Difese immunitarie e patologia immunitaria
La funzione di difesa contro gli agenti patogeni del sistema immunitario
Il sistema immunitario ha la funzione di proteggere l'ospite dagli agenti infettanti; deve, quindi, essere in grado di identificarli rapidamente e di rispondere in maniera appropriata, innescando i meccanismi effettori più idonei alla loro neutralizzazione ed eliminazione. L'effetto disastroso delle infezioni nei pazienti immunodeficienti, con difetti qualitativi o quantitativi in uno o più meccanismi di difesa, dimostra il ruolo centrale della risposta immunitaria nel controllo delle infezioni. È, quindi, implicito che gli agenti patogeni abbiano esercitato la principale pressione selettiva sui sistemi di difesa degli organismi e che il sistema immunitario dei vertebrati attuali sia il risultato di un processo di evoluzione a partire da primitivi meccanismi di difesa. Dato che gli agenti infettanti mostrano un notevole grado di variabilità, soprattutto nella loro componente proteica, per riconoscerli e combatterli efficacemente, i sistemi immunitari più evoluti hanno sviluppato meccanismi in grado di formare un numero praticamente illimitato di recettori. Il problema della generazione della diversità recettoriale è stato risolto dai linfociti T e dai linfociti B in maniera sostanzialmente analoga, attraverso un processo di riarrangiamento somatico di segmenti genici. Questa soluzione implica l'inserzione di nucleotidi nei punti di giunzione tra un segmento e l'altro, oltre a un processo di mutazione somatica nei segmenti genici che codificano le porzioni variabili degli anticorpi. L'evoluzione di meccanismi di riconoscimento paralleli nei linfociti T e B è, probabilmente, da considerarsi il risultato della diversa pressione selettiva esercitata dagli agenti patogeni tipici di habitat differenti. E evidente che gli anticorpi sono particolarmente efficaci nel riconoscere i patogeni extracellulari e innescare i meccanismi effettori atti alla loro eliminazione, quali la lisi mediata dal complemento o l'eliminazione da parte di cellule specializzate dotate di recettori per la porzione Fc degli anticorpi IgG. La difesa contro agenti patogeni che vivono all'interno delle cellule - alcuni batteri endocellulari, quali i micobatteri, certi parassiti e i virus - non può essere mediata dagli anticorpi. In questi casi, per poter identificare una cellula infettata, è stato necessario lo sviluppo di un meccanismo in grado di veicolare ed esporre sulla superficie cellulare gli antigeni dell'agente patogeno (Kaufmann, 1993). Gli antigeni di istocompatibilità sono in grado di veicolare ed esporre peptidi derivati dalla degradazione di patogeni endocellulari sulla superficie della cellula stessa (York e Rock, 1996). I linfociti T riconoscono le molecole di istocompatibilità self legate al peptide non self con conseguente attivazione del loro programma funzionale. Nel caso di macrofagi infetti, il linfocita T helper produce citochine, soprattutto l'interferone γ (IFN-γ), che stimolano il macrofago e lo inducono a distruggere i patogeni che vivono al suo interno. Nel caso di infezioni da virus, i linfociti T citolitici sono in grado sia di uccidere le cellule infettate, sia di produrre IFN-γ, con conseguente inibizione della replicazione del virus (Kagi et al., 1996).
È opportuno sottolineare che diversi patogeni occupano specifici compartimenti endocellulari. Per esempio, i batteri endocellulari risiedono all'interno di vescicole endosomali e sintetizzano le loro proteine in tale compartimento (Kaufmann, 1993); i virus, per contro, utilizzano l'apparato di biosintesi proteica della cellula da essi infettata. Questa differenza ha comportato l'evoluzione di due classi distinte di antigeni di istocompatibilità, specializzate nel legare peptidi originati in diversi compartimenti cellulari e nel veicolarli alla superficie cellulare con distinti meccanismi. Gli antigeni di istocompatibilità di classe I veicolano peptidi generati a livello citoplasmatico, mentre gli antigeni di istocompatibilità di classe II veicolano peptidi originati nelle vescicole endosomali e lisosomali. Nel primo caso, entrano in gioco linfociti T citolitici CD8+ che lisano direttamente le cellule infettate; nel secondo, linfociti T helper CD4+ che, tramite la produzione di citochine, attivano i macrofagi inducendoli a distruggere i batteri che vivono nelle loro vescicole.
La semplice interazione tra i recettori per l'antigene espressi dai linfociti T e il complesso tra MHC (Major Histocompatibility Complex, complesso maggiore di istocompatibilità) e peptide non è, tuttavia, sufficiente a indurre una risposta immunitaria da parte di linfociti T vergini, ovvero quei linfociti T non ancora venuti a contatto con l'antigene. Per ottenere una risposta efficace che comporti proliferazione e maturazione funzionale delle cellule antigene-specifiche è necessario un secondo segnale dovuto all'interazione tra i recettori costimolatori presenti sulla membrana dei linfociti T e le molecole a cui si legano (ligandi), espresse sulle cellule che presentano il peptide antigenico associato a molecole MHC. In mancanza di un segnale costimolatorio, la semplice interazione del TCR (T Cell Receptor, recettore delle cellule T) con il complesso MHC/peptide induce uno stato di anergia, in cui la cellula non è in grado di rispondere agli stimoli, o alla morte cellulare. Per contro, le cellule T effettrici che sono già venute a contatto con l'antigene e che hanno dato luogo a un differenziamento funzionale, sono in grado di essere attivate direttamente dall'interazione tra TCR e il complesso MHC/ peptide, senza necessità di segnali costimolatori. Un'importante molecola recettoriale con attività costimolatoria espressa dalle cellule T vergini è il CD28. Sono stati identificati due principali ligandi per CD28: B7-1 e B7-2. B7-1 è espresso sui linfociti B, sulle cellule dendritiche e sui monociti attivati, mentre B7-2 è espresso anche sui monociti non attivati (Lenschow et al., 1996). E opportuno sottolineare che altre molecole, per esempio molecole di adesione quali LFA-1 (Leucocyte Function Antigen1, antigene funzionale dei leucociti di tipo 1) e il suo ligando ICAM-1 (Intracellular Adhesion Molecule1, molecola di adesione di tipo 1) o ICAM-2 (Intracellular Adhesion Molecule2, molecola di adesione di tipo 2), sono in grado di incrementare l'attivazione di linfociti T mediata dal TCR. Tuttavia, a differenza delle molecole costimolatorie, queste ultime non sono in grado di sostenere proliferazione e differenziamento delle cellule T vergini e di prevenirne l'anergia. La necessità di un doppio segnale per indurre una risposta da parte di cellule T vergini è una regola generale: può servire come meccanismo di sicurezza per evitare risposte autoimmuni causate dall'attivazione di linfociti che esprimono recettori specifici per antigeni self. Questo meccanismo di sicurezza è essenziale nel caso dei linfociti B i cui recettori vanno rapidamente incontro a mutazioni somatiche e possono, quindi, facilmente generare cellule autoreattive. D'altra parte, un altro meccanismo di controllo sui linfociti B è dato dal fatto che la loro attivazione dipende dai linfociti T helper i cui recettori non vanno incontro a mutazioni somatiche. Inoltre, la selezione a livello timico elimina molti linfociti T potenzialmente autoreattivi, pur non essendo in grado di eliminare linfociti T specifici per proteine sintetizzate selettivamente in certi tessuti periferici. Per esempio, proteine proprie delle cellule tiroidee e assenti nel timo non passeranno attraverso il `setaccio' timico durante la selezione clonale. È stato dimostrato che i linfociti T con recettori specifici per peptidi di antigeni periferici (e, quindi, autoreattivi) non vengono normalmente attivati proprio per la mancanza di molecole costimolatorie a livello dei tessuti bersaglio. Il contatto con tali antigeni provoca uno stato di anergia o morte cellulare. È, pertanto, evidente che la discriminazione tra self e non self è condizionata non solo dall'interazione tra TCR e antigene ma anche dall'esistenza o meno di costimoli efficaci (Lenschow et al., 1996). Come corollario, ne segue che la regolazione dell'espressione di segnali costimolatori ha una rilevanza pari a quella del riconoscimento dell'antigene nella discriminazione tra self e non self. Le limitazioni funzionali delle cellule T vergini nella risposta agli antigeni è vera non solo per gli autoantigeni, ma anche per gli antigeni estranei. Va sottolineato che, per indurre una risposta immunitaria contro proteine purificate, è necessario l'uso di adiuvanti che contengono prodotti batterici, quali i componenti del micobatterio della tubercolosi o della Bordetella della pertosse. Tale necessità trova spiegazione nel fatto che vari prodotti batterici sono in grado di attivare le cellule che presentano l'antigene e di indurre l'espressione dei ligandi per le molecole costimolatorie espresse dai linfociti T. Una risposta immunitaria contro un dato antigene può, pertanto, essere indotta facilmente solo nel corso di un'infezione.Questo fatto è importante poiché, in questo modo, il sistema immunitario è in grado di rispondere in maniera efficace solo a componenti non self di agenti infettanti e non a proteine innocue e, soprattutto, a proteine self.
