GARRONE, Dino
Nacque a Novara il 2 marzo del 1904, da Giuseppe e Maria Antonietta Mercalli in una famiglia di origine piemontese che ben presto si trasferì a Pesaro, dove il G. compì i primi studi; s'iscrisse quindi alla facoltà di lettere dell'Università di Bologna.
Di temperamento vivace e spesso polemico, il G. condivise con molti suoi coetanei la smania di azione, il vitalismo che caratterizzarono per molti versi quegli anni, e insieme espresse, con la sua vita e negli scritti, l'aspirazione profonda a una dimensione autenticamente etica dell'esistenza, che perseguì sia nella tranquilla vita di provincia sia ricercando l'avventura e il pericolo in numerosi viaggi, come quando, nel luglio 1929, con due amici attraversò l'Adriatico in tempesta a bordo di un cutter. Il fascino su di lui esercitato dal mare, dalla navigazione avventurosa, sul piano letterario si concretò nell'interesse rivolto alla figura di C. Colombo, cui dedicò la Storia apocrifa del povero Colombo (pubblicata postuma, come del resto la maggior parte dei suoi scritti, sulla rivista bolognese L'Orto, 30 apr. 1937), progettando anche una Storia meravigliosa del povero Colombo (di cui possediamo solo la trama ricostruita dall'amico E. Emanuelli in base agli appunti del G., apparsi sul settimanale pesarese L'Ora nel dicembre 1932).
Nel gennaio 1924, in occasione di un concorso bandito dal teatro sperimentale dell'università, il G. mise mano a due pièces teatrali rimaste incomplete e inedite, una delle quali, Il figlio, è stata recuperata in altre due differenti redazioni, parte manoscritte parte dattiloscritte, del 1925 e 1926, con il titolo Le madri. Mistero drammatico in un atto. In una lettera all'amata Mina, datata 1929, il G. annunciava il progetto di una terza pièce, di cui però nulla si sa. Il 24 nov. 1928 discusse col prof. A. Galletti la tesi di laurea incentrata sulla figura di G. Verga.
Nel 1941 L. Russo curò la pubblicazione del volume Giovanni Verga (Firenze) composto da due capitoli della tesi; le parti espunte, perché troppo scolastiche, furono edite solo nel 1970 (I capitoli inediti o dispersi del "Giovanni Verga" di D. G., a cura di C. Cordié, in Atti e memorie dell'Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, XXXV [1970], pp. 157-245). Nella sua lettura di Verga il G. intende superare la consueta contrapposizione tra una prima produzione verghiana romantico-mondana e una seconda naturalista, postulando uno sviluppo unitario di cui individua, come costante, l'ironia presente anche nel giovane Verga, la cui esperienza scapigliata (tuttavia particolare proprio per la luce ironica di cui investe il personaggio bohémien) diviene così funzionale, non antitetica, alla produzione più matura; ma Verga gli offre soprattutto un esempio di asciutta moralità, lontana da ogni enfasi retorica, da additare ai giovani della propria generazione. Il G., infatti, sin dagli inizi della sua attività intese riferirsi all'insegnamento etico degli scrittori primonovecenteschi dell'area de La Voce (soprattutto S. Slataper, G. Boine, R. Serra), di cui colse i toni più rigorosi, in particolare l'etica dell'eroismo e del sacrificio, rileggendoli nella chiave dell'ideologia fascista - cui egli aveva dato una sofferta ma convinta adesione - e facendoli confluire in un percorso letterario dove poetica ed etica coincidono secondo una linea che, partendo dal vero storico in A. Manzoni e in I. Nievo attraverso il realismo verghiano, giunge ai maestri del primo Novecento, attraverso l'incursione nell'inconscio di F. Tozzi e la secchezza petrosa di O. Rosai, per culminare nell'estetica fascista come espressione della moderna classicità.
Dal '28 al '31 il G. collaborò con numerosi interventi al quotidiano di Ancona Corriere adriatico; intanto, fra il '29 e il '30, si era legato al milieu culturale del fascismo romano, che faceva capo a G. Bottai, pubblicando anche su Il Lavoro fascista, sulla rivista d'area gentiliana La Civiltà fascista, e su Il Resto del carlino, diretto a quei tempi da G. Pini. In quest'ambito conobbe e strinse amicizia con B. Ricci, intellettuale organico che mirava a combattere e riformare dall'interno le tendenze più retrive e accademiche della cultura di regime.
