DIONE (Δίων, Dion) tiranno di Siracusa
Nacque, pare, intorno al 410. Suo padre, Ipparino, era uno dei cittadini più ricchi e più eminenti di Siracusa, amico e consigliere di Dionisio I. Dal padre D. ereditò la ricchezza e l'alta posizione. Accrebbe l'una e l'altra, trasformando il legame d'amicizia in legame di parentela (sua sorella Aristomache andò sposa a Dionisio I; egli stesso più tardi s'unì in matrimonio con la loro figlia Arete); e più che l'amicizia e la parentela, fece valere il suo intelletto e la sua opera, utile al tiranno, indispensabile più tardi al figlio di lui.
Morto (368) Dionisio I (che già aveva utilizzato D. in alcune ambascerie) e succedutogli il figlio Dionisio II, per l'inesperienza del giovane tiranno, che aveva trascorso i suoi giorni lungi dalle cure dello stato, la figura di D. emerse in primo piano, ricca di esperienza e di autorità. Siracusa era in guerra con Cartagine: una decisione era necessaria subito: D., lasciando libera al tiranno la scelta della pace e della guerra, offrì nell'un caso e nell'altro la sua cooperazione. Dionisio scelse la pace, che fu conclusa con il mantenimento dello statu quo. Ma fra D. e Dionisio, sotto l'apparente amicizia, si celava un dissidio profondo. La tradizione, che a D. è benevola, lo dipinge lontano dalla dissoluta vita di corte, dotato d'intelletto filosofico, piena la mente degl'ideali platonici; perciò la sua avversione alla tirannide in generale, alla tirannide di Dionisio II in particolare. Nella speranza di mutare l'indirizzo del governo mutando l'animo del tiranno col dare alla sua mente incolta una seria educazione filosofica, D. fece venire a Siracusa Platone; ma se Dionisio sembrò assopire negli entusiasmi filosofici ogni pensiero di dominio, si cominciò a insinuare che del governo frattanto si sarebbe impadronito D. Se tale insinuazione fosse fondata non sappiamo: fondata la ritenne Dionisio che pose riparo al pericolo con l'allontanamento di D. che passò in Italia e di lì nel Peloponneso.
Si disse, a calmare l'opinione pubblica, che D. s'era allontanato per un viaggio all'estero; gli fu lasciato intero il godimento delle rendite della sua sostanza; due navi salparono da Siracusa verso il Peloponneso a recargli ricchezze e schiavi e doni di amici. Ma la promessa, che Dionisio aveva fatta a Platone di lasciar tornare D. in patria trascorso un certo tempo, non fu mantenuta. E D. dal Peloponneso era passato ad Atene, ove viveva, ospite di Callippo, in frequente contatto con Platone e con gli altri membri dell'Accademia; non tralasciava di partecipare alle feste panelleniche, di stringere ovunque relazioni: ottenne da Sparta la cittadinanza; fu onorato da Epidauro e da altre città. L'inimicizia di Dionisio, prima celata, divenne più tardi palese: D. fu privato della rendita della sua sostanza. Un tentativo di riconciliazione fatto da Platone, durante un suo soggiorno in Siracusa (361) fallì del tutto: Dionisio giunse a costringere la sorella Arete, moglie di Dione, a unirsi in seconde nozze con Timocrate.
D. si risolvette a ritornare a Siracusa con la forza. Da Siracusa giungevano notizie di malcontento diffuso fra la popolazione contro il tiranno, e Atene non ostacolava D. in nulla: tutta l'Accademia, anzi, ne appoggiò l'impresa, nella speranza di veder realizzarsi con D. quello stato ideale, che Platone aveva invano tentato con Dionisio. Nell'agosto 357 la flotta di D. salpò da Zacinto. A Siracusa la cosa doveva essere trapelata: senza dubbio a difesa la flotta, sotto il comando di Filisto, vigilava l'ingresso dell'Adriatico, e l'esercito, sotto il comando di Dionisio stesso, era accampato in Caulonia. Ma D. giunse senza incidenti in vista del promontorio Pachino; di lì una tempesta lo gettò nelle acque della Grande Sirte, donde più tardi potè raggiungere le coste sicule, presso Eraclea Minoa, in territorio cartaginese. Bene accolto da tutti, mosse senza indugio alla volta di Siracusa e contingenti di Gela, Agrigento, Camarina vennero a ingrossare le sue file. Come giunse in vista di Siracusa, Dionisio era ancora in Italia, la flotta era ancora lontana. Il popolo aprì le porte della città; accolse trionfalmente D.; elesse generale lui e il fratello Megacle, e insieme un collegio di venti membri. Timocrate, che comandava in Siracusa, fuggì.