Poiché il sistema immunitario si è evoluto per identificare e combattere gli agenti patogeni, non è sorprendente che anche nei sistemi di difesa più primitivi si siano selezionati recettori in grado di riconoscere strutture tipiche degli agenti patogeni, assenti nell'ospite. Alcune di queste strutture si sono conservate nell'evoluzione e sono presenti nei sistemi immunitari più complessi dei vertebrati. Questi recettori forniscono non solo una forma non clonale di difesa contro gli agenti patogeni, ma si sono adattati al sistema immunitario e favoriscono l'innesco della risposta immunitaria vera e propria, mediata dai linfociti T e B. Un esempio è fornito dai recettori, presenti sui monociti e i macrofagi, per il lipopolisaccaride (LPS) dei batteri gram-negativi. LPS è il più potente stimolatore dei macrofagi, notevolmente più efficace di IFN-γ. Liberato dai batteri gram-negativi, LPS stimola la produzione di citochine proinfiammatorie, quali IL-1 (interleuchina 1), TNFα (Tumor Necrosis Factor α, fattore di necrosi tumorale α) e IL-6 (interleuchina 6), tutte molecole che promuovono una serie di effetti immediati, diretti o indiretti (Ulevitch e Tobias, 1995), atti a circoscrivere l'infezione e a richiamare granulociti neutrofili, in grado di eliminare i batteri (v. oltre). Oltre a questi effetti, non immuno-mediati, LPS promuove l'innesco di una risposta immunologica grazie all'induzione dell'espressione di ligandi, B7-1, per molecole costimolatorie, CD28, dei linfociti T.
Un meccanismo di difesa peculiare è mediato dalle cellule Natural Killer (NK, cellule `assassine' naturali). Le cellule NK, a differenza dei linfociti T citolitici, esprimono in maniera costitutiva un macchinario citolitico e strutture recettoriali in grado di interagire con le strutture di membrana espresse dalla maggior parte delle cellule nucleate (Moretta et al., 1994). Di conseguenza, le cellule NK possono attaccare e lisare altre cellule, comprese quelle normali. A impedire che ciò accada, interviene il meccanismo di protezione adottato dalle cellule normali che prevede l'espressione di molecole MHC di classe I: le cellule NK riconoscono le molecole MHC grazie a recettori inibitori, in grado di inibire la loro funzione citolitica (Moretta et al., 1996). Nel caso di particolari infezioni virali, per esempio da herpesvirus, la cellula non è in grado di esprimere antigeni MHC di classe I e, pertanto, diventa soggetta all'attacco delle cellule NK. Queste ultime funzionano in maniera speculare rispetto ai linfociti T citolitici: mentre questi riconoscono cellule che esprimono molecole MHC di classe I, legate a peptidi antigenici e le lisano, le cellule NK sono in grado di identificare e di uccidere le cellule che non esprimono molecole di classe I (Moretta et al., 1996). È evidente che i due sistemi di difesa agiscono in maniera complementare e, pur con un meccanismo opposto, contribuiscono entrambi a eliminare cellule infettate da alcuni virus.
Dalle risposte immunitarie normali alle risposte immunopatologiche
Sulla base di quanto detto sopra, e per meglio comprendere alcune reazioni immunopatologiche, ovvero quelle reazioni di difesa che si trasformano in un danno per l'ospite, è necessario tenere presente alcune considerazioni: 1) il sistema immunitario si è evoluto a partire da un sistema di difesa primitivo per la difesa contro gli agenti patogeni, utilizzan- do meccanismi più efficaci; 2) le cellule e i meccanismi effettori primitivi si sono modificati e adattati a un sistema immunitario più complesso, per esempio acquisendo recettori per il frammento Fc delle IgG o producendo citochine attive sui linfociti; 3) esistono reazioni di difesa nelle quali tali meccanismi giocano un ruolo prevalente; 4) nel corso di alcune infezioni, le reazioni immunopatologiche sono da considerarsi il sottoprodotto della risposta necessaria alla sopravvivenza dell'ospite; 5) alcuni dei meccanismi effettori dell'immunità specifica, quali le cellule fagocitiche, le citochine, il complemento e le cellule infiammatorie, non sono specifiche per l'antigene, né per l'agente patogeno. Pertanto, molte risposte di per sé utili sono spesso accompagnate da un danno locale se non, addirittura, da un danno sistemico ai tessuti dell'ospite. L'eliminazione dell'agente patogeno comporta, in generale, la risoluzione del danno. Nelle situazioni in cui, per le caratteristiche dell'agente patogeno o per la qualità della risposta dell'ospite,non si ottiene un controllo della reazione oppure viene attivata una risposta contro antigeni self, si viene a determinare uno stato di malattia su base immunologica. Anche meccanismi di difesa primitivi, quali il riconoscimento di prodotti tipici di agenti patogeni assenti nell'ospite, come LPS, possono causare una reazione patologica. In questo caso, il danno dipende soprattutto dalla quantità di LPS liberato dai batteri e dall'entità della stimolazione dei macrofagi. Buona parte dell'effetto viene, infatti, mediata da TNF-α che può avere un'azione sistemica deleteria se rilasciato in grandi quantità. Relativamente alle patologie più propriamente immunologiche vengono definite malattie da ipersensibilità quelle situazioni patologiche caratterizzate da reazioni immunologiche eccessive o incontrollate. Come accennato in precedenza, spesso l'ipersensibilità coesiste con la risposta protettiva. Il termine autoimmunità viene applicato, invece, a quelle situazioni patologiche in cui la risposta immunitaria è diretta contro antigeni self. In questo saggio vengono prese in considerazione situazioni esemplari che illustrano come meccanismi di protezione immunitaria possano sfociare nella patologia immunitaria. Dapprima verranno analizzati alcuni meccanismi generali, grazie ai quali risposte immuni umorali e cellulo-mediate possono causare malattia. In seguito, verranno identificate alcune situazioni patologiche nell'ambito della patologia allergica, autoimmune o di risposta contro agenti patogeni.
