Diritti dei detenuti ed obblighi dell’amministrazione
Da un ventennio, la Corte costituzionale opera incisivamente sia attraverso l’individuazione dei diritti soggettivi del detenuto, sia attraverso l’identificazione delle tipologie di tutela allo stesso riconosciute dall’ordinamento. L’opera ricostruttiva del Giudice delle leggi ha preso le mosse dalla inscindibile connessione tra l’art. 27, co. 3, Cost. ed il riconoscimento di situazioni soggettive attive in capo alla persona detenuta. Tale riconoscimento si è concretizzato in una decisa valorizzazione della giurisdizione ordinaria quale esclusivo momento di controllo sulla tutela dei diritti della persona in vinculis. In tale prospettiva, la Corte costituzionale continua ad individuare i precisi ambiti all’interno dei quali l’amministrazione penitenziaria può esercitare la propria funzione, specificando che i provvedimenti da essa adottabili non possono eccedere il sacrificio della libertà personale già potenzialmente imposto al detenuto con la sentenza di condanna.
Emerge chiaramente come la “giurisdizionalità” del rimedio debba essere accompagnata dall’ “effettività” del comando giurisdizionale. Tale proposizione, scandita a chiare lettere, come si è appena visto, dalla stessa Corte costituzionale14, emerge altresì dalle recenti censure mosse dai Giudici di Strasburgo all’assetto procedimentale nostrano15 e conduce la Corte costituzionale a dichiarare, con la sentenza n. 135/2013, «che le decisioni del magistrato di sorveglianza … devono ricevere concreta applicazione e non possono essere private di effetti pratici da provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria o di altre autorità». Donde la conclusione secondo la quale «non spetta al ministro della giustizia il potere di non dare esecuzione ad un provvedimento giurisdizionale che accerti la lesione di un diritto fondamentale», quale, nella specie, quello tutelato dall’art. 21 Cost.
Con la sent. n. 135/2013, la Consulta ribadisce due concetti centrali nell’elaborazione giurisprudenziale in tema di regime carcerario differenziato: il primo, concernente i limiti, esterni ed interni, all’agire dell’amministrazione; il secondo, ad esso speculare, relativo al sindacato sulla “congruità” del regime stesso.
Quanto al primo aspetto, già nel 1996 la Corte costituzionale aveva ribadito con forza l’esistenza di «alcuni limiti per così dire esterni che l’amministrazione non può valicare nel configurare detto regime. Così, in primo luogo, non possono essere adottate misure comunque incidenti “sulla qualità e quantità della pena” o sul “grado di libertà personale del detenuto” (sentenza n. 349 del 1993)». Parallelamente, il giudice delle leggi individuava un «ulteriore preciso limite, questa volta “interno”, all’esercizio del potere ministeriale: non possono cioè disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento»16. Il secondo aspetto, speculare al primo, concerne proprio l’estensione del potere giurisdizionale. Rilevava la Corte che «[m]ancando tale congruità …, le misure in questione non risponderebbero più al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale».
Sono note le vicende che hanno determinato il legislatore del 2009 a concretizzare la drastica erosione della discrezionalità giurisdizionale sui contenuti del regime carcerario differenziato17. È altrettanto nota la presa di posizione della Corte costituzionale, la quale ha ribadito l’imprescindibilità della tutela dei diritti della persona detenuta, attraverso l’espansione del rimedio di cui all’art. 14 ter ord. penit.18
In tale prospettiva, la sentenza n. 135/2013 ribadisce tali conclusioni, evidenziando, da un lato, come l’oscuramento di canali televisivi “innocui” concretizzi un’illegittima compressione all’esercizio di un diritto del detenuto e, dall’altro lato, conferendo effettività al modello procedimentale delineato dall’art. 14 ter ord. penit.19
Resta da affrontare un ultimo tema, quello dei rimedi all’ineffettività ovvero, in altra prospettiva, del grado di resistenza delle decisioni giurisdizionali all’eventuale inottemperanza amministrativa.
La sentenza Torreggiani ha evidenziato l’inadeguatezza del cd. reclamo generico (artt. 35 e 69 ord. penit.): all’eccezione governativa concernente l’asserito mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte europea ha ribadito «che, anche ammesso che esista una via di ricorso riguardante l’esecuzione delle ordinanze dei magistrati di sorveglianza, il che non è stato affatto dimostrato dal Governo, non si può pretendere che un detenuto che ha ottenuto una decisione favorevole proponga ripetutamente ricorsi al fine di ottenere il riconoscimento dei suoi diritti fondamentali a livello dell’amministrazione penitenziaria».
