diffinire [difinio, pass. rem. III singol.]
Appare prevalentemente in prosa (Convivio; un solo caso nella Vita Nuova), ma non mancano esempi in poesia. E parallelo al nome ‛ diffinizione ' (v.), pur essendo senza dubbio più ampio di esso dal punto di vista semantico. Infatti, almeno nell'unica occorrenza della Vita Nuova. (VIII 12) esso non significa propriamente " l'atto di definire, di cercare l'esatta definizione di una parola, di un concetto ", ma assume valore traslato: mi volgo a parlare a indiffinita persona, avvegna che quanto a lo mio intendimento sia diffinita, cioè " mi rivolgo a una persona indeterminata, a un interlocutore fittizio ma in realtà io so bene a chi intendo rivolgermi; parlo avendo in mente una persona precisa ". Per tutte le altre accezioni appare evidente la caratteristica di termine tecnico che il vocabolo conserva generalmente, come si può rilevare dalle frequenti citazioni di Aristotele, il quale diffinisce... nel primo de l'Etica... (Cv III XV 12), oppure diffinisce la Felicitade... (IV XVII 8), e così via. In IV IX 15 il verbo è integrazione del Romani, accettata anche dalla Simonelli; in IV VI 10 diffiniro appare come diffinito nel codice A.
Altre occorrenze: Cv IV Le dolci rime 41 (ripreso in III 4, X 1 e 4), 46 e 68, III 7, IX 16, X 5 e 6, XVI 9 (due volte), XVII 1, XIX 1, XX 10, Rime dubbie XXIX 4.