Principali tipi di patologie immunitarie
Le patologie immunitarie vengono spesso definite sulla base dei meccanismi patogenetici responsabili del danno ai tessuti. Possono, infatti, intervenire anticorpi, con specifiche caratteristiche biologiche, in grado di reclutare e attivare componenti del complemento oltre a cellule responsabili della risposta infiammatoria e del danno tissutale, quali granulociti e macrofagi. Gli anticorpi in gioco possono risultare specifici per antigeni estranei come, per esempio, le IgE specifiche per gli allergeni e le IgG specifiche per i prodotti batterici, o per antigeni self. Nelle allergie mediate da IgE, gli anticorpi IgE specifici per allergeni si legano a recettori specifici per il frammento Fc di tali anticorpi, presenti sulle mastcellule e sui granulociti basofili, dove rimangono a lungo funzionando da veri e propri recettori. Quando incontrano nuovamente l'allergene, gli anticorpi IgE inducono il rilascio di potenti mediatori dell'infiammazione contenuti nei granuli di tali cellule. In alcuni casi, gli anticorpi specifici per antigeni cellulari sono legati alle cellule bersaglio e possono indurne la distruzione grazie all'attivazione del complemento o all'intervento di cellule fagocitarie. In altri casi, sono diretti contro antigeni solubili, per esempio prodotti batterici o virali, e formano immunocomplessi circolanti nel sangue. Gli immunocomplessi van- no poi a depositarsi nelle zone filtro come, per esempio, il glomerulo renale, causando danni tramite meccanismi che piuÁ oltre verranno analizzati in dettaglio.
Il danno tissutale può derivare da meccanismi mediati da cellule che implicano l'intervento dei linfociti T dal momento che essi possono agire sia direttamente, come nel caso di linfociti T citolitici, sia mediante l'attivazione dei macrofagi. In tutti questi casi si parla di ipersensibilità ritardata.
Risposte immunitarie normali, dirette contro antigeni microbici, possono risultare dannose e dar luogo a patologie immunitarie per diverse ragioni. Alcuni agenti patogeni sono difficilmente eliminabili: questo comporta una stimolazione immunitaria persistente che amplifica e cronicizza i meccanismi effettori. La risposta infiammatoria dà luogo, in questo caso, a un danno spesso consistente dei tessuti, come nel caso delle infezioni da micobatterio della tubercolosi o della lebbra. In altri casi, la risposta immunitaria è diretta contro microrganismi che di per sé non causerebbero malattia, come i virus non citopatici; il danno tissutale è, pertanto, dovuto unicamente alla risposta immunitaria e non all'effetto diretto dell'agente infettante; antigeni estranei possono, inoltre, avere determinanti antigenici in comune con componenti self. La risposta immunitaria indotta contro l'agente patogeno, resa possibile grazie ai meccanismi descritti in precedenza, reagisce in forma crociata con antigeni self, di per sé incapaci di indurre una risposta immunitaria, data la mancanza di segnali costimolatori, provocando un danno tissutale come nel caso della febbre reumatica.
Patologia determinata dalla risposta al lipopolisaccaride batterico (LPS)
Abbiamo ricordato come esistano tuttora nei vertebrati meccanismi primitivi di difesa che, pur utilizzando sistemi recettoriali di riconoscimento poco sofisticati e con una distribuzione non clonale (ovvero recettori eguali su tutte le cellule di un particolare tipo, per esempio su tutte le cellule macrofagiche), permettono di discriminare tra self e compo- nenti non self tipiche di alcuni agenti patogeni, quali LPS (UlevitcheTobias,1995). L'effetto è mediato,in buona parte, dalla produzione di citochine proinfiammatorie principalmente di TNF-α. Una pronta risposta a LPS liberato nel corso di infezioni da batteri gram-negativi è importante per circoscrivere l'infezione e promuovere l'afflusso di cellule in grado di eliminare i batteri stessi. Tuttavia, alte concentrazioni di LPS possono causare gravi danni tissutali, shock, coagulazione intravascolare disseminata e morte.
Quando prodotto localmente, in risposta a una limitata quantità di LPS, TNF-α ha soprattutto effetti di tipo autocrino e paracrino, in quanto regola principalmente la funzione dei monociti, dei granulociti e delle cellule endoteliali. La sua azione viene, infatti, esercitata: sui monociti e sui macrofagi che producono citochine, con un meccanismo di feedback positivo; sulle cellule dell'endotelio per promuovere la produzione di citochine chemiotattiche, quali IL-8, in grado di reclutare i granulociti neutrofili che svolgono un ruolo centrale nelle difese antibatteriche. L'effetto di TNF-α sui granulociti neutrofili è anche dovuto all'aumento dell'espressione di molecole di adesione sulle cellule endoteliali che favoriscono il reclutamento e il passaggio dei neutrofili stessi dal sangue ai tessuti. Questi effetti, indotti dall'interazione dei monociti e dei macrofagi con LPS, sono molto importanti per una pronta risposta contro i batteri, in maniera tale da impedirne la rapida moltiplicazione. L'esito positivo della reazione a un'infezione dipende anche dalla produzione di sostanze procoagulanti da parte dei macrofagi e delle cellule endoteliali. La formazione di trombi, a livello del microcircolo, nel sito dell'infezione può, infatti, prevenire la diffusione dei batteri. Tuttavia, se TNF-α viene liberato in quantità elevata si hanno effetti sistemici di varia entità che, in casi estremi, possono portare a morte. TNF-α provoca, infatti, effetti metabolici pirogeni, dovuti all'azione che esso esercita a livello dell'ipotalamo, con conseguente alterazione del termostato ipotalamico e induzione di febbre, ed effetti deleteri principalmente sul circolo. Attivando, infatti, il sistema di coagulazione, TNF-α induce, nei casi più gravi, una coagulazione intravascolare disseminata; inoltre, esercita un effetto inibitorio sulla contrattilità cardiaca, riducendo la perfusione sanguigna, induce un rilassamento della muscolatura liscia dei vasi, diminuendone il tono e la produzione di sostanze vasodilatatrici quali le prostacicline. La combinazione della coagulazione intravascolare disseminata con l'aumento della permeabilità dei vasi e l'effetto negativo sulla contrattilità cardiaca, spiegano i gravi effetti dovuti alla liberazione massiva di LPS. Pertanto, già a livello di meccanismi innati di difesa, è possibile rendersi conto delle modalità con cui una risposta difensiva contro agenti patogeni possa trasformarsi in una risposta dannosa per l'ospite.
Patologia indotta da prodotti microbici ad attività superantigenica
Alcuni prodotti microbici, principalmente tossine prodotte da stafilococchi, le enterotossine, sono in grado di attivare percentuali significative di linfociti T. La base molecolare di questo effetto è stata chiarita. Queste sostanze, denominate superantigeni, sono in grado di legarsi specificamente a determinati segmenti Vβ di TCR e di attivare selettivamente tutti i linfociti T che esprimono i segmenti Vβ rilevanti (Marrack e Kappler 1990; 1994; Acha-Orbea e McDonald, 1995). I superantigeni differiscono dagli antigeni classici, oltre che per queste proprietà, per il fatto che si legano direttamente alla catena β di TCR, senza subire alcun processamento. Il termine superantigene è dovuto al numero di linfociti attivati, assai più elevato di quello dei linfociti attivati da un antigene proteico convenzionale. L'attivazione di un numero elevato di linfociti T, determina la produzione di cospicue quantità di citochine che, in casi estremi, possono indurre danni sotto molti aspetti, simili allo shock settico dovuto a LPS. Si può ottenere, infatti, sia la liberazione di linfotossina che produce effetti simili a TNF-α, sia di IFN-γ che, a sua volta, induce la produzione di TNF-α da parte dei macrofagi. Al contrario dello shock settico, legato all'infezione dell'ospite da parte di batteri gram-negativi, lo shock tossico da enterotossine stafilococciche si verifica, di solito, per la contaminazione di cibi con le tossine stesse, termostabili. Le enterotossine sono causa molto frequente di intossicazione alimentare.
