Abstract
Vengono esaminati i diversi aspetti della disciplina della dirigenza pubblica, individuando, in primo luogo, la posizione istituzionale dei dirigenti nel quadro della definizione dei rapporti fra politica e amministrazione. Sotto il profilo funzionale, ci si sofferma sull’esercizio da parte dei dirigenti dei poteri di organizzazione e gestione del personale. Si passa, poi, agli aspetti di ordine strutturale del regime normativo della dirigenza statale, relativi all’accesso alla qualifica dirigenziale, ai passaggi di fascia, ai criteri e alle modalità di conferimento (revoca e conferma) degli incarichi di direzione degli uffici pubblici, alla valutazione dei dirigenti e alla responsabilità dirigenziale.
1. Premessa
La disciplina della dirigenza costituisce un sorta di chiave di volta, nella quale convergono molte delle problematiche che investono da un lato gli assetti strutturali e le modalità di funzionamento degli uffici pubblici, dall’altro la regolazione del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Ma il tema dell’individuazione del ruolo dei dirigenti nell’ambito dei processi decisionali delle organizzazioni pubbliche coinvolge, prima ancora, la definizione delle relazioni fra la sfera della decisione politica e quella dell’esercizio delle funzioni amministrative.
Il quadro evolutivo della normativa sulla dirigenza ruota, appunto, attorno a questi tre elementi: il rapporto dei dirigenti con il decisore politico; la loro collocazione nel disegno organizzativo e nel processo decisionale delle amministrazioni di appartenenza; la loro condizione di soggetti ad un tempo attivi e passivi nella gestione dei rapporti di lavoro nelle stesse amministrazioni.
Esso prende le mosse dal d.P.R. n. 478/1972, istitutivo della dirigenza statale; passa attraverso le leggi e i decreti con i quali si è realizzata, in due fasi, la c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego (l. delega n. 421/1992 e d.lgs. n. 29/1993 e poi l. delega n. 59/1997 e d.lgs. n. 80/1998 e n. 387/1998), successivamente trasfusi nel d.lgs. n. 165/2001; per arrivare, infine, dopo una serie di ulteriori provvedimenti (fra i quali si segnala la l. n. 145/2002), alla l. delega n. 15/2009 e al conseguente d.lgs. n. 150/2009. Peraltro, anche in altri atti legislativi – compresi, specie negli ultimi anni, quelli riguardanti manovre finanziarie – si ritrovano disposizioni che interessano la tematica dirigenziale.
Qui, per esigenze di sinteticità dell’esposizione, ci si intratterrà essenzialmente sulle previsioni concernenti la dirigenza amministrativa dello Stato, soffermandosi, in particolare, sulle novità apportate dal d.lgs. n. 150/2009; ciò, pur nella consapevolezza della presenza nel settore pubblico di diversi tipi di dirigenze: quelle regionali e locali, ed altre dotate di particolari connotati, come quella scolastica e quella sanitaria. Va, d’altra parte, considerato che, pur con tutte le differenze e le specificità, le altre dirigenze sono rette da modelli regolativi largamente dipendenti da quello della dirigenza statale: questo, al di là della questione relativa alla perdurante vigenza, anche dopo la revisione costituzionale intervenuta con la l. cost. n. 3/2001, dell’art. 27 del d.lgs. n. 165/2001, che impone(va) alle amministrazioni non statali di adeguare i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi ricavabili dalle norme dettate per la dirigenza dello Stato dallo stesso decreto.
2. Distinzione fra politica e amministrazione
Il regime della dirigenza pubblica nell’ordinamento italiano è caratterizzato da una netta distinzione fra le sue funzioni e quelle spettanti all’autorità politica: tale indicazione si ritrova già nel d.P.R. n. 748/1972 (dove, peraltro, si attribuivano al ministro ampi poteri di intervento, che finivano per vanificare l’autonomia decisionale dei dirigenti), ma viene ripresa in termini più chiari ed incisivi prima dalla l. n. 142/1990 per la dirigenza locale, e poi, come principio generale, dal d.lgs. n. 29/1993 e dai successivi decreti modificativi.
