DIONISIO II il Giovane (Διονύσιος ὁ νεώτερος) tiranno di Siracusa
Primogenito di Dionisio I e di Doride, successe al padre nel 367 a. C., nonostante l'opposizione dei fratellastri, figli di D. e di Aristomache. Trovò lo stato sotto la pressione violenta dell'ordinamento militare del padre, aggravata dalla guerra che si stava svolgendo contro i Cartaginesi, e dalla crisi economica che ne conseguiva. Dotato assai più di cultura filosofica e letteraria che non di abilità strategica, egli si propose di migliorare le condizioni dei suoi sudditi, attenuando il dispotismo e facendo sentire meno il contrasto fra la tirannide e la libertà cittadina. Era insomma l'ideale della trasformazione della tirannide in monarchia illuminata, che fu teorizzato da Senofonte nello Ierone. D. cominciò con il fare rapidamente la pace con i Cartaginesi sulla base dello statu quo ante, mitigò le tasse, richiamò in Siracusa Filisto (v.), già ministro di suo padre, ricostruì in parte Reggio sotto il nome di Febeia, permise agli abitanti di Nasso distrutta d'insediarsi a Tauromenio, ecc. E mentre perseguiva questo programma, reso difficile dalla duplice opposizione dei sostenitori del sistema paterno e dei fedeli alle libere repubbliche, continuava la politica estera di Dionisio I, intervenendo in aiuto di Sparta contro Tebe (366 a. C.), combattendo contro i Lucani, intrecciando relazioni amichevoli con altri stati, fra cui Taranto. Tutta questa attività di D. era guidata e incitata dal fratello di Aristomache, Dione (v.). Questi, nella speranza di poter avere un valido aiuto in una più decisa politica di riforme, persuase D. a richiamare alla corte il filosofo, le cui teorie politiche cominciavano ad essere considerate con grande attenzione in molte parti del mondo ellenico: Platone. S'intende che il rinvigorimento di un tale programma avrebbe portato all'accrescersi dell'influenza di Dione su D.: e quindi il motivo ideale per chiamare Platone, che era già stato alla corte di Dionisio il Vecchio, coincideva con il vantaggio personale di D. Platone venne, fu accolto trionfalmente e cominciò con lo studiare un piano di ricostruzione delle città greche trasformate in colonie militari da Dionisio I; ma l'opposizione degli avversari di queste riforme, raccoltisi intorno a Filisto, ebbe buon gioco nel provocare i sospetti di D. contro Dione, che, se pure non mirava a sostituirsi a D. - ciò che è per lo meno indimostrabile - cercava di dominarlo. Dopo quattro mesi Dione era esiliato con tutti gli onori e Platone doveva necessariamente allontanarsi poco dopo. Invano in un secondo viaggio (361) egli cercò di riconciliare D. con Dione. Dopo la partenza di quest'ultimo, la politica di D. perdette ogni decisa volontà di rinnovamento e non accrebbe quindi se non l'odio per la tirannide, tanto più che il pericolo cartaginese che l'aveva provocata sembrava ormai scongiurato. Di questa insofferenza poté approfittare Dione nel 357, sbarcando sulle coste della Sicilia ed eludendo la sorveglianza di D. e di Filisto, per quanto egli, data la sua stretta parentela con la famiglia di D., fosse il liberatore meno desiderato. Siracusa aprì le porte a Dione, mentre D. stava con parte della flotta a Caulonia, nell'Italia meridionale; a D. non restò che Ortigia, trasformata in cittadella da Dionisio I, ma anche questa fu assediata, dopo che la flotta comandata da Filisto fu distrutta e Filisto stesso si uccise. D. tuttavia poté fuggire, lasciando il figlio Apollocrate alla difesa di Ortigia, difesa inutile, perché dopo varie vicende (v. dione) Ortigia dovette capitolare. A D. restavano Locri e Reggio, la quale ultima città gli fu strappata nel 351 da Callippo che era riuscito a sopprimere Dione, ma era stato poco prima sostituito in Siracusa dal fratellastro di D., Ipparino. Era cominciato per Siracusa il periodo della dissoluzione della tirannide, che, esaurito il suo scopo immediato, la difesa contro il barbaro, non sapeva darsi un'altra funzione politica e passava da avventuriero ad avventuriero. Succeduto a Ipparino il fratello Niseo, a D. fu facile rioccupare Siracusa nel 347. Ma non per molto tempo. Il popolo siracusano invocò l'aiuto di Iceta, signore di Leontini, e di Corinto, la madre-patria. Per l'aiuto di Iceta, D. perdette nuovamente Siracusa e fu bloccato in Ortigia (345) mentre si approssimavano i soccorsi corinzî comandati da Timoleone. Iceta, che ora temeva di perdere l'egemonia da poco acquistata, si stringeva in alleanza con i Cartaginesi, per impedire ai Corinzî di sbarcare; ma D., chiuso in Ortigia, tra il pericolo di cadere in mano a Iceta o di darsi a Timoleone, preferì pattuire la resa con quest'ultimo, cedendogli la guarnigione della cittadella e ottenendo di allontanarsi indisturbato (344). Traseorse gli ultimi anni a Corinto, da mecenate e da gaudente. È ignoto l'anno della morte.
Fonti principali: Le lettere platoniche III, IV, VII, VIII, XIII, di cui almeno la VII e la VIII probabilmente autentiche: le altre in ogni caso di diretti discepoli di Platone e bene informate. Le si vedano nell'edizione di E. Howald, Die Briefe Platons, Zurigo 1923. Inoltre: Diodoro, XVI; Plutarco, Dione e Timoleone; Cornelio Nepote, Dione e Timoleone; Giustino, XXI, 2. La fonte principale dei primi tre è Timeo. Plutarco conosce e adopera anche le lettere platoniche.
Bibl.: E. Freeman, The history of Sicily, IV, Oxford 1894, p. 239 segg.; A. Holm, Storia della Sicilia, trad. it., Torino 1901, II, p. 292 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., III, i, Lipsia e Berlino 1922, pp. 129 segg., 255 segg., 580 segg.; B. Niese, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 904 segg.; E. Meyer, Geschichte des Altertums, V, Stoccarda e Berlino 1902, p. 497 segg.; U. von Wilamowitz, Platon, 2ª ed., I, Berlino 1920, p. 537 seg.