Patologia immunitaria causata da anticorpi
Il danno causato dalla deposizione di anticorpi, sotto forma di immunocomplessi, ha rappresentato la prima forma di malattia immunologica riconosciuta. Le malattie mediate da anticorpi appartengono a due categorie principali, a seconda che gli anticorpi siano diretti contro antigeni cellulari o tissutali oppure riconoscano antigeni solubili. Una terza situazione è rappresentata da anticorpi della classe IgE che, una volta prodotti, vanno a fissarsi, tramite il loro frammen- to Fc, a recettori ad alta affinità espressi sulla membrana di mastcellule e basofili. Il tipo di danno tissutale che si genera in queste tre situazioni è molto diverso,come di seguito illustrato.
Danno dovuto ad anticorpi diretti contro cellule
Nel caso di anticorpi diretti contro le cellule il danno sarà prevalentemente, se non esclusivamente, limitato alle cellule o ai tessuti colpiti. Si tratta, in genere, di autoanticorpi o di anticorpi prodotti contro antigeni estranei che cross-reagiscono, ovvero reagiscono in maniera crociata, con antigeni self. I meccanismi che entrano in gioco nell'induzione degli effetti patologici dipendono soprattutto dalla classe degli anticorpi e, quindi, dalle loro caratteristiche biologiche. La lisi mediata da complemento si verifica soprattutto con anticorpi IgM e con certi anticorpi IgG. L'attivazione del complemento può portare alla lisi osmotica delle cellule da parte del complesso di attacco alla membrana (MAC, Membrane Attack Complex). Nel caso di anticorpi IgG si verifica prevalentemente un danno alle cellule, ricoperte da anticorpi, dovuto all'azione fagocitaria dei macrofagi o a quella citolitica delle cellule NK. Nel caso di anemie emolitiche autoimmuni, per esempio, caratterizzate da autoanticorpi diretti contro i globuli rossi del paziente, l'eliminazione dei globuli rossi avviene in seguito alla fagocitosi da parte di macrofagi della milza e del fegato: l'aumentata distruzione dei globuli rossi, protratta nel tempo, è causa di anemia. Un meccanismo alternativo di lisi di cellule nucleate opsonizzate, cioè ricoperte da anticorpi, è mediato da cellule NK con un meccanismo detto ADCC (Antibody Dependent Cellular Citotoxicity, citotossicità cellulare dipendente da anticorpi).
In casi particolari, l'antigene cellulare riconosciuto è una struttura recettoriale come, per esempio, il recettore per l'ormone tireotropo delle cellule tiroidee e si può, pertanto, verificare un'interferenza con le normali funzioni delle cellule, sia in senso positivo che negativo. Spesso il danno arrecato alla normale funzione cellulare è clinicamente più evidente del danno provocato dall'attivazione del complemento o dall'intervento dei fagociti.
Una conseguenza importante del legame tra anticorpi e antigeni tissutali è il reclutamento di granulociti neutrofili e, in parte, di monociti. Tale reclutamento avviene primariamente grazie all'effetto chemiotattico di due piccole molecole solubili che vengono liberate nel corso dell'attivazione del complemento: C3a e C5a. Sia i neutrofili che i monociti e i macrofagi esprimono recettori di membrana specifici per il frammento Fc delle IgG. Tali cellule sono, così, in grado di interagire con gli immunocomplessi IgG e di liberare enzimi idrolitici contenuti nei granuli citoplasmatici. Come sarà illustrato più dettagliatamente in seguito, questo meccanismo assume un ruolo preponderante nel caso del deposito di immunocomplessi.
Anticorpi diretti contro antigeni solubili e formazione di immunocomplessi
In condizioni normali, la formazione di immunocomplessi facilita l'eliminazione dell'antigene, grazie alla neutralizzazione dei suoi effetti nocivi, come nel caso delle tossine, e grazie all'intervento delle cellule fagocitarie che rimuovono gli stessi immunocomplessi. In alcuni casi, tuttavia, la formazione di immunocomplessi può essere responsabile di danni, anche gravi, per l'ospite: l'ampiezza della reazione dipende, infatti, tanto dalla loro quantità, quanto dalla loro distribuzione nell'organismo; a seconda del loro sito di deposito, inoltre, è possibile osservare diverse reazioni immunopatologiche. Nel caso di immunocomplessi poco solubili che si depositano nei tessuti vicini al sito di entrata dell'antigene, si sviluppa una reazione localizzata. Se, invece, gli immunocomplessi sono solubili e si formano nel sangue, essi si depositano in `zone filtro', prevalentemente situate sulla membrana basale del glomerulo renale, sulla membrana sinoviale delle articolazioni, sui plessi corioidei del cervello e sulle pareti dei vasi. In ogni caso, si sviluppa un danno tissutale a livello del sito di deposito, mediato da piccole molecole solubili derivate dall'attivazione del complemento, principalmente C3a e C5a. Queste molecole inducono la degranulazione delle mastcellule e dei basofili con liberazione di istammina e aumento localizzato della permeabilità vasale. I frammenti C3a e C5a hanno anche attività chemiotattica e richiamano principalmente i neutrofili che si accumulano al sito di deposito degli immunocomplessi. I neutrofili tentano di fagocitarli grazie ai recettori per il frammento Fc delle IgG e per la frazione C3b del complemento, legata al sito di deposito degli immunocomplessi. Dato che questi ultimi e C3b sono legati alla membrana basale, la fagocitosi risulta inefficace. I neutrofili attivati rilasceranno enzimi litici contenuti nei granuli, radicali dell'ossigeno e mediatori lipidici che costituiscono i principali responsabili del danno tissutale. Inoltre, l'attivazione del complemento può indurre l'aggregazione delle piastrine e provocare il rilascio di fattori della coagulazione, con conseguente formazione di microtrombi. La formazione di immunocomplessi circolanti e di manifestazioni patologiche generalizzate - inclusi febbre, edemi ed eritemi, vasculite generalizzata, artrite e glomerulonefrite - sono riscontrabili in varie condizioni patologiche, comprese malattie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico e l'artrite reumatoide, e malattie infettive quali la glomerulonefrite poststreptococcica, l'epatite virale, la mononucleosi e la malaria. Anche alcune reazioni da farmaci, tra cui i sulfamidici e la penicillina, sono caratterizzate dalla formazione di immunocomplessi. Nel caso di malattie infettive, gli immunocomplessi sono formati da anticorpi e da diversi antigeni batterici, virali o parassitari. Nel caso di malattie autoimmuni, gli antigeni self riconosciuti sono rappresentati da varie proteine, da DNA e perfino da anticorpi che, in questo caso, si comportano da antigene e vengono riconosciuti da altri anticorpi come avviene per i fattori reumatoidi, tipici dell'artrite reumatoide.
