«Dio da Dio»
Costantino e la patristica greca nei conflitti infraecclesiali del IV secolo
Costantino è il primo imperatore romano il cui operato ha, per i Padri di lingua greca, una consistente valenza teologica; si può dire, in un certo senso, che con lui inizia un’era in cui il sovrano secolare assume un ruolo attivo nell’elaborazione teologica cristiana. Prima di Costantino, solo Aureliano, all’apparenza, intervenne concretamente nell’attività decisionale della Chiesa, e – soltanto da questo punto di vista – in senso lato anche a livello ‘teologico’. L’imperatore, per dare attuatività a quanto stabilito nel sinodo che depone Paolo di Samosata nel 268/269, agì nel 272 con la forza affidando la disciplina del caso al vescovo di Roma. Dopo questo singolo episodio, ad ogni buon conto, i teologi greci iniziano a interagire massivamente con l’autorità imperiale solo durante il regno di Costantino e, per la precisione, dalla vittoria di quest’ultimo su Licinio nel 324, che lo porta a controllare anche la parte orientale dell’Impero. Confrontati con il caso di Aureliano e Paolo di Samosata, i complessi e ben più che occasionali contatti fra i vescovi – e fra i teologi più in generale – e Costantino raffigurano una situazione radicalmente differente, esito di un contesto storico mutato. La fine della Grande persecuzione, la legittimità consolidatasi del culto cristiano e la partecipazione sempre più attiva dell’imperatore alla vita della Chiesa rafforzano incomparabilmente la prossimità di alcuni vescovi alla corte imperiale pur ipotizzabile già al tempo di Aureliano. Durante il regno di Costantino, in particolare, sembrano accelerarsi processi di elaborazione teologica che porteranno agli scontri, a tratti cruenti, tra Chiese/comunità cristiane, in precedenza distinte da fattori, per lo più, di prassi liturgica. Il potere secolare, in questo mutamento, ha un ruolo ben preciso che verrà messo a tema nel presente contributo1.
Fin da subito la riflessione teologica cristiana si sviluppa a partire da due presupposti: la fede nella monarchia divina e la divinità del Cristo-Figlio di Dio. Monarchia è il termine con cui allora si era soliti designare quell’eredità del giudaismo che era la fede nell’unicità e nella trascendenza di Dio e che, nella riflessione teologica odierna, è detta ‘monoteismo’. Per quanto concerne la divinità del Figlio sono avanzate varie ipotesi, che vanno dalle tendenze adozioniste (teologia diffusa a Roma da Teodoto di Bisanzio che Eusebio attesta ritenesse che il Cristo fosse ψιλὸς ἄνθρωπος2, cioè un semplice uomo, ‘adottato’ e assimilato a Dio al momento del battesimo per opera dello Spirito Santo3), a quelle subordinazioniste – come, per certi versi, sono le cristologie angelomorfiche (che concepiscono il Cristo preesistente a Gesù come un angelo), ‘pneumatiche’ (che intendono come pneuma la componente divina di Gesù)4, fino alla più chiare formulazioni della cosiddetta teologia del Logos.
Si può dire che, con il II secolo, varie tradizioni teologiche iniziano a confluire in due tendenze di maggior diffusione: da un lato la teologia del Logos e dall’altro l’orizzonte del ‘monarchianismo’5. La prima ha uno dei suoi precursori nel giudaismo ellenistico di Filone di Alessandria (che fuse il concetto stoico di λόγος σπερματικός con l’immagine, tradizionale nel platonismo cosiddetto medio, del Demiurgo subordinato all’Intelletto increato)6 e riconosce le sue fonti in alcuni passi biblici in particolare (Sal 101 (102),37; Pr 8,26-318; Gv 1,189; Rm 9,1510; Col 1,1511 e 1,2412). I suoi maggiori e primi esponenti furono gli apologisti Giustino13, Taziano, Teofilo, Atenagora (teologi più tardi saranno invece Ippolito, l’anonimo autore della Refutatio, e Tertulliano), che sviluppano la relazione intradivina Padre-Figlio identificando il Figlio di Dio con il Logos emanato e generato per provvedere alla creazione e al governo del mondo. Il rischio di ‘diteismo’ che questa impostazione teologica poteva comportare rese necessaria l’elaborazione di concezioni diverse. Certo la prospettiva adozionista non rappresentava un’alternativa soddisfacente, non potendosi fondare su un Cristo non pienamente divino l’opera salvifica o una cosmologia che preveda l’azione archetipica del Figlio14. Pertanto, figure come Noeto di Smirne, il suo allievo Sabellio e, più tardi e a suo modo, anche Paolo di Samosata elaborano una teologia – definita, a seconda delle specifiche declinazioni, monarchianismo, patripassianesimo, modalismo – che, per salvaguardare la fede ‘monoteista’ e quella nella divinità del Figlio di Dio, nella sua formulazione più piena (il modalismo) sostiene che Padre e Figlio siano due modi d’azione della medesima divinità. Nello specifico, Sabellio, teologo libico di fine II secolo, sostiene che Dio assunse, nella creazione, la figura del Padre, quella del Figlio in quanto redentore e quella dello Spirito nell’opera santificatrice15. Il rischio implicito di questa impostazione teologica era l’ammissione della passione del Padre, in figura del Figlio, sulla croce16. La rilevanza storica della teologia sabelliana si misura nella cosiddetta controversia dei due Dionigi, sorta cioè tra Dionigi vescovo di Alessandria e l’omonimo vescovo di Roma intorno alla metà del III secolo. Un gruppo di sabelliani17 della pentapoli libica, territorio sotto l’amministrazione ecclesiastica del vescovo di Alessandria, entra in conflitto proprio con quest’ultimo perché, a detta dei suoi oppositori le cui posizioni sono riportate da Atanasio, questi ha proclamato la non consustanzialità del Figlio al Padre e, anzi, la sua dimensione creaturale18. Verosimilmente il vescovo di Alessandria si è mosso sulla scia della tecnica speculazione di Origene19, il quale, pur sostenendo la generazione eterna del Figlio dal Padre come un Dio unico identificato dall’unità di azione e volontà20, di fatto improntò la sua concezione dinamica (tale ai fini della creazione e della salvezza) della Trinità all’ontologia platonico-tradizionale che concepiva nell’Essere una gradazione, a partire dal Primo principio, identificato con Dio Padre, del quale il Figlio è ἀπόρροια21, effluvio. Ne risulta che, per Origene, il rapporto tra Padre, Figlio e Spirito Santo veniva a essere una relazione fra tre ipostasi (= sostanza individuale22) reciprocamente distinte da un criterio di dignità e potenza23. Il punto è che per i teologi occidentali il termine ὑπόστασις si traduceva con substantia24, sicché, agli occhi di Dionigi di Roma – vicino verosimilmente alla speculazione antimonarchiana di Tertulliano che aveva concepito la Trinità come composta da tre distinte personae di un’unica substantia divina25 – una dottrina che professasse tre substantiae come quella di Origene, e probabilmente di Dionigi Alessandrino, filtrato dal resoconto dei libici sabelliani, non poteva che alludere a tre divinità distinte in luogo di un unico Dio. Dionigi di Roma, in una lettera menzionata da Eusebio e di cui ci è pervenuto un frammento in traduzione latina26, e in un’epistola forse manipolata da Atanasio che la riporta27 prende le distanze sia dalle posizioni – ritenute estremamente subordinazioniste – del collega di Alessandria sia dalle tesi sabelliane, ai suoi occhi eccessivamente monarchiane28. Dionigi di Alessandria reagisce chiarendo quelli che, a suo dire, erano fraintendimenti, o forse ritrattando velatamente le sue posizioni con un’opera in quattro libri di cui Eusebio, Atanasio e Basilio ci riportano alcuni frammenti29.
Vale la pena soffermarsi su un altro caso di controversia suscitata da dottrine di stampo monarchiano, quello della condanna di Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia condannato e deposto nel corso di due sinodi tenutisi rispettivamente nel 264 e nel 268/269 ed esponente di un ‘monarchianismo adozionista’30. Paolo, infatti, riteneva che Gesù fosse stato un «uomo comune» unito al Logos (concezione adozionista) che, a sua volta, agiva come una virtù operativa di Dio (prospettiva modalista)31. Non sappiamo se tra le motivazioni della condanna di Paolo compaia o meno il concetto, cruciale nello sviluppo delle controversie teologiche del IV secolo, di ὁμοούσιος come fonti più tarde affermano32 – non è chiaro, cioè, se gli oppositori del Samosateno, d’impostazione origeniana, possano realmente aver accusato Paolo di non aver sostenuto l’ὁμοουσία tra Padre e Figlio –, certo è che la sua vicenda non si spiega sulla base della sola controversia dottrinale. Si rimanda per questo aspetto ad altri contributi sulle varie ipotesi relative alla condanna del Samosateno; basti qui ricordare che Paolo era inviso ai suoi colleghi per l’interpretazione dispotica che diede del suo ruolo di vescovo, culminante nel personale legame con il potere politico all’epoca dominante ad Antiochia. In ogni caso è opportuno ribadire che, con il caso del Samosateno, per la prima volta un imperatore romano interviene di persona per risolvere una controversia di matrice, almeno in parte, dottrinale33.
La riflessione di Ario e le controversie teologiche successive a Nicea (325) vanno comprese alla luce dello scenario teologico appena delineato, in cui concezioni subordinazioniste delle relazioni intradivine si affiancano a posizioni a vario titolo ‘monarchiane’, complicato dalle tensioni causate, anche in Oriente e soprattutto in Egitto, dalla Grande persecuzione dioclezianea e dall’atteggiamento ‘rigorista’ di certi cristiani (lo scisma meliziano)34. Di Ario si sa che fu un presbitero alessandrino35, di origini libiche36, verosimilmente formatosi in un milieu condizionato dalla teologia e dal pensiero di Origene37 e che fu autore, oltre che di epistole, di un poema intitolato Thalia (banchetto) del quale ci sono giunti solo alcuni frammenti38.