Il punto di arrivo di questo percorso normativo è costituito dall’art. 4 del d.lgs. n. 165/2001, che assegna all’organo di governo le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di verifica della rispondenza dei risultati dell’attività e della gestione amministrativa agli indirizzi impartiti, individuando gli atti principali attraverso i quali si esplicano tali funzioni. L’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi e la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa sono, invece, demandate in via esclusiva ai dirigenti, che assumono la responsabilità dell’attività svolta e dei relativi risultati; tali attribuzioni dei dirigenti sono derogabili solo ad opera di specifiche ed espresse previsioni legislative.
Sarebbe, peraltro, errato configurare la posizione della dirigenza come rigidamente separata da quella del vertice politico: le due funzioni, infatti, sono complementari, ed implicano momenti di raccordo e forme di indispensabile collaborazione, nel rispetto dei rispettivi ruoli ed evitando ingerenze e prevaricazioni. Fra l’organo di governo e i dirigenti intercorre un rapporto non più di carattere gerarchico, bensì di direzione: è emblematico il fatto che l’autorità politica anche in caso di inerzia del dirigente nello svolgimento dei suoi compiti non possa sostituirsi ad esso, ma solo nominare come commissario ad acta un altro dirigente.
Con le norme in questione si è ricercato - e in buona misura realizzato - un punto di equilibrio fra il principio di responsabilità politica e quello di imparzialità dell’amministrazione (con la determinazione delle competenze, attribuzioni e responsabilità dei funzionari) posti rispettivamente dall’art. 95 e dall’art. 97 della Costituzione. Si tratta, peraltro, di un equilibrio difficile e sempre suscettibile di essere messo in discussione in una realtà storicamente caratterizzata dalla predominanza della politica sull’amministrazione.
Da questo punto di vista, i profili di criticità (come si vedrà) riguardano soprattutto il nesso strutturale che intercorre fra gli organi di governo e i dirigenti, specie in riferimento ai poteri di nomina e di rimozione di questi ultimi dagli incarichi ricoperti: alcuni, in proposito, hanno avanzato l’idea di recidere del tutto questo nesso; ma ciò, in un sistema che riconosce alla dirigenza piena e intangibile autonomia funzionale, finirebbe per entrare in contrasto con il principio democratico.
3. Poteri organizzativi e gestionali dei dirigenti
Come detto, ai dirigenti spetta, oltre all’adozione degli atti amministrativi, la gestione delle amministrazioni, mediante l’esercizio di autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
Tale attività si estrinseca, fondamentalmente, attraverso l’assunzione «in via esclusiva» delle determinazioni per l’organizzazione degli uffici e delle misure inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti. In base all’art. 5, co. 2, d.lgs. 165/2001 i dirigenti adottano le loro decisioni esercitando «la capacità e i poteri del privato datore di lavoro»: quindi, non solo le scelte riguardanti la gestione del personale, ma anche quelle di ordine organizzativo sono poste in essere attraverso atti di natura privatistica.
Chiaramente, la potestà organizzativa dei dirigenti si esplica nell’ambito di quanto previsto dalle leggi e dagli atti pubblicistici (normativi o amministrativi) che, sulla base dei principi costituzionali, definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici: sussiste, comunque, un significativo spazio di autonomia operativa per i soggetti preposti alla gestione, rafforzato anche dalla forte restrizione che con il d.lgs. n. 150/2009 hanno subito gli istituti della partecipazione sindacale, esplicitamente ridotti alla sola informazione (pur non potendosi, in realtà, escludere la sopravvivenza o la reviviscenza di forme di consultazione, formale o quantomeno informale).