La glomerulonefrite post-streptococcica rappresenta una condizione patologica esemplare. Antigeni solubili, per esempio le tossine, dello streptococco si riscontrano nel sangue in seguito a infezioni streptococciche acute. La produzione di anticorpi contro questi antigeni streptococcici conduce alla formazione di immunocomplessi che si depositano a livello della membrana basale del glomerulo renale, tipica zona filtro del sangue. Il complemento non può lisare la membrana basale glomerulare, per la sua composizione chimica, tuttavia viene attivata la componente C3 con formazione di C3a, solubile, in grado di richiamare i granulociti neutrofili e di C3b, in grado di legarsi al sito dove sono depositati gli immunocomplessi. I granulociti così reclutati, si legano agli immunocomplessi, per mezzo dei loro recettori per il frammento Fc degli anticorpi IgG, e a C3b, per mezzo di recettori specifici. L'attivazione che ne consegue ha, come risultato, la liberazione del contenuto dei granuli con conseguente danno alle strutture del glomerulo. Se il danno è esteso a una percentuale elevata di glomeruli, si può giungere a una grave compromissione funzionale dei reni con conseguente insufficienza renale. Pertanto, una reazione immunitaria indotta dagli streptococchi e dai loro prodotti tossici può degenerare in una grave patologia per l'ospite.
Reazioni di ipersensibilità mediata da anticorpi IgE
Le reazioni immunologiche indotte da alcuni tipi di antigeni, comunemente denominati allergeni, costituiscono uno dei meccanismi effettori più rapidi e più potenti della risposta immune. Gli anticorpi di classe IgE, prodotti in risposta agli allergeni, si legano a recettori ad alta affinità, espressi sulle mastcellule tissutali e sui basofili circolanti. Quando l'allergene si lega alle IgE adese a tali cellule, si verifica un rapido rilascio di diversi mediatori, responsabili di un repentino aumento di permeabilità vascolare, di vasodilatazione, di contrazione della muscolatura dei bronchi e dell'intestino e di infiammazione localizzata. Questa reazione rappresenta un tipico esempio di ipersensibilità immediata, iniziando rapidamente (nel giro di pochi minuti) dopo l'incontro con l'allergene. Nei casi estremi, in cui si verifica una liberazione molto intensa di mediatori da parte dei basofili e delle mastcellule, si verifica una reazione generalizzata, anafilassi, caratterizzata da broncospasmo accentuato con possibile asfissia, collasso cardiocircolatorio, dovuto all'aumento della permeabilità vascolare, edemi diffusi e shock.
La classica sequenza degli eventi tipici dell'ipersensibilità immediata comprende: la fase di `sensibilizzazione', con produzione di IgE da parte di linfociti B venuti a contatto con l'allergene; il legame delle IgE alle mastcellule e ai basofili; l'interazione dell'allergene, in seguito a una sua successiva introduzione, con le IgE adese alle cellule suddette; la conseguente attivazione cellulare con rilascio immediato dei mediatori preformati e accumulati nei granuli. La ragione per cui si sia evoluto un sistema così potente e apparentemente dannoso per l'organismo, non è del tutto chiara. E possibile che esso sia stato selezionato principalmente per la difesa contro parassiti, elminti e larve di insetti, probabilmente quale parte iniziale di una risposta più complessa che porta alla formazione di infiltrati infiammatori ricchi in eosinofili, particolarmente attivi nelle difese contro i suddetti agenti patogeni.
Tuttavia, oltre a giocare un ruolo primario nelle difese contro i parassiti, gli eosinofili sono anche responsabili dell'induzione delle lesioni tissutali tipiche delle malattie allergiche, come l'asma allergica. Rimane da chiarire il motivo per cui gli allergeni più comuni sono in grado di indurre risposte immunologiche simili a quelle di certi agenti patogeni, mentre l'introduzione nell'organismo di altri antigeni, attraverso le stesse vie degli allergeni, non induce una risposta allergica. Può darsi che la capacità di un antigene di funzionare come un allergene costituisca una proprietà intrinseca dell'antigene stesso. Una seconda possibilità è che gli allergeni siano associati a sostanze di tipo adiuvante, in grado di indirizzare la risposta immunitaria verso la produzione di IgE. Tanto gli antigeni di certi parassiti, quanto i normali allergeni potrebbero indurre risposte allergiche, essendo entrambe dipendenti da sostanze adiuvanti in grado di indurre una risposta polarizzata con l'attivazione di linfociti TH2 .
Mediatori delle reazioni IgE-mediate Gli effetti e le manifestazioni cliniche delle reazioni di ipersensibilità mediata da IgE riflettono principalmente gli effetti biologici dei mediatori rilasciati durante la degranulazione di mastcellule e basofili. Tali mediatori agiscono sia sui tessuti vicini, sia su altre cellule effettrici, inclusi eosinofili, neutrofili, monociti, piastrine e cellule endoteliali, che vengono reclutate e attivate. Pertanto i mediatori agiscono sia direttamente che indirettamente con una conseguente amplificazione dei meccanismi effettori. Il rilascio dei mediatori in risposta a un'infezione da parassiti, innesca una reazione di difesa, utile per l'ospite. La rapida contrazione della muscolatura liscia, per esempio, può provocare l'espulsione dei parassiti o delle larve che infestano l'intestino, mentre la contrazione localizzata della muscolatura liscia a livello postcapillare determina una dilatazione del letto capillare stesso. Questo effetto, unito all'aumento della permeabilità vascolare, incrementano l'afflusso di plasma, di anticorpi, di cellule infiammatorie o linfociti, necessari all'eliminazione del parassita. Nel caso in cui, invece, la produzione di mediatori avviene in risposta ad allergeni, antigeni di per sé innocui per l'ospite, si verifica una reazione inappropriata il cui meccanismo risulta del tutto simile a quello descritto sopra, con effetti negativi per l'ospite. Come illustrato nella tabella, alcuni mediatori sono preformati, cioè vengono sintetizzati e accumulati nei granuli delle mastcellule e dei basofili prima della loro degranulazione. Tra questi, oltre all'eparina che impedisce la coagulazione del sangue, sono compresi potenti mediatori, come l'istamina, che agiscono rapidamente sulla muscolatura liscia e sui vasi e sono responsabili degli effetti immediati. I mediatori secondari vengono sintetizzati in seguito all'attivazione delle mastcellule e dei basofili: alcuni derivano dalla degradazione enzimatica dei fosfolipidi di membrana, come nel caso dei leucotrieni e delle prostaglandine; altri, come alcune citochine, possono essere sintetizzati ex novo. Particolari citochine possono contribuire a determinare le manifestazioni patologiche delle reazioni di ipersensibilità mediate da IgE. Un esempio è fornito TNF-α e da IL-1,entrambi prodotti dalle mastcellule e che possono contribuire allo shock. Inoltre, sia TNF-α che IL-1 inducono un'attivazione endoteliale che determina l'espressione di molecole di adesione e la produzione di fattori chemiotattici, promuovendo l'accumulo di neutrofili, eosinofili, monociti e macrofagi che caratterizzano la fase ritardata. Come ricordato sopra, gli eosinofili che si accumulano nel corso della fase ritardata contribuiscono allo sviluppo di infiammazioni croniche come, per esempio, quella della mucosa bronchiale, che può comportare asma bronchiale cronica.
Regolazione della risposta IgE: ruolo dei linfociti T e delle citochine Come ricordato sopra, non abbiamo ancora una risposta definitiva sul motivo per cui alcuni antigeni si comportino da allergeni. Tuttavia, in questi ultimi anni abbiamo ottenuto informazioni sufficienti per comprendere i meccanismi che determinano la produzione di IgE, piuttosto che di anticorpi di altre classi, quali IgA o IgG. In primo luogo, sappiamo che esiste una predisposizione genetica e ciò è evidente negli animali da esperimento: solo alcune specie, infatti, rispondono a particolari antigeni con la produzione di IgE e, talvolta, nell'ambito della stessa specie, per esempio nei topi, alcuni ceppi sono caratterizzati da una maggiore capacità di produrre IgE. Come conseguenza, questi animali possono difendersi in maniera efficace dalle infezioni da parte di certi parassiti ma, al tempo stesso, sviluppano più facilmente risposte allergiche. Anche nell'uomo, l'insorgenza di reazioni di ipersensibilità mediata da anticorpi IgE è influenzata da componenti genetiche.
