Abstract
Dopo aver definito i diritti di credito, la voce esamina in primo luogo le differenze intercorrenti con altre figure, relativamente ai profili strutturale e contenutistico, avuto particolare riguardo al rapporto con i diritti reali e ai criteri distintivi variamente impiegati. Si illustrano successivamente i principali tratti che caratterizzano la categoria.
Il diritto di credito si sostanzia in una situazione attiva in capo ad un soggetto – creditore – il quale è legittimato a pretendere da un altro soggetto – debitore – una prestazione, al fine di soddisfare un proprio interesse. Costituisce la categoria paradigmatica dei diritti relativi, sebbene, come si avrà modo di osservare più diffusamente in seguito (v. infra, § 2), la distinzione tra diritti assoluti e relativi, e nello specifico tra diritti reali e di credito, non appaia più così netta come in passato e da più parti siano stati compiuti tentativi mirati a superare tale rigida bipartizione ovvero, in maniera meno radicale, a rinvenire criteri di classificazione alternativi rispetto a quelli suggeriti dalla dottrina tradizionale.
Alla pretesa del creditore si contrappone l’obbligo, in capo al debitore, di porre in essere una determinata condotta. La cooperazione del soggetto passivo del rapporto giuridico ai fini della realizzazione dell’interesse del creditore assume carattere centrale, idoneo a distinguere il diritto di credito da figure nelle quali il perseguimento dell’interesse prescinde da un obbligo altrui.
Così, il diritto di credito si distingue da un diritto reale perché in quest’ultimo il titolare realizza in via immediata l’interesse a godere o disporre del bene senza che si renda necessario l’apporto di altri soggetti. Su costoro grava, infatti, un generico dovere di astensione da comportamenti volti ad ostacolare l’esercizio del diritto da parte del titolare. Il diritto reale è altresì caratterizzato da assolutezza, potendo essere fatto valere erga omnes, a differenza del diritto di credito, che può essere esercitato nei confronti del soggetto passivo del rapporto.
In altra ipotesi, la possibilità in capo al titolare del diritto di realizzare un proprio interesse modificando la sfera giuridica di un altro soggetto non richiede alcuna collaborazione da parte di quest’ultimo, il quale, non solo non è tenuto a cooperare con il titolare della situazione giuridica attiva, ma non è neanche in grado di ostacolare l’esercizio del diritto da parte del soggetto legittimato. È il caso del diritto potestativo, normalmente ricompreso tra i diritti relativi in considerazione della struttura del rapporto intercorrente tra soggetti determinati, in relazione al quale non sono peraltro mancate opinioni critiche quanto ad una sua autonoma configurabilità (per una disamina di tali posizioni Carpino, B., Diritti potestativi, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1 ss.).
Va inoltre rilevato che nei diritti di credito la pretesa, in capo al soggetto attivo del rapporto, di ottenere l’adempimento della prestazione è giuridicamente tutelata dall’ordinamento (v. infra, § 8), con ciò distinguendosi sia dai doveri morali e sociali (art. 2034 c.c.), sia dalle prestazioni contrarie al buon costume (art. 2035 c.c.), per i quali non è accordata azione ma è concessa unicamente l’irripetibilità della prestazione effettuata. Un discorso a parte va compiuto in relazione all’adempimento del debito prescritto (art. 2940 c.c.), risultando discusso che la prescrizione estingua il diritto, degradandolo ad obbligazione naturale, o unicamente l’azione per farlo valere (Panza, G., Contributo allo studio della prescrizione, Napoli, 1984, 137 ss.). In quest’ultimo caso, il debito prescritto difetterebbe di tutela giuridica ma costituirebbe in ogni caso obbligazione civile, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di irrilevanza della capacità ex art. 1191 c.c.
Se, nell’ambito dei diritti patrimoniali, i diritti di credito vengono normalmente contrapposti ai diritti reali, i criteri di classificazione delle due categorie hanno condotto a soluzioni non univoche. Ciò sia in considerazione di figure che presentano tratti non integralmente riconducibili all’uno o all’altro insieme, sia tenuto conto di posizioni giuridiche normalmente ascrivibili a un genere e, tuttavia, caratterizzate in maniera analoga ad istituti diversamente classificabili.
