Direttive europee in tema di reciproco riconoscimento
I decreti legislativi che attuano le decisioni quadro relative all’ex “terzo pilastro” ridisegnano il quadro normativo dedicato alle politiche criminali dell’Unione europea. Essi si collocano nell’ambito del contesto del rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione europea dopo il nuovo Trattato. Pur nella eterogeneità degli ambiti, i provvedimenti, ispirati ad una maggiore semplificazione e celerità dei processi di adeguamento agli strumenti di diritto derivato, valorizzano le modalità di cooperazione attraverso il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie emesse dagli Stati membri dell’Unione europea e le potenzialità investigative. Il contributo ha l’obiettivo di individuare le linee direttive ispiratrici dei diversi provvedimenti per mettere in risalto il progressivo processo di giurisdizionalizzazione delle forme e dei meccanismi di svolgimento delle procedure di cooperazione giudiziaria, senza trascurare i più rilevanti profili problematici.
In esecuzione alla legge di delegazione europea per il 2014 (artt. 1821 della l. 9.7.2015, n. 114), il Governo, incrementando l’assetto normativo relativo alle politiche criminali dell’Unione europea, ha adottato misure legislative di attuazione delle decisioni quadro relative all’ex “terzo pilastro”. Se il profilo politico della scelta è sollecitato dalle aggressioni terroristiche e delle diverse organizzazioni della criminalità transfrontaliera che interessano l’Europa, il profilo processuale è radicato nella necessità di mettere al riparo il nostro Paese da procedure di infrazione per mancata attuazione del diritto dell’Unione. Infatti, il venir meno dal 1 dicembre 2014 del regime transitorio, che limitava in cinque anni il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea sull’attuazione delle norme europee nel settore della cooperazione, ha determinato la conseguente competenza pregiudiziale della Corte di giustizia anche agli atti varati nell’ambito del cd. “terzo pilastro” dell’Unione europea, fino a tale data sottratti alla procedura di infrazione e al giudizio della Corte ex art. 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Come è noto, la competenza della Corte era più limitata rispetto a quella ordinaria. L’assetto normativo anteriore al Trattato di Lisbona legittimava al rinvio pregiudiziale solo le giurisdizioni degli Stati membri che avessero riconosciuto, con apposita dichiarazione, la competenza della Corte e non prevedeva l’esperimento della procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
I nuovi provvedimenti, collocandosi nell’ambito del contesto del rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione dopo il Trattato sull’Unione europea, impresso dal Consiglio europeo di Tampere, sono ispirati da soluzioni innovative, che ridisegnano il quadro normativo di riferimento1. Le disposizioni nel loro insieme rappresentano un mutamento di prospettiva del modello processuale, contribuendo a realizzare un sistema di tutele che ha acquistato una sua organicità.
Ad un esame complessivo i provvedimenti mostrano contenuti eterogenei che spingono l’interprete alla ricerca delle diverse linee guida ispiratrici e che segnano il passaggio dal precedente assetto strutturale dei rapporti di cooperazione giudiziaria penale dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ad un assetto del tutto nuovo.
L’osservazione trova conferme anche nell’esame della direttiva 2012/29/UE recepita con d.lgs. 15.12.2015, n. 2122 relativa alla vittima del reato3. Provvedimento che, con le altre disposizioni in tema di garanzie processuali4, segue un autonomo percorso, diretto ad assicurare un adeguato livello di assistenza e di tutela, sia nelle fasi di accesso e di partecipazione al procedimento penale, sia al di fuori e indipendentemente da esso5.
In particolare, nello stesso percorso si inserisce anche il d.lgs. 15.9.2015 n. 184 di attuazione della direttiva 2013/48/UE, sul diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, sul diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e sul diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari.
Quest’ultima direttiva rientra nel quadro delle misure6 per il rafforzamento dei diritti procedurali degli indagati o imputati in procedimenti penali. Fissa norme minime in riferimento all’assistenza difensiva e si caratterizza per una esplicita e compiuta regolamentazione dell’assistenza difensiva anche nei procedimenti di esecuzione dell’euromandato7.
Se il contesto di politica criminale è caratterizzato da particolare attenzione ai profili connessi alle esigenze preventive e di sicurezza, la risposta alle forme di criminalità transnazionali è perseguita valorizzando le modalità di cooperazione, attraverso due diverse linee guida. La prima trova fondamento nell’idea di fondo che sostanzia il principio che la cooperazione giudiziaria può trarre vantaggio dalla nozione del “riconoscimento reciproco delle decisioni”8.
La seconda linea guida tende al rafforzamento della capacità investigativa, favorendo anche la disponibilità dei dati ed una compiuta e semplificata circolazione delle informazioni nei procedimenti penali.
ll percorso di progressiva armonizzazione e coordinamento degli ordinamenti penali degli Stati membri dell’Unione europea è caratterizzato dalla adozione di decisioni quadro volte all’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali nell’ambito dello spazio comune europeo di giustizia, e diretta alla agevolazione e all’effettiva esecuzione dei provvedimenti emessi in ambito sovranazionale. L’obiettivo di migliorare e rendere più efficiente la cooperazione sul piano giudiziario tra gli Stati è, infatti, realizzato attraverso l’adozione del metodo del “mutuo riconoscimento”9.
