Diritti dell'uomo
sommario: 1. La nozione di diritti dell'uomo. 2. Le tre generazioni di diritti dell'uomo. 3. I titolari o beneficiari dei diritti. a) Persone fisiche e persone giuridiche. b) Cittadini e stranieri. 4. La garanzia dei diritti. a) L'efficacia normativa. b) L'applicabilità diretta. c) La riserva di legge. d) Il rispetto del contenuto essenziale. 5. La tutela dei diritti. a) La tutela giurisdizionale internazionale. b) La tutela giurisdizionale nazionale. 6. L'irradiazione dei diritti dell'uomo e la loro universalità. 7. Conclusione. □ Bibliografia.
1. La nozione di diritti dell'uomo
All'espressione ‛diritti dell'uomo' si possono attribuire oggi vari significati. Più esattamente, essa coesiste con sinonimi, come ‛libertà individuali', ‛libertà pubbliche', ‛libertà fondamentali', ‛diritti della persona', ‛diritti civili' (civil rights), ‛diritti umani' (derechos humanos), ‛diritti fondamentali'; senza contare le combinazioni, come ‛diritti dell'uomo e libertà fondamentali' (oggetto della ben nota Convenzione europea) o ‛diritti e libertà fondamentali'.
Queste differenti nozioni concordano parzialmente e talora si sovrappongono, ma non sono del tutto identiche; inoltre alcune sono specifiche di un dato ordinamento giuridico nazionale. Ad esempio, le ‛libertà pubbliche' sono inseparabili dalla concezione tipica del diritto francese, in cui prevale la tutela delle libertà da parte della giustizia amministrativa nei confronti del potere esecutivo, in virtù della legge e non della Costituzione; i ‛diritti della persona' sono invece caratteristici dell'ordinamento giuridico canadese; quanto ai ‛diritti civili' (civil rights), la Costituzione americana evidenzia che si tratta unicamente dei diritti classici, o diritti della cosiddetta ‛prima generazione'.
In senso stretto i diritti dell'uomo possono essere considerati come la prima cerchia, il nucleo essenziale dei diritti e delle libertà, la cui garanzia costituisce un minimo di tutela accordato ovunque e in ogni circostanza; perciò quest'espressione è usata soprattutto nel diritto internazionale, mentre nel diritto interno si parla piuttosto di ‛diritti fondamentali' (o ‛diritti e libertà fondamentali'). Si tratta, in quest'ultimo caso, di una nozione più ampia, che include, oltre ai diritti civili e politici, anche quelli economici e sociali, siano essi tutelati dalla giustizia ordinaria, da quella costituzionale o da quella internazionale, in virtù delle rispettive norme. Tale nozione ha, inoltre, il vantaggio di evitare la limitazione lessicale al solo genere maschile, che ha indotto, ad esempio, i canadesi a preferire l'espressione ‛diritti della persona' a quella ‛diritti dell'uomo'.
D'ora in avanti intenderemo dunque per ‛diritti dell'uomo' i diritti e le libertà fondamentali; ciò ci permetterà di risolvere sia le difficoltà di definizione sopra ricordate, sia quelle relative alla distinzione tra diritti e libertà.
2. Le tre generazioni di diritti dell'uomo
È ormai abituale distinguere tre generazioni di diritti dell'uomo, anche se tale classificazione e la nozione stessa di ‛generazione' non sono universalmente accettate. La prima generazione di diritti e di libertà ha come fonte il Bill of rights inglese del 1689 (erede a sua volta della Magna Charta di Giovanni Senzaterra del 1215), la Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 e i primi dieci emendamenti della Costituzione americana (o Bill of rights) del 1791: da questi testi sono poi discese la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950.
I diritti della prima generazione hanno in comune il fatto di essere stati concepiti essenzialmente per garantire agli individui una tutela nei confronti dello Stato, ottenendo da esso, se non una totale astensione, almeno una limitazione dei suoi interventi al minimo indispensabile: per questo motivo essi sono talvolta denominati ‛diritti di resistenza'. La filosofia liberale che li ha ispirati è quella sviluppatasi tra il XVIII e il XIX secolo: oggi essa sopravvive a rigore solo negli Stati Uniti (e anche qui con parecchie attenuazioni), mentre in Europa la stessa Convenzione del 1950 si sta evolvendo, sulla scia dei successivi protocolli addizionali e delle interpretazioni giurisprudenziali della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Nel nostro secolo queste libertà sono state definite ‛libertà formali', e talvolta anche ‛libertà negative'. È ben noto l'argomento della critica d'ispirazione marxista, secondo il quale a nulla servirebbe proclamare l'esistenza di certe libertà quando molti individui, non disponendo del minimo occorrente per sostentarsi, non possono usufruirne. Quest'argomento - che è stato ripresentato anche a proposito dei diritti economici e sociali - non è errato in sé, ma ha il difetto di essere stato utilizzato per mascherare, se non per giustificare, l'assenza delle libertà della prima generazione, specialmente in quelli che erano gli Stati marxisti dell'Europa centrale e orientale, e per mettere in discussione il sistema nordamericano e, in generale, i sistemi occidentali.