Da quanto si dispone della produzione letteraria di Ario, la sua teologia pare fortemente impregnata di nozioni elaborate dal cosiddetto medioplatonismo e ruota attorno ad almeno cinque cardini. Il primo è l’assoluta trascendenza di Dio, «unico, ingenerato, eterno, senza principio, vero, immortale, sapiente, buono, onnipotente»39. Il secondo cardine teologico del pensiero di Ario è il concetto di Dio Padre come monade40, una nozione – quella di monade – formulata per la prima volta in ambito cristiano da Clemente Alessandrino41, il quale, influenzato sia da Filone sia dalla tradizione pitagorica42, cercò di coniugare la trascendenza di Dio con lo statuto ontologico monadico delle realtà intelligibili nel loro insieme. Il terzo cardine è costituito dai tratti peculiari con cui era definita la subordinazione del Figlio al Padre: l’aver avuto principio43 e forse anche ‘inizio temporale’44, il suo essere generato – pur prima della creazione del mondo, ma comunque non eternamente o in modo coeterno al Padre45 – e creaturale, per quanto il Figlio sia una creatura privilegiata46 e in ogni caso frutto di emanazione – che avrebbe comportato una scissione di tipo gnostico nella sostanza divina47. Vi è poi un quarto punto focale, sebbene sia difficilmente comprensibile dato lo statuto frammentario in cui ci è giunta la dottrina di Ario per via della polemica antiariana che caratterizza la maggior parte delle storie ecclesiastiche antiche: nonostante la sua posizione subordinata rispetto al Padre – in conformità, tutto sommato, con la dottrina origeniana delle tre ipostasi48 – il Figlio è comunque, propriamente, ‘Dio’49. Va infine messo in luce un quinto cardine della teologia ariana, ossia le sue fonti e l’uso che Ario ne fa. Innanzitutto si può mettere in evidenza il ruolo giocato dall’ambiente alessandrino e, nello specifico, da Filone, nei confronti della cui concezione del Logos (né generato, né ingenerato)50 il presbitero prende una sua posizione, influenzato dal lessico di brani biblici all’epoca impiegati in esegesi polemiche antimonarchiane come Pr 8,22 («Il Signore mi ha creato – ἔκτισέν με – principio delle sue vie per le sue opere»), nel momento in cui considera il Figlio una creatura (κτίσμα/ποίημα)51. Si è poi variamente discusso sul ruolo dell’influenza del cosiddetto medioplatonismo – e soprattutto di Numenio di Apamea – sul subordinazionismo di Ario52: più che di influenza diretta o maggiormente marcata che in altri autori, tuttavia, è opportuno parlare della conformità della riflessione di Ario a una costellazione di temi e problemi comuni anche ad altri teologi e pensatori del suo tempo, tra cui spiccano i nomi di Clemente e Origene53, che condiziona la sua ricezione di quei passi biblici in uso nelle dispute teologiche dei secoli III e IV.
I passaggi storici che segnano la diffusione delle tesi subordinazioniste e delle dottrine di Ario fino al concilio di Nicea (325) sono incerti, ricostruibili soltanto a partire, per lo più, dalle testimonianze degli storici del V secolo, fortemente implicati in controversie a tratti aspre che, probabilmente, prima di Nicea non avevano visto fazioni ecclesiastiche contrapporsi tra loro su base meramente dottrinale. I fatti contestati concernono almeno un primo sinodo tenutosi verosimilmente ad Alessandria nel 318 (più altri, incerti) e un secondo concilio che pare sia stato convocato ad Antiochia nel 324/325. Successivamente alla sconfitta di Licinio nel 324, l’imperatore Costantino scrive una lettera ad Alessandro e Ario invitandoli alla concordia, a soprassedere a questioni dottrinali ritenute irrilevanti e di poca importanza54: all’alba di Nicea (325), dunque, la controversia aveva raggiunto un certo peso, anche secondo le fonti più antiche (Eusebio di Cesarea), le quali tuttavia non consentono di quantificarne la portata.
Ora, per quanto concerne la prima riunione, secondo quanto riportato da Socrate Scolastico, un sinodo, che avrebbe convocato ad Alessandria cento vescovi per volontà di Alessandro, avrebbe condannato Ario55. Grazie a Teodoreto siamo informati della possibile causa del conflitto teologico56. In una lettera indirizzata da Alessandro di Alessandria al collega di Tessalonica, o forse di Bisanzio, probabilmente nel 32457, emerge come tutto nasca da una divergenza circa i modi di interpretare due passi giovannei, già oggetto dell’esegesi di Origene – Gv 14,9 («Chi ha visto me, ha visto anche il Padre») e Gv 10,30 («Il Padre ed io siamo una cosa sola») – che secondo Alessandro sarebbero prova, rispettivamente, della non creaturalità del Figlio e dell’eternità dell’unione Padre-Figlio58. Di qui sarebbe partita la ricerca di appoggio da parte di Ario e dei suoi59, destinata a trovare accoglienza, oltre che presso il vescovo di Nicomedia, Eusebio, a detta di Epifanio anche presso gli episcopati palestinesi di Cesarea, Gerusalemme60, Gaza, Ascalona, Giamnia e di altri luoghi in Siria61. Alessandro sembra aver reagito pubblicando una lettera enciclica per avvisare i colleghi del fatto che Ario stava agendo contro la disciplina ecclesiastica62, mentre sia Ario sia lettere sinodali dalla Siria – come si vedrà tra breve – lo pregavano di riaccogliere il presbitero63.
Gli storici del V secolo – soprattutto Sozomeno – descrivono la diffusione della controversia ariana in Oriente come profondamente radicata e tale da coinvolgere, indirettamente, anche la famiglia dell’imperatore Costantino64: Ario avrebbe potuto contare sull’appoggio di alcune sedi episcopali di Siria (Tiro, Laodicea, Beirut, Lidda, Scitopoli) e Palestina e, tramite Eusebio di Nicomedia, poteva sperare nel sostegno di Teognide di Nicea e Maride di Calcedonia, nonché della sorellastra di Costantino e moglie di Licinio, Costanza, cui il vescovo di Nicomedia era particolarmente vicino. L’atteggiamento di Ario, che ha rotto con la consuetudine ecclesiastica del III secolo (quella di conferire, in occasione di conflitti locali, autorità superiore ai sinodi regionali) e che si è opposto alle decisioni del proprio vescovo, congiunto a precipue rivalità tra sedi episcopali porterebbe ad Alessandro il sostegno dei seggi ierosolimitano (vescovo Macario), tripolitano, più tardi quello antiocheno (soprattutto dopo la consacrazione del filoalessandrino Eustazio) e forse già Ancira (se Marcello, futuro autore di un’opera contro l’ariano sofista Asterio65, vi è già stato consacrato vescovo e ha già preso posizione in senso antiariano). Eusebio di Nicomedia opererebbe inviando lettere ai vescovi della parte orientale dell’Impero – missive di cui ci è pervenuta, grazie a Teodoreto66, solo la copia ricevuta dal vescovo di Tiro Paolino – al fine di sensibilizzarli alla causa ariana in previsione di un sinodo pensato per guadagnare sostegno ad Ario; un sinodo che secondo Sozomeno Eusebio avrebbe convocato in Bitinia (regione in cui si trovava Nicomedia), probabilmente nel 320, e alle cui decisioni Eusebio invitava Alessandro a conformarsi67. La sopracitata lettera di Alessandro di Alessandria al collega di Tessalonica/Bisanzio, riportata da Teodoreto68, attesta il rifiuto del vescovo egiziano, cui sarebbe conseguito l’appello di Ario ai vescovi di Palestina in un sinodo riunitosi probabilmente nel 321/322 (e che, stando sempre a Sozomeno, in realtà non si sarebbe occupato precipuamente della questione ariana), affinché essi potessero sostenere la sua richiesta di essere riammesso al presbiterato69. Il sinodo avrebbe deciso non solo il ristabilimento della condizione presbiterale di Ario, ma anche la possibilità di tornare a esercitarla nella Chiesa alessandrina: una conclusione radicale, dunque, contro ogni regola e tradizione a parziale eccezione del precedente caso di Origene70.
Il secondo evento che bisogna considerare, prima del concilio di Nicea, è il cosiddetto sinodo di Antiochia, che sembrerebbe essersi tenuto tra la fine del 324 e l’inizio del 325 soprattutto al fine di decidere il successore di Filogenio sul seggio antiochiano, scelta di cui beneficiò l’antiariano Eustazio, e incidentalmente per confermare la condanna di Ario e dei suoi sostenitori. Ci è pervenuto al riguardo soltanto un documento, peraltro molto discusso. Si tratta di un’epistola enciclica in una tarda traduzione siriaca forse indirizzata da Ossio di Cordova – il quale avrebbe partecipato al sinodo poiché di passaggio per Antiochia al termine del concilio di Alessandria, verosimilmente del 324, che doveva disciplinare lo scisma di Colluto71 – a un certo vescovo Alessandro72. La lettera afferma che soltanto tre vescovi si rifiutarono di sottoscrivere il simbolo antiariano formulato in questa sede: Teodoto di Laodicea, Narcisso di Nerodiade ed Eusebio di Cesarea, che avrebbero professato idee simili a quelle di Ario73.