Rimaneva a Dionisio l'isola di Ortigia, con la sua roccaforte e con grande ricchezza di armi, ma D. provvide a separarla dalla città con la costruzione di un grosso muro fra il grande e il piccolo porto e riuscì a respingere felicemente una sortita del tiranno. Mentre D. respingeva trattative di pace, giungeva a Siracusa con 20 triremi e 1500 soldati l'esule Eraclide che non aveva partecipato all'impresa di D. per riservare a sé l'autonomia della propria spedizione. Eraclide fu eletto capo della flotta e l'estate successiva sconfisse la flotta del tiranno. Dionisio lasciato nella rocca il figlio Apollocrate con un forte presidio, passò segretamente in Italia.
Vinto così o quasi il tiranno, Siracusa era tuttavia lontana dall'aver raggiunta la libertà, e alla libertà assoluta, all'antica forma democratica, sembrava del tutto contrario quel D. che a Siracusa era venuto in veste di liberatore. Sia che dall'ideale democratico lo tenessero lontano le sue tendenze filosofiche; sia che egli nutrisse piuttosto personali aspirazioni di dominio - c'è chi non vede in lui fin dall'inizio che la mira di farsi tiranno; e giudica quindi Platone vittima di un basso intrigo politico -; comunque, il partito democratico sentì in D. un nemico e contro D. s'appoggiò ad Eraclide. D. fu costretto ad abbandonare Siracusa e si rifugiò con i suoi soldati a Leontini, mentre la città elesse un nuovo collegio di 25 generali, fra i quali Eraclide. Ma a Siracusa D. tornò poco dopo, con i suoi soldati, per invito dello stesso Eraclide, per respingere un assalto di Dionisio, che dei torbidi interni aveva approfittato per penetrare nella città gettando dovunque lo scompiglio e il terrore. Il popolo esultante elesse D. dittatore con pieni poteri, ma Eraclide continuò l'opposizione e pare che per mezzo dello spartano Farace allacciasse segrete trattative con Dionisio. Con Farace, che aveva raccolte numerose milizie, D. venne a battaglia presso Agrigento: e fu battuto, ma Siracusa rimase in suo possesso. Poco dopo Apollocrate, figlio di Dionisio, assediato nella rocca, capitolava (355).
Le fonti, che a D. sono favorevoli, considerano benevolmente le intenzioni di lui: come scolaro dei Pitagorici e di Platone, voleva introdurre un ordinamento aristocratico; sembra anzi che Corinto gli servisse d'esempio; ma il fatto è che, lungi dal deporre il potere dittatoriale, D. lo mantenne e ne fece largo uso; lungi dallo smantellare la rocca della tirannide, la mantenne fornita di presidio: e tenne per sé una guardia del corpo come i tiranni; e fece uccidere da sicarî Eraclide. Inimicatosi il popolo per essersi opposto a una spartizione di terre, s'alienò i possidenti costringendoli a gravi imposte per il mantenimento dei suoi mercenarî: si formò allora una congiura della quale D. rimase vittima il giugno del 354. Capo della congiura Callippo ateniese, che a D. era stato amicissimo, lo aveva ospitato ad Atene e accompagnato nell'impresa di liberazione.
Fonti: Plutarco, Vita di Dione; Cornelio Nepote, Dione; Diodoro, XVI; inoltre i n. 3,4,7,8,13 delle cosiddette lettere platoniche contengono materiale che può essere usato come fonte.
Bibl.: E. Freeman, The history of Sicily, Oxford 1891-94, IV, p. 239 segg.; A Holm, Storia della Sicilia, traduz. ital., II, Torino 1901, p. 318 segg.; A. Holm, St. della moneta siciliana, traduz. ital., Torino 1906, p. 150 segg.; J. Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., III, i, Berlino 1922-23, pp. 131, 256 segg.; The Cambridge Ancient Hist., VI, Cambridge 1927, p. 272 segg.; E. Howald, Die Briefe Platons, Zurigo 1923, p. 20 segg., e il commento alle singole lettere. V.anche B. Niese, in Pauly-Wissowa, Real-Enc., V, coll. 834-46 e bibl. ivi raccolta.