4. Articolazione della dirigenza statale
In base al d.lgs. n. 165/2001 i dirigenti delle amministrazioni dello Stato, in precedenza distinti in diverse qualifiche (tre nel d.P.R. n. 748/1972 e due nell’originaria versione del d.lgs. n. 29/1993), sono collocati all’interno di un’unica qualifica. Questo dato non ha un valore meramente formale, né nasce dalla sottovalutazione del ruolo da riconoscere agli elementi più esperti e qualificati all’interno della compagine dirigenziale, ma è la naturale conseguenza del passaggio da una concezione della dirigenza come status, come carriera, ad una incentrata sul dato funzionale: cioè, di quella che è stata autorevolmente definita come la sostituzione della logica burocratica con quella dell’organizzazione.
L’inserimento di tutti i dirigenti nella medesima qualifica non comporta, peraltro, un «appiattimento» della posizione dei soggetti interessati che, come detto, disconosca differenze di esperienza e competenza: infatti, la qualifica unica è articolata al suo interno in due fasce. Peraltro, in relazione alla logica appena ricordata esse sono istituite essenzialmente in funzione dell’attribuzione ai dirigenti degli incarichi, cioè dei compiti da svolgere.
Su tali basi, la scelta, effettuata dal d.lgs. n. 150/2009, di rubricare gli articoli sull’accesso alle due fasce (artt. 28 e 28 bis del d.lgs. n. 165/2001) come se fossero riferiti a due distinte qualifiche appare frutto di un fraintendimento sulla natura delle fasce stesse: come si spiegherebbe, altrimenti, che dirigenti aventi due diverse qualifiche possono essere richiamati a ricoprire, in larga misura, lo stesso tipo di funzioni?
5. Accesso alla qualifica dirigenziale e passaggi di fascia
5.1 Reclutamento dei dirigenti
Nelle amministrazioni statali e negli enti pubblici non economici la qualifica dirigenziale si acquisisce attraverso due diversi canali di accesso: concorso pubblico per esami o corso-concorso selettivo di formazione.
I concorsi, indetti dalle singole amministrazioni, sono riservati a dipendenti di ruolo, muniti di laurea, che abbiano maturato una determinata anzianità di servizio (normalmente di cinque anni) nelle posizioni funzionali più elevate; sono ammessi anche dirigenti di altre strutture pubbliche e cittadini italiani con qualificate esperienze di lavoro presso enti od organismi internazionali.
La partecipazione al corso-concorso, gestito dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, è aperta a soggetti con un titolo di studio universitario di livello specialistico: questo sistema coniuga il momento della selezione con una consistente fase formativa, ed è finalizzato ad inserire nei ranghi della dirigenza soggetti giovani e con una base culturale innovativa.
In ragione di queste caratteristiche, si è auspicato che al corso-concorso venga dato uno spazio maggiore, aumentando la percentuale (oggi limitata al 30%) dei posti ad esso destinati; così come, quanto ai concorsi, si è avanzata – per ragioni di economicità e, al tempo stesso, di trasparenza e di garanzia di maggiore imparzialità – l’idea di una loro unificazione, superando la frammentazione delle procedure bandite da ciascuna amministrazione. Tali proposte, peraltro, finora non hanno sortito alcun esito.
5.2 Passaggio dalla seconda alla prima fascia
Fino all’approvazione del d.lgs. n. 150/2009 l’ordinamento prevedeva una sola modalità per i passaggi di fascia nei ruoli dirigenziali dello Stato: transitavano nella prima fascia tutti i dirigenti di seconda fascia che avessero ricoperto, senza incorrere in sanzioni per responsabilità dirigenziale, un incarico di livello generale per almeno tre anni.
Il decreto del 2009, all’evidente scopo di evitare un “congestionamento” della fascia più elevata, in primo luogo ha aumentato detto periodo da tre a cinque anni (ripristinando quanto originariamente stabilito dal d.lgs. n. 80/1998). Inoltre, nel disciplinare gli incarichi dirigenziali, ha statuito che in caso di primo conferimento a dirigenti di seconda fascia di incarichi di uffici dirigenziali generali, la durata dell’incarico è pari a tre anni: il che comporta che per entrare nella prima fascia occorrono almeno due incarichi, o una conferma del primo incarico.
