GUINIGI, Dino
Figlio di Nicolao di Bartolomeo e di Caterina, sorella di Dino Di Poggio, nacque a Lucca nel quarto decennio del Trecento.
Niente si sa dei suoi anni giovanili e della sua formazione: la documentazione prodotta dalla corte dei mercanti per gli ultimi decenni del Trecento non consente di seguire sistematicamente la sua carriera; tuttavia egli risulta maggior console nei mesi di marzo e aprile del 1371 e consigliere a più riprese; partecipò inoltre a numerose commissioni.
L'epoca del suo vero e proprio ingresso nella vita politica cittadina deve essere anticipata almeno al 1360, quando ricoprì la carica di anziano per la prima volta nel bimestre luglio-agosto; fu quindi più volte chiamato a quella magistratura, con continuità, a partire dal 1370: maggio-giugno 1370, luglio-agosto 1372, novembre-dicembre 1373, marzo-aprile 1375, novembre-dicembre 1379, marzo-aprile 1382, luglio-agosto 1384, marzo-aprile 1386, maggio-giugno 1387, novembre-dicembre 1389, marzo-aprile 1392, marzo-aprile 1396, novembre-dicembre 1398; fu gonfaloniere per due volte, nel 1372 e nel 1384. Il carattere continuativo dei suoi incarichi più rilevanti, a cui vanno aggiunti anche il vicariato di Pietrasanta nel 1372 e le presenze al Consiglio generale e a quello dei Trentasei, come membro ordinario o invitato, la partecipazione a numerose commissioni di materia spesso finanziaria, la carica di cittadino addetto alla revisione delle compilazioni statutarie del Comune ricoperta tra il 1397 e il 1399, lo qualificano come uno dei membri di maggior rilievo della propria casata negli anni immediatamente a ridosso della riconquistata "libertà" dalla soggezione al dominio pisano (1369).
Degna di nota risulta la sua attività di prestatore a vantaggio del Comune, nei confronti del quale vantò a più riprese lucrosi crediti, proprio negli anni in cui l'emergenza più drammatica della vita lucchese fu quella finanziaria. A partire dal 1359 lo troviamo inoltre attivamente impegnato in acquisti di terre: non è possibile stabilire a partire dai dati conosciuti, peraltro sparsi e talvolta frammentari, se fosse presente nei disegni del G. una direttrice privilegiata per la costituzione di un patrimonio fondiario: le località prescelte sono disseminate in varie zone del contado lucchese, anche se la presenza abbastanza rilevante di appezzamenti concentrati entro la fascia più prossima all'abitato farebbe pensare che, in alcuni casi, il G. avesse voluto semplicemente costruirsi una base di autosussistenza per la propria famiglia e per quelle dei propri fratelli.
Nel corso degli anni Settanta le fortune economiche della compagnia che faceva capo al G. e a Francesco di Lazzaro si legarono sempre più strettamente agli interessi della Camera apostolica; in quegli anni i Guinigi svolsero infatti, per conto di Gregorio XI e di Urbano VI, l'ufficio di collettori e di fornitori di beni e servizi, traendo in particolare sicuro vantaggio dalla crisi dei rapporti tra i pontefici di obbedienza romana e le compagnie fiorentine all'epoca della guerra degli Otto santi (1375-78): è in questo modo che si crearono le basi economiche e finanziarie sulle quali si impiantarono le ambizioni egemoniche del casato. Dopo la morte del cugino Francesco di Lazzaro (1384) il G. emerse come figura di primissimo piano in seno alla compagnia, essendo anche uno dei membri più anziani ed esperti della famiglia; tra il 1385 e il 1392 la società operò prevalentemente a Londra; nel Libro della Comunità dei mercanti lucchesi in Bruges egli figura, nel 1389, come "maestro in Lucha" della compagnia.
All'aprirsi del nuovo secolo era uno degli esponenti più influenti del partito guinigiano, quando il rapido precipitare degli eventi successivo alla morte violenta di Lazzaro di Francesco Guinigi, avvenuta nel 1400, indusse il giovane fratello di questo, Paolo, ad assumere la guida dello Stato. Non era del resto la prima volta che la situazione si presentava critica: già nel 1384, alla morte di Francesco, le sorti della fazione guinigiana avevano conosciuto un momento di crisi, con il prevalere dell'opposta fazione cittadina guidata da Forteguerra Forteguerra. A complicare ulteriormente le cose sopraggiungeva però ora, tra la primavera e l'estate del 1400, una grave pestilenza, della quale erano rimasti vittime alcuni membri di spicco della casata. In quelle critiche circostanze la guida della fazione fu inizialmente assunta dal G. e dal cugino Michele di Lazzaro, anziani ma ancora autorevoli; Michele però, gravemente ammalato, sarebbe morto nell'ottobre del 1400.