Altri fattori che determinano la tipologia della risposta comprendono la dose dell'antigene, dal momento che dosi elevate possono indurre una produzione transitoria di IgE seguita dalla produzione di IgG, l'utilizzo di particolari adiuvanti e altri fattori meno importanti. È ormai chiara, comunque, l'esistenza di un meccanismo comune attraverso il quale agiscono diversi fattori, determinato dalla regolazione esercitata dai linfociti T helper appartenenti alle sottopopolazioni TH1 e TH2 (Romagnani, 1994): le cellule TH1 riducono la risposta, mentre le cellule TH2 la aumentano. Alcune specie, o alcuni individui della stessa specie, rispondono a certi antigeni prevalentemente con cellule di tipo TH2. Inoltre, alcuni allergeni o sostanze a essi associate hanno la capacità di stimolare con maggiore efficacia le cellule TH2. Le citochine prodotte dalle cellule TH2, prevalentemente IL-3, IL-4 e IL-5, sono in grado di mediare di- versi aspetti della risposta di ipersensibilità IgE mediata: IL- 3 e IL-4 inducono proliferazione delle mastcellule e IL-4 è responsabile della produzione di IgE; in altre parole, gli anticorpi prodotti contro particolari antigeni saranno prevalentemente IgE, invece che IgA o IgG. Infine, IL-5 è responsabile della proliferazione, maturazione, accumulo e attivazione degli eosinofili. Per contro, citochine prodotte da cellule TH1, principalmente IFN-g, hanno un effetto inibitorio sulla risposta mediata da IgE (Romagnani, 1994). Oltre all'effetto di IL-4, un secondo segnale sembra giocare un ruolo rilevante nella produzione di IgE. Questo segnale coinvolge la molecola CD40 espressa sui linfociti B, produttori di anticorpi, e il suo ligando, CD40L, espresso sui linfociti TH2 (Foy et al., 1996).
Cross-reazione tra prodotti microbici e antigeni dell’ospite: la mimesi molecolare
Alcuni agenti patogeni contengono sequenze amminoacidiche simili a quelle di antigeni self. Nel caso di infezione con tali patogeni, è possibile che si verifichi una scomparsa della tolleranza nei confronti dell'antigene self stesso. Questo meccanismo può spiegare le reazioni autoimmuni dirette contro il muscolo e le valvole cardiache che si verificano nella febbre reumatica, in seguito a infezioni da streptococchi. La febbre reumatica è una rara complicanza da infezioni streptococciche che compare 3-4 settimane dopo l'infezione. La sua patogenesi viene spiegata sulla base di una cross-reazione tra carboidrati dello streptococco e componenti del muscolo cardiaco. Il fatto che non vi sia correlazione tra la gravità dell'infezione e l'insorgenza della febbre reumatica e che solo una piccola percentuale di individui contragga la malattia, suggerisce che siano coinvolti anche fattori individuali di predisposizione e che la semplice scomparsa della tolleranza non sia sufficiente a spiegarne l'insorgenza. In questo contesto, è importante sottolineare come reazioni autoimmuni, per esempio con produzione di autoanticorpi, siano relativamente frequenti in seguito a diverse infezioni ma, in genere, limitate nel tempo. L'insorgenza di vere e proprie patologie autoimmuni si verifica raramente. La maggior parte degli antigeni che promuovono cross-reazioni anticorpali sono di natura glicidica o lipidica, tuttavia sono stati identificati anticorpi cross-reattivi specifici anche per componenti proteiche. Un tipico esempio è rappresentato da un antigene della Klebsiella pneumoniae, strutturalmente simile all'al- lele HLA-B27. Quest'analogia strutturale sembra essere all'origine del rischio elevato, per soggetti HLA-B27+, di sviluppare spondilite anchilosante in seguito a infezioni da Klebsiella.
Patologia immunitaria causata da cellule
Come ricordato sopra, in alcuni casi, il danno ai tessuti viene provocato dall'attivazione di meccanismi effettori mediati da alcuni tipi di cellule, principalmente linfociti e macrofagi. Un tipico esempio è offerto dalle reazioni di ipersensibilità ritardata, che si manifestano quando l'antigene attiva linfociti T, perlopiù appartenenti alla sottopopolazione TH1.
Reazioni di ipersensibilità ritardata
L'attivazione di cellule T helper, in particolari condizioni, può comportare l'innesco di una reazione di ipersensibilità ritardata. Queste situazioni si verificano principalmente nel caso di agenti patogeni che infettano i macrofagi, stimolandoli o che attivano le cellule NK, in grado di produrre grandi quantità di IFN-γ, citochina che funziona come potente attivatore di macrofagi. Gli agenti patogeni che infettano i macrofagi sono soprattutto efficienti nell'induzione di ipersensibilità ritardata sono difficilmente eliminabili. Questa situazione determina un'attivazione cronica dei linfociti T helper, che riconoscono i peptidi antigenici, derivati dalla parziale degradazione dell'agente patogeno, presentati dai macrofagi in associazione con antigeni di istocompatibilità di classe II. I macrofagi attivati producono IL-12, una citochina molto importante per indirizzare una prevalente risposta dei linfociti TH1 (Trinchieri, 1995). Le cellule TH1, attivate dal riconoscimento specifico di peptidi antigenici, producono a loro volta altre due importanti citochine: IL-2, che induce una proliferazione degli stessi linfociti TH1 e IFN-γ, che induce un'ulteriore attivazione dei macrofagi. Questi ultimi aumentano, così, la sintesi di antigeni di istocompatibilità di classe II, risultando più efficienti nello stimolo ai linfociti TH1. Inoltre, stimolano i macrofagi a produrre numerose citochine, il cui effetto complessivo è quello di richiamare altri macrofagi al sito di reazione, di attivarli e di promuoverne una fagocitosi più efficiente, per mezzo di un aumento della concentrazione di enzimi litici. Questi, incrementando l'attività citolitica, possono contribuire all'eliminazione dell'agente patogeno. Tuttavia, la stimolazione protratta dei linfociti T e, di riflesso, dei macrofagi, causata dalla produzione continua di IFN-γ, può provocare una fuoriuscita di enzimi litici nei tessuti circostanti, con conseguente danno ai tessuti stessi. Un'alterazione della normale architettura dei tessuti può verificarsi anche in seguito alla formazione di una reazione di tipo granulomatoso. Il granuloma è l'espressione morfologica di un meccanismo di difesa atto a circoscrivere e a sequestrare un agente patogeno. È costituito da macrofagi attivati che assumono l'aspetto di cellule epitelioidi, cellule grandi e con citoplasma molto esteso e di cellule giganti con più nuclei, risultato della fusione di diverse cellule macrofagiche. Vicino ai macrofagi che occupano il centro del granuloma, è visibile un accumulo di linfociti e una struttura di tipo fibroso. La formazione di tessuto fibroso è il risultato della produzione, da parte del macrofago attivato, di alcune citochine, principalmente PDGF (Platelet-Derived Growth Factor, fattore di crescita derivato dalle piastrine), FGF (Fibroblast Growth Factor, fattore di crescita dei fibroblasti) e TGF-β (Transforming Growth Factor-β, fattore di crescita trasformante β), in grado di indurre proliferazione dei fibroblasti e produzione di collagene.