Al tempo stesso, però, il d.lgs. n. 150/2009 ha introdotto un altro sistema per l’accesso alla prima fascia: infatti, d’ora in avanti per il 50% dei posti disponibili esso avverrà tramite concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni. Si tratta di una innovazione apprezzabile, anche se in parte inficiata da una successiva previsione (discutibile nel merito e nella forma, giacché sembra implicare una confusione tra collocazione nelle fasce ed incarichi) secondo la quale, qualora «lo svolgimento dei relativi incarichi richieda specifica esperienza e peculiare professionalità», alla copertura di una quota di posti fino alla metà di quelli da mettere a concorso si può provvedere, tramite apposita procedura concorsuale, con contratti di diritto privato di durata non superiore a tre anni.
6. Incarichi dirigenziali
6.1. Complessità del tema degli incarichi
La definizione delle modalità di conferimento degli incarichi di funzioni, unitamente alle vicende successive alla loro attribuzione, costituisce uno degli aspetti più complessi e più discussi del sistema regolativo della dirigenza pubblica: non a caso, il legislatore è ritornato numerose volte – in termini niente affatto lineari e coerenti – sul testo dell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, senza approdare, peraltro, a soluzioni definitive e completamente appaganti.
6.2 Criteri di conferimento
Il processo di evoluzione normativa che va dal d.lgs. n. 29/1993 al d.lgs. n. 150/2009 ha consentito una progressiva precisazione, anche sotto l’impulso della giurisprudenza, dei criteri che presiedono all’individuazione dei soggetti affidatari degli incarichi di direzione: il testo dell’art. 19, co. 1, attualmente in vigore elenca una serie di elementi che innestano su dati di ordine oggettivo (natura e caratteristiche degli obiettivi prefissati e grado di complessità dell’ufficio da ricoprire) la verifica delle caratteristiche soggettive dei destinatari (attitudini e capacità professionali, risultati conseguiti in precedenza nell’amministrazione di appartenenza e relativa valutazione, specifiche competenze organizzative, esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche).
A seguito della l. n. 145/2002, invece, non è più presente nella norma il criterio della rotazione, in precedenza introdotto al fine di garantire flessibilità nell’utilizzazione di una dirigenza concepita fisiologicamente come «generalista» e, quindi, in grado di esercitare (e di accrescere) la sua professionalità operando in sedi e in ambiti funzionali differenti. Peraltro, al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’art. 2103 c.c., per cui essi sono da considerare fra loro equivalenti: il che garantisce un significativo margine di discrezionalità ai soggetti preposti alla scelta.
6.3 Procedure e atti di conferimento
In base alla rilevanza delle funzioni da ricoprire variano i soggetti competenti per il conferimento degli incarichi, i destinatari e le procedure di affidamento.
Per gli incarichi relativi agli uffici di massimo livello riguardanti, nei ministeri, i segretari generali e i capi dipartimento, che coordinano gli uffici di livello dirigenziale generale, ed a quelli di livello generale la decisione è adottata con atti dell’autorità politica, mentre gli incarichi di livello meno elevato sono attribuiti dal dirigente di livello generale .
Il d.lgs. n. 150/2009 contiene, sotto il profilo procedurale, un’importante novità: l’amministrazione prima di assegnare gli incarichi deve pubblicare un avviso indicante il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili ed i criteri di scelta, e deve acquisire e valutare le disponibilità dei dirigenti interessati. Si tratta di una indicazione da valutare positivamente, non solo in omaggio a criteri di trasparenza e pubblicità, ma anche in funzione del perseguimento dei principi di imparzialità e buon andamento nella selezione dei soggetti più adatti a guidare le diverse articolazioni della macchina amministrativa.
