diletto (agg.)
Troviamo questo termine, sempre col significato di " amato ", in Cv II Voi che 'ntendendo 60: nel commiato D. si rivolge alla canzone stessa chiamandola diletta mia novella; in Rime CIV 14 delle tre donne si dice che un tempo furono dilette, nel senso dunque di " amate e ricercate ".
Nella Commedia troviamo l'aggettivo in Pg XXIII 91, dove più cara e più diletta a Dio è detta da Forese la sua Nella; ancora in Pg XXXIII 11 Beatrice si rivolge alle tre donne del suo seguito chiamandole sorelle mie dilette; l'alloro è detto diletto legno, legno amato da Apollo, in Pd I 25: e qui l'aggettivo riferisce direttamente il personaggio di Apollo alla leggenda ovidiana di Dafne (cfr. Met. I 452 ss.), come prova anche l'espressione fronda peneia, con cui l'alloro è definito nello stesso luogo. In XVII 55 Tu lascerai ogne cosa diletta / più caramente, l'aggettivo è messo in rilievo non solo per essere alla fine di verso, ma perché su di esso appoggia l'enjambement che conduce al verso che segue; in XXXIII 40 gli occhi della Vergine son definiti gli occhi da Dio diletti e venerati. In Cv III XII 14 è al superlativo: suora e figlia dilettissima, detto della filosofia, che è anche sposa de lo Imperadore del cielo.
Tre volte nel corso dell'opera dantesca questo aggettivo è sostantivato: in Vn XIX 8 24 Diletti miei, or sofferite in pace (sono le parole di Dio ai beati che soffrono di non aver Beatrice con loro); in Pd XI 31 e XIII 111 abbiamo d. sostantivato per indicare Gesù.