DINARCO (Δείναρχος, Dinarchus)
Nato circa il 360 a Corinto, è l'ultimo dei dieci oratori compresi nel canone alessandrino, e il meno originale. Visse ad Atene (dove studiò retorica e fu discepolo di Teofrasto) in condizione di meteco, e perciò non poteva essere che un logografo. La sua maggiore attività, e il fiorire della sua fama, fu dopo Alessandro (323), quando la grande eloquenza era caduta con la libertà, per il regime oligarchico stabilito in Atene da Cassandro. Anzi, in sospetto per le sue relazioni oligarchiche (specialmente con Demetrio di Falero), si allontanò da Atene (nel 307) quando Demetrio Poliorcete vi ristabilì la democrazia; e al ritorno dall'Eubea nel 292 ebbe un processo, per il ricupero dei suoi beni, contro chi aveva approfittato di questa assenza.
I suoi discorsi, tutti scritti a prezzo, insieme coi numerosi apocrifi che gli furono ben presto attribuiti, salivano a 160. Oltre a titoli e a frammentini, ci restano tre soli discorsi, pare autentici, riferentisi all'affare di Arpalo (v.) e scritti per accusatori ignoti: Contro Demostene, Contro Aristogitone, Contro Filicle; e pure per la stessa causa D. aveva scritti anche altri due discorsi, non superstiti, Contro Agnonide e Contro Aristonico. Il primo specialmente desta interesse in noi, pronunziato di fronte a 1500 giudici contro Demostene, accusato di avere avuto da Arpalo 20 talenti. Gli accusatori erano dieci, e questo, per cui D. aveva scritto, parlò per secondo. Ma il valore letterario di questi scritti è scarso. D. è un imitatore delle forme e dei procedimenti già scoperti da Lisia o da Iperide, e soprattutto imita Demostene, donde per lui il soprannome di Δημοσϑενης ὁ ἄγροικος (il Demostene contadino), oppure ὁ κρίϑινος (il Demostene orzato, vale a dire di seconda qualità).
Edizioni più recenti di Blass (2ª ed., 1888) e di Thalheim (1887). Frammenti in Sauppe, Orat. Att., II, 321.
Bibl.: F. Blass, Attische Beredsamkeit, 2ª ed., Lipsia 1893, III, p. 293. Per la distinzione di questo Dinarco dall'omonimo accustore di Demade presso Antipatro, v. Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., IV, i, p. 96, n. i.