Si è a lungo discusso, in rapporto alle variazioni intervenute nelle disposizioni normative, attorno alla natura giuridica degli atti con i quali avviene formalmente l’affidamento degli incarichi. A seguito di una modifica apportata dalla l. n. 145/2002, il testo vigente dell’art. 19, co. 2, d.lgs. n. 165/2001 prevede che l’incarico viene conferito con un «provvedimento», nel quale sono determinati l’oggetto, gli obiettivi da conseguire e la durata, e che è accompagnato da un contratto individuale, in cui è fissato il trattamento economico legato alla posizione ricoperta. È fuor di dubbio che l’intenzione del legislatore, nell’adottare questa formulazione, fosse quella di riportare la vicenda in un alveo pubblicistico, rovesciando il modello adottato nella precedente versione della norma (derivante dal d.lgs. n. 80/1998), dove i contenuti dell’incarico erano complessivamente definiti attraverso un atto contrattuale. Negli anni successivi si è, però, affermata e consolidata nella giurisprudenza della Cassazione un posizione in base alla quale l’atto in questione, pur essendo qualificato come provvedimento, non ha natura amministrativa, bensì va considerato un atto unilaterale di diritto privato: ora, il fatto che il legislatore nel 2009, nel ridisciplinare ampiamente la materia del lavoro pubblico, pur essendo consapevole di questo orientamento, non abbia sentito la necessità di intervenire sul punto, può essere visto come una tacita accettazione dell’assunto giurisprudenziale.
6.4 Destinatari
Naturali destinatari degli incarichi sono i dirigenti appartenenti ai ruoli delle amministrazioni dello Stato: gli incarichi «apicali» possono essere attribuiti solo ai dirigenti di prima fascia, ai quali è riservato anche il 30% degli incarichi di uffici dirigenziali generali, mentre il restante 70% di questi ultimi può essere conferito anche a dirigenti di seconda fascia (il che, come si è visto, consente loro in prospettiva di transitare nella prima fascia); gli altri incarichi sono normalmente destinati agli appartenenti alla seconda fascia.
Nell’art. 19, peraltro, è prevista anche la possibilità di ricoprire incarichi dirigenziali, entro determinate percentuali, ricorrendo a dirigenti di altre amministrazioni o di organi costituzionali (co. 5 bis) ovvero – attraverso la stipula di un contratto a tempo determinato – a persone, estranee alla dirigenza pubblica, aventi particolare e comprovata qualificazione professionale (co. 6). L’utilizzazione concreta di quest’ultima possibilità è spesso andata al di là dell’esigenza (che era alla base dell’introduzione dell’istituto) di consentire alle amministrazioni di fruire di specifiche competenze reperibili al di fuori delle risorse umane a loro disposizione: da un lato, si è fatto ricorso – per motivi di sintonia politica e ideologica, se non di natura clientelare, piuttosto che in risposta ad effettive istanze di miglioramento della qualità delle prestazioni amministrative - a soggetti esterni anche quando sarebbe stato possibile fare affidamento su dirigenti di ruolo (con evidenti effetti di demotivazione degli stessi); dall’altro, si è spesso dato luogo (essendo anche questo consentito dalla norma) ad una “promozione sul campo”, sia pure in via temporanea, di dipendenti delle stesse amministrazioni privi di qualifica dirigenziale. Il d.lgs. n. 150/2009 ha in qualche misura cercato di razionalizzare l’uso di questo strumento, prevedendo che il ricorso agli esterni debba essere motivato e circoscritto ai soli casi nei quali la professionalità richiesta non sia rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione, ma – disattendendo in parte quanto richiesto dalla l. n. 15/2009 – non ha ridotto (se non in misura simbolica) le percentuali degli incarichi in questione, non ha posto limiti alla loro reiterabilità e ha confermato la possibilità di attribuirli a personale interno alla stessa amministrazione.
6.5 Temporaneità
Il modello scaturito dalle riforme degli anni Novanta innesta sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato dei dirigenti l’assegnazione di incarichi di funzioni dirigenziali aventi un carattere di temporaneità: dopo una serie, piuttosto tormentata e contraddittoria, di vicende normative attualmente la durata degli incarichi è stabilita in un minimo di tre anni e un massimo di cinque anni.
Fin dall’introduzione, con il d.lgs. n. 80/1998, di un limite temporale per gli incarichi, si è sviluppato un ampio dibattito, nel quale si è paventato il rischio che ne possa derivare una “precarizzazione” della posizione dei dirigenti, ed un loro assoggettamento alla volontà dei vertici politici o, comunque, di chi alla scadenza ha il potere di confermarli o meno nei loro incarichi, con conseguenze negative sull’esercizio imparziale delle loro funzioni.