Tra tutti i consorti il G. era il maggiore di età; doveva essere ancora assai energico, rispettato e in grado di far pesare la propria autorevolezza e, nonostante Sercambi notasse che era "assai di tempo, e alle fatiche che ocoreranno" sembrasse "non poter durare", egli era invece destinato a esercitare ancora un ruolo rilevante: nel 1401 il suo prestigio e la sua autorevolezza gli valsero infatti la nomina a vicario di Paolo Guinigi, divenuto signore di Lucca; singolare tuttavia era apparso il suo atteggiamento nei confronti del nipote Paolo quando questi, nel 1400, aveva assunto il titolo di capitano e difensore del Popolo, che preludeva senz'altro alla signoria vera e propria.
Giovanni Sercambi segnala infatti una certa riluttanza manifestata dal G. ad accettare la forzatura istituzionale: "posto che Dino Guinigi dovesse ogni cosa sapere, niente di meno alquanto si dimostrò di fuori di tale domanda malcontento, posto che poi lietamente aconsentìo" (Croniche, III, p. 17); è possibile che egli si fosse sentito in quella circostanza leso nella propria aspirazione a un potere personale, in cui fu scavalcato dal giovane e ancora inesperto nipote.
Alla fine del primo decennio del '400 risale l'origine di una lite con alcuni congiunti, Giovanni di Michele Guinigi e gli eredi di Lazzaro di Francesco, legata a cause che non è possibile ricostruire nei dettagli ma che paiono senz'altro riconducibili agli affari della compagnia; non è escluso tuttavia che le difficoltà finanziarie del G. fossero accresciute dalla spese sostenute o da sostenersi per aggiudicarsi alcuni beni provenienti dall'eredità del padre Nicolao. Il 14 genn. 1409, in previsione di future cause e controversie da dibattersi di fronte al tribunale della corte dei mercanti, chiese di farsi rappresentare da uno o più procuratori, per non creare una situazione di conflitto con le proprie funzioni di vicario.
Di mano del G. è conservata una nota non datata nella quale egli rende conto ad alcuni congiunti dell'amministrazione di alcuni beni: "sì che ellino - concluse sconsolato - fanno male a darmi bergha et afanno, che n'òe più che non posso portare". Il 31 dic. 1413 fu pronunciata una sentenza in base alla quale egli fu obbligato a pagare quasi 2000 fiorini; in quell'occasione il G. confessava anche di dovere 50 fiorini per la pigione di un anno del palazzo dove risiedeva e altri 586 fiorini a Michele di Lazzaro, suo cugino; riscontrato "lo dicto messer Dino non essere al presente potente né habile a pagare interamente la detta somma", gli fu concessa una dilazione di quattro anni; in effetti, a seguito dell'impossibilità di saldare questo e altri debiti contratti per non ben precisati motivi, egli, e di lì a poco i suoi eredi, furono costretti a cedere la maggior parte dei propri possessi immobiliari.
Il G. aveva sposato in prime nozze Chiara di Pietro Rapondi (di cui era esecutore testamentario in un documento del 12 febbr. 1365); quindi il 2 febbr. 1365 Iacoba di Buglione dei Rossiglioni, famiglia di un certo spicco nella contrada in cui anche il G. viveva; il matrimonio era stato celebrato "con bella festa", come il G. stesso ricorda, e la cifra notevole di 500 fiorini sborsati per la dote è il segno della solidissima posizione dello sposo. Contrasse poi un ultimo matrimonio con Azzina, figlia di Azzo di Corradino Malaspina.
Significativo appare dalle fonti il radicamento cittadino del G., concretizzatosi nella costruzione di un palazzo che, insieme con quello fatto edificare parallelamente dai figli dello zio Lazzaro, avrebbe dato un'impronta caratteristica all'intera contrada. Tale radicamento è evidente dalla sua qualifica nel 1391 di operaio della chiesa dei Ss. Simone e Giuda, patronato della famiglia; il 28 luglio 1395 ne nominava il cappellano valendosi dell'autorità che gli derivava dal fatto di essere il più anziano del casato. Un atto della cancelleria vescovile rinvenuto da Christine Meek documenta con straordinaria vivacità il prestigio personale di cui il G. dovette godere agli occhi dei propri concittadini: nel 1403 egli testimoniò infatti che monna Bionda figlia di ser Niccolò da Buggiano si era rivolta a lui per chiedergli un consiglio sul matrimonio che le si proponeva di contrarre con il mercante lucchese Francesco Vinciguerra. Il ruolo di mediatore tra le esigenze dei due, svolto dal G. tra le mura della propria dimora cittadina, ne pone in evidenza la credibilità e l'autorità.
Morì a Lucca dopo il 1413, avendo fatto redigere il proprio testamento nel 1410; doveva avere avuto gravi impedimenti, forse di salute, già agli inizi di febbraio del 1409, se è vero che il signore di Lucca, Paolo Guinigi, con un decreto del 1° febbraio stabilì che Baldassarre e Giovanni Guinigi dovessero presiedere a turno il Consiglio per un anno (Governo di Paolo Guinigi, 2, p. 83). Gli sopravvissero i figli Azzo e Nicolao e le figlie Costanza, Caterina e Taddea.
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