PUCCI, Dionigi
PUCCI, Dionigi. – Nacque da Puccio di Antonio Pucci e dalla sua seconda moglie, Bartolomea di Tommaso Spinellini, l’8 febbraio 1442.
Nel 1459, a soli 17 anni, partecipò al torneo in piazza Santa Croce per i festeggiamenti per la venuta di Gian Galeazzo Sforza, figlio del duca di Milano.
Luigi Pulci (Lettere di Luigi Pulci a Lorenzo il Magnifico e ad altri, a cura di S. Bongi, Lucca 1886, p. 79) lo ricorda come amico carissimo e membro della brigata laurenziana; e lo stesso Lorenzo il Magnifico lo ritrae, in una delle sue rime facete, in una tragicomica caduta da cavallo a causa di una levataccia mattutina, durante una caccia (Lorenzo de’ Medici, Uccellagione di starne, in Opere, 1992, p. 236).
Secondo i dati del Catasto del 1481 Pucci risiedeva nel quartiere di San Giovanni, con la moglie Giovanna, figlia di messer Antonio Gambacorta, in una casa in via dei Servi: non era però la casa paterna (pervenuta per accordi tra eredi, al fratello Tommaso), ma un’altra abitazione acquistata in tempi recenti per la somma di 1185 fiorini (Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 1023, cc. 295 s.). Oltre a essere tra gli amici più stretti di Lorenzo (in un testamento del maggio 1483 egli eleggeva proprio il Magnifico suo esecutore testamentario, Archivio di Stato di Firenze, Notarile Ante Cosimiano, 2982, cc. 23 s.), Pucci fu tra i più autorevoli sostenitori della sua politica e tra i suoi più fidati collaboratori. Lo conferma anche la qualità dei molti incarichi pubblici rivestiti. Nel 1477 fu degli Otto di guardia e balia e podestà di Castiglion Fiorentino; il 6 maggio del 1478, in seguito alla fallita congiura dei Pazzi, Pucci fu uno dei cinque cittadini eletti dal Consiglio del Cento, come ufficiali dei beni dei ribelli per decidere della sorte dei beni dei Pazzi; fu poi membro della Balìa del 1480. Nel luglio del 1483, nel pieno della guerra con Genova e Napoli che seguì la congiura, Pucci fu inviato in Lunigiana, divenuta di riflesso zona di scontri, come secondo commissario al fianco del commissario in campo Bernardo Del Nero, per favorire la riconquista di Sarzana che già l’esercito fiorentino teneva sotto assedio. Fu inoltre squittinatore nel 1484, arroto al Collegio dei settanta nel 1488, vicario di Lari nel 1491 e gonfaloniere di Giustizia nel 1493.
Ma egli fu soprattutto uno degli uomini chiave della politica perseguita da Lorenzo in Romagna e in particolare a Faenza, il cui signore Galeotto Manfredi, sostenuto da Firenze, era stato ucciso nel 1488 nella congiura capeggiata dalla moglie, Francesca Bentivoglio, e dai ceti urbani faentini.
A conclusione del mandato del commissario Gianbattista Ridolfi, che vi aveva riportato l’ordine, la Signoria cercò un sostituto che sapesse mantenere la tutela di Faenza, anche a costo di sfruttare, all’occorrenza, i disaccordi locali tra i sostenitori di Ottaviano Manfredi, nipote del defunto Galeotto ed erede designato, e quelli di Astorre Manfredi, figlio di Galeotto, che alla morte del padre, con l’aiuto della madre Francesca, aveva usurpato il titolo spettante al cugino.
Pucci fu ritenuto il più adatto all’incarico e subito inviato a Faenza, dove lo si trova già dal 3 agosto del 1488. Oltre ad arginare lo scontento locale per la crisi economica in cui la città versava dopo la morte di Galeotto, a Pucci fu chiesto di occuparsi dell’ordinamento della giustizia. Egli acconsentì temporaneamente a incaricare un bargello esterno, sorretto da 25 provvigionati locali, ma la soluzione era così provvisoria e ne nacquero discordie tali da indurre dopo pochi mesi i faentini, timorosi di restare privi di guida, a richiedere direttamente al Magnifico un ampliamento dei poteri commissariali di Pucci. In seguito, però, il contrasto tra le aspirazioni dei locali e gli orientamenti di Pucci, fautore di una politica autoritaria, rimase fonte di costanti preoccupazioni. In seguito a nuovi scontri armati nel mese di agosto, Pucci si ritirò nella rocca meditando di lasciare Faenza, ma ottenne di poter lasciare la città solo dopo una prima, provvisoria pacificazione. Richiamato a Firenze alla metà di settembre, contava che i faentini, ormai senza guida, acconsentissero al suo ritorno; ma tra gli Anziani di Faenza (che pure erano alla mercé degli scontri locali) prevalse l’insoddisfazione per i modi di Pucci e la richiesta di un nuovo commissario.