L’idea di offrire una maggiore effettività del sistema penale sul piano della sicurezza e della difesa sociale è stata perseguita, già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009 e precedentemente oggetto della legge italiana di adattamento 2.8.2008, n. 130, a partire dalla decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo ma ha ispirato anche: decisione quadro 2003/577/GAI in materia di congelamento dei beni; decisione quadro 2005/212/GAI in materia di confisca; decisione quadro 2008/978/GAI in tema di scambio e ammissibilità reciproca delle prove; decisione quadro 2009/829/GAI sul riconoscimento delle sentenze di condanna e delle decisioni (definitive e cautelari) limitative delle libertà non custodiali10. Su questa linea può inserirsi anche la decisione quadro 2001/220/GAI relativa ai diritti e alla protezione della vittima del reato.
In tale contesto valoriale, si registra una evidente accelerazione nella previsione di strumenti efficaci di attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, con la direttiva 2014/41/UE relativa all’ordine europeo di indagine, ci cui si dirà, con la direttiva 2014/42/UE relativa al congelamento ed alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea e con la direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.
In particolare, e per quanto qui di interesse, l’osservazione trova riscontro nell’esame di alcuni recenti provvedimenti attuativi della normativa europea.
Sono ispirati alla prima linea guida: d.lgs. 15.2.2016, n. 35 di attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22.7.2003, relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio; d.lgs. 15.2.2016, n. 36, contenente le norme per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23.10.2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare; d.lgs. 15.2.2016, n. 37 di attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24.2.2005, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie; d.lgs. 15.2.2016, n. 38 contenente le disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27.11.2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive.
Come è noto, nel nuovo sistema di cooperazione giudiziaria penale (ex art. 82, par. 1, TFUE), il principio del mutuo riconoscimento si basa sulla precondizione di “una fiducia reciproca” tra i diversi sistemi nazionali e sottointende il superamento del “principio della richiesta”. E dunque, sebbene sulla base delle diverse materie di riferimento, ciò ha comportato l’introduzione di distinti tratti, terminologici ed operativi, degli strumenti basati sul principio. Sono così previste forme dirette ed orizzontali di cooperazione, che superano i tradizionali limiti intergovernativi nell’avvio, nella gestione e nell’esecuzione delle varie tipologie dei rapporti di collaborazione. L’accelerazione, come risulta dall’esame delle nuove discipline, è realizzata attraverso forme di ricezione e trasmissione delle informazioni in modo “immediato” e “diretto” tra le diverse autorità, salvo l’obbligo di comunicazione in alcune ipotesi al Ministro della giustizia.
Le scelte, dirette a realizzare esecuzione veloce dell’atto europeo, hanno determinato il legislatore a prevedere uno schema “tipo” da utilizzare per il reciproco riconoscimento delle decisioni da eseguire e sono realizzate, tendenzialmente, attraverso la verifica del requisito della doppia incriminazione, salvo le deroghe previste (es. art. 11 d.lgs. n. 38/2016 in relazione ai fatti di reato per i quali la sanzione prevista nello Stato di emissione abbia una durata massima non inferiore ai tre anni e riguardi una delle fattispecie di reato indicate); la individuazione del Procuratore della Repubblica, in qualche caso è adita la Procura Generale, e della Corte d’appello quali autorità giudiziarie a cui è affidato il controllo preventivo e successivo sulla corretta applicazione del provvedimento europeo.
In particolare e sempre ai fini della concretizzazione del principio del mutuo riconoscimento è previsto che, in caso di incompatibilità con la normativa italiana della natura, degli obblighi e delle prescrizioni, vi sia un controllo giurisdizionale italiano per “necessari adeguamenti” con le “minime deroghe necessarie”, informandone l’autorità dello Stato dell’Unione di emissione11.
Appare condivisibile l’agevolazione applicativa conferita all’autorità italiana, in linea con la avvertita necessità di realizzare una efficace amministrazione della giustizia nell’Unione europea. Tuttavia, è pacifico che il raggiungimento dello scopo sarà condizionato dal processo di armonizzazione delle differenti discipline.
La seconda linea guida è diretta al rafforzamento della collaborazione investigativa e giudiziaria, superando i tradizionali limiti della cooperazione bilaterale, per il contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo internazionale, al traffico di sostanze stupefacenti, alla tratta di esseri umani ai cyber crimes, ed alla realizzazione tra gli Stati membri di una compiuta e semplificata circolazione delle informazioni sui procedimenti penali definiti con una condanna.
Le ragioni sono radicate nelle evolute e sofisticate forme di cooperazione tra gruppi criminali per la gestione di mercati illeciti e leciti e nel potenziamento delle attività della criminalità organizzata, capace di operare un frazionamento delle diverse attività in Stati sottoposti a giurisdizioni nazionali diverse, tale da depotenziare le capacità investigative dei singoli organi inquirenti.
