativo, anche due comandi di componente, uno terrestre, il NATO Rapid Deployment Corp - Italy di Solbiate Olona, e uno navale, il COMITMARFOR (Comando Italiano delle Forze Marittime), imbarcato sulla portaeromobili Garibaldi o sulla nave logistica Etna, che hanno conseguito la certificazione di piena operatività da parte della NATO. Si tratta di comandi multinazionali ma a ossatura nazionale e in larga scala alimentati da personale italiano. Per quanto riguarda i battlegroups per le operazioni condotte dall'Unione Europea, sono previste varie opzioni di contributo nazionale, che vanno da un primo dispositivo più orientato alle operazioni terrestri, a un secondo a connotazione anfibia, tutti supportati da un'adeguata componente aerea, da realizzare, comunque, sempre in un'ottica interforze. Sempre a proposito di contributi all'Unione Europea, l'Italia è impegnata nel raggiungimento della piena operatività del COI quale operational headquarter europeo, insieme a quelli resi disponibili da Francia, Germania, Grecia e Regno Unito. Guardando poi alle linee di sviluppo dei processi di trasformazione delle forze della NATO e dell'Unione Europea, è emersa l'esigenza programmatica di conferire adeguata priorità all'incremento di alcune specifiche capacità. In particolare: allo sviluppo di più qualificate componenti di sorveglianza strategica; al potenziamento delle capacità operative delle strutture di comando proiettabili per essere in grado di gestire le operazioni in contesti interforze e multinazionali; allo sviluppo di unità proiettabili ad alta prontezza; all'incremento delle capacità di interazione civile e militare, attraverso il potenziamento delle unità CIMIC (Civil Military Cooperation) e il rafforzamento della capacità dei Nuclei NBCR (da Nucleare, Biologico, Chimico, Radiologico) del Genio; alla valorizzazione delle unità multinazionali specializzate, incentrate sull'Arma dei Carabinieri.
In questo quadro si inseriscono i programmi di ammodernamento, in parte già avviati e previsti per il futuro. Fra questi vi sono: l'acquisizione di capacità satellitari di comunicazione e osservazione (sistema SICRAL, Sistema Italiano per Comunicazioni Riservate ed Allarmi; programma HELIOS; programma COSMO-SKYMED) e di progetti terrestri, navali e aerei di sorveglianza e di intelligence, quali i progetti Alliance Ground Surveillance (AGS) e CAESAR (Coalition Aereal Surveillance and Reconaissance) e l'acquisizione del RPV (Remoted Piloted Vehicle) Predator; l'aggiornamento della rete digitale terrestre, in funzione anche del contributo nazionale al NATO Global Purpose Communication System; lo sviluppo dei progetti relativi al soldato del futuro, che permetteranno di integrare in un sistema di combattimento computerizzato il combattente individuale e tutte le piattaforme che operano sul campo di battaglia.
Questi programmi sono mirati alla realizzazione di un sistema di comando, controllo, comunicazioni e sorveglianza interforze (C4I, Comando, Controllo, Comunicazioni, Computer e Intelligence). Altri programmi riguardano il potenziamento delle capacità di trasporto strategico, marittimo e aereo, e di supporto al combattimento. Particolare importanza hanno tutti i programmi finalizzati al rinnovamento delle linee elicotteri (A129 Mangusta, EH-101 e NH-90); lo sviluppo e l'acquisizione di munizionamento di precisione; l'ammodernamento della d. aerea e missilistica (programmi Eurofighter e MEADS, Medium Extended Air Defense System); il rinnovamento della capacità di proiezione aeronavale 'a braccio lungo' con la realizzazione della portaerei Conte di Cavour, che consentirà di imbarcare un JFC (Joint Force Command) sea based (oppure in alternativa un MCC/CATF, Maritime Command and Control/Commander, Amphibious Task Force) e di incrementare le capacità di elisbarco di forze non solo anfibie; l'ammodernamento della componente di protezione dei gruppi d'altura, unità AAW (Anti-Air Warfare) Orizzonte e FREMM (Fregate Europee Multi Missione); lo sviluppo delle capacità di sorveglianza e di intelligence gathering e di intervento con forze speciali (nave Elettra e binomio sottomarini U-212A/GOI, Gruppo Operativo Incursori); l'adesione al programma JSF (Joint Strike Fighter) per l'acquisizione di un mezzo aereo in grado di soddisfare le esigenze di aeronautica e marina.
