DRAGONI, Dipoldo di (Dipoldus, Tiobuldus, Diopuldus, Teopuldus, Theobaldus de Dragone)
Nacque da una nobile famiglia della Terra di Lavoro, che prendeva nome dal proprio feudo principale, la baronia di Dragoni situata sul Volturno, a nord di Caiazzo (att. prov. di Caserta). Non si trattava di una linea collaterale dei Balvano, come hanno ripetuto molti geneaologisti sulla scia di Ferrante Della Marra (1641). Il nome di battesimo del D., a prima vista sorprendente in Campania, si spiega agevolmente ammettendo un legame di parentela con Dipoldo di Schweinspeunt, il cui fratello Sigfrido fu fino al 1221 signore della città di Caiazzo.
È dunque probabile che la nascita del D. non sia anteriore al primo decennio del XIII secolo. Risulta per la prima volta barone di Dragoni nel dicembre del 1230, allorché egli, in presenza del vescovo di Caiazzo Giacomo Almondo, rinunciò a certe terre, ubicate a Cornello, in favore della locale chiesa di S. Maria. Nell'ottobre dell'anno successivo un suo vassallo, che rivendicava a sua volta un terzo di quei possedimenti, riconobbe questa rinuncia, in seguito all'intervento del vescovo e con il consenso del Dragoni.
Verso la fine degli anni Trenta l'imperatore Federico II assegnò al D. alcuni compiti cavallereschi, che lo introdussero nella cerchia del ceto dirigente baronale del Regno. Nel 1239 lo nominò castellano di Castel Capuano di Napoli, una delle principali roccaforti del Regno, con la sua guarnigione di dieci cavalieri, sessanta balistarii e centoquaranta vigili. Di fronte alla minaccia che l'alleanza del papa con Genova e Venezia recava ai porti del Regno, l'imperatore diede inoltre incarico al tesoriere Angelo Della Marra, di versare al D. 200 once d'oro, ordinando nello stesso tempo di procurare i materiali necessari ad ampliare le fortificazioni e ad accrescere le riserve alimentari. Il D. ebbe anche istruzioni per il trasferimento dei prigionieri politici a Sarno e a Melfi. Nel dicembre del 1239 giunsero a Napoli, via mare, i prigionieri di guerra lombardi, che il D., in collaborazione coi giustiziere della Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, inviato espressamente a Napoli dall'imperatore, distribuì tra i baroni della Terra di Lavoro, affinché li custodissero, nel quadro dei loro obblighi feudali. Il D. prese direttamente in consegna due di questi prigionieri che rinchiuse nel castello di Dragoni. Nell'aprile del 1240, inoltre, in qualità di castellano di Napoli, fu incaricato di consegnare delle sculture ("ymagines lapideas"), giunte fin là via mare, ai compalazi napoletani, che dovevano poi curarne il trasporto fino a Lucera, scegliendo le persone a ciò più adatte. Tali sculture erano certamente destinate al castello di Lucera.
Nel maggio del 1241 le flotte riunite pisana e siciliana catturarono molti prelati che si recavano al concilio previsto per quell'anno e li sbarcarono nel Regno. Nell'agosto successivo, subito dopo la morte del pontefice Gregorio IX, l'imperatore fece tradurre dal Regno a Tivoli per mezzo del D. due cardinali che teneva prigionieri, Giacomo di Pecorara, del titolo di Palestrina, e Ottone di Tonengo, del titolo di S. Nicola in Carcere Tulliano; dovevano essere consegnati alla locale guarnigione, mentre a Roma confluivano gli altri cardinali. A novembre, dopo il fallimento delle trattative per la loro liberazione e la prematura scomparsa del neoeletto papa Celestino IV, i due cardinali furono ricondotti nel Regno, ma nell'aprile successivo, quando l'imperatore tornò a sperare in un accordo coi cardinali, che soggiornavano a Roma e ad Anagni, sull'elezione del nuovo pontefice, il D. li dovette riportare di nuovo da Capua a Tivoli.
Nel 1243, dopo aver licenziato Giacomo di Morra, primo vicario generale imperiale nel Ducato di Spoleto (ancora in carica nell'agosto del 1242), Federico II nominò al suo posto il Dragoni.