Nella tarda primavera del 32574, tramontata l’ipotesi dell’‘antiariana’ Ancira, Costantino convoca a Nicea – sede del filoalessandriano Teognide ma capoluogo non lontano dall’ariana residenza imperiale di Nicomedia – un concilio cui partecipa un indeterminato numero di delegati di tutte le Chiese dell’Impero75: di sicuro oltre duecentocinquanta tra vescovi, corepiscopi, presbiteri, teologi e laici non battezzati76. Per ragioni logistiche, come già nel 314 ad Arles, Costantino concede ai convitati l’utilizzo del cursus publicus (mezzi di trasporto della posta imperiale) e prende parte attiva al concilio: è questa la prima volta in cui si può sostenere con certezza che un imperatore romano presenzi ai lavori di un sinodo. Altri contributi in quest’opera hanno il compito di mettere in evidenza le caratteristiche principali del primo concilio di Nicea e delle decisioni disciplinari ivi prese, nonché il ruolo giocato nel concreto da Costantino77; in questa sede si cercherà di riassumere i momenti salienti della discussione teologica relativa al simbolo e al suo contesto speculativo. Filostorgio, affermando che Alessandro di Alessandria e Ossio si accordarono sul concetto di ὁμοούσιος a Nicomedia prima del concilio78, lascia presumere che i lavori del sinodo siano stati preceduti da una serie di negoziati volti a formare raggruppamenti destinati a collidere tra loro, ma questo resoconto dei preparativi del primo concilio niceno pare troppo condizionato dall’idea di una lotta tra fazioni caratteristica della storia ecclesiastica successiva. È noto, poi, che durante il concilio vengono letti alcuni testi a partire dai quali si aprono le discussioni, che difficilmente, tuttavia, possono essere intese come vere e proprie lotte tra diverse ‘fazioni’ al fine di imporre ciascuna le proprie formule di fede79. Così avviene, ad esempio, a detta di Eusebio di Cesarea, nel giorno in cui presenzia l’imperatore: Costantino pronuncia un discorso, seguito da quello del vescovo che verosimilmente presiede i lavori, dopodiché iniziano le procedure decisionali80. Atanasio attesta, inoltre, che viene data lettura di alcuni brani del poema teologico di Ario, la Thalia81. È tuttavia più interessante, sotto il profilo delle discussioni teologiche, quanto afferma Eustazio in Teodoreto, che parla della lettura di un brano blasfemo «di Eusebio» – senza specificare se Eusebio di Cesarea o Eusebio di Nicomedia – che avrebbe suscitato una reazione tale da spingere la fazione proariana più estremista (quella capeggiata da Eusebio di Nicomedia, comunemente nota come degli ‘eusebiani’) a ripiegare sulle difensive, inducendo invece il gruppo ariano più moderato a concordare con le conclusioni del concilio82. Peraltro proprio a tal proposito avrebbe fatto ingresso, tra i concetti elaborati o comunque discussi e votati a Nicea, la nozione di ὁμοούσιος, o introdotta da Eusebio di Nicomedia83 – forse per accusare gli avversari di tendenze manichee84 – oppure dallo stesso imperatore Costantino, come attestato da una lettera che Socrate e Teodoreto attribuiscono a Eusebio di Cesarea, probabilmente nota anche ad Atanasio85. Il termine, in ogni caso, che come si è visto era verosimilmente già comparso in occasione di precedenti dispute teologiche, presenta delle affinità con alcuni teologemi tertullianei, dunque non era del tutto incomprensibile per la Chiesa latina e addirittura attribuito, da Atanasio, a Ossio di Cordova86, il cui ruolo sarà sottolineato anche da Ilario di Poitiers87. Di contro, Basilio di Cesarea attribuirà la redazione del testo del simbolo al suo predecessore sul seggio palestinese, Ermogene88.
Questa incertezza può essere letta come un segno della relativamente scarsa importanza attribuita dai teologi al termine ὁμοούσιος negli anni immediatamente successivi al primo concilio di Nicea89. È tuttavia indubitabile che tale simbolo di fede traccerà per la prima volta il limite tra dottrine subordinazioniste e non, fornendo per il futuro un criterio per la verifica dell’ortodossia delle varie dottrine teologiche90. Almeno cinque sono i punti che ne definiscono i parametri: Dio creatore è ποιητής e non più meramente κτίστης; il Logos diviene inequivocabilmente «Unico Signore», unico «generato» dal Padre e a lui ὁμοούσιος; vengono bandite frasi ambigue e interpretabili in senso subordinazionista grazie all’aggiunta di espressioni come «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero»; si contribuisce a promuovere la riflessione pneumatologica in chiave antisubordinazionista, che troverà formulazione nel simbolo del concilio di Costantinopoli (381)91; viene infine anatematizzata la dottrina della generazione del Figlio92. Il testo fu quindi votato e si dichiararono contrari ventidue vescovi secondo Filostorgio, diciassette secondo Sozomeno93. È legittimo pensare che l’imperatore abbia forzato la chiusura dei lavori, nei tempi e nei modi – esiliando chi non accettava di sottoscrivere le conclusioni del concilio – caratteristici nel caso di decisioni su una questione come quella della controversia teologica, che non considerava importante94.
Complessivamente, a ogni buon conto, volendo trarre dalla vicenda un bilancio circa la ricezione del ruolo di Costantino a Nicea da parte dei Padri greci, si può affermare che non è possibile stabilire fino a che punto fu determinante il peso dell’operato dell’imperatore sulle decisioni di ordine teologico prese al concilio. A proposito del tema più generale della presenza dell’imperatore a Nicea, infatti, il resoconto della Vita Constantini di Eusebio95, che descrive l’ingresso dell’imperatore al concilio menzionandone gli sforzi spesi per il mantenimento dell’ordine e per il rispetto della procedura, nonché per la diffusione delle decisioni, è in linea di principio il solo su cui fare affidamento perché è fondamentalmente quello cui anche gli storici del V secolo si ispirano. A questo riguardo vale la pena ricordare che gli storici successivi, di fatto, non si dimostreranno neppure particolarmente interessati alla questione del possibile inserimento, da parte di Costantino, dell’ὁμοούσιος nel simbolo (ad eccezione di Socrate e Teodoreto che riportano la lettera attribuita a Eusebio in cui ciò viene affermato96), e questo perché a quell’epoca l’influenza dell’imperatore nelle decisioni di fede è un problema ancora aperto che si riflette nelle posizioni da loro rispettivamente assunte in relazione al ruolo di Teodosio II – definito «sommo sacerdote» al concilio (il cosiddetto brigantaggio) di Efeso del 44997. L’immagine di Costantino a Nicea da essi tramandata è, quanto meno da parte dei tre ‘sinottici’ Socrate, Sozomeno e Teodoreto, con le dovute differenze d’accento, quella dell’imperatore che cerca di preservare la pace all’interno della Chiesa98. L’ariano Filostorgio invece, pur debitore – forse anche più dei suoi tre colleghi ortodossi – in termini di fonti utilizzate, nei confronti della vita Costantini di Eusebio, mette in evidenza soprattutto l’inganno subito dall’imperatore a opera dei filoalessandriani a Nicea99.
Le vicende intraecclesiali degli anni compresi fra il 325 (concilio di Nicea) e il 335 (concilio di Tiro) sono le meno documentate da Eusebio di Cesarea, l’unico storico della Chiesa a esse contemporaneo. Questo segmento di tempo è identificabile – oltre che dall’episcopato di Atanasio ad Alessandria – dalla marginalizzazione della figura di Ario e dal contemporaneo inasprimento dello scontro tra teologi d’impostazione ‘monarchiana’, che concepiscono la divinità in una sola ipostasi, e i teologi ‘subordinazionisti’, che preferiscono pensare a tre ipostasi. Ciascun raggruppamento tenta d’ampliare i propri consensi presso (altre) sedi episcopali e presso l’imperatore stesso, in tal caso anche al fine di far predisporre l’esilio dei propri avversari100. Stando a quel che riportano gli storici del V secolo, il tratto emblematico della politica ecclesiastica costantiniana degli anni successivi a Nicea sta nell’abbandono, da parte dell’imperatore, delle posizioni ‘antiariane’, o antisubordinazioniste, che culmina con la riabilitazione di Ario nel 336 e soprattutto con il battesimo impartito da Eusebio di Nicomedia all’imperatore poco prima di morire, nel 337101. Sono almeno due le ipotesi sul motivo di quello che sembra un cambio d’orientamento da parte di Costantino, che lo porta ad abbandonare le posizioni di Eustazio e, soprattutto, di colui che, per un certo tempo, è stato probabilmente il suo consigliere in materia teologica e di politica ecclesiastica: Ossio di Cordova102. Si può pensare, infatti, che Costantino avesse percepito che la concezione dei rapporti intradivini di tipo mono-ipostatico, caratteristica della teologia monarchiana moderata diffusa in Occidente – soprattutto nella Chiesa di Roma103 – sarebbe risultata incomprensibile alla maggior parte dei teologi d’Oriente influenzati dalla visione, di matrice origeniana, delle tre ipostasi divine104. In alternativa si può ritenere che influiscano su Costantino le posizioni di quei teologi con cui l’imperatore sembra essere entrato in contatto a Drepanon – attuale Hersek –, in seguito denominata da Costantino Elenopoli in quanto città di nascita della madre Elena105. La città, infatti, vicinissima geograficamente a Costantinopoli e frequentata dall’imperatore perché località termale, era anche un luogo caro a quei teologi ‘filoariani’ che si definivano collucianisti, discepoli cioè del martire Luciano di Antiochia, le cui spoglie erano, appunto, conservate e venerate qui. È proprio l’ariano Filostorgio a suggerire quest’ipotesi affermando che Elena, dopo il 326, si sarebbe accostata al culto del martire Luciano106. Nel Chronicon Paschale, inoltre, è attestato che Costantino stesso predispose il trasferimento delle reliquie di Luciano in una chiesa di nuova costruzione, nel 328107. Entrambe le possibilità sono del resto coerenti con la caratteristica principale dei resoconti dei tre storici ‘sinottici’, Socrate, Sozomeno e Teodoreto, su cui influisce la cosiddetta tradizione atanasiana, cioè quanto Atanasio riporta soprattutto nella sua Apologia secunda: tutti e tre si sforzano di presentare la politica ecclesiastica seguita da Costantino dopo Nicea come frutto dell’inganno messo in atto ai suoi danni dai teologi antiniceni108.