È opportuno sottolineare che le reazioni di tipo ritardato sono fondamentali per un'efficace difesa contro parassiti e batteri endocellulari. Gli anticorpi, infatti, non sono in grado di raggiungere questi microrganismi all'interno dei macrofagi. Per esempio, topi knock out per il gene di IFN-γ, i cui macrofagi non sono quindi attivati, muoiono in seguito all'inoculo di ceppi poco virulenti di micobatteri, normalmente eliminabili con facilità. Inoltre, pazienti affetti da AIDS soccombono per le cosiddette `infezioni opportunistiche', in genere dovute a batteri endocellulari e ad altri agenti patogeni, quali i funghi, normalmente controllati dai macrofagi. In questi pazienti, la distruzione di cellule T CD4+ helper comporta una produzione insufficiente di IFN-γ e quindi l'impossibilità di attivare i macrofagi.
La prevalenza del danno tissutale causato dalla necrosi o dallo scompaginamento dei tessuti in seguito alle reazioni granulomatose, può avere conseguenze deleterie per l'ospite. Questo si verifica soprattutto nel caso di patogeni endocellulari che vengono eliminati con particolare difficoltà e che, di conseguenza, inducono una stimolazione cronica di linfociti TH1 e un'iperattivazione dei macrofagi. Il danno tissutale dovuto alla necrosi può essere deleterio. Nel caso delle infezioni polmonari da micobatterio della tubercolosi nell'uomo, il tessuto necrotico, ricco di enzimi litici, provoca la distruzione delle pareti degli alveoli, fino alla perforazione dei bronchi, con la conseguente diffusione del micobatterio, attraverso le vie aeree, verso altri siti polmonari. Inoltre, la perforazione di vasi può originare emorragie, più o meno gravi a seconda delle dimensioni dei vasi, o consentire la diffusione dei micobatteri, attraverso il sangue, verso altri organi o, addirittura, entrambi i fenomeni. In questa maniera viene arrecato un danno a diversi organi, con gravi compromissioni della loro funzionalità. Complicazioni dovute all'infezione da micobatterio della tubercolosi, nell'uomo, si verificano in circa il 10% dei casi. La tubercolosi, diminuita drasticamente nei paesi più civilizzati grazie all'uso di antibiotici e chemioterapici efficaci, è tornata recentemente alla ribalta negli anni Novanta, sia come conseguenza delle massicce immigrazioni dai paesi dove la malattia è endemica, sia a causa della selezione di ceppi di micobatterio resistenti a quegli antibiotici solitamente efficaci nella terapia antitubercolare.
Reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato possono anche avvenire nei confronti di antigeni inappropriati come, per esempio, gli antigeni dell'edera velenosa o quelle sostanze, quali nichel, tinture per capelli e cosmetici, in grado di indurre reazioni di ipersensibilità cutanea del tipo della dermatite da contatto. Si tratta di piccole molecole che si fissano a proteine cutanee, formando complessi. Captati dalle cellule di Langherans o dai macrofagi, questi complessi provocano la formazione di antigeni di classe II. Questi ultimi, a loro volta, attivano la risposta delle cellule T CD4+ che si differenziano verso la sottopopolazione TH1, sviluppando una reazione tipica di ipersensibilità ritardata. L'accumulo e l'attivazione dei macrofagi comporta la liberazione di enzimi litici con una reazione, la dermatite, caratterizzata da arrossamento e formazione di papule. A differenza della patologia infettiva, discussa in precedenza, il danno arrecato ai tessuti dalla risposta immunitaria è di gran lunga più importante degli eventuali effetti vantaggiosi.
Risposta immunopatologica nei confronti dei virus non citopatici
I rapporti tra virus e ospite sono spesso piuttosto complessi e sono il risultato del fatto che, se da un lato i virus hanno adottato diverse strategie per sfuggire ai meccanismi di difesa dell'ospite, questo, dall'altro è frutto di una selezione mirata alla difesa contro gli effetti deleteri dei virus (Alcami e Smith, 1992; Ray et al., 1992). Ciò è evidente nel caso dei virus citopatici, quali il virus dell'influenza, il virus del vaiolo, i virus erpetici. Per la soppravvivenza della specie, si eÁ resa necessaria l'evoluzione di sistemi di difesa particolarmente efficienti (Zinkernagel e Hengartner, 1994), comprensivi tanto di meccanismi non specifici, soprattutto interferoni e risposte mediate da cellule NK, quanto di meccanismi specifici, anticorpi o linfociti T citolitici. Nel caso di virus non citopatici, invece, la situazione è molto diversa. In questi casi, infatti, i virus e l'ospite possono coesistere, indipendentemente dall'efficacia della risposta immunitaria (Zinkernagel e Hengartner, 1994). In alcune infezioni da parte di virus non citopatici, è la stessa risposta immunitaria contro il virus a causare danno ai tessuti dell'ospite. Un classico esempio è fornito dal virus della coriomeningite linfocitaria (LCMV, Lymphocytic Choriomeningitis Virus) che induce, nel topo, un'infiammazione delle meningi, prevalentemente a livello del midollo spinale. Il virus infetta le cellule meningee senza, peraltro, causare alcun danno diretto. Tuttavia, le cellule infettate dal virus inducono una risposta da parte dei linfociti T citolitici specifici, che sono i responsabili del danno. In topi affetti da immunodeficienza, o nei quali siano stati eliminati i linfociti T, non si verifica alcuna lesione. Ci si trova, quindi, di fronte a una situazione paradossale: animali immunodeficienti, invece di essere più soggetti a una patologia infettiva, risultano resistenti. Un caso esemplare nell'uomo è fornito dal virus dell'epatite B (HBV, Hepatitis B Virus). Nel caso di infezioni da HBV caratterizzate da una bassa carica virale, si innesca una risposta immunitaria rapida ed efficace che comporta un danno limitato alle cellule epatiche, l'eliminazione del virus e la guarigione. Nel corso di infezioni più estese o se la risposta immunitaria si sviluppa più lentamente, o nei casi in cui si verificano entrambe le situazioni, si possono avere quadri patologici differenti, dall'epatite acuta fulminante, in cui si assiste alla distruzione massiva delle cellule del fegato da parte di linfociti T citolitici, a un andamento subacuto o cronico, dovuto a una progressiva distruzione delle cellule epatiche infette da parte dei linfociti T. Per contro, l'infezione da HBV in un soggetto con sistema immunitario compromesso o immaturo può evolvere in una situazione in cui il virus e l'ospite convivono in equilibrio. Infatti, il virus di per sé non causa danno alle cellule infettate e, peraltro, l'ospite non è in grado di montare una risposta immunitaria. Condizioni di questo tipo sono abbastanza frequenti in soggetti trattati con farmaci ad attività immunosoppressiva, quali la ciclosporina A usata nei trapianti per prevenire il rigetto o i chemioterapici utilizzati nel trattamento di leucemie o tumori. Questi pazienti, pur infettati dal virus, non si ammalano di epatite e possono, in tempi lunghi, sviluppare altre malattie quali patologie da immunocomplessi, causate dalla produzione di anticorpi contro il virus, e tumori epatici, conseguenti al fatto che l'HBV si può integrare nel genoma delle cellule epatiche e contribuire alla loro trasformazione neoplastica.
