digramma
Il digramma (dal gr. di «doppio» + grámma «lettera») è una combinazione di due grafemi che serve a rappresentare, in determinati contesti, un unico suono della lingua. L’italiano ha i seguenti digrammi: ch (che riproduce l’occlusiva velare sorda); gh (che riproduce l’occlusiva velare sonora); gn (per la palatale nasale) + a, e, i, o, u; ci (per l’affricata palatale sorda) + a, o, u; gi (per l’affricata palatale sonora) + a, o, u. L’italiano ha, inoltre, i trigrammi sc (per la fricativa palatale sorda) + i, e e gl (per la palatale laterale sonora) + i, combinazioni di tre lettere che rappresentano un solo suono, come in biscia o in caviglia.
Alcuni di questi suoni possono essere trascritti anche con grafemi singoli: per es., l’occlusiva velare sorda /k/ è rappresentata con la c semplice in parole come cane o bruco, ma col digramma ch in parole come chiesa o anche, in cui la sola c (+ e, i) sarebbe letta come affricata /ʧ/. La scelta dell’una o dell’altra grafia dipende, quindi, dal contesto fonico (e, di conseguenza, grafico) in cui il fonema si trova: si tratta di allografi contestuali (➔ allografi). Nei digrammi e nei trigrammi, i segni h e i sono detti diacritici (distintivi), cioè «espedienti grafici» (Patota 20072: 42) che permettono l’identificazione, nello scritto, di un certo suono.
Le sequenze gl e gn indicano in rari casi non digrammi, ma nessi biconsonantici: gl a inizio di parola (per es., glicine) eccetto che in gli e composti (come glielo) e in termini particolari come anglicano, geroglifico; gn nei germanismi (per es., wagneriano) e in alcuni ➔ cultismi di origine greca (per es., gnoseologia). Per la stabilizzazione delle grafie di digrammi e trigrammi, nel Novecento, sono stati fondamentali i testi di Giuseppe Malagoli (19122: 65-69) e di Amerindo Camilli (19653: 42-4, 177), in cui si trovano fissate le regole proposte tutt’oggi dalle grammatiche (per es. in Serianni 1997: 32-33).
Digrammi e trigrammi furono introdotti nel corso della codificazione grafica dell’italiano per colmare talune lacune del sistema alfabetico: l’alfabeto italiano (➔ alfabeto), derivante da quello latino, infatti, non conteneva segni per tutti i suoni del neonato volgare. Pur essendo considerata piuttosto trasparente, la grafia dell’italiano resta caratterizzata da questa mancata biunivocità: mentre alcune lettere possono rappresentare suoni diversi a seconda del contesto (casa, cena), non tutti i suoni della lingua sono rappresentati univocamente da una lettera.
Nella storia dell’italiano, i digrammi hanno subito numerose trasformazioni prima di raggiungere la stabilizzazione: la trascrizione di suoni non rappresentati da singoli segni alfabetici e spesso pronunciati con differenze più o meno vistose nelle diverse aree d’Italia è stata, infatti, fino all’Ottocento e oltre, oscillante tanto nei manoscritti di scriventi colti o comuni, quanto nei testi a stampa. Se si scorrono gli autografi di ➔ Francesco Petrarca e, soprattutto, di ➔ Giovanni Boccaccio è possibile incontrare grafie quali ch (+ a, o, u), ngn, lgl, gl e abusi di i diacritiche in nessi che non la richiederebbero (le cosiddette i iperdiacritiche). Come segnala Migliorini (1957: 216), la grafia lgl per la palatale tende a scomparire già nel corso del XVI secolo; altre forme, invece, rivelano maggiore resistenza: negli scritti di ➔ Niccolò Machiavelli e di Francesco Guicciardini restano frequenti forme come consiglerei, figluoli, piglare, famigle, meglo, nelle quali gl senza i diacritica esprimeva il suono palatale laterale. Anche la grafia arcaica ngn per la nasale palatale tende a scomparire nel XVI secolo, mentre ancora negli scritti cinquecenteschi di Benvenuto Cellini, per fare un esempio, si trovano forme con i superflua come agniolo, signiore, ingegnierò. Sempre quanto all’oscillazione della i grafica, ancora ➔ Alessandro Manzoni, nel passaggio dall’edizione ventisettana alla quarantana dei Promessi sposi, corregge grafie come reggie (nome) in regge (Manzoni 1971: 120).
Gli errori attuali, da parte di semicolti o di principianti, nella scrittura dei digrammi diventano più comprensibili se letti alla luce della storia della formazione dei digrammi stessi. Resta incerta la grafia dei digrammi in parole come coscienza, sufficiente, deficiente in cui la i si mantiene, come accade anche in specie o superficie, per influsso della grafia latina. Particolarmente delicato, poi, è il caso dell’inserimento di i diacritica nel plurale di parole terminanti in -cia e -gia; solo a metà Novecento, Migliorini (1941 e 1949) stabilì la regola puramente ortografica per la quale la i va mantenuta nel plurale quando -cia e -gia sono preceduti da vocale (camicia → camicie), allontanandosi dalla norma etimologizzante che prevedeva il mantenimento di i nei termini di origine latina come audāciam > audacia/audacie (Camilli 19653: 171-174).
Oggi queste grafie sembrano volgere verso un’ulteriore fase di semplificazione su base fonetica, con conseguente soppressione diffusa della i grafica: tale tendenza, ancora contrastata dalla scuola, è incentivata soprattutto da scritte di grande impatto come quelle giornalistiche e pubblicitarie (per es., sui barattoli di confettura di ciliegie della Züegg si legge «Confettura di ciliege», mentre su «La Repubblica» del 7 giugno 2009, a p. 17, si constata il preoccupante «boom delle camice nere ungheresi», parola che, così scritta, diventa, tra l’altro, omografa e omofona del camice medico); ma non solo: l’ultimo libro di Oriana Fallaci è intitolato Un cappello pieno di ciliege (2008).
Manzoni, Alessandro (1971), I promessi sposi, a cura di L. Caretti, Torino, Einaudi, 2 voll.
Camilli, Amerindo (19653), Pronuncia e grafia dell’italiano, a cura di P. Fiorelli, Firenze, Sansoni (1a ed. 1941).
Corradino, Alessandra (1996), Rilievi grafici sui volgari autografi di Giovanni Boccaccio, «Studi di grammatica italiana» 16, pp. 5-74.
Malagoli, Giuseppe (19122), Ortoepia e ortografia italiana moderna, Milano, Hoepli (1a ed. 1905).
Migliorini, Bruno (1941), La lingua nazionale. Avviamento allo studio della grammatica e del lessico italiano per la scuola media, Firenze, Le Monnier.
Migliorini, Bruno (1949), Il plurale dei nomi in “cia” e “gia”, «Lingua nostra» 10, pp. 24-26.
Migliorini, Bruno (1957), Note sulla grafia italiana nel Rinascimento, in Id., Saggi linguistici, Firenze, Le Monnier, pp. 197-225 (già in «Studi di filologia italiana» 13, 1955, pp. 259-296).
Migliorini, Bruno (200712), Storia della lingua italiana, Milano, Bompiani (1a ed. Firenze, Sansoni, 1937).
Patota, Giuseppe (20072), Nuovi lineamenti di grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino (1a ed. Lineamenti di grammatica storica dell’italiano, 2002).
Serianni, Luca (1997), Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, con la collaborazione di A. Castelvecchi; glossario di G. Patota, Milano, Garzanti.
Vitale, Maurizio (1996), La lingua del Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta) di Francesco Petrarca, Padova, Antenore.