La deposizione e l’esilio del filoniceno Eustazio di Antiochia costituiscono probabilmente il primo segno del cambio di orientamento da parte dell’imperatore in favore dei vescovi di posizioni teologiche antinicene e segnano l’inasprimento dei conflitti intraecclesiali. Il vescovo di Cesarea sembra aver avuto un ruolo di primo piano nella vicenda, sia per ragioni teologiche sia per motivi di politica ecclesiastica: nel primo caso Eusebio, autore di un’opera polemica contro il monarchiano collega di Ancira, Marcello (Contra Marcellum), potrebbe essersi rivolto contestualmente anche a Eustazio109; nel secondo caso, invece, egli avrebbe reagito al tentativo, da parte di Eustazio, di conquistarsi un ruolo primaziale nella regione della Palestina110.
Le accuse mosse a Eustazio sono principalmente di natura morale: soprattutto Teodoreto, che ha accesso a una tradizione locale111– originario di Antiochia e pertanto, da antiariano qual è, strenuo difensore dell’ortodossia di Eustazio112 –, riporta la leggenda, di tono agiografico, dell’accordo tra Eusebio di Nicomedia, Teognide di Nicea, Eusebio di Cesarea, Teodoto, Aezio di Lidda e Patrofilo volto ad accusare Eustazio per aver avuto un figlio da una prostituta113. È probabilmente questo l’unico modo per ottenere l’appoggio di Costantino all’esilio di un filoniceno come Eustazio114.
Come si evince dagli atti del concilio di Serdica del 342/343, Eustazio verrebbe deposto da un sinodo presieduto da Eusebio di Cesarea, che forse riserva la medesima sorte anche ad Asclepa di Gaza, e che si riunisce ad Antiochia prima del 330115; il vescovo di Antiochia verrà esiliato in Tracia, probabilmente nel 328, dove più tardi morirà. Il seggio vacante sarà offerto a Eusebio di Cesarea che, come lui stesso attesta, lo rifiuterà – probabilmente per la difficoltà di operare in una sede come quella antiochena divisa tra pro e antiniceni in crescente lotta tra loro – ottenendo per questo il placito di un Costantino ancora visibilmente orientato a una posizione filonicena116. Da quelli che sembrano gli atti del concilio che estromette Eustazio117 si percepiscono tre intenti nelle decisioni del sinodo: rafforzare la posizione del metropolita (can. 9) in modo da circoscrivere il primato di Antiochia; ridurre l’appello dei chierici all’imperatore (can. 11 e 12), così che solo alcune figure potessero godere di questo privilegio e soprattutto affinché l’accordo di tutti i vescovi della provincia fosse la condizione necessaria per appellarsi all’imperatore; se il sinodo provinciale non aveva raggiunto una decisione unitaria in merito al giudizio di un vescovo, doveva essere il metropolita – a titolo esclusivamente eccezionale – a trattare la questione assieme ai vescovi della provincia vicina (can. 14 e 15)118.
La deposizione di Eustazio è la prima di una lunga serie. Oltre a quella, già citata perché probabilmente contestuale, di Asclepa di Gaza, Atanasio ricorda, in h. Ar. 5, le deposizioni dei vescovi Eufrazione di Balaneae, Cimazio di Palto, Carterio di Antarado, Ciro di Beroea, Diodoro di Tenedo, Domnione di Sirmio, Ellanico di Tripoli, Eutropio di Adrianopoli119. Una sorte diversa toccherà a Marcello, che resisterà sul suo seggio ad Ancira fino al 336. Marcello120 è esponente di un monarchianismo radicale (per cui il Logos è soltanto una facoltà operativa di Dio) e sotto il profilo strettamente dottrinale121, in un’opera pensata per confutare le dottrine del filoariano sofista Asterio ha sostenuto la natura monadica della relazione intradivina, mediante l’ausilio del binomio aristotelico δύναμις (Logos)-ἐνέργεια (Padre)122: in luogo di una «trinità» Marcello ipotizza una dilatazione triadica della monade destinata a riassorbirsi nell’unità123. Di conseguenza, per lui non è né necessario supporre che Logos e Padre siano due πρόσωπα distinti né comprensibile che si possa concepire in modo monadico tre distinte ὑποστάσεις124. Al concilio di Tiro (335) Marcello disapprova la condanna di Atanasio ivi espressa e, recatosi assieme agli altri convitati al sinodo a Gerusalemme nel 336, in occasione delle celebrazioni del trentennale del regno di Costantino, infastidito dalla riabilitazione di Ario da parte dell’imperatore, si rifiuta di partecipare ai festeggiamenti e, per tali suoi atteggiamenti, al concilio di Gerusalemme (336) è accusato di paulianismo e costretto a promettere di distruggere il suo scritto; cosa che non farà, guadagnando così, pochi mesi dopo, a Costantinopoli, l’esilio. Al posto di Marcello, che ritornerà ad Ancira solo dopo l’amnistia concessa da Costantino II125, viene eletto il medico Basilio126. Subito dopo la deposizione di Marcello Eusebio di Cesarea dedica due opere alla confutazione del suo pensiero, il De ecclesiastica theologia e il Contra Marcellum.
Il caso di deposizione di vescovo destinato a divenire davvero paradigmatico nella storiografia antica successiva a Eusebio si verificherà tra Tiro (335) e Costantinopoli (336): è quello di Atanasio e la sua esemplarità è data dall’influenza che avrà la sua Apologia secunda soprattutto sugli storici del V secolo, Socrate, Sozomeno e Teodoreto127. La scelta di Atanasio – consacrazione avvenuta nel giugno del 328 – sul seggio alessandrino è comprensibile alla luce della cosiddetta controversia ariana e di quella meliziana, come attestano rispettivamente fonti agiografiche e lo stesso Atanasio, ma come si ricava anche dai resoconti di Sozomeno e Filostorgio128. L’episcopato di Atanasio si caratterizza per la sua politica aggressiva ed energica nei confronti della situazione conflittuale che caratterizza la Chiesa della metropoli egiziana129. Sono almeno quattro le tappe che conducono alla deposizione del vescovo di Alessandria: le violenze perpetrate nei confronti del presbitero meliziano Ischira (330-332); il tentativo, da parte degli oppositori di Atanasio, di accusarlo penalmente (332-333); la presunta convocazione del sinodo di Cesarea (334); la nomina di Filagrio a praefectus Aegypti da parte di Costantino (335). I rapporti tra clero ‘cattolico’ e clero meliziano, dopo Nicea, si fanno tesi: alla guida del vescovo di Menfi Giovanni Arkaf, i meliziani cercano di opporsi alle decisioni nicene che, pur riconoscendoli, li vollero di rango inferiore rispetto ai colleghi del clero cattolico130. Probabilmente nel 330, il presbitero Macario, inviato da Atanasio in un villaggio della Mareotide nell’ambito di una serie di visite pastorali volute dal primate alessandrino all’inizio del suo episcopato131, si rende protagonista di alcuni episodi di violenza nei confronti del presbitero meliziano locale, Ischira132, culminati con l’irruzione nella sua abitazione e il rovesciamento dell’altare e la rottura del calice usato per celebrare133. Atanasio giustifica il comportamento di Macario perché ritiene invalida l’ordinazione di Ischira in quanto impartita dal deposto presbitero scismatico Colluto134. Questo episodio suscita varie reazioni contro il vescovo alessandrino – come attesta il caso di Callinico di Pelusio, che nega la propria comunione con Atanasio – concretizzatesi con un’immediata prima accusa nei confronti di Atanasio presso l’imperatore135. Nel 331, infatti, Costantino invita Atanasio a raggiungerlo a Nicomedia e lo scagiona completamente, sicché nel marzo 332 il vescovo torna ad Alessandria da «uomo di Dio»136, mentre Ischira viene fatto imprigionare137.
Nel 332/333 gli oppositori di Atanasio cercano di accusarlo – questa volta penalmente – di aver disposto l’assassinio del vescovo meliziano di Ipselo, Arsenio. Viene pertanto coinvolto l’imperatore che, stando a quanto attesta Atanasio, ordina che sia il fratellastro Flavio Dalmazio a istruire il processo ad Antiochia. Arsenio viene però ritrovato in un nascondiglio e ciò proscioglie Atanasio da ogni accusa138. È probabile che, contemporaneamente a quanto accade ad Antiochia, Ario si rivolga a Costantino presentandogli una professione di fede apparentemente in linea con Nicea, anche se in realtà fortemente subordinazionista. Ce ne informa Atanasio139, che riporta anche la conseguente apertura da parte dell’imperatore a un personale confronto con Ario, che tuttavia non deve essere andato a buon fine poiché, sempre Atanasio, sostiene che nel 333 Costantino emana un editto di condanna nei confronti di Ario140. Ciononostante – piuttosto inspiegabilmente se non per l’influenza di Eusebio di Nicomedia su Costantino – nello stesso anno viene fatta recapitare ad Atanasio una lettera dell’imperatore, che lo prega di riaccogliere Ario ad Alessandria141. Inoltre, stando all’indice siriaco delle lettere festali142, sembra che gli oppositori di Ario riescano a ottenere la convocazione di un sinodo a Cesarea nel 334: è in quest’occasione che verrebbero elaborate le accuse ‘classiche’ mosse nei confronti di Atanasio, relative al suo comportamento tirannico e ribelle nei confronti dell’imperatore143. L’atteggiamento di Costantino nei riguardi di Atanasio, in ogni caso, tra il 333 e il 335 muta radicalmente: nel 335, infatti, il sovrano nomina praefectus Aegypti Filagrio, un energico sostenitore degli eusebiani144 che accresce molto la forza degli oppositori ‘filoariani’ di Atanasio nella metropoli egiziana.