Nell’ottobre del 1489 al posto di Pucci fu così inviato Pietro Nasi; ma già nel luglio del 1490 Pucci era nuovamente richiamato come commissario in Romagna: l’esperienza maturata sul luogo lo rendeva il solo capace di far fronte alla situazione. Stavolta Pucci si trovò ad affrontare, tra le altre cose, l’opposizione tra faentini e cotignolesi, protetti dal duca di Milano; e se da un lato la risoluzione della questione a favore dei faentini, nel giugno del 1492, gli procurò un aumento di popolarità, al contempo, la morte del Magnifico (dalla cui politica Pucci dipendeva direttamente), intervenne a limitarne l’azione, cosicché, già a ottobre, Piero de’ Medici disponeva per la revoca del suo mandato faentino. Peraltro, dal marzo 1493 e, ancora, nei mesi successivi, Pucci continuò a interessarsi, se pure ormai distaccato a Napoli, alle vicende di Faenza, come dimostrano alcune lettere inviate all’amico Pierfrancesco Tosinghi (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, I, CCXCIII, cc. 70 s.). Dall’aprile del 1493, infatti, Pucci fu designato come ambasciatore residente presso Ferrante d’Aragona re di Napoli. Come per il periodo faentino, anche per questa fase aragonese si conserva una fitta corrispondenza, frutto dell’intensa comunicazione diplomatica con Piero de’ Medici.
Al seguito del re, spesso in viaggio per suo conto nei territori del Regno, Pucci comunicava con Piero e con la Repubblica al ritmo, quasi, di una lettera al giorno: da Roma, si conservano lettere inviate ai primi di aprile del 1493; da lì Pucci si spostò a Nola da dove scrisse dal 20 aprile fino almeno al 2 maggio, fu poi la volta di Bracciano dal 5 al 9 maggio del 1493 e infine di Sessa Aurunca dal 13 al 30 maggio. Ai primi di giugno Pucci era a Capua, ad Aversa il 4, il 6 di nuovo a Capua, poi a Casale Arnone e così ancora per tutta l’estate; dalla fine di agosto alla fine di ottobre Pucci scriveva quasi stabilmente da Capua; infine, dal 16 novembre, pare ormai definitivamente stabilizzato a Napoli da dove continua a inviare lettere fino al 26 dicembre 1493 e, ancora, dopo la morte di Ferrante, dal gennaio al maggio del 1494 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo Avanti il Principato, filza XIX).
Perfino gli ultimi giorni di vita di Pucci si segnalano per un’intensa attività epistolare: tra il giugno e i primi di luglio del 1494, Pucci lasciava Napoli, al seguito del re Alfonso, diretto a Roma. I primi sintomi della malattia che lo avrebbe condotto alla morte sono già documentati in una lettera scritta da Celano a Tosinghi il 1° di luglio, nella quale Pucci confidava all’amico di come, appena giunti, gli fosse salita «un poco di febbre» e di come il re gli avesse subito messo a disposizione i migliori medici (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, CCXCIII, c. 73). Morì in quello stesso mese, a Roma: «morì el nostro ambasciadore di Napoli Dionigi Pucci seguitando la maestà del re Alfonso in terra di Roma» (Piero di Marco Parenti, 1994, p. 89).
Il corpo, trasportato a Firenze, fu sepolto, secondo le sue volontà, nella cappella di S. Sebastiano nella chiesa della Ss. Annunziata il 4 di agosto. Si ricordano la lettera di condoglianze di Alfonso II di Aragona alla vedova Giovanna (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, XCVI, n. 265) e anche le parole di elogio con cui il nipote Puccio, in una lettera a Tosinghi dell’agosto 1494, ricordava lo zio: «ornamento di casa nostra et di tutta la ciptà e allo stato utilissimo» (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, CCXCIII, c. 74). Alla committenza di Pucci e della moglie Giovanna, nel novembre del 1493, si fa risalire l’incarico affidato al Perugino per l’affresco della Crocifissione nella chiesa di S. Maria Maddalena dei Pazzi a Firenze, che fu portato a termine nell’aprile del 1496 (Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni Religiose Soppresse, CXVIII Cistercensi, 428, 96, f. 17r.).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, CXI, c. 128; CCXCIII, cc. 70- 74; Catasto 1023 c. 295 e ss.; Corporazioni Religiose Soppresse, CXVIII Cistercensi, 428, 96, f. 17r.; Mediceo avanti il principato, lettere contenute nelle filze XIV, XVI, XIX, XXIX, XXXIV, XXXV, XXXVIII, XL, XLI, XLIX, LIV, LXXXVIII, XCVI, ad ind.; Notarile Ante Cosimiano, 2982 c. 23; Archivio Pucci (inventario edito in Archivio Privato Famiglia Pucci Marchesi di Barsento di Firenze - Inventario. Fondo Pucci (1404-1930), I, a cura di D. D’Agostino - F. Polidori, Firenze 2000); P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1868, Pucci, tav. IV; L. de’ Medici, Lettere, II-XVI, Firenze 1977-2011, ad ind.; Id., Opere, a cura di T. Zanato, Torino 1992, p. 236; Piero di Marco Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci, I, 1476-78, 1492-96, Firenze 1994, p. 89.
G. Donati, La fine della Signoria dei Manfredi in Faenza, Torino 1938, pp. 26, 28-36, 38-40, 42, 44, 49, 51, 54-60, 62 s., 65-67, 69-73, 75, 79, 115, 187-196, 205-207, 214 s., 217-222; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici, Firenze 1999, p. 409; W. Ingeborg, Lorenzo il Magnifico e il suo tempo, Roma 2005, p. 64; P. Meli, Gabriele Malaspina marchese di Fosdinovo, Condotte, politica e diplomazia nella Lunigiana del Rinascimento, Firenze 2008, pp. 122 s., 128, 134.