Il salto decisivo per la trasformazione si attua tuttavia solo con un processo continuo d'innovazione, un elemento certamente decisivo. In esso, infatti, si deve vedere una vera e propria rivoluzione culturale nel mondo militare, il cui fine è, in aforisma, quello di evitare di trovarsi a combattere un conflitto utilizzando idee e strumenti sviluppati nel conflitto precedente. Questo elemento, definito come capacità di anticipazione della conoscenza in un contesto di sicurezza fluido e caotico, è il vero motore della trasformazione. In tale ottica, i concetti portanti della trasformazione militare sono: la jointness, ossia l'integrazione interforze; l'interoperabilità, ossia la capacità di integrarsi in dispositivi multinazionali. Si tratta di concetti consolidati, ma la cui applicazione dovrà essere perseguita per conseguire realmente una piena e totale sinergia. Nel processo di trasformazione in atto, l'elemento più innovativo è costituito dalle capacità 'net-centriche', cioè quelle riferibili e inquadrabili nella Network Centric Warfare (NCW), concetto che, nella sua accezione più ampia, indica la combinazione di tattiche, tecniche e procedure emergenti - e quindi di per sé molto innovative - che un complesso di forze pienamente integrato può impiegare per creare una situazione di superiorità decisiva sull'avversario. Un concetto, quindi, che comporta un modo di organizzare le forze e di combattere nell'era dell'informazione sfruttandone tutte le potenzialità; di condurre le operazioni incrementandone in modo esponenziale l'efficacia connettendo tra loro sensori, decisori e attuatori, per ottenere condivisione della consapevolezza della situazione operativa, maggiore velocità dell'azione di comando, ritmo operativo elevato e più elevata capacità di sopravvivenza, possibilità di controllo dal massimo livello decisionale nei momenti più delicati e sensibili. Si tratta, dunque, di un nuovo moltiplicatore di potenza sul campo di battaglia, quest'ultimo inteso nel senso più ampio di battlespace, che trasforma la superiorità informativa in efficacia operativa. Sarà pertanto il pilastro portante del processo di trasformazione delle forze; ma, proprio per la sua natura che favorisce la trasmissione orizzontale dell'informazione rispetto a quella vertical-gerarchica, rappresenta una vera e propria nuova filosofia, una nuova dottrina cui preparare le forze armate, a tutti i livelli. Le forze armate italiane si muovono secondo quattro direttrici fondamentali: definire i concetti generali e l'architettura dell'intero progetto NCW nazionale; valutare e riqualificare i programmi avviati o da avviare nel breve termine al fine di assicurarne la coerenza; definire esigenze e requisiti operativi per i programmi da sviluppare nel medio-lungo termine; assicurare il massimo coordinamento con le correlate attività in ambito NATO e multinazionale. L'architettura generale sarà basata su capacità interforze operanti per svolgere le funzioni di: comando, controllo e comunicazione; intelligence, sorveglianza e identificazione; targeting, acquisizione obiettivi e valutazione degli effetti d'ingaggio. Proprio l'applicazione del concetto NCW postula che nessun sistema d'arma potrà restarne al di fuori, pena l'incapacità di operare. Pertanto tutti i mezzi futuri, e non solo quelli destinati alla funzione C4I, dovranno essere integrati nella rete.
La partecipazione al programma NATO Network Enabled Capability (NEC) consentirà di sviluppare i sistemi coerentemente con quelli degli altri partner. L'impegno nazionale nel settore NCW è pertanto decisivo per il futuro delle forze armate. In prospettiva, infatti, la disponibilità di capacità network centric rappresenta sia un'imprescindibile opportunità operativa per condurre con successo operazioni militari sul campo di battaglia 'digitale', quello del futuro, dominato dalle forze armate dei Paesi più evoluti, sia la condizione sine qua non per l'interoperabilità. L'alternativa è rappresentata da uno strumento concettualmente obsoleto, per quanto tecnologicamente evolute siano le piattaforme disponibili, e dall'impossibilità di giocare un qualsiasi ruolo nei dispositivi multinazionali. È il caso di evidenziare l'impegno assunto in questo enorme sforzo per la trasformazione, pur continuando a sostenere gli impegni operativi che, in questo momento, vedono le forze armate italiane presenti in prima linea, come non mai nella storia della Repubblica, in impegnative missioni.