Per risolvere la controversia esplosa attorno alla figura di Atanasio e alla sua politica ecclesiastica, Costantino convoca nel 335 un concilio a Tiro, dal momento che, secondo Teodoreto, Atanasio si era rifiutato di partecipare a quello di Cesarea145. In effetti, che la convocazione del sinodo di Tiro sia necessaria proprio in seguito all’assenza di Atanasio a un precedente incontro è suggerito da quanto affermato in Eusebio da Costantino stesso146, che indirizza una minaccia di esilio nei confronti di quanti non avessero partecipato. L’imperatore dispone che sia il consularis Syriae Dionigi147, con al seguito alcuni soldati (utilizzati almeno in un caso, secondo Atanasio, per obbligare proprio quest’ultimo a partecipare148) a sorvegliare sul corretto andamento dei lavori149. Il concilio si apre in modo sfavorevole per Atanasio, dal momento che il suo presbitero Macario, accusato di violenza ai danni di Ischira, vi compare incatenato150; vi partecipano alcuni vescovi che appoggiano il metropolita alessandrino (Marcello di Ancira, Alessandro di Tessalonica, Pafnuzio e Polemone), ma dall’atto di accusa riportato da Sozomeno151 si può ritenere che la maggior parte di essi sia costituita dai suoi oppositori meliziani o eusebiani (Eusebio di Nicomedia, Teognide di Nicea, Narcisso di Neronia, Eusebio di Cesarea, Patrofilo di Scitopoli, Massimo di Gerusalemme, Valente di Mursia, Ursacio di Singinduno). La presidenza è affidata al vescovo Flacillo di Antiochia, amico di Eusebio di Cesarea152.
Per fare luce sul caso delle violenze perpetrate ai danni di Ischira (rovesciamento dell’altare e infrangimento del calice) è nominata e inviata in Egitto una commissione, che, stando al confronto tra quanto riferisce Atanasio e la narrazione di Sozomeno153, impiega circa due mesi a formulare in modo completo l’accusa nei confronti dell’Alessandrino. In suo favore, nel frattempo, sono intervenute anche le accuse di Pafnuzio e Polemone contro Eusebio di Cesarea per aver tenuto un atteggiamento pavido durante le persecuzioni, ma in ogni caso, per l’assenza al sinodo di Cesarea del 334, l’insubordinazione a quello di Tiro e la responsabilità nella vicenda di Ischira, si dispone che Atanasio sia deposto ed esiliato da Alessandria. I lavori della commissione sono stati resi possibili dalla collaborazione di Filagrio, praefectus Aegypti ‘filoariano’. A proposito di tale sinergia tra funzionari statali e vescovi – singolare, se confrontata con il coinvolgimento di Anullino ai tempi della crisi donatista154 –, se quanto emerge da Sozomeno e Atanasio è vero, si può affermare che questo concilio per la prima volta, dopo il caso del tutto particolare di Paolo di Samosata, vede la trasformazione di orientamenti teologici in fazioni ecclesiastiche in lotta tra loro, disposte all’uso della milizia statale pur di prevalere le une sulle altre155.
Le vicende che, di qui, portano alla condanna definitiva di Atanasio (la cui motivazione ultima ufficiale pare essere stata la minaccia di bloccare l’approvvigionamento di grano dall’Egitto alla capitale), riguardano meno la teologia patristica nel suo insieme e più il pensiero specifico di Eusebio di Cesarea, le peculiarità della politica ecclesiastica di Costantino o la corsa al potere da parte dei vescovi, tutti temi già oggetto di altri contributi in quest’opera156. Come già si è anticipato, i partecipanti al concilio di Tiro saranno fatti chiamare dall’imperatore a Costantinopoli per la celebrazione del trentennale del regno; Marcello d’Ancira, in segno di protesta per la condanna di Atanasio, non prenderà parte ai festeggiamenti. Un altro concilio, riunitosi a Gerusalemme nel 336 in occasione della presenza in loco di un gran numero di vescovi concordi nella condanna di Atanasio a Tiro, per adempiere il desiderio costantiniano di concordia intraecclesiale, riabiliterà Ario. Nel frattempo Atanasio, fuggito da Tiro, si appella direttamente a Costantino fermandolo mentre cavalca durante il viaggio di ritorno a Costantinopoli157; la condanna di Atanasio viene suggellata a Costantinopoli nel 336 dall’imperatore e da un ristretto gruppo di vescovi, probabilmente lo stesso che formò la commissione di inchiesta a Tiro nel 335 .
Dalla vittoria su Licinio (324) alla morte di Costantino (337) – fondamentalmente nel primo decennio della cosiddetta controversia ariana –, la teologia cristiana di lingua greca pare mutare d’aspetto: le differenze teoretiche si trasformano in contrapposizione tra fazioni. Con ciò non bisogna intendere che, in passato, le divergenze di natura dottrinale non avessero dato luogo a momenti di tensione talora aspri tra teologi, basti pensare a quella che si può definire la crisi gnostica dei secoli II e III. Tuttavia le differenze fondamentali tra il periodo precedente e questo momento sembrano essere almeno due: la dimensione speculativa assume un ruolo paritario, o addirittura superiore, a quella pratico-liturgica – originariamente culla della stessa ‘controversia ariana’ – e per la prima volta il potere politico serve davvero a dare autoritatività a quelle che precedentemente erano verità di ragione.
In questo periodo lo stesso Costantino muta orientamento, da filo ad antiniceno. Le fonti non permettono di comprendere a pieno i motivi di questo cambiamento, ma non si può sostenere una consapevole volontà da parte dell’imperatore – e forse neppure la capacità – di entrare come protagonista nelle raffinatezze dei vari dibattiti speculativi. Bisogna piuttosto pensare alla strategia politica dei vescovi che hanno bisogno del potere secolare per tramutare in fatti, per esempio, le decisioni di eliminare (deposizione ed esilio) i propri rivali, e alle necessità strategiche, avvertite da Costantino, di appoggiare un gruppo piuttosto che altri al fine di controllare i livelli più bassi della stratificazione sociale, là dove gli apparati dell’amministrazione statale non riescono a giungere. È in questo modo che le controversie teologiche cominciano ad assumere rilevanza politica e, soprattutto negli anni successivi al regno di Costantino, aumenteranno notevolmente il numero e l’intensità degli episodi di violenza intraecclesiale. Questo è un tratto senza dubbio non caratteristico della teologia patristica precostantiniana158.
Infine, per quanto concerne la questione del mito di Costantino quale imperatore cristiano bisogna rilevare come, al di fuori del caso di Eusebio159, essa non sia particolarmente sentita fra i teologi dell’era costantiniana, e verosimilmente neppure per la prima generazione di storici che ci raccontano di questo periodo, per i quali la figura di Costantino è piuttosto marginale.
È vero, in ogni caso, che su questi ultimi alcuni teologi precedenti hanno esercitato un’influenza maggiore rispetto ad altri proprio in ragione delle controversie teologiche che hanno caratterizzato quel periodo. In tale contesto un ruolo di primo piano spetta ad Atanasio, riconosciuto come il paladino della fede nicena.
1 Fonti: per le fonti principali sulla ‘fase costantiniana’ della controversia ariana, si rimanda a Dokumente zur Geschichte des arianischen Streites, hrsg. von H.Ch. Brennecke, U. Heil, A. von Stockhausen et al., Berlin-New York 2007 e Eusebio di Cesarea (Über das Leben des Kaisers Konstantin, hrsg. von F. Winkelmann, Berlin 1975); cfr. in ogni caso Atanasio (Die Apologien, hrsg. von H.Ch. Brennecke, U. Heil, A. von Stockhausen, Berlin-New York 2005), che aggiorna e corregge le edizioni di Hans-Georg Opitz (1935) di decr. (pp. 1-45), syn. (pp. 231-278), h. Ar. (pp. 183-230), apol. sec. (pp. 87-168, da accompagnare con la lettura di L.W. Barnard, Studies in Athanasius’Apologia Secunda, Bern-Frankfurt a.M-New York-Paris-Wien), Dion. (46-67 per cui si rimanda al commento di Uta Heil in Athanasius von Alexandrien, De Sententia Dionysii, hrsg. von U. Heil, Berlin-New York 1999), Epifanio (Epiphanius, Panarion haer. 65-89 - De fide, hrsg. von K. Holl, J. Dummer, 2 voll., Leipzig 19852), Gelasio (Anonyme Kirchengeschichte [Gelasius Cyzicenus, CPG 6034], hrsg. von G.C. Hansen, Berlin-New York 2002), Socrate Scolastico (Socrate de Constantinople, Histoire Ecclésiastique, éd. par G.C. Hansen, P. Périchon, P. Maraval, Paris 2004-2007), Sozomeno (Sozomène, Histoire Ecclésiastique, éd. par J. Bidez, A.J. Festugière, G. Sabbah et al., Paris 1983-2008), Teodoreto (Théodoret de Cyr, Histoire ecclésiastique, éd. par L. Parmentier, G.C. Hansen, J. Bouffartigue et. al., Paris 2006-2009) e Filostorgio (Philostorgius, Kirchengeschichte, hrsg. von J. Bidez, F. Winkelmann, Berlin 1981). Per un inquadramento bibliografico di carattere generale e per indicazioni sulla letteratura più datata si vedano le voci: A.M. Ritter, Arianismus, in TRE, 3 (1978), pp. 692-718; H.Ch. Brennecke, Nicäa. I Ökumenische Synode von 325, in TRE, 24 (1994), pp. 429-441; A.M. Ritter, Dogma und Lehre in der Alten Kirche, in HDThG, 1 (19992), pp. 113-187. Una panoramica più dettagliata sul dibattito storiografico recente può essere ricostruita a partire da H. Kraft, Kaiser onstantins religiöse Entwicklung, Tübingen 1955; M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975; A. Grillmeier, Jesus der Christus im Glauben der Kirche, I, Von der Apostolischen Zeit bis zum Konzil von Chalcedon (451), Freiburg 19792; R. Williams, Arius. Heresy and Tradition, London 1987; T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA)-London 1981; U. Loose, Zur Chronologie des arianiscen Streites, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 101 (1990), pp. 88-92; A.M. Ritter, Arius redivivus? Ein Jahrzwölft Arianismusforschung, in Theologische Rundschau, 55 (1990), pp. 113-187; T. Böhm, Die Christologie des Arius. Dogmengeschichtliche Überlegungen unter besonderer Berücksichtigung der Hellenisierungsfrage, St. Ottilien 1991; T.D. Barnes, Athanasius and Constantius. Theology and Politics in the Constantinian Empire, Cambridge (MA)-London 1993; M. Simonetti, Studi sulla cristologia del II e III secolo, Roma 1993; H. Leppin, Von Constantin dem Großen zu Theodosius II. Das christliche Kaisertum bei den Kirchenhistorikern Sokrates, Sozomenus und Theodoret, Göttingen 1996; A. Martin, Athanase d’Alexandrie et l’Église d’Égypte au IVe siècle, Rome 1996; La nascita di una cristianità [250-430], a cura di Ch. Pietri, L. Pietri, A. Di Berardino, Roma 2000; Ch. Markschies, Theologische Diskussionen zur Zeit Konstantins. Arius der ‘arianische Streit’ und das Konzil von Nicaea, die nachnizänischen Auseinandersetzung bis 337, in Id., Alta Trinità Beata. Gesammelte Studien zur altkirchlichen Trinitätstheologie, Tübingen 2000, pp. 99-195; M. Fédou, L’écriture de l’histoire dans le Christianisme ancien, in Revue des Sciences Religieuses, 92 (2004), pp. 539-568; The Bible in Athanasius of Alexandria, ed. by J.D. Ernest, Boston-Leiden 2004; X. Morales, La théologie trinitaire d’Athanase d’Alexandrie, Paris 2006; J. Roldanus, The Curch in the Age of Constantine. The theological challenges, London-New York 2006; A. Martin, Les continuateurs grecs d’Eusèbe de Césarée: le cas de Théodoret, in Adamantius, 16 (2010), pp. 88-100; Athanasius Handbuch, hrsg. von P. Gemeindardt, Tübingen 2011; Philostorge et l’Historiographie de l’Antiquité tardive / Philostorg im Kontext der spätantiken Geschichtsschreibung, éd. par. hrsg. von D. Meyer, Stuttgart 2011; D.M. Gwynn, Athanasius of Alexandria. Bishop, Theologian, Ascetic, Father, Oxford 2012. Per indicazioni di dettaglio su Eusebio di Cesarea si vedano infine, in questa stessa opera, i contributi di M. Rizzi; E. Prinzivalli; A. Monaci Castagno; S. Morlet; D. Dainese, La Vita e le Laudes Constantini; M. Simonetti, L’esegesi di Eusebio e la figura di Costantino.