La Corte europea, piuttosto, rinviene l’«effettività» del rimedio interno nella attitudine del medesimo a garantire una riparazione giurisdizionale diretta ed appropriata, impedendo il protrarsi della violazione denunciata ed assicurando ai ricorrenti un miglioramento delle loro condizioni materiali di detenzione. In tale ottica, prosegue la Corte, «un’azione esclusivamente risarcitoria non può essere considerata sufficiente … dal momento che non ha un effetto ‘preventivo’ nel senso che non può impedire il protrarsi della violazione dedotta o consentire ai detenuti di ottenere un miglioramento delle loro condizioni materiali di detenzione». In questo senso, continua la Corte, perché un sistema di tutela dei diritti dei detenuti sanciti dall’articolo 3 CEDU sia effettivo, i rimedi preventivi e compensativi devono coesistere in modo complementare.
Quali le ricadute sul piano interno? Si è già rilevato come il modulo procedimentale di derivazione giurisprudenziale, introdotto nel sistema penitenziario per colmare il “vuoto” lasciato dalla sentenza costituzionale n. 26/1999, costituisca un rimedio insoddisfacente. A quasi quindici anni del celeberrimo leading case, il tema della “giustiziabilità” dei diritti del detenuto, sotto il particolare profilo della esecutività dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza, non ha, infatti, ancora trovato una risposta definitiva. Non solo, infatti, la giurisprudenza di legittimità tende a “dosare” il tasso di giurisdizionalità della procedura in ragione di discutibili distinzioni tra violazione di diritti soggettivi, interessi legittimi e aspettative di mero fatto20, ma a tutt’oggi non è ancora chiaro il grado di forza che la decisione giurisdizionale è in grado di esercitare sull’amministrazione penitenziaria. Tale incertezza si riflette sull’an ed il quomodo delle eventuali condanne al risarcimento del danno: il Magistrato di sorveglianza di Lecce, investito del reclamo presentato da un detenuto che lamentava di essere stato destinatario di un regime penitenziario irrispettoso della dignità umana21, ha condannato il Ministero della giustizia a risarcire il relativo danno22. Più di recente, un altro ufficio di sorveglianza ha risolto un’analoga questione in maniera diametralmente opposta23. Il caso di specie vedeva quale reclamante un detenuto il quale, oltre a lamentare l’esiguità dello “spazio vitale” concessogli, si doleva della lesione del diritto alla salute e del diritto allo studio. Il Magistrato di sorveglianza di Vercelli, dopo aver rilevato come l’ordinamento penitenziario attribuisca al giudice il mero potere di dettare all’amministrazione le disposizioni necessarie a far cessare la violazione del diritto inciso (art. 69, co. 5, ord. penit.), ha escluso, invece, di poter pronunciare anche una condanna al risarcimento del danno.
Una recente decisione di legittimità24 parrebbe avallare tale, ultimo orientamento, avendo stabilito che, fatte salve le eccezioni specifiche, non rinvenibili in riferimento al combinato disposto degli artt. 35 e 69, co. 5, ord. penit., «in materia risarcitoria ed indennitaria il sistema normativo prevede in via generale la sua attribuzione alla giurisdizione civile». In particolare, la S.C. ha escluso, allo stato della normativa attuale, che alla magistratura di sorveglianza sia attribuita la competenza a pronunce su domande di carattere risarcitorio pur derivanti da pretese violazioni di diritti soggettivi di detenuti anche se connessi allo stesso stato di detenzione, precisando che, lungi dall’avere una competenza esclusiva sui diritti dei detenuti, essa vanta il limitato potere di impartire disposizioni all’amministrazione con un accertamento «assolutamente incidentale ed a tale specifico fine preventivo, quello di eliminare eventuali violazioni».
Dopo tanti (troppi?) anni di supplenza giudiziaria, è indifferibile un intervento del legislatore25.
1 Cfr. C. cost., sent. nn. 26/1999 e 266/2009.
2 Così Della Casa, F., Un importante passo verso la tutela giurisdizionale dei diritti del detenuto, in Dir. pen. e processo, 1999, 855 s.
3 Cfr. Bitonti, A., Doppio binario, in Dig. pen., Aggiornamento, III, 1, Torino, 2005, 393.
4 V., in riferimento all’art. 4 bis ord. penit., C. cost., sent. 7.8.1993, n. 306; sent. 27.7.1994, n. 357; sent. 1.3.1995, n. 68; sent. 14.12.1995, n. 504; sent. 30.12.1997, n. 445; sent. 22.4.1999, n. 137.
5 Cfr. C. cost., sent. 16.2.1993, n. 53; sent. 28.7.1993, n. 349; sent. 23.11.1993, n. 410; sent. 18.10.1996, n. 351; sent. 5.12.1997, n. 376.