In nome di argomenti e di principî come questi, nella Francia del dopoguerra intellettuali di sinistra come Jean-Paul Sartre o Michel Foucault si sono lasciati andare a un'aspra critica delle libertà ‛borghesi' e a un'apologia dei sistemi marxisti. Oggi la situazione è molto cambiata: dopo la caduta del muro di Berlino - avvenuta proprio nel bicentenario della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino - le ex democrazie popolari si sono affrettate a includere nei loro nuovi testi costituzionali l'elenco completo delle cosiddette libertà borghesi, formali o negative. Tuttavia ciò non significa che le libertà sostanziali non debbano più essere prese in considerazione: esse corrispondono ai diritti e alle libertà della seconda generazione, che in questa fine di secolo fanno indubbiamente parte dell'insieme dei diritti fondamentali. La seconda generazione di diritti e di libertà è emersa essenzialmente nella prima metà del nostro secolo, anche se già verso la fine del Settecento è possibile intravederne le premesse in alcuni testi costituzionali.
La Costituzione francese del 24 giugno 1793, (che, com'è noto, non entrò mai in vigore), includeva nella Dichiarazione dei diritti un articolo che introduceva già una nuova concezione dei diritti e delle libertà: ‟L'assistenza pubblica è un obbligo sacro. La società deve provvedere al sostentamento dei cittadini poveri, sia procurando ad essi un lavoro, sia assicurando i mezzi di sopravvivenza a chi non è in grado di lavorare" (art. 21). Lo stesso concetto si ritrova nella Costituzione della Seconda Repubblica del 4 novembre 1848 (art. 13): ‟la società [...] assiste i bambini abbandonati, gli infermi e i vecchi privi di risorse e di familiari in grado di soccorrerli".
Ma è all'inizio del XX secolo che si comincia a inserire nelle costituzioni un insieme di disposizioni riguardanti questi diritti: ciò avviene, ad esempio, nella Costituzione messicana del 1917, e, subito dopo, nella prima Costituzione sovietica (1918). Dopo la seconda guerra mondiale la maggior parte delle nuove costituzioni, sia all'Est che all'Ovest, recepiscono questa nuova generazione di diritti. Fanno peraltro eccezione la Legge fondamentale tedesca del 1949 e la Costituzione giapponese del 1946; inoltre, come già si è osservato, non vi è traccia di questi diritti nella Convenzione europea del 1950.
I diritti della seconda generazione, comunemente denominati ‛diritti economici e sociali', si ispirano a una filosofia che mette in risalto, al contrario di quella liberale, il dovere d'intervento dello Stato. La collettività deve garantire agli individui un minimo di mezzi di sussistenza: i diritti enunciati sono ‛diritti di credito', in base ai quali gli individui potranno reclamare dalla società il soddisfacimento di un certo numero di bisogni. I diritti economici e sociali sono dunque in generale - secondo una locuzione talvolta utilizzata in Italia - ‛diritti a' (in contrapposizione ai ‛diritti di', ossia ai diritti e alle libertà classici): diritto al lavoro, alla casa, all'istruzione, alla sicurezza sociale, alla tutela della salute, ecc. Essi permettono di chiedere allo Stato non più un'astensione, ma un'azione positiva, consistente per lo più nella fornitura di una prestazione e implicante l'istituzione e il funzionamento di servizi pubblici. Poiché questi diritti non trovano applicazione direttamente, bensì attraverso un intervento legislativo, non sempre esiste la possibilità di fondare su di essi un'azione giudiziaria. Non bisogna però pensare che sia impossibile invocarli davanti alla giustizia costituzionale o a quella ordinaria: in effetti, la cosiddetta ‛normatività' dei diritti economici e sociali non è necessariamente legata all'intervento preventivo del legislatore.
Con la terza generazione di diritti dell'uomo, alle libertà classiche e ai diritti economici e sociali vengono ad aggiungersi i ‛diritti di solidarietà', talvolta rivendicati sotto forma di diritto alla pace, allo sviluppo, alla tutela dell'ambiente ecc. Alcuni di essi vengono affermati in qualche costituzione recente: ad esempio, il diritto alla pace nella Costituzione giapponese e il diritto alla protezione dell'ambiente in quella portoghese, in quella brasiliana e nella maggior parte delle nuove costituzioni dell'Europa centrale e orientale. Questa concezione estensiva dei diritti dell'uomo è stata oggetto di critiche . Secondo Jean Rivero, ‟per quanto dettata dalla generosità, anche quest'inflazione, come ogni altra, è pericolosa, perché rischia di togliere alla nozione di diritti dell'uomo il suo carattere operativo" (v. Rivero, 19916). In particolare si è osservato che rimangono indefiniti i titolari dei nuovi diritti (ciascun individuo o la collettività?), il loro oggetto (qual è l'oggetto del diritto allo sviluppo?) e la loro opponibilità (diritti opponibili al complesso dei paesi, a determinati paesi, alle collettività che li compongono?). Tuttavia alcuni di questi diritti cominciano a essere riconosciuti: ad esempio, non soltanto il diritto alla tutela dell'ambiente è sancito da convenzioni internazionali, ma vengono applicate e osservate le norme costituzionali che lo affermano.