Sulla questione si è pronunciata la Corte Costituzionale, secondo la quale l’attribuzione di incarichi dirigenziali con una durata predefinita – che trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di garantire una maggiore dinamicità nella gestione della risorsa dirigenziale, superando la tradizionale “concezione proprietaria” del posto – non è incompatibile con l’assicurazione di un imparziale, efficace ed efficiente svolgimento dell’attività amministrativa, purché il termine stabilito non sia eccessivamente breve.
La previsione di incarichi a tempo determinato, sicuramente, può suscitare dubbi e perplessità, soprattutto per gli abusi che possono verificarsi (e, in effetti, non di rado si sono verificati) nella prassi applicativa: è, però, improprio vedere in tale caratteristica degli incarichi una forma di spoils system, posto che qui non c’è un automatismo fra rinnovo dei vertici politici e rimozione dei dirigenti. Nel nostro sistema, quest’ultima evenienza può realizzarsi, oltre che per i responsabili degli uffici di diretta collaborazione dell’organo di indirizzo politico, solo per le figure dirigenziali di massimo livello, collocate in una posizione di snodo e di raccordo fra politica e amministrazione: cioè, per la “dirigenza fiduciaria”, distinta dalla dirigenza titolare di poteri di gestione amministrativa.
6.6 Revoca e mancata conferma
In realtà, per svolgere un ragionamento compiuto sull’opzione del legislatore in favore di incarichi dirigenziali “a tempo”, e per valutare se e in che misura ciò possa incidere sulla capacità del dirigente di agire in modo autonomo e imparziale, occorre verificare quali siano le indicazioni normative riguardanti la revoca anticipata degli incarichi e la decisione di confermare o meno gli incarichi dopo la loro scadenza.
Dopo le modifiche apportate all’art. 19, d.lgs. n. 165/2001 dal d.lgs. n. 150/2009 - modifiche esplicitamente ispirate all’impostazione “garantista” adottata (soprattutto a partire dal 2007) dalla giurisprudenza costituzionale, che ha strettamente collegato le ipotesi di rimozione dei dirigenti ad una verifica sul loro operato – sembrava ormai definitivamente acquisito che gli incarichi possono essere revocati anticipatamente solo nelle ipotesi di accertata responsabilità dirigenziale (su cui v. oltre). Questa conclusione parrebbe, però, venir messa in discussione da una previsione (art. 1, co. 8) inopinatamente inserita nel d.l. n. 138/2011, conv. in l. n. 148/2011, contenente misure di carattere finanziario, secondo la quale «al fine di assicurare la massima funzionalità e flessibilità, in relazione a motivate esigenze organizzative» le pubbliche amministrazioni possono disporre, nei confronti del personale con qualifica dirigenziale, «il passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza dell'incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto»: in questo modo, di fatto – dietro lo schermo delle esigenze organizzative – si rimette nelle mani dell’amministrazione la sorte dei dirigenti titolari di incarichi di funzioni, che possono vederseli modificati in qualunque momento a prescindere da una valutazione della loro prestazione.
Una vicenda in parte analoga ha interessato anche i casi di mancata conferma degli incarichi dopo la scadenza: qui, non si poteva adottare – pena la “cristallizzazione” delle posizioni funzionali – un automatismo che garantisse al dirigente, in assenza di valutazione negativa, di essere comunque confermato nell’incarico precedentemente ricoperto, né si poteva impedire alle amministrazioni di rimodulare l’articolazione degli incarichi dirigenziali in occasione della revisione dei propri assetti organizzativi; ma era auspicabile che la mancata conferma fosse accompagnata da cautele procedurali a tutela degli interessati. E, in effetti, il d.lgs. n. 150/2009 prevedeva che l’amministrazione laddove avesse deciso di non confermare l’incarico a un dirigente dovesse darne «idonea e motivata comunicazione al dirigente stesso con un preavviso congruo, prospettando i posti disponibili per un nuovo incarico». Ora, pure questa formulazione è stata modificata in senso peggiorativo da una disposizione inclusa in un provvedimento di ordine finanziario: l’art. 9, co. 32, del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, consente alle amministrazioni di non confermare nell’incarico il dirigente, pur non valutato negativamente, senza alcun preavviso e di assegnargli un nuovo incarico anche di valore economico inferiore.