2 Cfr. Eus., h.e. V 28,1-19.
3 Di questa matrice è anche la teologia cosiddetta ebionita, dal nome genericamente attribuito a vari gruppi giudeo-cristiani – per il termine ‘giudeo-cristianesimo’ si vedano gli studi raccolti in Jewish Believers in Jesus, a cura di O. Skarsaune, R. Hvalvik, Peabody (MA) 20072 – che, pur negando la preesistenza del Figlio di Dio, riconoscevano in Gesù un che di trascendente (così in A. Grillmeier, Jesus der Christus im Glauben der Kirche, I, Von der apostolischen Zeit bis zum Konzil von Chalzedon [451], Freiburg 19792, p. 185).
4 Cristologie pneumatiche e angelomorfice sono destinate a perdurare a lungo e in varie forme: si veda il recente studio di B.G. Bucur, Angelomorphic Pneumatology. Clement of Alexandria and Other Early Christian Witnesses, Leiden-Boston 2009.
5 Così in Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 105.
6 Sull’apporto di Filone alla dottrina cristiana del Logos, non solo di ambito alessandrino, il resoconto probabilmente più completo, sul piano delle fonti utilizzate, è ancora quello offerto da S.R.C. Lilla, Clement of Alexandria. A Study in Christian Platonism and Gnosticism, Oxford 1971, pp. 92-96 e 113-114.
7 «Nel giorno in cui ti chiamerò, rispondimi subito».
8 «Io ero là […] io ero presso di lui come ordinatrice».
9 «Nessuno ha mai visto Dio; il Dio unigenito che è nel seno del Padre: questi ce l’ha fatto conoscere».
10 «Farò misericordia di chi voglio e avrò pietà di chi desidero».
11 «Egli è l’immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione».
12 «Completo nel mio corpo i patimenti del Cristo per il suo corpo che è la Chiesa».
13 Su cui si veda A. D’Anna, Giustino, philosophus et martyr, in Ricerche storico-bibliche, 23 (2011), pp. 145-159.
14 Cfr. M. Simonetti, Cristologia, cit., pp. 184-189.
15 Su Sabellio si vedano: W.A. Bienert, Sabellius und Sabellianismus als historiscehes Problem, in Logos. Festschrift für L. Abramowski zum 8. Juli 1993, hrsg. von H.C. Brennecke, E.L. Grasmück, Ch. Markschies, Berlin-New York 1993, pp. 124-139.
16 Di qui la denominazione di ‘patripassianismo’, Cfr. Cypr., Epist. 73,4.
17 Cfr. Eus., h.e. VII 6.
18 Ath., Dion. 18,1 e cfr. anche Ath., decr. 26,7.
19 Le influenze del pensiero di Origene nella teologia patristica in lingua greca che porta alla riflessione di Ario si misurano anche nell’insegnamento di Luciano di Antiochia, tra i maestri del presbitero alessandrino, per cui si rimanda a Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., pp. 116-119.
20 Cfr. J. Rius-Camps, El dinamismo trinitario en la divinizacion de los seres racionales segun Origenes, Roma 1970.
21 Su questo concetto e sull’eredità di Clemente Alessandrino in Origene, si rimanda a D. Dainese, Clement of Alexandria’s Refusal of Valentinian ἀπόρροια, in Studia Patristica, 47 (2013), in corso di stampa.
22 Concetto che Origene tende a esprimere con il termine tecnico ὑπόστασις, il cui significato, per l’Alessandrino, viene espresso talora e diversamente da Aristotele – da cui, in ultima analisi, questo lessico deriva – con i termini οὐσία, ὑποκείμενον e φύσις. Cfr. Or., Io. II 10; princ. I 3,7 e IV 2,2.
23 Cfr. Or., Io. XIX 2.
24 Cfr. Ch. Markschies, Ambrosius von Mailand und die Trinitätstheologie. Kirchen- und theologiegeshcichtliche Studien zu Antiarianismus und Neunizänismus bei Ambrosius und im lateinischen Westen 364-381 n-Chr., Tübingen 1995, pp. 12-31.
25 Tert., adv. Prax. 2,4.
26 Cfr. Eus., h.e. VII 26 e cfr. H. Boehmer-Romandt, Über den litterarische Nachlaß des Wulfila und seiner Schule, in Zeitschrift für wissenschaftliche Theologie, 46 (1903), pp. 233-269.
27 Per una ricostruzione sull’autenticità di questo documento e sulla possibilità che la discussione possa essere stata risolta in un sinodo, cfr. J.A. Fischer, A. Lumpe, Die Synoden von den Anfängen bis zum Vorabend des Nicaenums, Paderborn-München-Wien-Zürich 1997, pp. 345-347.
28 Peraltro Sabellio era stato già condannato da Callisto I e in ogni caso, la teologia dei vescovi di Roma di quegli anni è quella che possiamo definire di un monarchianismo moderato; si veda il contributo di E. Castelli in questa stessa opera.
29 Basilio (ep. 9,2), nello specifico, pare attestare – in modo controverso – la difficoltà da parte di Dionigi ad accettare il concetto di Figlio ὁμοούσιος al Padre. Cfr. J.A. Fischer, A. Lumpe, Die Synoden, cit., pp. 347-349.
30 Così secondo R.P.C. Hanson, The Search for the Christian Doctrine of God. The Arian Controversy, 318-381, Edinburgh 1988, pp. 3-128. Cfr., anche per la ricostruzione del dibattito, Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 115.
31 Per le fonti sulla dottrina del Samosateno cfr. Eus., h.e. VII 27 e soprattutto Epiph., haer. 65-66.
32 Hil., syn. 81; Ath., syn. 43-45; Bas., ep. 52,1. Si veda Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., pp. 115-116 per la ricostruzione del dibattito storiografico.
33 Si veda il contributo di D. Dainese, Concili e sinodi, in questa stessa opera.
34 Si veda in questa stessa opera il contributo di D. Dainese, Concili e sinodi.
35 Così Soz., h.e. I 15,1-2.
36 Cfr. Epiph., haer. 69,1,1.
37 Non sappiamo se Ario ricevette una formazione origeniana in Alessandria o ad Antiochia, come discepolo di Luciano.
38 Per una presentazione esaustiva della produzione di Ario e delle interpretazioni datene dalla storiografia, si veda Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., pp. 124-127.
39 Ar., ep. Alex. 4.
40 Cfr. Ath., syn. 15,3 e Ar., ep. Alex. 4.
41 Cfr. in partic. str. V 14,93,5.
42 Cfr. A. Choufrine, Gnosis, Theophany, Theosis: Studies in Clement of Alexandria’s Appropriation of His Background, Bern-Frankfurt a.M. 2002, pp. 186-191 e P. Ashwin-Siejkowski, Clement of Alexandria. A Project of Christian Perfection, London-New York 2008, pp. 51-54.
43 Ar., ep. Eus. 5.
44 Cfr. Ath., Ar. 1,5,3. Per il dibattito sull’autenticità di questo testo, cfr. P. Nautin, Deux interpolations orthodoxes dans une lettre d’Arius, in Analecta Bollandiana, 67 (1949), pp. 131-141; R. Lorenz, Arius judaizans? Untersuchungen zur dogmengeschichtlichen Einordnung des Arius, Göttingen 1979, pp. 54-55 e M. Simonetti, Studi sull’arianesimo, Roma 1965, pp. 88-109.
45 Cfr. Ar., ep. Alex. 4.
46 Cfr. Ar., ep. Alex. 2 ed ep. Eus. 5.
47 Cfr. Ar. ep. Eus. 4 ed ep. Alex. 3. Per la ricezione di Alessandro di Alessandria e Atanasio di questa caratteristica della generazione del Figlio, si vedano: Alex. Al., ep. Alex. 23-24 (in Thdt., h.e. I 4,1-61); Ath., Dion. 23,1 e R. Lorenz, Arius judaizans?, cit., pp. 77-78.