3. I titolari o beneficiari dei diritti
La determinazione dei titolari o beneficiari dei diritti dell'uomo solleva una serie di questioni che converrà esaminare, sia pure senza soffermarsi troppo su di esse.
a) Persone fisiche e persone giuridiche
Si potrebbe pensare anzitutto che solo gli individui (le persone fisiche) siano titolari o beneficiari dei diritti dell'uomo; ma in realtà oggi si tende sempre più ad ammettere che lo siano anche le persone giuridiche, ivi compresi gli enti pubblici, anche quando - come in Francia - i testi costituzionali non lo prevedano esplicitamente. Da questo punto di vista l'espressione ‛diritti fondamentali' è più appropriata di quella ‛diritti dell'uomo'.
Persone fisiche e persone giuridiche non sono evidentemente poste sullo stesso piano: in generale le seconde godono degli stessi diritti delle prime (libertà di stampa, libertà di espressione, diritto di proprietà, diritto di agire in giudizio ecc.), ma con alcune eccezioni. Sono naturalmente riservati alle persone fisiche il diritto alla vita, il diritto di fondare una famiglia, la libertà di matrimonio, la libertà di coscienza, il diritto alla tutela della salute e vari altri diritti e libertà; in genere si può ritenere che le persone giuridiche godano di tutti i diritti non consustanziali all'uomo, come quelli riguardanti il corpo e i ‛beni spirituali', che gli sono necessariamente connessi (v. GERJC, vol. VII, 1991, p. 687).
Si pone tuttavia la questione se possano essere titolari o beneficiari di diritti anche gli enti pubblici. Nel caso dello Stato sembra difficile dare una risposta affermativa, sebbene non si veda perché non gli si debba riconoscere un certo numero di diritti e di garanzie di carattere procedurale. È invece più facile ammettere che siano beneficiari di diritti fondamentali enti pubblici come le università, gli ospedali, gli ordini professionali.
Controversa è anche la questione se un tale ampliamento della cerchia dei beneficiari non porti a mettere in discussione la nozione stessa di diritti dell'uomo, come si è già osservato a proposito dell'emergere di una terza generazione di diritti. Si pone così il problema più generale dei limiti da dare all'ampliamento della nozione di diritti dell'uomo nell'età contemporanea.
b) Cittadini e stranieri
Problemi di altro genere solleva la questione se anche gli stranieri possano, come i cittadini, essere titolari o beneficiari di diritti fondamentali. Le costituzioni più antiche, in particolare quelle del XVIII e XIX secolo (Costituzione francese, norvegese, belga, austriaca), riservavano generalmente ai cittadini il godimento dei diritti fondamentali; quelle recenti, invece, lo estendono per lo più anche agli stranieri, sia pure con alcune limitazioni e precisazioni. Si è in generale d'accordo nel distinguere tre categorie di diritti: quelli negati agli stranieri, quelli riconosciuti sia agli stranieri che ai cittadini, e quelli ‛attenuati', caratterizzati da un grado di tutela variabile.
I diritti negati sono quelli riservati per vari motivi ai soli cittadini. Fra di essi vi sono anzitutto, ovviamente, i diritti politici: per tradizione solo i cittadini hanno diritto al voto (elettorato attivo) e all'eleggibilità (elettorato passivo), e possono accedere ai pubblici impieghi. Ma la situazione si sta evolvendo, soprattutto nell'Unione Europea, perché gli stranieri comunitari vengono autorizzati sempre più spesso a esercitare il diritto di voto, e talvolta quello di eleggibilità, nelle elezioni amministrative locali. Lo stesso può dirsi degli impieghi pubblici, che devono anch'essi diventare accessibili a tutti i cittadini dell'Unione (v. Delpérée, 1995). Sono anche riservati ai cittadini, e quindi negati agli stranieri, il diritto d'ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale (fermo restando che chi fa richiesta di asilo politico gode di un trattamento particolare), nonché il diritto di non essere allontanato dal territorio nazionale.
I diritti pienamente riconosciuti sia agli stranieri che ai cittadini sono quelli considerati, nel diritto interno e in quello internazionale, diritti dell'uomo in senso stretto. Si può citare a questo proposito una decisione particolarmente significativa della Corte costituzionale spagnola che afferma l'uguaglianza tra cittadini e stranieri riguardo al godimento dei ‟diritti inerenti alla persona in quanto tale e non in quanto cittadino, o [...] indispensabili per garantire la dignità della persona". La decisione sottolinea che ‟diritti come quello alla vita, all'integrità fisica e morale, alla riservatezza, alla libertà di opinione", non possono avere ‟un contenuto diverso da quello di cui beneficiano gli spagnoli" (v. Cruz-Villalon, 1991). Va osservato a questo proposito che qualora la tutela costituzionale fosse insufficiente, un minimo di protezione in materia di diritti dell'uomo può essere garantito agli stranieri da alcuni testi internazionali, come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Può darsi comunque che anche questi diritti e libertà classici debbano sottostare ad alcune restrizioni per esigenze di ordine pubblico: ad esempio, la libertà di movimento e la libertà di espressione e di stampa possono essere temporaneamente limitate per gli stranieri se emergono pericoli di turbamento dell'ordine pubblico.
