Diomede
Eroe della mitologia greca, figlio di Tideo, re di Argo. Fu uno dei più valorosi guerrieri greci, famoso per l'abilità con cui combatteva sul cocchio; partecipò alla guerra di Troia, dove uccise molti nemici e ferì la stessa Venere. Inseparabile compagno e amico di Ulisse, fu con l'itacese nelle più famose imprese di quell'assedio: insieme a Ulisse convinse Achille a partecipare alla guerra di Troia, con Ulisse sorprese Reso nel sonno seminando strage tra i nemici e con Ulisse penetrò nella rocca di Ilio portando via il Palladio.
Al ritorno dalla guerra, respinto dalla moglie che l'aveva tradito, venne in Italia, dove aiutò il re Dauno contro i Messapi, avendone in sposa la figlia Enippe e fondando in Puglia la città di Argiripa (secondo alcuni mitografi, sarebbe invece il fondatore di Benevento). Virgilio immagina che i Latini inviino un messo a Diomede per averlo alleato nella guerra contro Enea (Aen. VIII 9-17, XI 225-295; cfr. anche Met. XIV 457-511). Ma non valsero né preghiere né promesse o doni: l'eroe non volle saperne, ricordando il grande valore guerriero di Enea e soprattutto considerando le sventure che si erano abbattute sui Greci vincitori di Troia e sui suoi stessi compagni quale giusto castigo di tanta scelleratezza.
Dante lo condanna nella bolgia dei mali consiglieri, unito per l'eternità a Ulisse in un'unica fiamma a due punte (If XXVI 52-63). Inutile rilevare che la figura predominante è quella di Ulisse: che ha guidato la fantasia del poeta anche nel determinare la condanna di Diomede tra i mali consiglieri (ancorché Diomede appaia sempre uomo forte e valoroso, più che astuto o fraudolento). L'idea degl'indissolubili legami che hanno unito i due in imprese tanto nefande perviene a D. da Ovidio e Stazio: questo descrive ampiamente, e commenta con tono di aspra condanna, il modo e le parole fraudolente con cui Ulisse, aiutato da Diomede, riesce a trascinare a Troia il giovane Achille (I 730 ss.); quello sottolinea ripetutamente la complice amicizia dei due, sì che l'uno appare quasi complementare all'altro: da Ulisse " luce nihil, gestum nihil est Diomede remoto " (Met. XIII 100, e 239-242; v. anche Ach. I 542 ss., 700-701, ecc.). D. non rimprovera esplicitamente a Diomede il sacrificio di Ifigenia, cui fu persuasore Ulisse (Ovidio peraltro non vi nomina, con l'itacese, Diomede: cfr. Met. XIII 184-195), né l'uccisione di Reso e dei compagni (che tuttavia poté conoscere da Aen. I 469-473 e da Met. XIII 98 e 249-251); i tre gravi peccati rimproverati ai due greci sono l'arte fraudolenta con la quale persuasero Achille ad abbandonare Deidamia (giusta il racconto staziano; cfr. anche Pg IX 39), l'inganno con cui riuscirono a portar via da Troia il Palladio, senza curarsi della profanazione (Virgilio li aveva bollati con parole di fuoco per quell'infame impresa: " impius ex quo / Tydides sed enim scelerumque inventor Ulixes / fatale adgressi sacrato avellere tempio / Palladium, caesis summae custodibus arcis, / corripuere sacram effîgiem manibusque cruentis / virgineas ausi divae contingere vittas ", Aen. II 163-168; per il giudizio di condanna cristiana di quell'atto ritenuto irreligioso, v. s Agostino Civ. I 2), e l'inganno del cavallo di legno, mascherato con un pretesto religioso (il voto a Pallade: cfr. Aen. II 17). Per quest'ultima impresa è d'obbligo il rinvio al libro secondo dell'Eneide, dove tuttavia Diomede non è nominato tra gli eroi nascostisi nel cavallo (cfr. vv. 261-264); ma una fiorente tradizione medievale, che pare rifarsi indirettamente a Igino, collega i due greci anche in quell'inganno.