Questi seppe preservare la sovranità imperiale nel Ducato, ma non riuscì a piegare l'ostinata resistenza delle città di Assisi, Narni e Rieti, neanche con l'appoggio dei Comuni di Foligno, Terni e Spello, controllati dai ghibellini. Nel luglio del 1243, a Terni, incaricò il giudice capuano Giacomo Monacho, suo camerlengo, e il vicario della Terra Arnolfi di fissare con precisione il nuovo confine tra questa e il Ducato di Spoleto. Ciò fu fatto in settembre. Ma prima che finisse l'anno il D. fu evidentemente rimosso dal suo ufficio, se già nel gennaio del 1244 il conte Riccardo di Caserta svolgeva le funzioni di vicario generale sia nelle Marche sia nel Ducato.
Intorno al 1248, mentre il regno di Federico II volgeva al termine, il D. fu temporaneamente "exactor fiscalis pecuniae", subordinato al giustiziere degli Abruzzi. In questa veste partecipò alla riscossione della colletta generale tra i feudatari locali e gli altri contribuenti.
Il D. sposo in prime nozze Diamuta, attraverso la quale, evidentemente, poté avanzare pretese sulla baronia di Morcone, che Federico II conferì in possesso ereditario a lui e alla sua sposa. In seguito sposò Isabella di Monteverde, figlia del signore della città di Monteverde, Guglielmo di Bisaccia, morto nel 1230. Si deve probabilmente identificare con Isabella la "filia quondam Guillelmi de Monteviridi" che fu dama di corte dell'imperatrice Isabella nel 1240 e i cui beni furono amministrati dal castellano Lucasino di Melfi. Con questo secondo matrimonio il D. divenne uno dei maggiori baroni della Basilicata, visto che Isabella gli portò in dote i feudi di Armaterra, Rapone, Vitalba e Monteverde. Non si conoscono tuttavia le date esatte della sua signoria feudale su queste terre.
Dopo la morte di Federico II il D. si schierò inizialmente con il nuovo re Corrado IV, cui fornì in prestito 1.000 once d'oro, ottenendo in pegno il castello, i beni demaniali e le rendite della Corona di Alife. Nel 1254, quando crollò il dominio degli Svevi e Innocenzo IV penetrò nel Regno, il D. passò dalla parte del pontefice, che nello stesso anno gli confermò il dominio feudale sulle baronie di Dragoni e Morcone. Anche Alessandro IV, nel marzo del 1255, gli rinnovò tale investitura, mentre fin dal gennaio gli aveva confermato la signoria di Alife tenuta in pegno.
Non si sa quale atteggiamento abbia assunto il D. verso il nuovo re Manfredi, che incontrò una vasta opposizione proprio nella nobiltà della Terra di Lavoro. Sembra però che il D. sia morto durante il regno di Manfredi visto che già nel dicembre del 1266 la baronia di Dragoni aveva un successore.
Mentre la vecchia letteratura genealogica, dal Della Marra in poi, atribuiva al D. cinque figli (Tommaso, Pietro, Guida, Minora e Melisenda), la sua discendenza diretta documentata si limita a due figlie nate dal secondo matrimonio: Marina e Altruda. Nel febbraio del 1267 il giustiziere della Terra di Lavoro le affidò prima alla contessa Minora di Apici, poi allo zio Ruggiero di Dragoni, che le condusse a Ocre, presso la regina Beatrice. Nel 1269 Carlo I d'Angiò le maritò a due nobili del suo seguito, che così entravano in possesso dei feudi in Basilicata, recati in dote al D. da Isabella. Nella baronia di Dragoni, invece, al D. successe Goffredo di Dragoni, suo consanguineo, forse nipote o addirittura figlio. In tal caso anche Venia di Dragoni (morta nel 1277), sorella di Goffredo, avrebbe avuto uno stretto legame di parentela con il Dragoni. Venia sposò Ruggero De Amicis, capitano generale e gran giustiziere del Regno dal 1240 al 1245, anno in cui partecipò alla congiura di Capaccio.
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