DIOTISALVI (Deotisalvi)
Le fonti antiche non specificano il luogo di nascita di questo architetto, attivo a Pisa nel sec. XII. Nelle Memorie istoriche del 1790, dov'egli è però comunque detto pisano, gli si attribuisce il cognome Petroni, il che potrebbe probabilmente aver dato lo spunto all'ipotesi di una origine senese (Rohault de Fleury, 1862), mentre l'attribuzione di alcuni lavori a Lucca - molto dubitativamente suoi - lo ha fatto definire lucchese (Conway, 1902).
A Pisa D. si dedicò a costruzioni a pianta centrale: la chiesa del S. Sepolcro, strutturalmente affine alla cappella di S. Agata, e il battistero di S. Giovanni, poi terminato da altri, parte integrante del complesso monumentale della piazza dei Miracoli.
S. Agata, del XII secolo, retrostante la chiesa di S. Paolo a Ripa d'Amo, è da alcuni attribuita anch'essa a D.: è una piccola costruzione ottagona in mattoni, presenta su ogni lato una trifora inserita entro un grande arcone ed è coperta da una cupola conica rivestita all'esterno da un tetto piramidale, i modi lombardeggianti della sua tipologia differiscono da quelli buschetiani tipici dell'architettura più propriamente pisana, anche se se ne può trovare un lieve riflesso negli archi a ferro di cavallo dell'interno.
Se l'ipotesi di una paternità di D. per S. Agata è insicura, molto più certo si fa il discorso quando si consideri la chiesa del S. Sepolcro, ferma però restando S. Agata come precedente ad essa (ma vedi Boeck, 1964). Da due iscrizioni identiche sul campanile, in caratteri del XII secolo, emerge il nome di D.: "Huius operis fabricator / Ds te salvet nominatur". D. avrebbe costruito chiesa e campanile probabilmente nel 1152 0 '53 (computo pisano) o secondo alcuni anteriormente o addirittura all'inizio del sec. XII.
La chiesa, commissionata con tutta probabilità dai Templari, avrebbe dovuto riecheggiare quella del S. Sepolcro di Gerusalemme (Anastasis), che infatti, così com'è raffigurata su miniature e sigilli, appare molto simile alla chiesa pisana. L'edificio ha pianta ottagonale: su ciascun lato, ben contenuto da contrafforti angolari, si aprono due finestre in alto, mentre quattro portali (ora tre) erano disposti sui lati alterni. Nell'interno un ampio ambulacro, coperto a tetto, gira attorno alla parte centrale dove otto pilastri slanciati sostengono altrettanti archi acuti sui quali poggia il tamburo ottagonale sormontato da un'altissima cupola a piramide. Il campanile, che ha la base in pietra e l'alzato in mattoni, è ritmato da cornici ad archetti pensili e da lesene (la cella campanaria a monofore è aggiunta più tarda).
Ma il monumento pisano universalmente noto come opera di D. è il battistero. D., che certamente aveva progettato tutto il monumento, non portò a termine la costruzione. Risponde comunque senz'altro al pensiero del maestro fondatore l'ubicazione dell'edificio, separato dalla cattedrale e ad essa attiguo, com'era antica tradizione appunto per i battisteri, ma ambientato con alta armonia nell'ampio spazio della piazza e posto in equilibratissima relazione con la chiesa, a fronteggiarne la facciata. L'opera, iniziata nel 1153 (uso pisano), esattamente il 15 agosto (Banti, nota 2, in Sardo, sec. XV, p. 32), venne a sostituire un più antico battistero ottagono le cui fondazioni sono state rinvenute durante i lavori di scavo nel Camposanto condotti poco prima del 1960.
Nel battistero D. riprende i modi della sua chiesa del S. Sepolcro, arricchendo il suo fare sia con l'uso del marmo sia, soprattutto, con la manifesta adesione ai modi tutti "pisani" di Buscheto e Rainaldo. All'armonia di relazione con gli altri edifici della piazza dei Miracoli si aggiunge l'armonia dei rapporti tra le varie parti del battistero stesso: a pianta circolare, ha quattro porte alle estremità di due diametri ortogonali; nelle altre sedici arcate, cieche, del piano terra all'esterno, di nitida misura e chiarezza nella loro identità, si aprono altrettante monofore perfettamente centrate e funzionali alla illuminazione della parte inferiore dell'interno; la perfetta rispondenza con la soprastante loggetta dalle slanciate colonnine è oggi più difficile a captarsi per via delle cuspidi e pinnacoli aggiunti nella seconda fase dei lavori. La data dell'inizio dell'attività di D. è ricordata all'interno sui pilastri a destra e a sinistra dell'ingresso principale: "MCLIII mense aug fun/data fuit h ecclia" (a destra); "MCLIII mense aug / facta fuit h ecc/la" (a sinistra). L'artista è rammentato in altra iscrizione sul pilastro destro: "Deotisalvi magister huius operis".
L'interno, di straordinaria compostezza, con la parete listata di marmi dicromi alla maniera tipicamente toscana, è reso concentrico da un giro di quattro pilastri alternati a quattro coppie di colonne collegati da dodici arcate su alti piedritti: si vengono così a costituire quattro settori di tre arcate ciascuno, delle quali la mediana in perfetto asse con la porta corrispondente. Sopra l'ambulacro anulare corre una galleria coperta da volticine a crociera e limitata verso l'interno da arcate su alti pilastri; su di essa si imposta una grande cupola conica, rivestita più tardi dalla grande calotta tondeggiante e dal cupolino che ricopre la cima del cono, in origine aperta in un oculo, proprio in relazione a questa apertura D. aveva costruito il pavimento in lieve pendio per il deflusso della pioggia.
Sul lato meridionale della galleria, in basso sulla parete, un'altra iscrizione testimonia che "anno dni MCCLXVI II edifichata fuit de novo". Non è chiaro se si tratti di continuazione o rifacimento, tuttavia si sarebbe più propensi ad accedere alla corrispondenza tra questa iscrizione e una ripresa di lavori, sospesi per mancanza di fondi.
Dovrebbe dunque spettare a D. la parte inferiore della fabbrica, e cioè all'esterno l'ordine terreno di arcate cieche e la soprastante galleria di colonnine, e all'interno il piano terra con il suo deambulatorio, le volte e probabilmente il matroneo.
L'ipotesi di una partecipazione di D. alla costruzione del campanile pendente di Pisa (cfr. Mothes, 1883), già negata da Bellini Pietri (1913), non sembra accettabile (v. anche Carli, 1973) anche se recentemente ripresa con autorevolezza da Ragghianti (1986). Infine, per attribuzioni fatte in vari tempi a D. di opere in Lucca, cfr. Ridolfi (1877); ma, di contro, Salmi (1926) e Belli (1970).
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