In questo quadro si inseriscono una forma di assistenza operativa di tipo “non rogatoriale”, finalizzata all’accertamento e alla repressione di fenomeni criminosi che coinvolgono l’ambito territoriale di più Stati, la cui disciplina è prevista nel d.lgs. 15.2.2016, n. 34 contenente le norme di attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio, del 13.6.2002, relativa alle squadre investigative comuni e i d. lgs. 12.5.2016 nn. 73, 74 e 75 in attuazione delle decisioni quadro 2008/675/GAI, 2009/315/GAI e 2009/316/GAI, che istituiscono il Sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS)12.
Se ragioni di efficienza e rapidità delle attività di indagine in ambito europeo hanno determinato la scelta di istituire e disciplinare le cd. squadre investigative comuni, previste da tempo in sede europea13, la creazione di un casellario giudiziale europeo costituisce una tappa fondamentale per la realizzazione tra gli Stati membri di una semplificata circolazione delle informazioni sui procedimenti penali definiti con una condanna.
I provvedimenti sono in linea con l’esigenza di realizzare un dialogo diretto tra le autorità giudiziarie, obiettivo evidente nella eliminazione del tradizionale vaglio di opportunità politica riservato al Ministro della giustizia, escludendo l’esercizio di un potere di veto sulla falsariga di quanto previsto ex artt. 723, co. 1 e 727, co. 2, c.p.p. e, d’altro canto, attribuendo al procuratore della Repubblica il sindacato sulla liceità degli atti di indagine oggetto della richiesta di costituzione della squadra investigativa. È riservato al procuratore della Repubblica anche la facoltà di impulso, salvo l’onere di informare, anche quando la richiesta provenga da autorità competente di un altro Stato membro, il procuratore generale presso la Corte di appello o, nei casi in cui si tratti di indagini relative ai delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis e co. 3-quater, c.p.p., il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, ai fini dell’eventuale coordinamento investigativo.
In particolare e quanto al profilo strutturale, l’obiettivo è realizzato attraverso il “modello di accordo”14, atto costitutivo a cui è allegato un “piano di azione” che intercorre fra i procuratori della Repubblica dei diversi Stati interessati, gli agili meccanismi procedurali e la regolamentazione “elastica” della utilizzabilità degli atti posti in essere.
Risponde, invece, al principio di disponibilità dei dati la piena integrazione dei casellari giudiziari di ciascuno Stato membro e la realizzazione della cornice normativa per la nascita di un casellario giudiziario europeo. È utile ricordare, in merito al trattamento dei dati, che il sistema del casellario giudiziale italiano prevede che le informazioni, raccolte e memorizzate nella banca dati centralizzata sono protette mediante l’utilizzo di tecniche di cifratura. La trasmissione telematica dei dati avviene attraverso l’infrastruttura tecnologica operante sulla RUG (Rete Unica della Giustizia)15.
Quanto al sistema ECRIS, esso realizza la semplice interconnessione tra i casellari giudiziali degli Stati membri e non una nuova banca dati europea16. Ciò comporta che lo Stato membro che dispone di talune informazioni deve trasmetterle ad altro Stato membro che ne ha bisogno nell’esercizio delle sue funzioni di contrasto al crimine17.
La visione di insieme mostra il diffondersi degli strumenti del mutuo riconoscimento, caratterizzati dal necessario dialogo diretto tra le autorità giudiziarie, e il processo, avviato lentamente ma progressivo, di giurisdizionalizzazione delle forme e dei meccanismi di svolgimento delle procedure di cooperazione giudiziaria.
I meccanismi, da un lato, paiono improntati, pur nei limiti dei loro rispettivi ambiti, ad una maggiore incisività, rapidità e efficacia dei risultati dell’azione, e dall’altro, dall’ampio spazio assegnato anche agli organi inquirenti e giurisdizionali.
La lettura di insieme non esime dal sottolineare alcuni profili problematici presenti nei diversi provvedimenti legislativi.
In via di principio, l’utilizzazione delle informazioni e degli atti di indagine delle attività compiute dalle squadre investigative è disciplinata dall’art. 6 d.lgs. n. 34/2016.
Ciò risulta in linea con il principio della lex loci e con la disposizione di cui all’art. 1, par. 3, della decisione quadro, nella parte in cui stabilisce, alla lett. b), che la squadra operi «in conformità del diritto dello Stato membro in cui interviene». Ne consegue che nella disciplina attuativa si prevede la regola secondo cui la squadra investigativa comune opera sul territorio dello Stato in conformità alla legge italiana. Qualche perplessità, invece, nasce dalla previsione del secondo comma dell’art. 6 che, ai sensi dell’art. 431 c.p.p., prevede che nel fascicolo per il dibattimento entrano a far parte i verbali degli atti non ripetibili posti in essere dalla squadra investigativa comune, indipendentemente dal fatto che gli stessi vengano compiuti sul territorio dello Stato ovvero all’estero. In tal modo, è estesa la portata applicativa della disposizione (art. 431, co. 1, lett. d) ed f), che consente di raccogliere nel fascicolo del dibattimento oltre ai documenti acquisiti all’estero mediante rogatoria internazionale, ai verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità, nonché ai verbali degli altri atti assunti all’estero con rogatoria, ai quali sia stato consentito ai difensori di assistere ed esercitare le loro facoltà, anche quelli compiuti, in alternativa ai meccanismi propri del tradizionale strumento rogatoriale, dai membri della squadra investigativa comune.