48 Che Ario stesso peraltro appoggia, cfr. Ar., ep. Alex. 4. Si vedano: R. Lorenz, Arius judaizans?, cit., pp. 86-92 e R. Williams, Arius. Heresy and Tradition, London 1987, pp. 95-116.
49 Cfr. Ar., ep. Alex. 4. Per la discussione filologica delle varianti dei testi che riportano quest’affermazione (Epiph., haer. 69,6,13 e Thdt., h.e. I 5,3), si veda Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 129, nota 95.
50 Cfr. Ph., Quis rerum divinarum heres sit 42,205-206.
51 Su Pr 8,22 si vedano: L. Abramowski, Dionys von Rom († 268) und Dionys von Alexandrien († 264/5) in den arianischen Streitigkeiten des 4. Jahrhunderts, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 93 (1982), pp. 240-272 e M. Simonetti, Sull’interpretazione patristica di Proverbi 8,22, in Id., Studi sull’arianesimo, cit., pp. 9-87. Altri passi importanti per la teologia di Ario (cfr. R.P.C. Hanson, The Search, cit., pp. 832-838 e M. Simonetti, Studi sull’arianesimo, cit., pp. 30-37) sono: Sal 109 (110),3 («Ti ho mostrato prima della stella del mattino»), Gv 8,42 («Gesù disse loro: “Io non sono venuto nel mio nome, ma Lui mi ha mandato”»), Gv 14,28 («Il Padre è più grande di me»), Col 1,15 («Egli è il primogenito di tutta la creazione»).
52 Per una ricostruzione del dibattito si veda Ch. Markschies, Thoelogische Diskussionen, cit., pp. 130-131.
53 Cfr. R.D. Williams, The Son’s Knowledge of the Father in Origen, in Origeniana Quarta, Die Referate des 4. Internationalen Origeneskongresses (Innsbruck, 2-6 September 1985), pp. 146-153 e soprattutto D. Dainese, Passibilità divina. La dottrina dell’anima in Clemente Alessandrino, Roma 2012, pp. 140-144.
54 La lettera è riportata da Eusebio in v.C. II 64-72 e, in parte, anche da Socrate (h.e. I 7, 3-20). Per approfondimenti si veda in questa stessa opera il contributo di D. Dainese, La Vita e le Laudes Constantini.
55 Cfr. Socr., h.e. I 6,13. Per R. Williams, Arius, cit., si tratterebbe di un sinodo successivo. U. Loose, Zur Chronologie, cit., tende ad appoggiare invece la datazione dell’editore Opitz.
56 Cfr. Thdt., h.e. I 4,1-61
57 Cfr. U. Loose, Zur Chronologie, cit.
58 Per un commento si vedano M. Simonetti, La crisi, cit., pp. 28-29 e Id., Studi sull’arianesimo, cit., pp. 88-92.
59 Epifanio attesta che già in Alessandria Ario avesse fatto proseliti (cfr. Epiph., haer. 69,5-6).
60 Verosimilmente in un primo momento.
61 Cfr. Epiph., haer. III 69,4,3.
62 Cfr. Socr., h.e. I 6,4-30
63 Cfr. U. Loose, Zur Chronologie , cit.
64 Per dettagli si veda Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., pp. 132-140.
65 Per la figura di Asterio il Sofista si rimanda alla messa a punto di Markschies in ivi, pp. 136-137.
66 Cfr. Thdt., h.e. I 6,1-8.
67 Cfr. Soz., h.e. I 15,10.
68 Cfr. Thdt., h.e. I 4.
69 Cfr. Soz., h.e. I 16.
70 Per il ruolo di Eusebio, si vedano: M. Simonetti, La crisi, cit., pp. 31-32 e 60-66; F. Winkelmann, Eusebius von Kaisareia. Der Vater der Kirchengeschichte, Berlin 1991.
71 Cfr. Ath., apol. sec. 74,4; cfr. anche Philost., h.e. VII 2.
72 Vescovo «della Nuova Roma», cioè teoricamente di Costantinopoli, ma è bene tenere conto del fatto che, nel 324 o nel 325, Costantinopoli non c’era ancora, e nessuno prima d’allora ha mai definito Bisanzio ‘Nuova Roma’.
73 Come si è anticipato, questo testo rappresenta un caso filologico e storico ancora parzialmente irrisolto. L’autenticità della lettera, edita in E. Schwartz, Die Dokumente des arianischen Streits bis 325, in Nachrichten der Gesellschaft der Wissenschaften in Göttingen – Philologisch-Historische Klasse, 7 (1905) pp. 257-299, in partic. 272-280, è stata, infatti, messa in dubbio da Harnack nel 1908 – cfr. A. Harnack, Die angebliche Synode von Antiochien im Jahr 324/25, in Sitzungsberichte der Preußischen Akademie der Wissenschaften, (1908), pp. 477-491 – e affermata nel 1913 da Seeberg (cfr. E. Seeberg, Die Synode von Antiochien im Jahre 324/25. Ein Beitrag zur Geschichte des Konzils von Nicäa, Berlin 1913). Due sono le principali posizioni degli studiosi al riguardo: da un lato vi è chi sostiene che, per quanto non si possa dubitare del fatto che un simile concilio si sia davvero riunito, le questioni discusse dal sinodo di cui la lettera dà notizia vadano collocate dopo Nicea. È di questa opinione D.L. Holland, Die Synode von Antiochen [324/25] und ihre Bedeutung für Eusebius von Caesarea und das Konzil von Nizäa, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 81 (1970), pp. 163-181. Dall’altro lato c’è chi la ritiene autentica, dando pertanto piena credibilità storica al concilio antiocheno del 324/325, come L. Abramowski, Die Synode von Antiochen 324/25 und ihr Symbol, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 86 (1975), pp. 356-366 (la quale però, benché convinta dell’autenticità del documento, ammette l’impossibilità di provarla in modo indiscutibile) e sulla sua scorta M. Simonetti, La crisi ariana, cit. Per Markschies la partecipazione di Ossio sarebbe da intendere come remoto tentativo, da parte di Costantino, di mettere pace all’interno della Chiesa (cfr. Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 143).
74 Per la data d’apertura del concilio, che la critica più recente colloca nel giugno del 325, si veda a proposito T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA)-London 1982, p. 76.
75 E in tal senso, pertanto, si può dire che è «ecumenico», cfr. H. Chadwick, The Origin of the Title “Oecumenical Concil”, in The Journal of Theological Studies, 23 (1972), pp. 332-371.
76 Cfr. Eus., v.C. III 10,2.
77 Si vedano i contributi di M. Simonetti, Il concilio e D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera.
78 Cfr. Philost., h.e. I 7.
79 Come sostiene H.F. von Campenhausen, Das Bekenntnis Eusebs von Caesarea (Nicaea 325), in Id., Urchristliches und Altkirchliches. Vorträge und Aufsätze, Tübingen 1979, pp. 278-299, in partic. 281.
80 Cfr. il contributo di D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera.
81 Cfr. Ath., decr. 19-20.
82 Così in Thdt., h.e. I 8.
83 Se si identifica, come fa lo stesso Pietri (cfr. Ch. Pietri, La nascita di una cristianità, cit., p. 261; di contro cfr. Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., pp. 153-154), l’Eusebio di cui parla Eustazio con l’Eusebio di Nicomedia, cui con certezza si riferisce Ambrogio in fid. III 15,125.
84 Dal momento che Atanasio (syn. 16), Epifanio (haer. 69,7,6) e Ilario (trin. IV 12-13 e VI 5-6) attestano come Ario stesso avesse attribuito ai manichei la dottrina del Figlio ὁμοούσιος al Padre.
85 Cfr. su questo tema H. Pietras, Lettera di Costantino alla Chiesa di Alessandria e Lettera del sinodo di Nicea agli Egiziani (325) – i falsi sconosciuti da Atanasio?, in Gregorianum, 89 (2008), pp. 727-739. Per un’opinione diversa, in proposito, si veda il contributo di A. Camplani in questa stessa opera. Per quanto concerne la possibilità di una terza ipotesi, cioè che Eusebio di Nicomedia abbia scritto altri documenti, cfr. Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 154.
86 Cfr. Ath., h. Ar. 42 e fug. 5. Per un approfondimento cfr. almeno M. Simonetti, La crisi, cit., pp. 89-93 e A. Grillmeier, Homoousios, in Lexicon für Theologie und Kirche, 5, cc. 467-468.
87 Cfr. J. Ulrich, Die Anfänge der abendländischen Rezeption des Nizänums, Berlin-New York 1994, pp. 136-158.
88 Cfr. Bas., ep. 81,1.
89 Così anche Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 155 e nota 196 per ulteriore bibliografia.
90 Cfr. W.-D. Hauschild, Nicäno-Konstantinopolitanisches Glaubenbekenntnis, in TRE, 24 (1994), pp. 454-456 e in partic. 454.
91 Cfr. A.M. Ritter, Konstantinopel, Ökumenischen Synoden I, in TRE, 19 (1990), pp. 518-524 e bibliografia relativa.
92 E conseguentemente la dottrina origeniana delle tre ipostasi, come suggerisce Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 156.
93 Cfr. Philost., h.e. I 8 (in Nicetas Acominatus, Thesaurus orthodoxae fidei V 7); Soz., h.e. I 20,1.
94 Così del resto H. Pietras, Le ragioni della convocazione del Concilio Niceno da parte di Costantino il Grande. Un’investigazione storico-teologica, in Gregorianum, 82 (2001), pp. 5-35; ma lo riprova anche la già citata ‘sessione del 327’, nonché il caso degli omeusiani, che accusano l’imperatore di aver usato la violenza per forzare la sottoscrizione delle decisioni del sinodo, cfr. H.Ch. Brennecke, Bischofsversammlung und Reichssynode, in Einheit der Kirche in vorkonstantinischen Zeit, Vorträge, gehalten bei der patristischen Arbeitsgemeinschaft (Bern 2-4. Januar 1985), Erlangen 1989, pp. 35-53 e 140-147, in partic. 52.
