Perini, Dino
Notaio fiorentino, soggiornò a lungo a Ravenna negli anni nei quali già vi si era stabilito D. ed entrò quindi verosimilmente nella consuetudine della sua amicizia. Di lui parla il Boccaccio a proposito del presunto ritrovamento dei primi sette canti dell'Inferno, riferendone per tradizione diretta la testimonianza, cui egli sembra concedere un valore non trascurabile, e definendolo " nostro cittadino e intendente uomo, e, secondo che esso diceva, stato quanto più esser si potesse famigliare di Dante ".
Il medesimo Boccaccio in una postilla al v. 4 della prima egloga dantesca annota: " Quidam ser Dinus Perini florentinus ", avvalorando quindi l'ipotesi che identifica nel P. il personaggio di Melibeo.
L'Imbriani non accede a questa ipotesi, negando l'esistenza del P., mentre il Del Lungo, in relazione alla giovane età che avrebbe il Melibeo delle egloghe dantesche (O nimium iuvenis, IV 34), avanza la proposta che egli possa identificarsi nel personaggio ricordato dal Petrarca (Rerum memorandarum II 60) come " Dinus quidam concivis meus, qui aetate nostra gratissimae dicacitatis adolescens fuit ". È facile, però, osservare che se Dino poteva essere giovane negli ultimi anni della vita di D., non poteva esserlo contemporaneamente quando il Petrarca scrisse la sua opera. Lo Zingarelli non cela il proprio dubbio tanto per la tradizione della parte avuta dal P. nel supposto ritrovamento dei primi canti della Commedia, quanto per la sua identificazione con il Melibeo delle egloghe. Per quest'ultima, concordano, invece, con l'interpretazione del Boccaccio gli studiosi che più di recente si sono occupati delle egloghe dantesche, e cioè il Battisti, il Bolisani e il Pighi.
Può darsi che il P. abbia aiutato D., forse come maestro e ripetitore nello Studio ravennate. Nell'egloga prima, rispondendo a Giovanni del Virgilio, il poeta afferma di avere ricevuto il carme del maestro bolognese, mentre sotto una quercia stava passando in rassegna le caprette insieme con Melibeo, il quale, benché indotto e ignaro di poesia, desidera ardentemente conoscerne il contenuto. Nel breve dialogo che si svolge tra Titiro (Dante) e Melibeo (il P.) ed è inserito nel componimento a proposito dello scritto di Mopso (Giovanni del Virgilio), in un clima di affettuosa confidenza si ha un momento di trepido abbandono, nelle parole e nei pensieri di D., al sogno della gloria poetica e alla speranza di un possibile ritorno in patria dall'esilio.
Nella quarta egloga, costruita sotto la forma di un racconto in terza persona a opera d'ignoto, mentre nell'ora più calda del giorno Titiro e Alfesibeo (Fiduccio de' Milotti) all'ombra discorrono, e quest'ultimo chiede al primo la ragione per la quale Mopso ama il paese dei Ciclopi, irrompe con giovanile impeto Melibeo (il P.), il quale, reduce da Bologna, recapita a D. l'egloga affidatagli da Giovanni del Virgilio e contenente l'invito a recarsi nella città felsinea. La consegna avviene senza commento ed è semplicemente accompagnata dalle parole En, Tityre (" Ecco, Titiro ") dette da Melibeo, quasi per esprimere la soddisfazione di avere assolto l'incarico affidatogli dal maestro.
Il Carducci in una ricostruzione fantastica del soggiorno dantesco a Ravenna, interpretato e ricostruito attraverso le egloghe, parla di raduni pomeridiani di giovani romagnoli nella casa del poeta, ai quali sarebbe intervenuto anche il P., cui il fatto di essergli concittadino avrebbe conferito il titolo per una più stretta famigliarità e che avrebbe con il suo conversare motteggioso fatto sorridere Dante.
Bibl. - G. Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di D., a c. di G. Padoan, Milano 1965, 449; F. Petrarca, Rerum memorandarum libri, a c. di G. Billanovich, II 60 Firenze 1943, 83-84; G. Carducci, Della varia fortuna di D. (1866), in Opere X, Bologna 1936, 272-274; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, ibid. 1880, I II 992-993; V. Imbriani, Studi danteschi, Firenze 1891; C. Ricci, L'ultimo rifugio di D., Milano 1891 (nuova ediz. a c. di E. Chiarini, Ravenna 1965); Zingarelli, Dante (1903) 753-755; P. Amaducci, D. e lo Studio Di Ravenna, In " Bull. " XV (1908) 141-142; C. Battisti, Le egloghe dantesche, In " Studi d. " XXXIII (1955-56) 61-111; E. Bolisani-M. Valgimigli, La corrispondenza poetica di D.A. e di Giovanni Del Virgilio, Firenze 1963; ID., La corrispondenza poetica di D. e Giovanni Del Virgilio e L'egloga di Giovanni al Mussato, a c. di G. Albini, nuova ediz. a c. Di G.B. Pighi, Bologna 1965; F. Salsano, Le Egloghe, in " Cultura E Scuola " 13-14 (1965) 749-757; G.B. Pigri, La corrispondenza poetica di D. e Giovanni Del Virgilio, In " Convivium " n.s., XX (1966) 318-333.