Dillinger è morto
(Italia 1968, 1969, colore, 95m); regia: Marco Ferreri; produzione: Alfred Levy, Ever Haggiag per Pegaso Film; soggetto: Marco Ferreri; sceneggiatura: Marco Ferreri, Sergio Bazzini; fotografia: Mario Vulpiani; montaggio: Mirella Mencio; scenografia: Nicola Tamburro; giochi mimici con le mani nude: Maria Perego; musica: Teo Usuelli.
Glauco, disegnatore industriale di maschere antigas, una sera d'estate rientra come al solito a casa dal lavoro e trova in sala da pranzo una cena ormai fredda e poco invitante; la moglie è a letto per via di un'indisposizione. La casa è vuota, la serata è calda e l'ingegnere s'aggira per le stanze senza uno scopo, accende il televisore senza guardarlo, si riproietta dei filmini amatoriali girati in Spagna con la moglie e una sua amica, ascolta delle vecchie registrazioni finché, quando la fame insorge, comincia a prepararsi una ricca cena. Rovistando nei mobili di cucina alla ricerca degli ingredienti, trova un pacco fatto di vecchi giornali che avvolgono una pistola a tamburo arrugginita; uno di questi giornali è datato 23 luglio 1934 e reca la notizia dell'uccisione, il giorno precedente, del famoso gangster americano Dillinger. L'ingegnere comincia a smontare l'arma, poi la pulisce, la lubrifica, la rimonta, la dipinge di rosso a pallini bianchi, ci gioca. Alterna questa occupazione, che lo intriga al massimo, alle pratiche della cucina, al pasto davanti al televisore, mimando il suicidio davanti allo specchio, raggiungendo la cameriera nella sua camera e convincendola a partecipare ai giochi erotici che non può fare con la moglie. Quando è quasi l'alba, entra nella camera da letto, appoggia un cuscino sulla testa della moglie ancora addormentata e la uccide sparandole tre colpi con la pistola ora funzionante. Prende da un cassetto i gioielli della moglie, si prepara una rapida valigia e con la sua auto si reca al mare. Raggiunge a nuoto un panfilo ormeggiato vicino a riva e si fa assumere dalla giovane e bella proprietaria come cuoco, in sostituzione di quello morto proprio quel giorno. Poco dopo il panfilo parte alla volta di Tahiti, con un cielo rosso da cartolina. "Sembra impossibile" è la sua ultima battuta in un film così avaro di parole.
È importante sapere che il film è stato concepito nel 1968, durante quel tormentato periodo di rifondazione ideologica, di contestazione radicale dell'ordine costituito e dei valori dominanti; mentre si contesta e si vuole essere diversi, Marco Ferreri, da par suo, avverte che "la rivoluzione si fa facendo la rivoluzione, non facendo i film", ma continua con il suo mestiere di regista. Dillinger è morto è il suo film più 'classico', perché contiene tutti i caratteri del suo stile ed elabora tutti i temi su cui il regista ha lavorato e continuerà a lavorare: il rapporto uomo/donna, la presenza invasiva degli oggetti, il cibo e la sua preparazione, la fuga dal mondo illusoria e, quindi, impossibile, l'ambiente claustrofobico, l'erotismo, la morte, il sesso, insomma le categorie poetiche, estetiche e critiche dell'armamentario ferreriano. Inoltre, le varie ascendenze che gli sono state date e riconosciute sono tutte presenti: quella neorealista è particolarmente evidente, tanto da far sembrare il film un compimento della vicenda dell'Edmund rosselliniano di Germania anno zero, nel panorama desolato dell'anno 1968; anche la poetica zavattiniana del pedinamento è riconoscibile, pur avendo sostituito i suoi caratteri principali di non interferenza con il suo oggetto/ soggetto con le componenti dello stile di Ferreri, la vitalità, la crudeltà e l'invenzione. Il rapporto con l'opera di Antonioni, invece, è più nascosto e va ricercato nel Ferreri uomo, nelle sue angosce e nelle sue alienazioni. In questa ottica, Dillinger è morto si può considerare la variazione più riuscita su temi antonioniani di Ferreri.
I suoi film sono parabole, storie brevi che contengono nella loro verità educativa la dimostrazione di una concezione filosofica e religiosa. In Ferreri non sono le strutture narrative a contare, quanto la singola immagine, lo specifico episodio su cui si è lavorato fino a renderlo perfetto e significante, e intorno al quale si costruisce tutta la scena, la storia. In questo modo le regole che strutturano la narrazione non saranno più quelle conosciute del linguaggio scritto, ma quelle ancora da approfondire e da sperimentare dell'immagine. Non è più la storia a far nascere gli episodi e quasi a sceglierli, bensì il singolo episodio a scegliersi le sue ascendenze e le sue logiche di aggregazione. Come bene diceva Enzo Ungari, "l'idea del film diventa allora il film di un'idea della quale l'autore ha colto tutta l'inadeguatezza". Nel nostro caso suggeriamo il ritrovamento della pistola come l'idea del film; altro sarebbe stato il significato del film se l'involucro fosse stato di panno invece che di giornale, di quel giornale del 23 luglio 1934; cui si aggiunge, per adeguare la storia, un rapporto di coppia sfasato, una cena fredda e solitaria, una cameriera vitale e disponibile, una serata noiosa davanti a sé e così via, con un'accumularsi di visioni e di episodi banali e stravaganti, amari e crudeli, più altre provocazioni e paradossi (cose contrarie al giudizio comune ma non fuori della realtà), che sono il modo di rapportarsi di Ferreri al mondo e la sua maniera cinematografica di esprimersi. Dillinger è morto è una parafrasi (esposizione semplificata di un'idea), dove Ferreri non sente l'esigenza di adattarsi, di inchinarsi allo spettatore; e infatti non succederà mai che, nel corso della sua carriera, Ferreri conceda una tregua all'impegno richiesto al pubblico per entrare nel suo mondo; è impossibile per lo spettatore, tanto è doloroso, immedesimarsi nei personaggi dei suoi film o vivere con un'emozione le sue storie.
Ferreri girò Dillinger è morto in fretta, con la proverbiale sciatteria rosselliniana, facendo pochissimi ciak, improvvisando sul set; pedinò i suoi personaggi con lunghe sequenze in campo lungo o in campo medio, girando, poi, solo qualche primo piano; proiettò nei suoi personaggi le proprie angosce personali riuscendo a dar loro, come negli altri suoi film più riusciti, un valore collettivo. Dillinger è morto venne girato a Roma all'interno di un appartamento, con una troupe ridottissima di nove persone e con meno di diecimila metri di pellicola; il montaggio, momento fondamentale di riflessione per Ferreri, è rapido e conciso; la musica è un oggetto di scena proveniente da radio e tv. Insomma, un piccolo miracolo estetico ed economico, un momento di grazia per l'autore, come subito ha saputo vedere la critica italiana e francese più avvertita.
Interpreti e personaggi: Michel Piccoli (Glauco), Anita Pallenberg (Anita, la moglie), Annie Girardot (Sabina, la cameriera), Carol André (proprietaria del panfilo), Carla Petrillo (amica di Anita), Gigi Lavagetto (collega di lavoro dell'ingegnere), Mario Jannilli (violinista), Adriano Aprà (presentatore televisivo).
A. Ferrero, Radiografia di una rivolta, in "Mondo nuovo", n. 8, 23 febbraio 1969, poi in A. Ferrero, Dal cinema al cinema, Milano 1980.
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Marco Ferreri: il cinema e i film, a cura di S. Parigi, Venezia 1995.