Diogene Laerzio
Pressocché nulla sappiamo della vita dell’autore della più nota silloge di biografie di filosofi antichi (Vite dei filosofi), da Talete a Epicuro: di fatto, una delle più importanti fonti disponibili per la storia della filosofia antica. Se è sconosciuta la città di origine di D. L. (nessuna delle molte ipotesi proposte ha mai incontrato pieno consenso), è certo invece che egli sia vissuto tra il 2° e il 3° sec. d.C., come si può ricavare da un passo del proemio delle Vite (I xxi) in cui si accenna a Potamone di Alessandria, fondatore di una scuola eclettica, vissuto nel 1° sec. d.C., e dal fatto che in un altro luogo (IX cxvi) D. L. elogia Sesto Empirico (che fiorì nella seconda metà del 2° sec. d.C.) quale «autore di un’opera in dieci libri sullo scetticismo e di altri eccellenti scritti» (trad. di M. Gigante, 2005).
Le Vite comprendono in dieci libri le biografie di filosofi vissuti tra il 6° e il 3° sec. avanti Cristo. Le informazioni più varie sono raccolte senza un ordine sistematico: D. L. mescola infatti esposizione (in genere succinta) dei princìpi del pensiero del singolo filosofo, dati propriamente biografici (stirpe, luogo natale, epoca), catalogo delle opere, aneddoti, massime e detti brillanti (‘apoftegmata’). Dopo un breve proemio generale, in cui sostiene l’origine ellenica della filosofia (contro quanti la ritenevano nata tra i barbari, come erano i sapienti caldei, druidi, magi o sacerdoti egiziani), D. L. raccoglie le sue biografie secondo un criterio in parte cronologico e in parte geografico (articolato sulla fondamentale distinzione tra una linea ionica e una italica). Il primo libro è dedicato ai primi saggi (Talete, Solone, Pittaco, Biante e altri) e nel secondo D. L. raccoglie i filosofi che avviarono la scuola ionica (Anassimandro, Anassimene e Socrate, ma comprendendovi anche filosofi più recenti, come Senofonte e Menedemo, morto nel 276 a.C.). A Platone è dedicato il terzo libro, ad Aristotele e ai suoi successori il quinto, mentre a filosofi di vario orientamento sono dedicati i libri quarto e sesto. A Zenone è consacrato il settimo libro, che propone anche una esposizione generale della dottrina stoica (Logica, Etica e Fisica). Dal libro ottavo sono raccolti i filosofi della linea italica, da Pitagora ed Empedocle, passando per Eraclito, Parmenide, Democrito e i più recenti Pirrone e Timone (libro nono). L’opera si chiude con Epicuro, al quale è interamente dedicato il libro decimo (ciò che ha generato un’antica polemica sul presunto epicureismo di D. L.).
Il testo ebbe larga diffusione nel tardo Medioevo e nel Quattrocento. A parte la perduta traduzione latina di Enrico Aristippo (12° sec.), l’opera fu diffusa soprattutto attraverso la mediazione del De vita et moribus philosophorum di Walter Burleigh (1275-1344), che pur raccogliendo informazioni anche da altre fonti antiche era essenzialmente basato sul testo di Diogene Laerzio. Fortunatissima fu poi la traduzione latina di Ambrogio Traversari (1386-1439) – monaco camaldolese del convento fiorentino di S. Maria degli Angeli – conservata autografa a Firenze (BMLF, ms. Strozz. 64), che ebbe una decina di edizioni alla fine del Quattrocento. Già dagli anni Ottanta del Quattrocento circolavano poi volgarizzamenti delle Vite, nella maggior parte dei casi traduzioni del De vita di Burleigh (Venezia 1480; Firenze 1489 ecc.). Né mancarono raccolte parziali di ‘apoftegmata’ tratti da D. L.: l’interesse per il dictum e per l’aneddoto costituiva del resto uno degli aspetti rilevanti della ‘fortuna’ umanistico-rinascimentale dell’autore, come documenta lo stesso M., che a conclusione della Vita di Castruccio Castracani estrapola a piene mani da D. L. (una vera e propria operazione plagiaria) i dicta che attribuisce all’eroe eponimo.