È opportuno sottolineare che, anche nella patogenesi delle infezioni da virus dell'immunodeficienza acquisita (HIV, Human Immunodeficiency Virus), la reazione immunopatologica dell'ospite gioca un ruolo più importante dell'effetto citopatico diretto dal virus. In altre parole, la progressiva distruzione dei linfociti T CD4+ e la progressione verso la malattia conclamata riflettono, soprattutto, meccanismi immunopatologici diretti contro il virus e i suoi prodotti, piuttosto che la distruzione diretta di cellule infettate (Zinkernagel e Hengartner, 1994; Pantaleo e Fauci, 1995).
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* Lorenzo Moretta, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro e Centro Biotecnologie Avanzate - Istituto di Patologia Generale Università degli Studi di Genova
** Maria Cristina Mingari, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro e Centro Biotecnologie Avanzate - Dipartimento di Oncologia Sperimentale Università degli Studi di Genova
AGGIORNAMENTO 2020
Immunoterapia: la nuova frontiera nella cura di leucemia e tumori
di Lorenzo Moretta ***
La cura dei tumori,insieme al controllo delle malattie infettive e allo sviluppo di vaccini, è da molti anni una delle sfide principali della Ricerca Biomedica. Dobbiamo ricordare gli importanti successi della chemioterapia. Le leucemie acute dei bambini e dell’adulto erano incurabili fino agli anni ‘70. Oggi, grazie alla chemioterapia, 7 bambini su 10 guariscono. Pazienti con tumori solidi hanno avuto sostanziali benefici grazie alla chirurgia. La chirurgia può essere risolutiva nel caso di tumori primitivi che non abbiano generato metastasi o infiltrato organi e tessuti contigui. In molti casi la chirurgia è associata alla radioterapia e/o alla chemioterapia per ridurre il rischio di ricadute. Lo sviluppo di nuovi famaci e l’uso combinato di più chemioterapici hanno certamente portato ad ulteriori progressi che hanno permesso, in alcuni casi, l’eradicazione del tumore e, in molti casi, il prolungamento della sopravvivenza, soprattutto in tumori molto aggressivi (“big killers”), quali i tumori polmonari, il melanoma metastatico, i tumori gastrici e del colon/retto.
Tuttavia, una decisiva accelerazione nella terapia di questi tumori è una conquista recente basata sulla terapia immunologica o “immunoterapia”, di cui ricordiamo i principali successi.
Una vera rivoluzione è stata determinata da nuovi farmaci biologici denominati “checkpoints inhibitors”. I “checkpoints” sono importanti “punti di controllo” del nostro sistema immunitario. Si tratta per lo più di recettori inibitori che funzionano come veri e propri freni molecolari. In condizioni normali, essi impediscono risposte immunitarie eccessive che, causando una intensa infiammazione, danneggiano i tessuti dell’organismo. Garantiscono, inoltre, il mantenimento della tolleranza immunitaria, prevenendo l’aggressione contro il “self” (autoimmunità). La scoperta di questi importanti freni molecolari (PD-1 e CTLA-4) e la loro applicazione alla terapia dei tumori, ha fruttato il premio Nobel del 2018 per la Medicina a James Allison (per il CTLA-4) e Tasuku Honjo (per il PD-1). Questi recettori sono presenti sui linfociti T con funzione regolatoria (T-reg), ma anche sui linfociti T convenzionali, sia CD4 che CD8, se sottoposti ad attivazione protratta nel tempo. Inoltre, il PD-1 può essere espresso anche dalle cellule natural killer (NK), cellule molto importanti nel contrastare la crescita e le metastasi dei tumori. Che relazione esiste tra questi recettori e la terapia dei tumori? Spesso i tumori riescono ad eludere le difese immunitarie. Ad esempio possono inattivarle, “disarmare” le cellule killer ecc… Un meccanismo molto importante consiste nell’ “ordine ingannevole”, dato dalle cellule tumorali alle cellule immunitarie, di dotarsi di recettori inibitori PD-1 o CTL-4. Il risultato è che quando queste incontrano il tumore, vengono “spente”, inattivate e le cellule tumorali possono replicarsi e diffondersi nell’organismo. Identificato il meccanismo, un passaggio logico è stato quello di provare a sbloccare, a “riaccendere” le cellule immunitarie “mascherando”, con anticorpi monoclonali specifici, PD-1 e/o CTLA-4, impedendone il legame con le cellule tumorali. L’importanza di questi studi è testimoniata dai risultati eccezionali con migliaia di vite salvate, o, comunque, prolungate, particolarmente nel caso di una parte di pazienti con melanoma metastatico o tumore polmonare. L’immunoterapia ha poi registrato successi fondamentali nella terapia di leucemie e linfomi resistenti alla chemioterapia, grazie al trapianto di midollo osseo o, più precisamente, di cellule staminali emopoietiche (HSCT). Questo trapianto si è rivelato una terapia salvavita con sopravvivenze dal 40 al 60% in pazienti con leucemie acute. Il trapianto di HSC da donatore, oltre a garantire il ripristino di tutte le cellule del sangue (gravemente compromesse dalla malattia stessa e dalla chemio/radioterapia), grazie alla presenza di linfociti T killer, elimina le cellule leucemiche sopravvissute al trattamento chemio/radioterapico. Tuttavia, come ben noto, i trapianti richiedono una compatibilità genetica (antigeni di istocompatibilità, HLA) tra donatore e paziente. Purtroppo è possibile trovare un donatore compatibile solo per due pazienti su tre. Per gli altri non esisteva alcuna opzione terapeutica efficace, fino allo sviluppo di un nuovo tipo di trapianto, il trapianto da genitore. In questo trapianto, sviluppato da Ricercatori di Perugia, è necessario eliminare tutti i linfociti T del donatore (compatibile solo a metà col paziente) per evitare l’aggressione (mortale) di queste cellule ai tessuti del paziente (“reazione da trapianto contro l’ospite”). Questo trapianto ha avuto un successo insperato e vede come protagonisti principali dell’azione contro la leucemia, le cellule NK. Grazie a questo trapianto, all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, in collaborazione con Franco Locatelli, è stato possibile curare oltre 7 bambini su 10.Un nuovo approccio, particolarmente promettente per la terapia di leucemie e tumori, è basato sull’uso di linfociti T modificati geneticamente, in modo da indurre l’espressione di un recettore “chimerico” (CAR) per un antigene tumorale, in grado di riconoscere molecole presenti sulla membrana esterna di cellule tumorali. È quindi possibile generare in laboratorio un elevato numero di “cellule soldato” del paziente stesso, tutte in grado di riconoscere e uccidere le cellule del tumore. Si tratta, però, di un procedimento laborioso e molto costoso, anche perché, per ogni trapianto, è necessario isolare le cellule T dal paziente. Alcuni di questi problemi possono essere superati grazie all’utilizzo di cellule NK (CAR-NK) che si dimostrano altrettanto efficaci e non richiedono l’uso di cellule (autologhe) del paziente. La possibilità di ottenere cellule CAR-NK da donatori e la possibilità di conservarle per lungo tempo in azoto liquido, permette di pianificare meglio il trattamento, di avere le cellule subito disponibili per la terapia e di abbattere notevolmente i costi di produzione.Questi nuovi approcci di immunoterapia rappresentano vere pietre miliari nella terapia dei tumori. Hanno infatti portato a rapidi ed insperati progressi in tumori e leucemie altrimenti mortali. Anche se molto rimane ancora da fare per sconfiggere i tumori, possiamo ora contare su armi molto efficaci e suscettibili di ulteriore affinamento.
*** Lorenzo Moretta
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Accademia dei Lincei
Professore Emerito,Universita’ di Genova