diffinizione (alcuni editori leggono, in certi casi, definizione)
Appare solo nel Convivio, e ha sempre valore di termine tecnico, chiaramente legato all'uso aristotelico scolastico per cui la d. consisteva in un enunciato comprensivo degli elementi atti a manifestare l'essenza della cosa definita. Tali elementi Aristotele suddivideva in ‛ genere prossimo ' e ‛ differenza specifica ' (" l'uomo è animale [= genere prossimo] razionale [= differenza specifica, coincidente con l'essenza o forma] ").
In III XI 1 D. dà la definizione del termine rifacendosi ad Aristotele, il quale nel quarto de la Metafisica afferma che la diffinizione è quella ragione che 'l nome significa, parole che traducono Arist. Metaph. IV 4, 1012a 23-24 " Definitio est illa ratio quam nomen significat ". D. dunque (cfr. Busnelli-Vandelli), sulle orme di Tommaso, non prende in considerazione Alberto Magno, che in Metaph. IV II 3 distingueva fra " definitio expositiva " (quid nominis) e " definitio significans " (quid rei). Il vocabolo ricorre ancora in IV III 7 e 9 (nell'edizione del '21; la Simonelli legge altrimenti), X 3 e 6 (due volte), XVI 3 (due volte), 4, 9 e 10 (due volte), XIX 2, XX 1 e 10, XXIII 1, in cui sempre si riferisce alla definizione de l'umana nobilitade, e IV XVII 1, in cui si accenna alla diffinizione de la morale virtù. Il termine appare inoltre come integrazione della Simonelli in Cv IV IX 15 (O[r] de[ffinizion]i sono che paiono...), luogo in cui alcuni leggono invece Altre molte (cfr. l'edizione del '21) o Onde molte; e come correzione del Giuliani in IV III 5 (la definizione de l'oppinione), che gli editori del '21 sostituiscono con narrazione; la Simonelli invece torna a variazione, secondo il codice A.
V. anche DIFFINIRE