Può pensarsi, nel primo caso, alle obbligazioni propter rem o agli oneri reali, tradizionalmente ricompresi in una zona grigia tra le due categorie. Nelle obbligazioni propter rem il debitore e il creditore sono individuati in virtù del collegamento con un determinato bene, come avviene ad esempio nel caso delle prestazioni accessorie a carico del titolare del fondo servente e a vantaggio del titolare del fondo dominante (art. 1030 c.c.). Negli oneri reali il titolare di un diritto su un bene è tenuto a prestazioni, di norma periodiche, verso un altro soggetto (Gandolfi, G., Obbligazione: XV) Obbligazione propter rem, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006, 1 ss.; del Prato, E., I regolamenti privati, Milano, 1988, 119 ss.).
Quanto alle ipotesi del secondo caso, è stata puntata l’attenzione sugli aspetti che avvicinano, ad esempio, una servitù negativa ad un’obbligazione di non facere, o il titolare di un diritto personale di godimento all’usufruttuario.
Con riferimento ai criteri di differenziazione suggeriti, si rileva che il carattere dell’immediatezza del potere ai fini della realizzazione dell’interesse, normalmente idoneo a distinguere il diritto reale dal diritto di credito, non risulta riscontrabile in talune ipotesi di diritti reali e – all’opposto – è ben percepibile in alcuni diritti aventi ad oggetto crediti.
Nell’esempio già riportato della servitù negativa, questa non presenterebbe una simile connotazione, in quanto non risulta necessaria né sufficiente l’attività del titolare del diritto ai fini della realizzazione del proprio interesse, richiedendosi altresì l’astensione del titolare del fondo servente. Diversamente, l’immediatezza appare riscontrabile in situazioni giuridiche poste al di fuori dei diritti reali, come avviene nel rapporto derivante dal contratto di locazione. In tal caso, il conduttore realizzerebbe il suo interesse attraverso un potere immediato sulla cosa (Giorgianni, M., L’obbligazione, I, Milano, 1968, 87 ss.).
Allo stesso modo, l’assolutezza del diritto in relazione al rapporto con i terzi, di norma caratterizzante il diritto reale, è stata ritenuta inidonea a costituire un criterio distintivo delle due categorie. Si è, infatti, osservato che, accanto a diritti assoluti non esercitabili erga omnes, sono rinvenibili diritti relativi che presentano tale caratteristica. Può pensarsi, nel primo caso, alla proprietà immobiliare non trascritta, inopponibile a un acquirente successivo che abbia invece proceduto a tale formalità (art. 2644 c.c.), mentre nel secondo caso è sufficiente far riferimento al regime di opponibilità del contratto di locazione nei confronti del terzo acquirente ex art. 1599 c.c.. A tale ultimo riguardo, è stato tuttavia precisato che l’assolutezza va necessariamente tenuta distinta dall’opponibilità. Quest’ultima connotazione, oltre a non essere sempre connessa alla prima, in nessun caso incide sulla struttura del diritto ma ne rappresenta una componente estrinseca (Santoro Passarelli, F., Diritti soggettivi. a) Diritti assoluti e relativi, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 750).
L’insoddisfazione verso i tradizionali parametri di classificazione ha poi condotto a suggerire l’impiego combinato di due criteri tra loro indipendenti – quello della struttura e quello dell’inerenza del potere ad una cosa – in maniera tale da considerare una singola fattispecie per un verso diritto reale e per altro verso diritto di credito (Giorgianni, M., L’obbligazione, I, cit., 95 ss.). Così, l’obbligazione propter rem sarebbe riconducibile ad un rapporto obbligatorio quanto alla struttura, risultando diversamente ascrivibile ad un diritto reale laddove si valuti l’inerenza del potere ad un bene.
Vero è peraltro che, più in generale, la classificazione dei diritti soggettivi non è apparsa più sicura ed immanente, bensì convenzionale e relativa (Gentili, A., Il diritto come discorso, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2013, 367 ss.). Al di là della difficoltà di fare affidamento su idonei criteri di distinzione, a perdere rilievo è stata la stessa esigenza definitoria, indice di una più generale mancanza di centralità del diritto soggettivo.
Con particolare riferimento alla distinzione tra diritti reali e diritti di credito, va altresì tenuto conto dell’incertezza intorno a taluni profili in relazione ai quali la distinzione è stata considerata rilevante. Si pensi, ad esempio, all’atto ricognitivo, la cui applicazione ai soli diritti di credito, tradizionalmente affermata, è andata incontro a serie obiezioni (Graziani, C.A., Il riconoscimento dei diritti reali, Milano, 1979, 220 ss.; Granelli, C., La dichiarazione ricognitiva di diritti reali, Milano, 1983, 270 ss.).
