DIMISSIONE (dal lat. dimissio "licenziamento, congedamento"; fr. démission; sp. dimisión; ted. Aufgebung; ingl. resignation)
È uno dei modi di risoluzione del rapporto di pubblico impiego. Può essere determinata dalla volontà della pubblica amministrazione o da quella dell'impiegato. Nella prima ipotesi si parla anche di dimessione, o dimissione di ufficio. La dimissione di ufficio può verificarsi in seguito ad assenza dell'impiegato dal servizio, o per fine del periodo di prova. Nel primo caso deve mancare una causa forzosa che costringa l'impiegato a rimanere lontano dall'ufficio (art. 46 r. decr. 30 dicembre 1923, m. 2960) e la dimissione d'ufficio deve essere preceduta da una diffida a riprendere il servizio. È provvedimento più grave del licenziamento; ma non ha carattere disciplinare, né richiede la procedura prescritta per i provvedimenti disciplinari.
La dimissione d'ufficio può anche essere deliberata per fine del periodo di prova; a questo riguardo va notato che la legislazione italiana ha disposizioni che variano secondo le categorie degl'impiegati. I medici condotti, per i quali la fiducia va apprezzata con criterî larghissimi, possono essere licenziati per fine di periodo di prova con deliberazione non motivata (art. 37 r. decr., 30 dicembre 1923, n. 2889). Per i segretarî comunali, invece, è prescritta la motivazione nella deliberazione di licenziamento per fine di periodo di prova.
Altri casi di dimissioni di ufficio si hanno quando l'impiegato perda la cittadinanza; quando egli accetti senza autorizzazione del governo nazionale una missione o un impiego da un governo straniero; quando egli abbia prestato l'opera propria in modo da interrompere o turbare la continuità o regolarità del servizio, o quando istighi a ciò altri impiegati.
Le dimissioni presentate dall'impiegato sono la dichiarazione di voler porre fine al rapporto d'impiego. È prescritta, d'ordinario, la forma scritta. La dimissione non produce effetti fino a che l'amministrazione non abbia dichiarato, con deliberazione nelle forme di legge, di accettare le dimissioni. Frattanto l'impiegato dimissionario, qualora non osservi gli obblighi inerenti al rapporto d'impiego, può anche esser licenziato d'ufficio, anziché per accoglimento delle sue dimissioni. Fino a che non sia intervenuta l'accettazione delle dimissioni l'impiegato può sempre revocarle. D'altra parte l'amministrazione può anche non accettare le dimissioni presentate dall'impiegato, il che si verifica per lo più quando è in corso un procedimento disciplinare. Le dimissioni accettate e quelle dichiarate d'ufficio fanno perdere ogni diritto a pensione o indennità.
Le dimissioni possono essere presentate anche da funzionarî non impiegati: i ministri dimissionarî rimangono in carica fino a che non siano nominati i successori. Lo stesso principio vale per i sottosegretarî di stato.
Le dimissioni del preside della provincia debbono essere accettate con decreto reale, che, in conformità anche a quanto può verificarsi per il podestà dimissionario, può essere il decreto di nomina del rispettivo successore.
Va anche notato che secondo una prassi costante il funzionario che ha presentato le dimissioni limita ordinariamente la propria attività all'adozione dei provvedimenti ritenuti urgenti e necessarî ad assicurare la continuità dei servizî.
Bibl.: G. Pacinotti, L'impiego nelle pubbliche amministrazioni secondo il diritto positivo italiano. Trattato generale teorico-pratico, Torino 1907, p. 374 e seg. Su casi particolari cfr. F. Cammeo, Il licenziamento degli impiegati degli enti locali in corso di periodo di prova, in Giur. ital., III (1923), p. 257.