Si può a ragion veduta affermare che proprio questi due estemporanei interventi legislativi del 2010 e del 2011, più che il carattere temporalmente definito degli incarichi, rischiano di creare una situazione di “instabilità” dei dirigenti rispetto all’autorità abilitata ad assegnare o sottrarre ad essi la titolarità degli uffici.
7. Valutazione dei dirigenti e responsabilità dirigenziale
Il sistema di valutazione dei comportamenti tenuti e dei risultati conseguiti dai dirigenti nell’espletamento delle loro funzioni costituisce l’elemento di chiusura di tutto l’ordinamento della dirigenza pubblica, in quanto i suoi esiti condizionano (o dovrebbero condizionare) in misura determinante molti dei suoi aspetti più rilevanti, dai criteri di conferimento degli incarichi alla revoca degli stessi, dagli istituti premiali alla responsabilità.
La valutazione dei dirigenti, prima disciplinata dal d.lgs. n. 286/1999, ora è oggetto di una serie di previsioni del d.lgs. n. 150/2009, che la inquadrano nel nuovo sistema di misurazione e valutazione della performance amministrativa (del quale, per la verità, i dirigenti sono protagonisti non solo passivi ma anche attivi, come soggetti preposti alla valutazione del personale).
La prestazione individuale dei dirigenti è valutata annualmente in base «a) agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità; b) al raggiungimento di specifici obiettivi individuali; c) alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate; d) alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi» (art. 9).
La valutazione dei dirigenti di vertice è effettuata dall’organo di indirizzo politico-amministrativo, sulla base delle proposte dell’Organismo indipendente di valutazione (OIV) istituito in ogni amministrazione ai sensi dell’art. 14; per gli altri dirigenti, anche se il testo legislativo non è esplicito sul punto, è da ritenere che la competenza spetti al dirigente di livello superiore, mentre l’OIV è chiamato a formulare una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale, distinto per livello generale e non.
Come detto, le risultanze della valutazione rilevano, tra l’altro, ai fini della responsabilità dirigenziale, che si affianca alle altre forme di responsabilità: essa (in base al testo attuale dell’art. 21, d.lgs. n. 165/201, anch’esso modificato dal d.lgs. n. 150/2009) insorge nel caso in cui siano imputabili al dirigente il mancato raggiungimento degli obiettivi – verificato, appunto, attraverso il sistema valutativo – ovvero l’inosservanza delle direttive tramite le quali si definiscono gli indirizzi per l’azione amministrativa. L’accertamento della responsabilità dirigenziale comporta l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico o, in base alla gravità dei casi, la revoca dell’incarico con collocazione del dirigente a disposizione dei ruoli, fino ad arrivare al recesso dal rapporto di lavoro. L’irrogazione di queste sanzioni è subordinata a garanzie procedurali, quali la contestazione dell’addebito e il diritto al contraddittorio; il decreto del 2009 ha, invece, depotenziato – in contraddizione con quanto richiesto dalla l. delega 15/2009 – il ruolo del Comitato dei garanti, ridotto ad una mera funzione consultiva non vincolante.
Infine, sempre il d.lgs. n. 150/2009 ha introdotto un’altra, specifica responsabilità del dirigente per la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato al proprio ufficio, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall’amministrazione.
Fonti normative
d.P.R. 30.6.1972, n. 748; l. 22.10.1992, n. 421; d.lgs. 23.2.1993, n. 29; d.lgs. 18.11.1993, n. 470; d.lgs. 23.12.1993, n. 546; l. 15.3.1997, n. 59; d.lgs. 31.3.1998, n. 80; d.lgs. 29.10.1998, n. 387; d.lgs. 30.7.1999, n. 286; d.lgs. 30.3.2001, n. 165; l. 15.7.2002, n. 145; l. 4.3.2009, n. 15; d.lgs. 27.10.2009, n. 150.