I diritti attenuati, ovvero aventi un grado di tutela variabile, sono generalmente quelli economici e sociali, e più precisamente quelli che implicano la fornitura di prestazioni da parte di enti pubblici. In generale si ritiene che, anche se il loro godimento non è negato agli stranieri, questi ultimi non possano pretendere un trattamento paritario: pochissime sono le costituzioni che affermano l'uguaglianza tra cittadini e stranieri sotto tale riguardo. Tuttavia in Francia la giustizia costituzionale ha ritenuto che il principio di uguaglianza tra cittadini e stranieri debba essere applicato anche in materia di diritti economici e sociali, e in particolare in materia di diritti a prestazioni sociali: ‟L'esclusione degli stranieri residenti regolarmente in Francia dal godimento del sussidio integrativo, non potendo essi valersi di accordi internazionali [...] disconosce il principio costituzionale di uguaglianza" (Décisions du Conseil Constitutionnel, 22 gennaio 1990, decisione 89-269). In realtà la portata di quest'ardita presa di posizione è attenuata dal fatto che il godimento delle prestazioni è riservato ai soli ‟stranieri residenti regolarmente in Francia" e che il legislatore ha sempre il diritto di ‟adottare nei confronti degli stranieri disposizioni specifiche" (cioè in deroga al principio d'uguaglianza), in quanto tali provvedimenti sono motivati da considerazioni d'interesse generale, riconosciute tali dalla giustizia costituzionale. In effetti i diritti economici e sociali rientrano per lo più in quelli che la dottrina spagnola chiama ‛diritti configurati legislativamente', ossia quei diritti che il legislatore ha facoltà di regolamentare ed eventualmente di limitare, senza peraltro lederne la sostanza (v. cap. 4, § c).
4. La garanzia dei diritti
Si è d'accordo nel riconoscere che la garanzia dei diritti è fondata sui seguenti elementi: l'efficacia normativa, l'applicabilità diretta, la riserva di legge e il rispetto del contenuto essenziale.
a) L'efficacia normativa
Per lungo tempo le disposizioni relative ai diritti dell'uomo contenute nelle costituzioni o nelle dichiarazioni dei diritti sono state considerate prive di efficacia normativa (almeno in Europa; negli Stati Uniti, al contrario, questa efficacia è stata ben presto riconosciuta). Si riteneva generalmente che si trattasse di affermazioni di principio, esprimenti concezioni filosofiche o morali, prive di effetti giuridici e non idonee a essere invocate utilmente davanti ai giudici in sede processuale; lo stesso valore era attribuito anche alle clausole delle dichiarazioni o degli atti internazionali sempre riguardanti i diritti dell'uomo.
Questa era la concezione prevalente ancora in Europa nel secondo dopoguerra e tale è rimasta in alcuni paesi, come in Francia, fino agli anni settanta. Anche oggi è molto difficile far riconoscere a giuristi formatisi prima di questo periodo (e talvolta anche dopo) che le dichiarazioni dei diritti incluse nelle costituzioni possiedono una efficacia normativa tale da imporsi ai poteri pubblici. Vero è che la prassi costituzionale dei paesi comunisti dell'Est europeo, in particolare dell'Unione Sovietica, ha contribuito largamente a mantenere e a consolidare la suddetta concezione, enunciando trionfalmente interminabili dichiarazioni di diritti che tutti consideravano prive di qualsiasi efficacia giuridica.
Le disposizioni costituzionali e internazionali riguardanti i diritti fondamentali hanno ormai una efficacia normativa pienamente riconosciuta e sancita. È evidente però che tale efficacia è legata all'esistenza di una giustizia costituzionale e internazionale capace di realizzarla: così nei paesi dove non esiste una giurisdizione costituzionale (come nei Paesi Bassi) o dove essa non funziona (come in Svezia), le dichiarazioni dei diritti contenute nella Costituzione continuano ad avere un valore puramente simbolico. La ‛normatività' delle dichiarazioni dei diritti è necessariamente legata alla concreta possibilità di dar luogo a un'azione giudiziaria.
b) L'applicabilità diretta
La questione dell'applicabilità diretta è legata a quella della efficacia normativa; una delle spiegazioni della mancanza di tale efficacia nelle disposizioni costituzionali sui diritti dell'uomo si basava sul presupposto che il legislatore dovesse intervenire per renderle applicabili. La ‛normatività' delle disposizioni costituzionali era ritenuta insufficiente e doveva essere in qualche modo rinforzata dall'emanazione di norme legislative complementari. Ma a volte questo non avveniva, e in tal caso le disposizioni costituzionali restavano lettera morta: ciò spesso poteva convenire ai governanti, che vedevano volentieri rimanere inapplicate disposizioni capaci di limitare la loro libertà d'azione. Allo stesso modo, alcune convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo, pur essendo state ratificate ufficialmente, non sono mai entrate in vigore perché non sono state votate le leggi necessarie affinché fossero recepite nell'ordinamento giuridico interno. Prima del 1989 ciò è accaduto spesso nei paesi comunisti dell'Europa orientale, in particolare in Polonia.