Se l’obiettivo finale è evitare la dispersione dei risultati delle attività d’indagine ed assicurare la possibilità di una successiva utilizzazione processuale del materiale investigativo acquisito, che non violi le garanzie fondamentali previste dal nostro ordinamento in materia di raccolta e formazione della prova penale18, è immaginabile che debbano essere concordati, proprio nel piano di azione operativo allegato all’atto costitutivo, forme e modalità di acquisizione probatoria secondo le regole probatorie da seguire negli ordinamenti degli Stati membri coinvolti19.
Quanto ai provvedimenti di blocco e sequestro a fini probatori o di confisca, con il d.lgs. n. 35/2016, è stata recepita la decisione quadro 2003/577/GAI del 22.7.2003, che consente la trasmissione diretta fra le autorità giudiziarie degli Stati membri UE dei provvedimenti di blocco e sequestro a fini probatori o di confisca, nella prospettiva della leale collaborazione per la realizzazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia20. L’art.2, co. 1, lett. c), prevede nella definizione di “provvedimento di blocco e di sequestro” qualsiasi provvedimento adottato dalla competente autorità giudiziaria dello Stato di emissione, al fine di impedire ogni operazione diretta a distruggere, trasformare, spostare, trasferire o alienare beni previsti dall’art. 253, co. 1 e 2, c.p.p., ovvero quelli che costituiscono corpo del reato o cose pertinenti al reato che comunque potrebbero essere oggetto di confisca nei casi e nei limiti previsti dall’art. 240 c.p. Sebbene l’art. 2, co. 1, lett. c) richiami l’art. 240 c.p., si condivide il dubbio che si possa limitare l’attuazione della decisione quadro alle sole ipotesi di confisca diretta, poiché la fonte europea non introduce alcuna distinzione al riguardo, includendo, anzi, nel suo perimetro applicativo l’ipotesi del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente (ex art. 2, lett. d). Ciò si ricava dal fatto che esso definisce il bene aggredibile ai fini della decisione quadro come il prodotto del reato ovvero il bene equivalente, in tutto o in parte, al valore di tale prodotto21.
È utile sottolineare che «a differenza del meccanismo di consegna basato sul mandato d’arresto europeo, l’emissione del provvedimento di “blocco” o di sequestro di beni presuppone che l’autorità giudiziaria a quo conosca la localizzazione del bene e sia in grado di individuare l’autorità competente per l’esecuzione del provvedimento. Non è dunque possibile richiedere all’autorità di uno Stato membro di compiere ricerche per accertare l’esistenza o l’ubicazione di beni o dati, per finalità probatorie o di confisca. Attività, questa ultima, che, allo stato, può essere richiesta soltanto attraverso l’invio di una specifica commissione rogatoria ovvero, in futuro, attraverso l’emissione dell’ordine europeo d’indagine penale»22.
Si segnala, invece, positivamente, quanto al d.lgs. 15.2.2016, n. 36 con cui è stata recepita la decisione quadro 2009/829/GAI relativa all’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni aventi ad oggetto le misure alternative alla detenzione cautelare23, l’intento di eliminare il rischio di una disparità di trattamento fra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo. In uno spazio comune di giustizia, appare opportuna l’adozione di misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale, ma non residente nello Stato del processo, subisca un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ed ivi residente24.
Il meccanismo previsto nella decisione quadro, infatti, consente allo Stato membro in cui la persona è stata sottoposta a misura cautelare di trasmettere la decisione, che impone i correlativi obblighi e prescrizioni, allo Stato membro in cui la stessa ha la residenza legale ed abituale ai fini del relativo riconoscimento e sorveglianza25.
Il d.lgs 15.2.2016, n. 29 ha recepito la decisione quadro 2009/948/GAI sulla prevenzione e risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali. Non vi è dubbio che l’apertura di procedimenti paralleli nei paesi interessati da un fenomeno criminale transnazionale sia stato ed è «il rimedio migliore per sopperire alla carenza normativa in chiave europea»26. Tuttavia il d.lgs. n. 29/2016 sembra diretto ad impedire la violazione del principio del ne bis in idem e ad imporre un percorso concordato di indagini transnazionali, per valorizzare gli strumenti di contrasto alle diverse forme di criminalità. È, dunque, condivisibile l’osservazione secondo cui il limite della stessa decisione quadro «risiede esattamente nell’incapacità di prevenire il conflitto»27. A queste obiezioni sistematiche si aggiungono le perplessità relative alla mancanza di diritti informativi e di partecipazione dell’imputato, che non potrà interloquire con le autorità procedenti sulla questione relativa all’unica giurisdizione davanti a cui sarà giudicato28, né sono previste forme di controllo giurisdizionale sulle valutazioni del procuratore generale, sebbene, si obietta, gli effetti sulle posizioni soggettive individuali, ed in specie sulla scelta del “foro” competente, sui profili attinenti alla libertà personale e sulla complessiva “qualità” e consistenza dei diritti processuali concretamente esercitabili, possano essere oggetto di rilievo in caso di accordo sulla prevenzione del conflitto29.
