FRANZONI, Diodato
Non si hanno notizie biografiche riguardanti questo grammatico vissuto nel XVII secolo. Poco si può dedurre dagli indizi presenti nell'unica opera che di lui ci è rimasta, il trattato l'Oracolo della lingua d'Italia (Bologna 1641). La dedica, scritta da Bologna, è rivolta al cardinale Giovanni Francesco Guidi di Bagno. Il luogo di pubblicazione e la scritta "Bononia docet", posta sul frontespizio del volumetto, farebbero pensare a un'area di provenienza bolognese. Anche gli stampatori (Giacomo Monti e Carlo Zenero), che nell'avviso ai lettori scrissero che l'autore, "maestro d'ortografia", non aveva potuto assistere alla correzione della stampa perché residente "fuori di Bologna", sembrerebbero far riferimento a una località della medesima area geografica piuttosto che a una città a essa completamente estranea. Lo stesso F., inoltre, inserì nella sua opera un elogio di Bologna, delle sue accademie dei Gelati e della Notte e dei suoi scrittori (p. 17). Il Vivaldi sembra avvalorare tale ipotesi, esponendo, subito dopo aver parlato del F., le teorie linguistiche di Ovidio Montalbani, "anch'esso bolognese".
Nell'argomento dell'Oracolo, a imitazione dei Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini, il F. immaginò che gli scrittori italiani presentassero ad Apollo un memoriale contenente alcuni dubbi, "vedendo che nella lor lingua nasce giornalmente qualche difficoltà, per le molte regole, e diversi precetti de' Maestri, che l'insegnano; e per le varie opinioni, e opposti capricci di quelli, che scrivono". Apollo delega Celso Cittadini e Paolo Beni, "sperimentatissimi nella professione della nostra lingua". Ad accordarsi riguardo la soluzione dei dubbi i due arriveranno attraverso un dialogo dai toni molto pacati. Con la scelta dei due interlocutori e la mediazione tra le loro posizioni il F. volle manifestare la propria propensione a una soluzione moderata, per quanto dichiaratamente anticruscante, della questione della lingua. Infatti, sebbene ammiratore di entrambi, nel corso dell'opera egli si schierò dalla parte del Beni, autore nel 1612 dell'Anticrusca, polemica denuncia della rigidezza puristica con cui i cruscanti avevano redatto la prima edizione del loro Vocabolario, pubblicato in quello stesso anno. Del Cittadini, che aveva avuto la cattedra di lingua toscana presso lo Studio senese, il F. ammirò indubbiamente la grande erudizione, ma non condivise la tendenza a riconoscere la preminenza assoluta del toscano sugli altri dialetti italiani.
Destinatari del trattato sono "Prosatori, Poeti, Accademici, Segretarj, Predicatorj, e qual si voglia persona, che brami perfettionarsi nella lingua d'Italia", ai quali ci si rivolge nel sottotitolo. Il dialogo si articola in nove sezioni, ciascuna dedicata alla soluzione di un problema e avvalorata dall'autorità di grammatici e studiosi di ogni epoca e tendenza. Nella prima parte (pp. 1-49) si affronta la questione della lingua, nella seconda (pp. 50-215) si risolvono dubbi di natura fonologica e ortografica. Criterio guida delle dispute linguistiche è la ragione, con la quale il F. si richiama alle posizioni che erano già state di Paolo Beni, Daniello Bartoli e Sforza Pallavicino.
Consci di attirarsi le critiche di molti, i due dialoganti decretano innanzitutto la superiorità degli scrittori moderni su Dante, Petrarca e Boccaccio, che utilizzarono una "scrittura… molto men purgata". Sebbene siano molti gli autori di area cinque-secentesca da poter prendere in considerazione (si va dall'Ariosto e Bruni sino a Loredano e Assarino) sono ritenuti degni di particolare "elettione" Matteo Peregrini, Torquato Tasso e il cardinale Lanfranco Margotti (p. 8). Nodo teorico fondamentale della prima sezione, in linea con le teorie del Beni e riecheggiando "per lo più stancamente" quelle di Gian Giorgio Trissino (Vitale, p. 75) è la scelta di chiamare "italiana" la nostra lingua (non fiorentina, né toscana, dunque), per l'impossibilità di "attribuire a una sola provincia quella lode, che a tutta l'Italia giustamente si conviene". Nella seconda sezione, dando sfoggio di grande erudizione, il F. conduce i due studiosi ad affrontare problematiche di ordine tecnico: natura delle vocali, dittonghi, uso delle consonanti doppie, oscillazioni grafiche e fonetiche, articoli, punti e accenti. In linea generale, le posizioni dell'autore riguardo la grafia tendono (come fu tipico dei non toscani) a rimanere fedeli al modello latino.
Pur riportando esempi tratti da opere poetiche, il F. (in sottesa polemica con la Crusca) dichiarò attraverso il Cittadini di non voler "intricar co' Poeti", i quali "si servono ben spesso del capriccio in luogo della ragione", e spesso l'autorità di un verso non può "a suo piacer formar regole universali, ed alterare la scrittura, e la pronuncia del nostro idioma" (p. 103).
Successivamente ricordato unicamente per questo trattato, il F. annunciò in chiusura di tale opera l'intenzione di continuarla, se i lettori avessero mostrato di "compiacersene", con una seconda parte dedicata a verbi, avverbi, nomi e pronomi, con cui avrebbe cercato di "purgare affatto l'Italiana scrittura" (p. 215). Probabilmente alla stessa opera alludevano gli stampatori nel già citato avviso, annunciando l'imminente pubblicazione dell'Adulterio della lingua d'Italia con cui l'autore, sebbene propenso alle voci nuove purché "significanti" e "grate", si sarebbe opposto all'uso, da parte degli scrittori, di parole "soverchiamente affettate, e stiracchiate, le quali non si possono ridurre sotto ben regolati precetti".
Non si conosce l'anno della sua morte.
Fonti e Bibl.: V. Vivaldi, Le controversie intorno alla nostra lingua, Catanzaro 1894, I, pp. 227 s., 231-238; F. Foffano, Ricerche letterarie, Livorno 1897, pp. 176, 303 s.; C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Milano 1908, pp. 211, 331-333; V. Vivaldi, Storia delle controversie linguistiche in Italia da Dante ai nostri giorni, Catanzaro 1925, I, pp. 150, 161 s, 175; B. Migliorini, Panorama dell'italiano secentesco, in Rass. della letter. italiana, LX (1956), pp. 14, 47; M. Vitale, La questione della lingua, Palermo 1978, pp. 75 s.