Si spiega così perché alcune costituzioni moderne contengano clausole che affermano esplicitamente l'applicabilità diretta delle disposizioni riguardanti i diritti dell'uomo: ad esempio, la Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca precisa nell'art. 1, comma 3, che ‟i diritti fondamentali qui sotto enunciati vincolano il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario con valore di diritto applicabile direttamente"; e la Costituzione portoghese dispone nell'art. 18 che ‟le norme costituzionali riguardanti i diritti, le libertà e le garanzie sono direttamente applicabili e s'impongono ai soggetti pubblici e privati". In altri paesi, come in Francia, l'applicabilità diretta deve essere stabilita dalla giustizia costituzionale.
c) La riserva di legge
In generale solo il legislatore - ossia il parlamento - è competente a emanare norme in materia di diritti e di libertà, a complemento di quelle enunciate dalla costituzione: quest'ultima affida cioè al potere legislativo la regolamentazione dei diritti e delle libertà che essa enuncia. La riserva costituzionale a favore del potere legislativo è sancita nella maggior parte delle costituzioni moderne: anche quella francese del 1958, che pure è considerata limitativa della competenza del legislatore (opinione poi smentita dalla prassi), dispone chiaramente nell'art. 34 che solo la legge può stabilire le regole relative alle ‟garanzie fondamentali delle libertà pubbliche".
Questa riserva di legge implica che il regime giuridico dei diritti e delle libertà venga definito dal parlamento e che solo questo possa apportare restrizioni all'esercizio di tali diritti, a condizione peraltro di rispettarne il contenuto essenziale o la sostanza (v. sotto, § d). Analogamente, solo il parlamento può conciliare tra loro, come talvolta si rende necessario, diritti e libertà le cui esigenze risultino contraddittorie. Ciò si spiega col fatto che il pubblico dibattito richiesto dalla votazione di una legge - dibattito che manca quando il governo emana un decreto - costituisce una garanzia per i diritti e per le libertà. È logico quindi applicare in materia di diritti e di libertà la cosiddetta ‛riserva di legge assoluta' per escludere il ricorso alla legislazione delegata, ossia a provvedimenti presi dal potere esecutivo anziché da quello legislativo, su delega di quest'ultimo.
Si noti che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha una concezione molto più estensiva della legge, perché ritiene che non si debba ‟insistere troppo sulla diversità fra i paesi di common law e quelli continentali": essa ammette quindi che un atto amministrativo possa, in una certa misura, lecitamente disciplinare tale materia (25 febbraio 1992, Anderson A.226 § 84). Al contrario, per la Corte interamericana dei diritti dell'uomo la legge è definita in modo organico e formale e indica esclusivamente un atto votato dagli organi legislativi democraticamente eletti in conformità della costituzione (AC 6/86, 9 maggio 1986).
d) Il rispetto del contenuto essenziale
In materia di diritti fondamentali la riserva di competenza a favore del legislatore termina là dove comincia quella a favore del potere costituente: il legislatore deve rispettare la sostanza o il contenuto essenziale di quei diritti. Lo afferma, ad esempio, la Legge fondamentale tedesca (art. 19, comma 2): ‟In nessun caso può essere lesa la sostanza di un diritto fondamentale". Nello stesso senso si esprime l'art. 53, comma 1, della Costituzione spagnola, secondo cui solo la legge può disciplinare l'esercizio dei diritti e delle libertà, ma ‟essa dovrà in ogni caso rispettare il loro contenuto essenziale". Qualora non sia esplicitamente formulato in un testo, tale contenuto può essere identificato dalla giustizia costituzionale, come avviene in Francia, dove il Consiglio costituzionale vigila affinché il legislatore non ‛snaturi' la portata di un diritto fondamentale. Anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che ai diritti fondamentali possano essere apportate delle limitazioni, ma a condizione che non venga intaccata la sostanza dei diritti stessi.
È difficile dare una definizione del nucleo irriducibile di un diritto fondamentale, che può variare secondo il diritto in questione e le circostanze; la sostanza o il contenuto essenziale di un diritto possono essere determinati soltanto caso per caso. Ad esempio, il diritto di sciopero dei funzionari e degli impiegati pubblici - riconosciuto dalla costituzione in Italia e in Francia - non è leso nella sua sostanza se il legislatore impone che, in caso di sciopero di un servizio pubblico, sia assicurato un servizio minimo; ma il contenuto essenziale del diritto di sciopero non è più rispettato se questo servizio minimo diventa un servizio normale.
5. La tutela dei diritti
La tutela dei diritti dell'uomo è effettivamente garantita solo se è affidata a una giurisdizione. Certamente vi sono anche forme di tutela non giurisdizionale, sia a livello interno (ad esempio, quelle esercitate da istituzioni come l'ombudsman o difensore civico), sia a livello internazionale (specialmente attraverso le tecniche e le procedure istituite nell'ambito delle Nazioni Unite); ma l'effettività della tutela è realmente garantita solo se questa è affidata a un tribunale (v. Sudre, 19952).
a) La tutela giurisdizionale internazionale
Rispondono a questa esigenza le procedure istituite dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e dalla Convenzione americana dei diritti dell'uomo, firmata a San José di Costa Rica il 22 novembre 1969 e ispirantesi alla prima.