In tema di concretizzazione del principio del mutuo riconoscimento nel settore dell’esecuzione penale l’esame del d. lgs. n. 37/2016 può far ritenere che per mezzo del nuovo meccanismo possa aumentare la percentuale di riscossione delle sanzioni pecuniarie, attualmente molto bassa30 ma la formulazione del decreto legislativo alimenta alcune incertezze. La formulazione dell’art. 2, co. 1, lett. a), n. 2, in particolare, fa riferimento a sanzioni penali irrogate da un’autorità diversa da quella giudiziaria. Poiché nel nostro ordinamento non è consentito ad un’autorità non giudiziaria di pronunciare in relazione ad un fatto costituente reato, è apparso chiaro che la norma riprende la disposizione europea che recepisce le diversità proprie dei vari ordinamenti. Tuttavia, è possibile interpretare il decreto legislativo in modo conforme alla decisione quadro, come a sua volta interpretata dalla Corte di giustizia31. Ne consegue che l’art. 2 d.lgs. n. 37/2016, nel definire la sanzione pecuniaria come una somma di denaro «a titolo di pena» irrogata a seguito di condanna, non limita lo spazio operativo del mutuo riconoscimento alle sole sanzioni penali, ma farebbe riferimento anche a quelle amministrative e comminate da “un’autorità diversa dall’autorità giudiziaria”, sempreché alla persona interessata “sia stata data la possibilità di dare ricorso all’autorità giudiziaria”32.
Quanto al d.lgs. 15.2.2016, n. 31, non sembra essere stata offerta copertura garantista a tutti i profili. Non risulta, infatti, attuata la disposizione (art. 4 bis, decisione quadro 2002/584/GAI, introdotto dalla decisione quadro 2009/299/GAI) secondo cui il soggetto interessato da un M.a.e. emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, non informato ufficialmente dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, può, una volta informato del contenuto del M.a.e., chiedere che gli sia trasmessa copia della sentenza prima della consegna; di tale sentenza, ancorché sia trasmessa a soli fini informativi, l’interessato ha diritto di ottenere la consegna mercé l’attivazione di una procedura di collaborazione tra autorità emittente ed autorità di esecuzione.
Neanche ha trovato attuazione la norma di cui al par. 3 dell’art. 4 bis, che prevede il caso in cui la persona non raggiunta dalla notifica della decisione sia stata consegnata dall’autorità di esecuzione in virtù dell’assicurazione che avrebbe ricevuto siffatta notizia personalmente e senza indugio «una volta giunta nello Stato membro emittente e abbia qui chiesto un nuovo processo o presentato appello»33.
Le prospettive coinvolgono: la riforma del libro XI del codice di procedura penale34, l’attuazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 2000 e il recepimento della direttiva 2014/41/UE, in relazione all’Ordine europeo di indagine.
Quest’ultima introduce un unico strumento acquisitivo, valido per qualsiasi tipo di prova e capace di sostituirsi alle tradizionali rogatorie, ai provvedimenti di blocco e di sequestro e al mandato europeo di ricerca delle prove. Ciò rende interessanti gli sviluppi futuri per capire se la progressiva erosione delle competenze dei legislatori nazionali anche in campo penale consentirà o meno l’unificazione o l’armonizzazione delle legislazioni.
Lo scenario di fondo è sempre quello di tipo orizzontale del mutuo riconoscimento, che presuppone una flessibilità del sistema tradizionale di assistenza giudiziaria in cui l’OIE appare come strumento potenzialmente utile per l’efficienza delle indagini transnazionali.
Lasciano, però, perplessi i profili della direttiva 2014/41/UE determinanti il rallentamento dell’effettiva cooperazione tra gli Stati. Tra di essi emerge l’assenza di qualsiasi forma di armonizzazione delle condizioni di reciproca ammissibilità delle prove, sebbene ciò fosse stato auspicato nel Libro Verde sulla ricerca delle prove in materia penale e sulla garanzia della loro ammissibilità, e le ripercussioni sulla spendibilità del risultato probatorio circolato.
La mancata previsione di una disciplina della mutual admissibility of evidence prima della individuazione di uno strumento acquisitivo dell’Unione ha creato una evidente disarmonia in un quadro complessivo in cui non vi è un processo di armonizzazione esaustivo. Gli effetti si riflettono sull’efficienza dell’OIE: si pensi al perdurante margine di apprezzamento dello Stato d’esecuzione sulla necessità, sulla proporzionalità dell’emissione dell’ordine investigativo e sulla ampia operatività dei motivi di rifiuto, spesso non adeguatamente circonstanziati, opponibili all’esecuzione dell’OIE.