Se non si può escludere che il testo di D. L. fosse noto a M. dal tempo dei suoi primi studi (e che, come è stato ipotizzato da Garin 1970, pp. 5 e segg., il decimo libro delle Vite abbia contribuito alla conoscenza machiavelliana dell’epicureismo, ponendosi all’incrocio di un insieme di suggestioni e interessi filosofici di matrice naturalistico-materialistica), un interesse diretto per le Vite di D. L. è documentabile nelle opere di M. non prima del 1519-20, al tempo dell’Arte della guerra (a stampa nell’agosto del 1521) e della Vita di Castruccio Castracani (scritta nell’estate del 1520). Nel trattato-dialogo machiavelliano compare (I 25) un riferimento a Vite VI ii 23: Cosimino Rucellai, rievocando il nonno Bernardo, osserva che nei tempi moderni («in tanta corruttela di secolo») non sarebbero accettate molte delle eccentricità degli antichi: «se uno ignudo, di state, sotto il più alto sole si rivoltasse sopr’alla rena, o di verno ne’ più gelati mesi sopr’alla neve, come faceva Diogene [il Cinico], sarebbe tenuto pazzo». Non è richiamato propriamente un ‘apoftegma’, ma il comportamento di un originale, e in ciò M. mostra un interesse che sembra anticipare quello che lo avrebbe spinto a usare la fonte greca nel Castruccio, dove la raccolta dei dicta attribuiti al condottiero lucchese indica un certo gusto per il paradosso. In essi, infatti, convergono saggezza e arguzia («ingegno e gravità»: Vita di Castruccio Castracani, § 183), in un gioco imprevedibile di parole e comportamenti in cui l’arte fine del «rispondere o mordere» (§ 148) assume spesso i tratti dell’eccentricità. E va notato che dei 34 ‘apoftegmata’ castrucciani, 11 (§§ 170, 172-80, 182) sono tratti dalla biografia di Diogene il Cinico, da cui deriva il ricordato locus dell’Arte.
Il carattere plagiario dei dicta che chiudono la Vita di Castruccio Castracani fu già avvertito dai primi lettori: gli amici degli Orti ai quali essa fu inviata da Lucca (dove M. era impegnato per una missione privata) alla fine di agosto del 1520. In una lettera a M. del 6 settembre 1520 Zanobi Buondelmonti (‘oricellario’ e dedicatario dei Discorsi), ringraziando l’amico dell’invio e complimentandolo del lavoro, esprime però qualche riserva sui dicta che «oltre all’essere troppi […] ve ne è una parte che è ad altri e antichi e moderni savi atribuita» (Lettere, p. 366). Dei 34 dicta castrucciani, 32 sono derivati di D. L. (oltre ai ricordati 11 tratti dalla biografia di Diogene il Cinico, 16 sono desunti dalla biografia di Aristippo, 4 da quella di Bione, uno da quella di Aristotele). Merito di Francesco Paolo Luiso l’avere esattamente individuato la derivazione dalle Vite di D. L., lette in una delle tante edizioni disponibili della traduzione di Ambrogio Traversari. Il testo di D. L. risulta per altro trasposto in maniera piuttosto meccanica: M. sceglie infatti gli ‘apoftegmata’ del testo trascrivendoli senza modificarne l’ordine originale. Che M. usasse la traduzione a stampa di Traversari sarebbe secondo Luiso dimostrato dall’‘apoftegma’ del § 150, dove si legge: «[…] io mi lascerò bene bagnare da uno sputo per pigliare una balena», che traduce il testo et ego ut balenum accipiam, non patiar excreationem respergi?, dove l’incongruo balenum, presente nelle edizioni a stampa della traduzione Traversari, sostituisce il corretto blennum «sciocco». Sulla base di questo punto, viene ipotizzato da Francesco Bausi (1998) che M. non leggesse direttamente D. L., ma compilazioni medievali e moderne del testo, «in primo luogo quella del Burleigh» (p. 106), molti codici della quale (come indica in apparato l’edizione del Liber de vita et moribus philosophorum, a cura di H. Knust, 1886, p. 144) attestano effettivamente la lezione balena. Anche ammettendo che la compilazione di Walter Burleigh abbia mediato questo punto (ma la correzione di balenum in balena era piuttosto ovvia, e quindi facilmente spiegabile come autonomo intervento di M.), resta il fatto che nel Liber de vita di Burleigh (e nei volgarizzamenti da esso derivati, stampati in numerose edizioni dopo il 1480), che traduce solo parzialmente il testo di D. L., è assente almeno la metà degli ‘apoftegmata’ presenti nel Castruccio. Ciò sembra escludere che su di essa, e non sul testo integrale latino, si basasse la conoscenza che M. aveva delle Vite laerziane.
Bibliografia: F.P. Luiso, I detti memorabili attribuiti a Castruccio Castracani da Niccolò Machiavelli, «Atti della R. Accademia lucchese», 1934, 3, pp. 217-60; E. Garin, Dal Rinascimento all’Illuminismo, Pisa 1970; P. Trovato, saggio introduttivo e commento a N. Machiavelli, Vita di Castruccio Castracani, a cura di R. Brakkee, Napoli 1986 (in partic. pp. 38-40 e 127-32); F. Bausi, Machiavelli e la tradizione culturale toscana, in Cultura e scrittura di Machiavelli, Atti del Convegno, Firenze-Pisa 27-30 ottobre 1997, Roma 1998, pp. 81-115 (in partic. pp. 101-08); C. Varotti, commento a N. Machiavelli, Vita di Castruccio Castracani, in Id., Opere storiche, t. 1, Roma 2010, pp. 56-65.