DIOSKOURIDES (Διοσκουρίδης Σάμιος)
3°. - La firma D. di Samo fece (ἐποίησε) si trova vicino al bordo superiore di due famosi mosaici di ispirazione teatrale (tipi della Commedia Nuova) trovati a Pompei in un ambiente della cosiddetta Villa di Cicerone, scoperta nel 1763, e conservati al Museo Naz. di Napoli. La decorazione pittorica della villa è databile fra il 40 e il 30 a. C. I due mosaici, non certo eseguiti sul posto, ma inseriti come emblemata (v. emblemata), sono contenuti in una incassettatura di marmo a grandi cristalli che forma cornice e fondo; possono quindi essere anche di data anteriore alla decorazione pittorica della villa. I caratteri epigrafici della firma sembrano databili attorno al 100 a. C. (Mercidin). Generalmente si è ritenuto che la firma indichi l'esecutore dei mosaici e lo si è datato perciò al II-I sec. a. C.; ma poiché per una delle due composizioni (A) si può documentare la derivazione da un'opera pittorica risalente al III sec. a. C., si potrebbe anche supporre che il nome fosse quello dell'autore degli originali; il caso, però, sarebbe isolato, dato che nelle copie di sculture celebri si riscontrano le firme dei copisti senza che sia indicato l'autore dell'originale copiato. Entrambi i mosaici presentano una tecnica finissima, a tessere minutissime, col chiaro intento di imitare al massimo la pittura, assai prossima a quella dei mosaici rinvenuti a Pergamo.
A. Musicisti ambulanti (mv. 9985; misure, senza la cornice, cm 43 × 41; v. tavola a colori e la voce pittura): un suonatore di tympanon (tamburello), un suonatore di piatti, una flautista, tutti recanti la maschera, seguiti da un fanciullo (o nano) d'aspetto miserevole, stanno dinanzi al muro di una casa, accanto a una porta. Sono "metragyrti", i suonatori ambulanti del culto di Cibele, che appaiono anche nel Satyricon di Petronio. La figura del suonatore di piatti ha una replica in una terracotta di Myrina, anteriore al II sec. a. C.; il che farebbe risalire al III sec. a. C. la composizione originale. Tutta la scena si trova ripetuta in una pittura proveniente da Stabia, che non deriva dal mosaico, ma indipendentemente dall'originale, probabilmente attraverso copie intermedie. Infatti, sul mosaico si notano delle incertezze di disegno, quali la incerta positura nell'ambiente della figura femminile e la doppia piega a mandorla, trasversale al punto di vita, nella figura del suonatore di piatti, che non è coerente col panneggio e che infatti appare diversa, e corretta, nella pittura di Stabia, per quanto questa sia di qualità assai mediocre e quindi certamente una copia. Stabilito così al III sec. a. C. l'originale pittura ellenistica (probabilmente di scuola asiana, data l'influenza sulle terrecotte di Myrina e la patria samia del mosaicista) diviene particolarmente interessante osservarne la policromia: essa è infatti la più ricca che ci sia testimoniata in opere di pittura dell'antichità classica. La veste del suonatore di tömpanon va dallo scuro quasi nero delle ombre ai mezzi toni azzurri, mentre nei punti più chiari assume tonalità giallastre. Siamo di fronte ad un esempio esplicito di cangiantismo (quale si ritroverà nel "manierismo" del tardo Cinquecento italiano, per esempio nel Pontormo), che attesta una problematica pittorica assai complessa con risoluzione di forme e di volumi con puri mezzi coloristici, senza più alcuna traccia di disegno lineare. D'altra parte si osserva che si tratta di una pittura nella quale il chiaroscuro è ottenuto tuttora per impasto e velature e non ancora a macchia. La spazialità della composizione è molto semplice: un primo e un secondo piano, sul quale, per effetto della zona neutra in basso, i personaggi sono veduti come sopra un proscenio. Le ombre portate accentuano il senso della profondità e dello spazio. Tutto concorre a porre l'originale, donde derivano i mosaici, ancora nella prima metà del III secolo a. C.
B. Consultazione di una fattucchiera (Inv. 9987; misure, senza la cornice, cm 42 × 35; v. tavola a colori). Due donne giovani e una orrida vecchia strabica, tutte con maschere teatrali, sedute attorno a un tavolino rotondo; alla sinistra della vecchia, una servetta. Il vaso a calice che è presso la vecchia suggerisce una manipolazione di farmachi, scena che non manca nella Commedia Nuova. Anche qui la policromia palesa una problematica coloristica molto vicina a quella del mosaico A, con effetti di cangiantismo nelle vesti e nella decorazione del cuscino. Particolarmente interessante la spazialità della composizione, suggerita dalla cornice e dalle varie strisce di colore, che formano uno spazio chiuso, di una stanza alla quale si accede con tre gradini. Le figure vengono a esser collocate entro una specie di cassetta, tipico modo di rappresentazione spaziale che le fonti letterarie attestano già per la pittura del IV sec. a. C. (v. aetion; pagasae; pittura). Non si può affermare con certezza che il mosaicista D. abbia copiato in entrambi i casi composizioni di uno stesso autore; ma la problematica artistica e tecnica appartiene in tutti e due i casi alla stessa epoca.
Bibl.: Museo Borbonico, IV, tav. 34; J. Overbeck, Schriftquellen, n. 2163; H. Brunn, Geschichte d. griech. Künstl., II, Stoccarda 1889, p. 312; O. Rossbach, in Pauly-Wissowa, V, 1903, c. 1143, s. v.; E. v. Mercklin, in Herrmann-Bruckmann, Denkmäler der Malerei, tavv. 106, 107, p. 134; M. Bieber-G. Rodenwaldt, in Jahrbuch, XXVI, 1911, p. 17 ss.; B. Sauer, in Thieme-Becker, IX, 1913, p. 319, s. v.; E. Pfuhl, Mal. u. Zeich., II, Monaco 1923, p. 848 ss.; A. Blanchet, La Mosaïque, Parigi 1928, p. 55; M. H. Swindler, Ancient Painting, Londra 1929, p. 445; G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1929, p. 66; E. Curtius, Malerei Pompejis, Monaco 1929, p. 288; O. Elia, Pitture murali e mosaici del Museo Naz. di Napoli, Roma 1932, p. 140 ss.; E. Simon, Comicae Tabellae, Dissert., Colonia 1938, p. 14; G. Lippold, Die Plastik, in Handb. d. Archäol., Monaco 1950, p. 153; A. Rumpf, Mal. u. Zeich., in Handb. d. Archäol., Monaco 1953, p. 153.