Nell'ambito del Consiglio d'Europa - in cui la quasi totalità degli Stati membri ha ratificato la Convenzione - funziona un meccanismo abbastanza complesso, che fa intervenire la Commissione europea dei diritti dell'uomo, la Corte europea e il Comitato dei ministri. I singoli cittadini possono adire direttamente la Commissione, in quanto lo Stato contro cui è diretta l'istanza ha accettato (come tutti gli Stati aderenti alla Convenzione) il principio del ricorso individuale. Possono presentare tali ricorsi le persone fisiche o giuridiche che si ritengano ‟vittime di una violazione, per opera di una delle altre parti contraenti, dei diritti riconosciuti dalla Convenzione" (art. 25). Perché il ricorso sia ammissibile, la violazione deve aver colpito in modo sufficientemente diretto gli interessi del querelante e questi deve aver preventivamente esaurito le procedure di ricorso interne; inoltre, il ricorso individuale può essere respinto se almeno tre membri della Commissione lo ritengano ‟manifestamente infondato".
In effetti, il 94% dei ricorsi individuali viene respinto in questo modo, e del rimanente 6% una quota non trascurabile (circa il 12,5%) viene regolata in via amichevole. In definitiva, solo nel 5% dei casi la Commissione può redigere, talvolta dopo tre o quattro anni, una relazione e rimettere la questione alla Corte. Se ciò non avviene entro il termine di tre mesi, spetta al Comitato dei ministri decidere sul seguito da dare al ricorso. La Corte - composta da tanti giudici quanti sono gli Stati membri del Consiglio d'Europa, cioè 34 nel 1996 - decide se lo Stato si è comportato o no in conformità della Convenzione e può eventualmente accordare un indennizzo al danneggiato.
L'11 maggio 1994 è stato approvato un protocollo di emendamento che prevede la fusione della Commissione e della Corte in un'unica giurisdizione, alla quale potranno essere rivolte direttamente le istanze; tuttavia tale protocollo entrerà in vigore solo dopo la ratifica da parte di tutti gli Stati membri. La Convenzione americana dei diritti dell'uomo, entrata in vigore nel 1978 e ratificata da 25 Stati dell'America Centrale e Meridionale, ha un contenuto simile a quello della Convenzione europea. Anche il sistema di tutela previsto somiglia molto a quello europeo: una Commissione incaricata di filtrare i ricorsi e una Corte interamericana dei diritti dell'uomo che può essere adita solo dalla Commissione o da uno Stato.
b) La tutela giurisdizionale nazionale
Di norma le forme di tutela giurisdizionale internazionale intervengono solo se quelle nazionali non adempiono correttamente alla loro funzione: ciò spiega la necessità di svolgere preliminarmente le procedure di ricorso interne. Tali procedure sono anzitutto quelle che si svolgono innanzi alle giurisdizioni competenti per le controversie e i processi in genere, ossia innanzi a tutti i tribunali posti sotto l'autorità di una o più giurisdizioni supreme, a seconda che vi siano uno o più gradi di giurisdizione. In generale, queste procedure non sono state istituite specificamente per tutelare i diritti fondamentali; tuttavia, di solito esse permettono di ottenere tale risultato, in quanto i tribunali prendono in considerazione e applicano le norme costituzionali e internazionali che garantiscono l'esistenza dei diritti in questione. È però possibile che davanti alle giurisdizioni ordinarie e amministrative sia prevista una procedura specifica per assicurare questa tutela: così avviene in Spagna per i ricorsi de amparo (v. Carrillo, 1995).
Nei paesi che hanno adottato il modello di giustizia costituzionale europeo - caratterizzato, com'è noto, dall'attribuzione in esclusiva del controllo di costituzionalità a un'apposita corte (v. Favoreu, 1992) - la giurisdizione costituzionale ha generalmente come compito primario la tutela dei diritti fondamentali. Questa tutela può essere attuata mediante varie procedure di ricorso, che danno origine a un controllo astratto (a priori o a posteriori) su domanda delle autorità politiche o pubbliche, o a un controllo concreto su rinvio delle giurisdizioni ordinarie.
Esistono tuttavia anche procedure di ricorso specifiche, espressamente disposte per garantire la tutela dei diritti fondamentali. Diamo qui alcuni esempi delle possibilità di ricorso diretto individuale esistenti in vari paesi. In Svizzera esiste dall'inizio del nostro secolo un ‛ricorso di diritto pubblico' che permette a chiunque di denunziare al Tribunale federale una violazione dei propri diritti costituzionali da parte di un'autorità pubblica; tale ricorso può mettere però in discussione solo la regolarità degli atti e delle leggi cantonali, e non quella delle leggi federali. Nella Repubblica Federale Tedesca esiste dal 1959 il ricorso costituzionale (Verfassungsbeschwerde), che dà a chiunque la possibilità di denunziare direttamente alla Corte costituzionale federale una lesione dei propri diritti fondamentali derivante dall'applicazione di un atto legislativo, amministrativo o giurisdizionale (sentenza o decisione): ogni anno vengono presentate parecchie migliaia di questi ricorsi. Dal 1975 l'Austria ha adottato lo stesso sistema, ma il numero dei ricorsi è di gran lunga inferiore. In Spagna la Costituzione del 1978 ha istituto il ricorso de amparo, di cui chiunque può valersi per chiedere al Tribunale costituzionale di pronunziarsi sulla legittimità di un atto amministrativo o giurisdizionale (ma non di un atto legislativo) nel caso di una presunta lesione dei propri diritti fondamentali, derivante dalla sua applicazione. Il Tribunale costituzionale spagnolo riceve ogni anno circa 4.000 ricorsi. In Belgio dal 1989 ogni cittadino può appellarsi alla Corte di arbitrato per chiedere che i diritti tutelati dalla Costituzione con gli articoli 10 e 11 (principio di uguaglianza e di non discriminazione) e con l'art. 24 (libertà d'insegnamento) non vengano lesi da leggi, decreti o altri atti aventi forza di legge, emanati dalle autorità statali, comunitarie o regionali. Ricorsi di questo genere sono previsti anche da alcune nuove costituzioni dei paesi dell'Europa centrale e orientale: in particolare in Ungheria i cittadini possono appellarsi mediante una procedura molto semplice alla Corte costituzionale contro ogni sorta di atti lesivi dei propri diritti fondamentali.