6 V. Tirelli, M., A quando la risposta del legislatore alla sentenza costituzionale n. 26 del 1999?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 980.
7 Cfr. Cass. pen., S.U., 26.2.2003, Gianni, in Cass. pen., 2003, 2961, secondo la quale i provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria in materia di colloqui visivi e telefonici dei detenuti e degli internati, in quanto incidenti su diritti soggettivi, sono sindacabili in sede giurisdizionale mediante reclamo al magistrato di sorveglianza che decide con ordinanza ricorribile per cassazione secondo la procedura indicata nell’art. 14 ter ord. penit.
8 V. Cass. pen., sez. I, 21.5.2008, Renna, in Mass. Uff., 239885; Cass. pen., sez. VII, 12.2.2012, n. 23379, L., inedita.
9 Così Mura, R., Le sezioni unite assicurano la garanzia giurisdizionale anche agli interessi legittimi del detenuto, ma mantengono in vita il procedimento de plano, in Cass. pen., 2004, 1365.
10 Cfr. C. cost., sent. 3.7.1997, n. 212.
11 V. C. cost. n. 266/2009.
12 Così Mag. sorv. Cuneo, 29.5.2003, X, in Giur. mer., 2003, 2456; nonché, in pari sensi, Mag. sorv. Bari, 16.4.2007, inedita.
13 V. Mag. sorv. Bari, 30.11.2009, inedita; Mag. sorv. Lecce, 17.9.2009, X, in Giur. mer., 2010, 2800.
14 Cfr. C. cost. n. 266/2009, cit.
15 V. C. eur. dir. uomo, sez. II, 8.1.2013, Torreggiani e altri c. Italia.
16 Cfr. C. cost. n. 351/1996.
17 A margine delle modificazioni apportate all’art. 41 bis ord. penit. dalla l. 15.7.1994, n. 94, v., ampiamente, Corvi, P., Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, Padova, 2010, spec. 125 ss.; nonché, già, Cortesi, M.F., L'inasprimento del trattamento penitenziario, in Dir. pen. e processo, 2009, 1075; Fiorio, C., La stabilizzazione delle “carceri-fortezza”: modifiche in tema di ordinamento penitenziario, in Mazza, O.-Viganò, F., a cura di, Il “pacchetto sicurezza” 2009, Torino, 2009, 395; Resta, F., Prime riflessioni sulle innovazioni introdotte dalla l. n. 94 del 2009. La nuova disciplina dell'art. 41-bis ord. penit., in Giur. mer., 2009, 2678.
18 Cfr. C. cost., sent. 28.5.2010, n. 190.
19 Così Della Bella, A., La Corte costituzionale stabilisce che l’Amministrazione penitenziaria è obbligata ad eseguire i provvedimenti assunti dal Magistrato di sorveglianza a tutela dei diritti dei detenuti, in www.penalecontemporaneo.it, 13.6.2013.
20 Cfr., diffusamente, Fiorentin, F., Lesioni dei diritti dei detenuti conseguenti ad atti e provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria, in Giur. mer., 2010, 2810.
21 In particolare, il detenuto era stato ristretto per 18 ore al giorno in una cella di 11,50 mq con altri due detenuti, scarsamente illuminata e dotata di servizi privi di acqua calda.
22 Cfr. Mag. sorv. Lecce, 9.6.2011, Slimani, in www.penalecontemporaneo.it, 16.9.2011.
23 V. Mag. sorv. Vercelli, 18.4.2012, X, in www.penalecontemporaneo.it, 24.5.2012.
24 Cfr. Cass. pen., sez. I, 15.1.2013, Vizzari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 967, con nota di Fiorentin, F., En attendant Godot, ovvero la questione della tutela per i diritti negati in carcere tra Corte EDU e Cassazione, in attesa di una riforma troppo a lungo trascurata. A margine della decisione v. anche Della Casa, F., Il risarcimento del danno da sovraffollamento carcerario: la competenza appartiene al giudice civile (e non al magistrato di sorveglianza), in Cass. pen., 2013, 2264; Viganò, F., Alla ricerca di un rimedio risarcitorio per il danno da sovraffollamento carcerario: la Cassazione esclude la competenza del magistrato di sorveglianza, in www.penalecontemporaneo.it, 20.2.2013. In pari sensi, più di recente, v. Cass. pen., sez. I, 21.5.2013, n. 29971, S., in corso di pubblicazione in Guida dir., 2013, con nota di Fiorentin, F., Il ministero della giustizia condannato per detenzione in condizioni di sovraffollamento.
25 V. gli spunti de iure condendo prospettati da Fiorentin, F., Il ministero della giustizia condannato per detenzione in condizioni di sovraffollamento, cit.