Proprio le criticità relative all’operatività dei motivi di rifiuto opponibili all’esecuzione dell’OIE rischiano di comprometterne il ruolo chiave nella costruzione di un autentico spazio giudiziario europeo. Infatti, l’OIE rappresenta il risultato di un bilanciamento non sempre equilibrato tra due esigenze contrapposte: garantire maggiore rapidità ai meccanismi di cooperazione giudiziaria in materia penale e salvaguardare le garanzie interne alla legislazione nazionale. Le perplessità sono destinate ad aumentare per la riproposizione della clausola di territorialità (art. 11, par. 1, lett a) che ancora consente allo Stato richiedente di rifiutare l’esecuzione della misura quando il fatto risulti commesso nel territorio dello Stato di esecuzione.
Questi profili possono compromettere e vanificare l’effettività del mutuo riconoscimento. Si genera, infatti, una “forma ibrida” tra lex loci e lex fori, secondo cui trovano applicazione le regole probatorie dello Stato in cui si svolge il processo, purché non entrino in conflitto con i “principi fondamentali di diritto” dello Stato di esecuzione.
Vi è il concreto rischio che si verifichi una trasformazione anche delle regole probatorie nazionali, che potrebbero geneticamente mutare la propria essenza da norme rigide a principi flessibili. Si condivide, dunque, la preoccupazione per la disapplicazione delle regole nazionali con principi probatori di creazione giurisprudenziale e le possibili e conseguenti forme di abuso del processo.
L’ambizioso obiettivo della “libera circolazione delle prove” (come previsto dall’art. 82, par. 2, del TFUE) sarà, attraverso le relative misure normative interne, raggiunto solo in parte se si considera che la direttiva 2014/41/UE reca lo strumento operativo utile ad assicurare dati di rilevanza probatoria transfrontalieri, mentre non interviene sulle regole in tema di utilizzabilità, il cui regime rimane diversamente modulato dagli Stati membri dell’Unione europea.
Se risulterà interessante verificare l’effetto sui plurimi e uniformi orientamenti interni in tema di instradamento, non vi è dubbio che risultano trascurate le differenze tra i diversi ordinamenti nazionali quanto ad ammissibilità ed utilizzabilità della prova formata in un altro Stato e la eventuale previsione di rimedi sanzionatori per la violazione di diritti fondamentali.
Quanto ai protagonisti del processo vi è un deficit informativo che compromette fortemente la possibilità di coltivare efficientemente la propria strategia difensiva. Sebbene la direttiva attribuisca all’indagato e al difensore la legittimazione alla richiesta dell’emissione di un Ordine europeo di indagine penale, «nel quadro dei diritti di difesa applicabili conformemente al diritto e alla procedura penale nazionale», e per quanto sia apprezzabile la portata innovativa della disposizione, il mero rinvio alle legislazioni nazionali rischia di riproporre le ben note questioni in tema di armonizzazione del panorama normativo in materia probatoria.
L’analisi degli aspetti funzionali e strutturali si arricchisce attraverso l’esame dei profili operativi. Così emerge che la sinergia tra gli organi inquirenti è indispensabile nella gestione di attività criminali che rivelino riflessi internazionali, coinvolgendo immediatamente i Paesi ove si compie una parte dell’attività delittuosa, giacché l’effettività del contrasto ai gruppi criminali transnazionali si fonda in larga parte su di una cooperazione giudiziaria precoce.
È, dunque, possibile una chiave di lettura diversa della direttiva 2014/41/UE nel tentativo di indicarla come un primo passo nella direzione di un futuro regime di reciproca ammissibilità della prova o di armonizzazione verticale dei sistemi. Le aspettative sono numerose. Occorre sin da ora prefigurare un prossimo nuovo sviluppo del dialogo orizzontale tra le autorità giudiziarie penali in conseguenza del futuro recepimento della direttiva 2014/41/UE sull’Ordine europeo di indagine, entro il 22.5.2017, con delega di attuazione già contenuta nella medesima l. n. 114/2015, allegato B, in scadenza il 22.3.2017. In questo senso la disciplina introdotta con il d.lgs. n. 35/2016, che attua la decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22.7.2003 (relativa all’esecuzione nell’Unione europea di provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio) in materia di reciproco riconoscimento dei provvedimenti delle autorità giudiziarie europee ha carattere per così dire transitorio, o meglio di transizione.
Alle aspettative si accompagna qualche difetto di coordinamento se si pone mente al d.lgs. n. 34/2016, che ha recepito la decisione quadro 2002/465/GAI introducendo nel nostro ordinamento una base giuridica idonea a costituire una squadra investigativa comune, ovvero a parteciparvi nel territorio dell’Unione europea d’intesa con le altre autorità coinvolte.
L’applicazione della direttiva, come è noto, non si estende alle squadre investigative comuni e all’acquisizione di prove nell’ambito di tali squadre (art. 3), che operano al di fuori del principio del reciproco riconoscimento, conseguentemente «l’istituzione di una squadra investigativa comune e l’acquisizione di prove nell’ambito di tale squadra richiedono disposizioni specifiche, che è più opportuno disciplinare separatamente» (considerando n. 8).