95 Per cui si rimanda al contributo di D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera.
96 Cfr. Socr., h.e. I 35-54 e Thdt., h.e. I 48-54. Su questo documento si veda H. Pietras, Lettera di Costantino, cit.
97 Cfr. H. Leppin, Von Constantin dem Großen zu Theodosius II, p. 58.
98 Ivi, pp. 53-59.
99 Cfr. B. Bleckmann, Konstantin in der Kirchengeschichte Philostorgs, in Millennium 1 (2004), pp. 185-231, in partic. 220.
100 Si pensi che il vescovo Atanasio, successore di Alessandro sul seggio della metropoli egiziana, subirà – e non solo sotto il regno di Costantino – ben cinque volte l’esilio (rispettivamente nel 335, nel 339, nel 356, nel 362 e nel 365).
101 Sul battesimo di Costantino, oltre che il contributo di P. Maraval in questa stessa opera, si veda M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005.
102 Che abbandona la corte di Costantino nel 326 (cfr. V.C. de Clerq, Ossius of Cordova, Washington 1954, pp. 282-285) e T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., pp. 225-226.
103 Si veda su questo tema il contributo di E. Castelli in questa stessa opera.
104 Così H.Ch. Brennecke, Nicäa I, cit., c. 47. Ma in tal caso bisognerebbe credere Costantino capace di un particolare discernimento teologico, attestabile presso un imperatore soltanto a partire da Costanzo II, cfr. M. Simonetti, L’imperatore arbitro nelle controversie teologiche, in Mediterraneo Antico, 5 (2002), pp. 445-459, in partic. 455-456.
105 Così Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 168.
106 Cfr. Philost., h.e. II 12.
107 Cfr. Chron. Pasch. p. 527 ed. Dindorf.
108 Così H. Leppin, Von Constantin den Großen zu Theodosius II., cit., pp. 49-53.
109 Così secondo Pietri (cfr. Ch. Pietri, La nascita di una cristianità, cit., p. 269), probabilmente sulla base del semplice resoconto di Socrate, che in h.e. I 24,1 attesta che vennero mosse nei confronti di Eustazio accuse di sabellianismo, oltre che di immoralità (cfr. anche Soz., h.e. II 19,1 e Philost., h.e. II 7; sempre di immoralità, ma come diffamatore della madre di Costantino, è invece accusato Eustazio in Ath., h. Ar); Markschies ritiene invece che la supposizione di Pietri si basi sull’accordo tra il fr. 15 e il 17 dell’eustaziano de anima contra Arianos e le dottrine contestate da Eusebio a Marcello in e. th. I 20,38-48, II 25, III 10 e in Marcell. II 2 (cfr. Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., pp. 170-171, nota 250).
110 Così Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 171.
111 Cfr. A. Martin, Les continuateurs grecs d’Eusèbe de Césarée: le cas de Théodoret, in Adamantius, 16 (2010), pp. 88-100.
112 Cfr. H. Leppin, Von Constantin dem Großen zu Theodosius II, cit., p. 52.
113 Cfr. Theod., h.e. I 21-22. Su ciò e sull’intera vicenda di Eustazio si veda H. Chadwick, The Fall of Eustathius of Antioch, in The Journal of Theological Studies, 49 (1948), pp. 27-35, cfr. anche R.P.C. Hanson, The Fate of Eustathius of Antioch, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 95 (1984), pp. 171-179.
114 Cfr. Ath., h. Ar. 4 e Hier., vir. ill. 85; su ciò si veda M. Simonetti, La crisi, cit., p. 106.
115 Per le fonti su questo sinodo e la sua datazione cfr. Ath., h. Ar. 47 e Hil., op.hist.frg. 3,11. In particolare sulla datazione si rimanda a E. Schwartz, Von Nicaea bis zu Konstantins Tod, Zur Geschichte des Athanasius, Berlin 1959, pp. 188-264, in partic. 233 nota 6; R. Leeb, Konstantin und Christus. Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstanti dem Großen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seine Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin-New York 1992, p. 160, e J. Ulrich, Die Anfänge, cit., pp. 39-44 e, per l’ipotesi più prudente, seguita anche in questa sede, Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 173.
116 Cfr. Eus., v.C. III 59.
117 E. Schwartz, Von Nicaea bis zu Konstantins Tod, cit. pp. 216-230.
118 Su questi canoni e la loro ratio, cfr. Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 173.
119 Cfr. M. Simonetti, La crisi, cit., pp. 109-110.
120 Cfr. W. Gericke, Marcell von Ancyra. Der Logos-Christologe und Bibliszt. Sein Verhältnis zur antiochenischen Theologie und zum neuen Testament, Halle 1940; D.S. Wallace-Hadrill, Eusebius of Caesarea, London 1960; M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975, pp. 128-134; G. Feige, Die Lehre Merkells von Ankyra in der Darstellung seiner Gegner, Erfurt 1991; J.R. Lyman, Christology and Cosmology. Models of Divine Activity: Origenes, Eusebius and Athanasius, Oxford 1993; K. Seibt, Die Theologie des Markell von Ankyra, Berlin-New York 1994; M. Vinzent, Einleitung, in Markell von Ankyra, Die Fragmente. Der Brief an Julius von Rom, Leiden-New York-Köln 1997; J.T. Lienhard, Contra Marcellum. Marcellus of Ancyra and Fourth-Century Theology, Oxford 1999; S. Parvis, Marcellus of Ancyra and the Lost Years of the Arian Controversy. 325-345, Oxford-New York 2006.
121 Per quanto concerne la critica di Marcello all’origenismo di Asterio, cfr. invece i frammenti 20(38) e 21(39).
122 Cfr. Marcell., fr. 70(52).
123 Cfr. Marcell., fr. 48(67).
124 Cfr. Marcell., fr. 47(66).
125 Cfr. Hil., op.hist.frg. 3,9.
126 Cfr. Soz., h.e. II 33,1 ed Eus., Marcell. II 4; cfr. M. Simonetti, La crisi, cit., pp. 131-132.
127 Cfr. H. Leppin, Von Constantin dem Großen zu Theodosius II., cit., p. 53.
128 Per una discussione delle fonti si rimanda a Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., pp. 179-180.
129 Cfr. M. Tetz, Athanasius von Alexandrien, in TRE, 4 (1979), pp. 333-349, in partic. 335, che ridimensiona la posizione di Pietri (cfr. Ch. Pietri, La nascita di una cristianità, cit., p. 272).
130 Cfr. C. Nic. (325), Epistula nicaeni concilii ad Aegyptios.
131 Cfr. Ath., apol. sec. 63,2.
132 Cfr. Soz., h.e. II 25,3 e Epiph., haer. 68,5,3.
133 Cfr. Ath., apol. sec. 73,15, 76,1-5, 11,1-12,3, 37, 41-46, 60,4, 63,2-4, 85,1-6 e Soz., h.e. II 25,3.
134 Cfr. T.D. Barnes, Athanasius and Constatius, cit., p. 28 e A. Martin, Athanase d’Aleandrie, cit., pp. 350-351.
135 Così Ath, apol. sec. 60,1.
136 Cfr. Ath, apol. sec. 61-62.
137 Cfr. Soz., h.e. II 25,3.
138 Cfr. Ath., apol. sec. 65-68; cfr. anche Soz., h.e. II 25,12. Si veda la discussione in A. Martin, Athanase d’Aleandrie, cit., pp. 352-355.
139 Cfr. Ath., decr. 40.
140 Cfr. Ath., decr. 39.
141 Cfr. Ath., apol. sec. 59,6, Socr., h.e. I 27,4, Soz., h.e. II 22,5, Gel. Cyz., h.e. III 14.
142 Cfr. Histoire “Acéphale” et index syriaque des lettres festales d’Athanase d’Alexandrie, éd. par A. Martin, M. Albert, Paris 1985, p. 232.
143 Cfr. Thdt., h.e. I 28,3.
144 Cfr. PLRE I, s.v. Philagrius 5, p. 694.
145 Cfr. Thdt., h.e. II 28,4.
146 Cfr. Eus., v.C. IV 42,3-4: «Ho inviato il consolare Dionigi […] perché ricordi a costoro [= alcuni vescovi] che sono tenuti a recarsi al concilio assieme a voi […]. Se infatti qualcuno […] cercando di opporsi a un nostro ordine, non volesse presenziare, noi invieremo di qui un emissario che, mandandolo in esilio per decreto imperiale, gli insegnerà che non è lecito opporsi alle decisioni di un imperatore in favore della verità».
147 Cfr. Eus., v.C. IV 42,3. Che, stando ad Ath., apol. sec. 78,2, parteggiava per gli eusebiani.
148 Cfr. Ath., apol. sec. 72,1.
149 Cfr. Eus., v.C. IV 42,3 e Ath., apol. sec. 71,2.
150 Cfr. Ath., apol. sec. 65,4.
151 Cfr. Soz., h.e. II 25,3-25,7 e 25,16. Sozomeno è la fonte principale di cui si dispone sul concilio di Tiro.
152 Cfr. T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., pp. 228-229 e 265.
153 Cfr. Ath., apol. sec. 72 e Soz., h.e. II 25,15-19.
154 Per cui si rimanda al contributo di D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera.
155 Così Ch. Markschies, Theologische Diskussionen, cit., p. 190.
156 Si vedano i contributi di M. Rizzi, e D. Dainese, Concili e sinodi, in questa stessa opera.
157 Aspetto su cui si è concentrato H.A. Drake, Constantine and the Bishops: The Politics of Intolerance, Baltimore 2000, in partic. pp. 3-34 e 309-315 (si veda anche il contributo di A. Camplani in questa stessa opera).
158 Come mostra la tesi di fondo del volume di G. Filoramo, La croce e il potere: I cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari 2011.
159 Per il quale si rimanda ai contributi a lui dedicati nella presente opera.