Dall'analisi delle prassi seguite specialmente in Germania, Spagna e Belgio risulta che nei primi due paesi le migliaia di ricorsi presentati ogni anno sono rivolti quasi sempre contro sentenze e decisioni dei tribunali e delle corti, mentre in Belgio i ricorsi contro gli atti legislativi sono appena un centinaio. I cittadini, cioè, denunziano soprattutto le violazioni dei loro diritti fondamentali da parte delle giurisdizioni, comprese quelle supreme. Paradossalmente, la tutela dei diritti fondamentali è esercitata proprio contro il potere giudiziario, se non altro nei due paesi in cui le procedure di ricorso istituite espressamente a tal fine sono state utilizzate decine di migliaia di volte, da quarantacinque anni a questa parte in Germania e da quindici in Spagna. Tale conclusione non era prevedibile a priori, ma s'impone alla luce della prassi seguita.
6. L'irradiazione dei diritti dell'uomo e la loro universalità
Dopo la seconda guerra mondiale il diffondersi della filosofia, dell'ideologia o - come si è anche detto - della ‛religione' dei diritti dell'uomo ha avuto notevoli conseguenze non solo in Europa, ma in quasi tutto il mondo: si è parlato a questo proposito di ‟mondializzazione della proclamazione dei diritti dell'uomo" (v. Sudre, 19952). Ormai tutti i paesi sono esposti in qualche maniera alla forza d'irradiazione dei diritti dell'uomo; si tratta però di vedere se essa riesca a penetrare dappertutto nello stesso modo e se l'universalità dei diritti sia effettivamente tale.
La forza d'irradiazione dei diritti dell'uomo ha certamente la sua massima intensità nei paesi dell'Europa occidentale e del Nordamerica; ma a poco a poco essa si propaga in altre zone, sia per l'affermarsi dei principî (come in Sudamerica, in Africa o nel Sudest asiatico), sia perché i differenti sistemi democratici già esistenti si trasformano in Stati di diritto costituzionali. L'intensità d'irradiazione dei diritti dell'uomo dipende senza dubbio dall'esistenza di una giustizia costituzionale e di un controllo di costituzionalità, e più in generale dall'esistenza di un meccanismo di tutela giurisdizionale a livello nazionale e/o internazionale. Si può dire anzi che questa intensità dipende dal modo in cui sono predisposte le procedure di ricorso e dalla frequenza con cui esse sono utilizzate. È evidente, ad esempio, che le norme costituzionali riguardanti i diritti fondamentali hanno influenzato l'ordinamento giuridico molto più rapidamente in Germania e in Spagna, dove vengono presentati ogni anno migliaia di ricorsi individuali contro la violazione dei diritti e delle libertà, che non in Francia, dove ciò non è possibile. Analogamente, rispetto ad altri paesi meno tutelati, la capacità d'irradiazione dei diritti dell'uomo è certamente maggiore in quei paesi dell'Unione Europea nei quali i cittadini possono richiamarsi a tre serie di diritti (contenute rispettivamente nella Costituzione dello Stato, nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nella Carta giurisprudenziale elaborata dalla Corte di giustizia) e appellarsi a tre organi di tutela giurisdizionale (la propria Corte costituzionale e le Corti di Strasburgo e del Lussemburgo).
L'irradiazione dei diritti dell'uomo si traduce in una trasformazione dell'ordinamento giuridico soggetto o esposto a tale fenomeno. L'osservazione fatta una ventina di anni fa a proposito del diritto tedesco può essere estesa agli altri ordinamenti giuridici: ‟La teoria dei diritti fondamentali tende a esercitare un profondo influsso su tutto il diritto tedesco, sia mediante la deduzione di nuove regole di diritto, sia con l'annullamento di disposizioni in contrasto, sia infine con l'interpretazione delle regole esistenti in senso conforme alla Costituzione" (v. Fromont, 1977). Oltre alle norme costituzionali riguardanti i diritti fondamentali, sono anche le norme europee e internazionali a permeare sempre più le varie branche del diritto (penale, civile, amministrativo, del lavoro, finanziario, tributario, ecc.). L'applicazione e l'osservanza delle norme a tutela dei diritti e delle libertà da parte delle autorità politiche, amministrative e giurisdizionali portano dunque a costituzionalizzare e a europeizzare (o a ‛comunitarizzare') l'ordinamento giuridico.