Bibliografia
La bibliografia in tema di dirigenza è molto ampia; ci si limita a segnalare lavori monografici, voci enciclopediche e opere collettanee che contengono scritti in materia: AA.VV., La Dirigenza, in Quad. dir. lav. rel. ind., n. 31, 2009; Ales, E., La pubblica amministrazione quale imprenditore e datore di lavoro. Un’interpretazione giuslavoristica del rapporto tra indirizzo e gestione, Milano, 2002; Angiello, L., La valutazione dei dipendenti pubblici, Milano, 2001; Barrera, P.-Canossi, G., Rinnovare il lavoro per rinnovare l’amministrazione, Torino, 2010; Battini, S., Dirigenza pubblica, in Diz. dir. pubbl. Cassese, III, Milano, 2006, 1859 ss.; Bolognino, D., La dirigenza pubblica statale tra autonomia e responsabilità, Padova, 2007; Boscati, A., Il dirigente dello Stato. Contratto di lavoro e organizzazione, Milano, 2006; Carinci, F.-D’Antona, M., diretto da, Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche dal d.lgs, n. 29/1993 ai d.lgs. nn. 396/1997, 80/1998 e 387/1998, Milano, 2000; Carinci, F.-D’Orta, C., diretto da, I contratti collettivi per le aree dirigenziali, Milano, 1998; Carinci, F.-Mainardi, S., a cura di, La dirigenza nelle pubbliche amministrazioni. Dal modello unico ministeriale ai modelli caratterizzanti le diverse amministrazioni, Milano, 2005; Carinci, F.-Mainardi, S., a cura di, La terza riforma del lavoro pubblico, Milano, 2011; Carinci, F.-Zoppoli, L., a cura di, Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2004; Chirulli, P., Dirigenza pubblica (riforma della), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2000; Chirulli, P., Dirigenza pubblica (nuova riforma della), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2002; Colapietro, C., Dirigenti pubblici, in Dig. pubbl., V, Torino, 1990, 119 ss.; Corpaci, A.-Rusciano, M.-Zoppoli, L., a cura di, La riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Nuove leggi. civ., n. 5-6, 1999; D’Alberti, M., a cura di, La dirigenza pubblica, Bologna, 1990; D’Alberti, M., a cura di, L’alta burocrazia, Bologna, 1994; D’Alessio, G, La nuova dirigenza pubblica, Roma, 1999; D’Alessio, G., a cura di, L’amministrazione come professione. I dirigenti pubblici tra spoils system e servizio ai cittadini, Bologna, 2008; Gardini, G., L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione, Milano, Giuffrè, 2003; Merloni, F., Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale. Il modello italiano in Europa, Bologna, 2006; Mezzacapo, D., Dirigenza pubblica e tecniche di tutela, Napoli, 2010; Nicosia, G., Dirigenze responsabili e responsabilità dirigenziali pubbliche, Torino, 2011; Pastori, G.-Sgroi, M., Dirigenti pubblici, in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2001, 356 ss.; Patroni Griffi, A., Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica, Napoli, 2002; Pizzetti, F.-Rughetti, A., a cura di, La riforma del lavoro pubblico, Torriana, 2010; Raimondi, S., Dirigenza, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; Tiraboschi, M.-Verbaro, F., a cura di, La nuova riforma del lavoro pubblico, Milano, 2010; Torchia, L., La responsabilità dirigenziale, Padova, 2000; Zoppoli, A., Dirigenza, contratto di lavoro e organizzazione, Napoli, 2000; Zoppoli, A., a cura di, La dirigenza pubblica rivisitata. Politiche, regole, modelli, Napoli, 2004; Zoppoli, A., Dirigenza statale, in Dig. comm., Agg., Torino, 2009, 262 ss.; Zoppoli, L., a cura di, Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009.