Tuttavia è evidente il mancato coordinamento con le previsioni introdotte nella direttiva sull’Ordine europeo di indagine penale. Infatti, nello stesso art. 3 della direttiva si chiarisce un profilo rilevante, introducendo l’eccezione secondo cui una squadra investigativa comune potrà in ogni caso avvalersi dello strumento dell’Ordine europeo di indagine per chiedere assistenza ad uno Stato membro che non abbia preso parte alla costituzione della squadra.
Occorre dunque seguire con cura gli sviluppi del diritto sovranazionale per poter vedere realizzato il processo di armonizzazione tra i diversi sistemi giuridici degli Stati membri.
Note
1 Si veda Kalb, L., Cooperazione giudiziaria. Le novità del recepimento delle fonti sovranazionali, in Dir. pen. e processo, 2016,8, 989 e ss; Fiorentin, F., Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 38: il reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive, in Cooperazione internazionale, a cura di T. Bene e A. Marandola, Milano, 2016.
2 Il d.lgs. 15.12.2015, n. 212 attua la delega normativa conferita al Governo dalla l. 6.8.2013, n. 96, in particolare dall’art. 1 nonché dall’allegato B.
3 Direttiva 2012/29/UE, contenente norme minime in materia di assistenza e protezione delle vittime, recepita con d.lgs. n. 212/2015; si veda Giordano, L., Il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212: un nuovo statuto per la vittima del reato, in Cooperazione internazionale, cit., Milano, 2016.
4 Con riguardo ai diritti dell’imputato, v. Direttive: 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione ed alla traduzione nei procedimenti penali; 2012/13/UE sul diritto all’informazione, attuata con d.lgs. 1.7.2014, n. 101; 2013/48/UE sul diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, in attesa di attuazione, avendo il Consiglio dei ministri approvato nella seduta del 30 agosto in via definitiva lo schema di d. lgs. attuativo.
5 Cfr. Giordano, L., Il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212: un nuovo statuto per la vittima del reato, op.cit.
6 Contemplate dalla Road map adottata il 30.11.2009 dal Consiglio.
7 Sull’argomento v., tra gli altri, Amalfitano, C., La terza tappa della tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti processuali di indagati o imputati nei procedimenti penali: la direttiva 2013/48/UE sul diritto di accesso al difensore, in Legisl. pen., 2014, 40 s.
8 Sul muto riconoscimento, cfr. tra gli altri: De Kerchove-Weyembergh, a cura di, Versus un espace judiciaire pènal europèen, Bruxelles, 2000; Spiezia, F., Crimine transnazionale e procedure di cooperazione giudiziaria, Milano, 2006, 66.
9 Principio posto a fondamento della cooperazione giudiziaria dell’Unione tanto in materi civile che penale, v. Caianiello, V., Dal terzo pilastro ai nuovi strumenti: diritti fondamentali, “road map” e l’impatto delle nuove direttive, Relazione svolta il 25 ottobre 2014 al Convegno dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale su “i nuovi orizzonti della giustizia penale europea”, in www.penalecontemporano.it, 4.2.2015.
10 Fiorentin, F., Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 38, cit.
11 In particolare, v. art. 10 ss d.lgs. n. 38/2016. Sul punto cfr. Fiorentin, F., op. cit.
12 Nocera, A., Il casellario giudiziario europeo, in Cooperazione internazionale, cit., Milano, 2016.
13 V. art. 13 della Convenzione di Bruxelles del 29.5.2000 in materia di mutua assistenza giudiziaria e dall’art. 20 del II Protocollo addizionale alla Convenzione di Strasburgo del 1959, sottoscritto dagli Stati membri del Consiglio d’Europa l’8 novembre 2001. Cfr. Sul tema v. Kostoris, R.E., Manuale di procedura penale europea, Milano, 2015, 266 ss; Scella, A., Verso le squadre investigative comuni: lo scenario italiano, in La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, a cura di T. Rafaraci, Milano, 2011, 215 ss.; Vitale, A., Le squadre investigative comuni, in Filippi, L.Gualtieri, P.Moscarini, P.Scalfati, A., a cura di, La circolazione investigativa nello spazio giuridico europeo: strumenti, soggetti, risultati, Padova, 2010, 67 ss.; De Amicis, G., Cooperazione giudiziaria e corruzione internazionale. Verso un sistema integrato di forme e strumenti di collaborazione tra le autorità giudiziarie, Milano, 2007, 324 ss.; Mangiaracina, A., Verso nuove forme di cooperazione giudiziaria: le squadre investigative comuni, in Cass. pen., 2004, 2189; Caselli, G.De Amicis, G., Il coordinamento delle indagini transnazionali fra assistenza giudiziaria ed indagini comuni, in Melillo, G.Spataro, A.Vigna, P.L., a cura di, Il coordinamento delle indagini di criminalità organizzata e terrorismo, Milano, 2004.