Naufragato un loro primo progetto di fondare una rivista antisolariana e antirondista, Ricci e il G. riuscirono invece, con l'aiuto del grafico e critico d'arte E. Persico, a pubblicare, nel corso del 1930, un opuscolo polemico, Il Rosai, che si richiamava alla figura del pittore e scrittore O. Rosai, di cui erano ambedue accesi ammiratori, e di cui condividevano lo spirito antiborghese, il nazionalismo, l'apprezzamento per la vita semplice della provincia, valori che, depurati della retorica antimodernista di Strapaese, confluirono poi nella rivista L'Universale (1931-35), fondata dal Ricci. Ma il costruttivo interesse del G. per le battaglie politico-culturali del Ricci nell'autunno 1930 andava già declinando: al di là della sporadica collaborazione all'Universale, l'ultima iniziativa comune fu l'interessamento alla mostra dedicata al Rosai, che si aprì il 5 novembre a Milano presso la galleria del Milione, diretta dal Persico.
Assai ricca fu la produzione di prose di fantasia del G., lontana sia dal "calligrafismo" di Solaria e del Frontespizio sia da ogni retorica magniloquenza. Il suo stile è stato spesso avvicinato a quello di G. D'Annunzio (cfr. Russo, Pref. a Dino Garrone, Giovanni Verga, p. XXIII; Cordié, 1970; Panicali) e, di fatto, influssi dannunziani, tuttavia insieme con quelli di personalità quali Serra, Slataper e anche P. Gobetti, sono rintracciabili in certi suoi atteggiamenti e in certe scelte stilistico-lessicali.
La prosa del G. esibisce un dettato limpido, essenziale, fortemente ritmico, il registro ora alto ora colloquiale, ma sempre sorvegliatissimo, è concentrato sul paesaggio, quasi sempre in quanto descrizione della natura nella sua forza e bellezza primigenie, e su personaggi, di preferenza popolani, autentici e sanguigni, fiaccati nell'animo dall'alienante metropoli; il tutto, però, sospeso in un tempo metastorico, d'immobilità verghiana, o immerso in atmosfere metafisiche alla Rosai.
Il desiderio di evadere da un'Italia troppo provinciale, chiaramente espresso in una lettera scritta da Pesaro nel '29 a L. Bartolini (p. 161), lo condusse, ai primi di giugno del 1930, a Parigi - meta da lui sempre vagheggiata in alternativa con Mosca - dove il G. morì, stroncato da una setticemia, il 10 dic. 1931.
Come già accennato, la maggior parte degli scritti del G. restò inedita nel corso della sua vita: gli scritti teatrali e i carteggi sono reperibili presso il Fondo Garrone dell'Istituto di filologia moderna dell'Università degli studi di Urbino; alcuni abbozzi che si trovano nei manoscritti sono stati segnalati da L. Russo nell'edizione da lui curata di G. Verga del G.: Pensieri zoppi, 1922; Resurrezione, 1922. Fra le pubblicazioni postume ricordiamo: Prose, a cura U. Fagioli, Ancona 1934; L. Bartolini, Lettere di G., in La Ruota, II (1938), 3, p. 69; Lettere, a cura di B. Ricci - R. Bilenchi, Firenze 1938; Fiducia mattutina. Lettere di G. a un amico, a cura di V. Chiocchetti - U. Tomazzoni, Rovereto 1938; Sei prose, a cura di M. Valsecchi, Milano 1942; D. Garrone - E. Persico, Epistolario, a cura di M. Valsecchi, Forlì 1943; Sorriso degli Etruschi, a cura di M. Valsecchi, Milano 1944; Le più belle pagine, a cura di D. Lombrassa, Firenze 1973; Carteggi con gli amici (1922-1931), a cura di T. Mattioli - A.T. Ossani, Pesaro 1994.
Fonti e Bibl.: G. Bellonci, D. G., in Il Giornale d'Italia, 19 apr. 1938; G. Marzot, Vita morale e critica letteraria in D. G., in La Nuova Italia, XIII (1942), 7-8, pp. 127-129; C. Cordié, L'esilio parigino di D. G., in Settimo Giorno, 5 marzo 1963; Id., La giovinezza di D. G., in Filologia e letteratura, XVI (1970), 2, pp. 220-230; A. Panicali, Appunti sul realismo degli anni Trenta: D. G., in Angelus novus, XXIII (1972), pp. 55-79; A. Folin, Introduzione a Le riviste giovanili del periodo fascista, a cura di A. Folin - M. Quaranta, Treviso 1977, pp. 32-39; F. Petrocchi D'Auria, D. G. e l'"Universale", in Atti e memorie dell'Arcadia, s. 3, VII (1979), 3, pp. 249 ss.; C. Cordié, L'"allobrogo" D. G. e il "sanfrianese" Berto Ricci. Storia di una amicizia, in Studi piemontesi, X (1981), 1, pp. 3-20; A. Asor Rosa, Lo Stato democratico e i partiti politici, in Letteratura italiana (Einaudi), I, Il letterato e le istituzioni, Torino 1982, pp. 555 s., 568.