L'intensità d'irradiazione dei diritti dell'uomo può essere ulteriormente accresciuta se si ammette che i diritti fondamentali siano opponibili non solo agli enti pubblici nei loro rapporti con i privati, ma anche a un privato nei suoi rapporti con un altro. Secondo la teoria tedesca dell'efficacia verso terzi (Drittwirkung), i diritti fondamentali non producono solo effetti ‛verticali' (dal cittadino verso il potere politico), ma anche effetti ‛orizzontali' (a vantaggio di un cittadino rispetto a un altro). Questa teoria è applicata con cautela dalle corti costituzionali, soprattutto in alcuni settori del diritto, come in quello del lavoro: è evidente, ad esempio, che se il diritto di sciopero è riconosciuto e garantito costituzionalmente, i lavoratori dipendenti potranno appellarsi a esso contro il datore di lavoro. Lo stesso può dirsi della libertà sindacale.
La Corte europea dei diritti dell'uomo segue la stessa linea quando ammette gli effetti ‛orizzontali' del diritto alla libertà sindacale e del diritto al rispetto della vita privata e familiare (26 marzo 1985, X e Y c/ Paesi Bassi, A.91 §23): gli obblighi positivi derivanti da quest'ultimo diritto (art. 8) ‟possono implicare l'adozione di provvedimenti intesi a far rispettare la vita privata anche nei rapporti interpersonali".
L'irradiazione dei diritti dell'uomo può portare - specialmente se si applica la teoria della Drittwirkung - a modificare abbastanza profondamente il contenuto delle varie branche del diritto, suscitando così la resistenza o addirittura l'ostilità dei fautori della concezione classica, e in particolare dei giudici. Per tale ragione è stata elaborata in Italia la teoria del ‛diritto vivente', in base alla quale la giustizia costituzionale fa proprie le analisi e le interpretazioni della giustizia ordinaria e le costituzionalizza. Negli ultimi anni anche la giustizia costituzionale francese ha imboccato questa strada, allo scopo di facilitare l'accettazione della propria giurisprudenza da parte delle giurisdizioni ordinarie e amministrative.
L'universalità dei diritti dell'uomo è spesso considerata autoevidente, e del resto una simile interpretazione spiegherebbe la capacità d'irradiazione di quei diritti; vien fatto però di chiedersi se essi abbiano veramente lo stesso contenuto e siano rispettati nello stesso modo in tutti i paesi. L'universalità dei diritti dell'uomo è fondata sull'idea che tali diritti esistano indipendentemente dal tipo di società in cui gli uomini si trovino a vivere, ossia perché preesistono a ogni società e sono inerenti all'essere umano in quanto tale. Ma questa concezione dei diritti dell'uomo non è riconosciuta da tutti. Per un certo periodo sono coesistite tre concezioni diverse: quella dell'Occidente (liberale), quella dell'Est (marxista) e quella del Sud (terzomondista). Dopo il crollo dei sistemi comunisti si può ritenere che ormai sopravviva solo la prima di esse e che non vi sia più posto per altre: lo dimostra il fatto che sia nell'Europa centrale e orientale, sia in Africa e nell'America Latina le nuove costituzioni si attengono tutte a un'unica concezione, quella liberale.
Il problema è che alcune culture e alcuni paesi non accettano l'ideologia dei diritti dell'uomo che pone l'essere umano e l'individuo al centro dell'ordinamento giuridico e politico: ciò avviene ad esempio in vari Stati asiatici, tra cui la Cina e la Malesia, e negli Stati islamici del Medio Oriente.
Ma anche nei paesi che accettano e condividono l'ideologia liberale dei diritti dell'uomo non vi è necessariamente uniformità di concezione. Così, in un recente convegno internazionale dedicato all'effettività dei diritti fondamentali nei paesi francofoni (v. AUPELF, 1994) si è potuto discutere dei rapporti tra l'universalità di questi diritti e la diversità culturale. Un certo numero di diritti e di libertà non possono avere dappertutto lo stesso contenuto: così accade per la libertà religiosa o per le questioni connesse con la procreazione, come quella dell'interruzione volontaria della gravidanza, e più in generale per i problemi della bioetica. In questi casi la storia, la struttura della società, la composizione della popolazione possono giustificare l'applicazione di regole differenti, senza tuttavia rinunziare a un minimo comune. Vi sono però alcuni diritti che costituiscono il nocciolo duro dei diritti e delle libertà fondamentali e che dovrebbero avere dappertutto lo stesso contenuto.
7. Conclusione
I diritti dell'uomo sono onnipresenti: questa nozione non solo esiste già in tutte le branche del diritto, ma sta pervadendo anche la politica e la diplomazia. Ogni governo deve fare oggi i conti con le associazioni nazionali e internazionali per la difesa dei diritti dell'uomo; e anche nei rapporti internazionali i diplomatici e gli uomini di Stato devono prestare molta attenzione al modo in cui i diritti dell'uomo sono - o non sono - tutelati e rispettati nei vari paesi con cui occorre stabilire rapporti. Le pressioni e le costrizioni che l'ideologia dei diritti dell'uomo esercita così sui governanti sono diventate un potente fattore di evoluzione dei regimi politici verso la democrazia.
BIBLIOGRAFIA
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