14 V. Risoluzione del Consiglio UE del 26.2.2010, punto 13 e appendice IV.
15 Per la comunicazione con enti esterni al “Dominio Giustizia” è utilizzata l’infrastruttura tecnologica resa disponibile dalla Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.
16 V. d.P.R. 17.04.2016, n. 87 contente il Regolamento di attuazione della l. 30.6.2009, n. 85, concernente l’istituzione della banca dati del D.N.A., che, in ossequio al Trattato di Prum stipulato il 27.5.2005, agevola i rapporti solo fra alcuni Stati membri dell’Unione – Belgio, Germania, Spagna, Francia e Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria – che hanno stipulato la Convenzione multilaterale di diritto internazionale a cui l’Italia ha, successivamente, aderito.
17 Emerge, così, quel contatto e dialogo diretto, cioè senza filtri politicogovernativi o mediazioni esterne, quali sono stati i possibili veti o i vagli di opportunità politica, che hanno troppo spesso limitato la disciplina de qua.
18 De Amicis, G., Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 34: l’attuazione delle squadre investigative comuni nell’ordinamento italiano, in Cooperazione internazionale, cit.
19 De Amicis, G., Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 34, cit.
20 Cfr. sul tema: Marandola, A., Congelamento e confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea: la “nuova” direttiva 2014/42/UE, in Arch. pen., 2016, n.1, 3ss. Palma, I., Blocco dei beni e sequestro probatorio. Il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in Europa, in il Penalista, 15.3.2016, 2 ss.
21 Nella stessa definizione di bene suscettibile di essere sottoposto a vincolo ai fini del decreto attuativo, dunque sia a fini probatori che di confisca, la formulazione dell’art. 2, lett. d), del decreto legislativo in esame riprende sostanzialmente la corrispondente dizione letterale contenuta nella decisione quadro, escludendo in tal modo qualsiasi divergenza rispetto alle previsioni dello strumento normativo che intende recepire nell’ordinamento interno, con riferimento alle forme di confisca per equivalente. De Amicis, G., L’attuazione nell’ordinamento italiano della decisione quadro sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti di giurisdizione, in Cass. pen., 2016, 7/8, 3028 e ss.
22 De Amicis, G., L’attuazione nell’ordinamento italiano, cit.
23 Iovino, C., Il procedimento cautelare, in Kalb, L., a cura di, Spazio europeo di giustizia e procedimento penale italiano, Torino, 2012, 416 ss.
24 Cimadomo, D., Reciproco riconoscimento e misure alternative alla detenzione cautelare, in Dir. pen. e processo, 2016, 8, 1015 e ss.
25 De Amicis, G., I decreti legislativi di attuazione della normativa europea sul reciproco riconoscimento delle decisioni penali, Supplemento a vol. LVI maggio 2016, in Cass. pen., 2016, 7.
26 Del Gaudio, M., Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29: la risoluzione dei conflitti di giurisdizione, in Cooperazione internazionale, cit.
27 Calvanese, E. De Amicis, G., La decisione quadro del Consiglio dell’UE in tema di prevenzione e risoluzione dei conflitti di giurisdizione, in www.europeanrights.eu.
28 Mezzolla, V., Prevenzione e risoluzione dei conflitti di giurisdizione in ambito penale: l’ordinamento italiano dà attuazione alla decisione quadro 2009/948/GAI, in www.eurojus.it, 12 secondo cui la scelta di non coinvolgere l’imputato o la persona offesa nella soluzione del conflitto di giurisdizione appare discutibile, potendo in concreto porre dei problemi di compatibilità con il disposto di cui all’art. 24 Cost.; Baccari, G.M., Una normativa lacunosa e dal sapore retrò per i casi di conflitto di giurisdizione in ambito europeo, in Dir. pen. e processo, 2016, 8, 991.
29 De Amicis, G., L’attuazione nell’ordinamento italiano, cit.
30 Giordano, L., L’attuazione della decisione quadro sul reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie, in Dir. pen. e processo, 2016, 8, 1024.
31 C. giust., 14.11. 2013, C60/12, Mariàn Balàz. Si veda sul punto, Parisi, N.Damato, A.De Pasquale, P., Argomenti di diritto penale europeo, Torino, 2014.
32 Giordano, L., L’attuazione della decisione quadro, cit.
33 In tale ipotesi, la detenzione della persona in attesa di tale processo o appello è riesaminata, al fine di sondare la possibilità di sospensione o interruzione della detenzione, a intervalli regolari o su richiesta dell’interessato Alesci, T., Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 31: il riconoscimento dei provvedimenti assunti in absentia, in Bene, T.Marandola, A., op.cit.; Bigiarini, A., Mandato d’arresto europeo e reciproco riconoscimento delle sentenze penali nei processi in absentia, in Dir. pen. e processo, 2016, 8, 999.
34 Il 14.01.16, si è insediata, alla presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando, la Commissione per la riforma del Libro XI del Codice di Procedura Penale finalizzata all’adeguamento del sistema processuale agli obblighi già assunti in ambito europeo, presieduta dalla Prof.ssa Maria Riccarda Marchetti.