Si valuti poi che la partizione tradizionale è stata ulteriormente sminuita sotto il profilo rimediale. Sono state al riguardo distinte le situazioni di appartenenza, tutelate in natura, dalle situazioni protette solo per equivalente e si è osservato che tale bipartizione è destinata ad intersecare le categorie dei diritti reali e dei diritti di credito (Chianale, A., Obbligazione, in Dig. civ., XII, Torino, 1995, 343 s.).
Come rilevato, il diritto di credito presuppone necessariamente un rapporto tra due soggetti, che riveste carattere qualificato rispetto a quello di mera astensione che incombe sui terzi con riferimento al titolare di un diritto reale. La naturale inconfigurabilità di un rapporto giuridico unisoggettivo, della quale costituisce logica conseguenza l’estinzione per confusione (art. 1253 c.c.), incontra peraltro talune eccezioni, giustificate da specifiche esigenze. Ciò avviene, ad esempio, nel caso di accettazione con beneficio di inventario (art. 490, n. 1, c.c.) o in caso di circolazione di titoli di credito (art. 15, co. 3, r.d. 14.12.1933, n. 1669; art. 17, co. 3, r.d. 21.12.1933, n. 1736). Sono poi salvi i diritti dei terzi che abbiano acquistato diritti di usufrutto o di pegno sul credito (art. 1254 c.c.).
Si discute se i soggetti del rapporto debbano essere necessariamente determinati ai fini della costituzione del diritto ovvero sia sufficiente la mera determinabilità, analogamente a quanto avviene per la prestazione (v. infra, § 4). In quest’ultimo caso, la costituzione del vincolo è configurabile anteriormente all’individuazione del soggetto (Bianca, C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993, 51 ss.).
La necessaria determinatezza deve peraltro conciliarsi con la presenza di ipotesi nelle quali il criterio di individuazione è rappresentato da un fatto idoneo a consentire una sostituzione del soggetto legittimato, come può avvenire nei titoli di credito o nelle obbligazioni propter rem. Ancora, vi sono figure nelle quali i soggetti del rapporto non risultano immediatamente determinati; al riguardo, possono farsi gli esempi della promessa al pubblico (art. 1989 c.c.), del legato obbligatorio a favore di persona che va scelta dall’onerato o da un terzo (art. 631 c.c.) o ancora della donazione obbligatoria a persona da scegliersi da un terzo (art. 778, co. 2, c.c.).
A favore della necessaria determinatezza dei soggetti si è osservato, in relazione ai casi del primo tipo, che assume rilievo il tempo in cui la pretesa viene fatta valere e risultano di conseguenza irrilevanti i mutamenti soggettivi intervenuti precedentemente. Neanche le ipotesi del secondo tipo si mostrerebbero idonee a deporre in senso contrario, considerato che il rapporto si costituisce in virtù del fatto idoneo ad individuare il soggetto attivo e che ciò non sarebbe incompatibile con la previa esistenza di un vincolo strumentale imposto al soggetto passivo del rapporto (Giorgianni, M., L’obbligazione, I, cit., 41 ss.; Rescigno, P., Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 163 ss.).
Oggetto del diritto di credito è la prestazione, da intendersi come comportamento al quale è tenuto il debitore nei confronti del creditore. Soccorrono al riguardo i requisiti previsti dall’art. 1346 c.c. in tema di oggetto del contratto. La prestazione deve, dunque, essere possibile, lecita, determinata o quanto meno determinabile.
Tale prestazione può variamente atteggiarsi e alla tripartizione romanistica di dare, facere e praestare il Codice napoleonico ha sostituito quella di dare, fare e non fare, peraltro non recepita all’interno del Codice civile del 1942. Vero è peraltro che ogni condotta idonea ad apportare un’utilità economica ad un soggetto può essere dedotta in obbligazione, con la conseguenza che l’elaborazione di uno schema di prestazioni teoricamente ipotizzabili andrebbe incontro a difficoltà (Di Majo, A., Obbligazione: I) Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 22) e la tripartizione da ultimo indicata non assume carattere esaustivo.
Con riferimento all’obbligazione di dare, questa può assumere due diverse accezioni: può consistere nella materiale consegna del bene, con conseguente dismissione del possesso o della detenzione, ovvero nel trasferimento del diritto (Giorgianni, M., Obbligazione (diritto privato), in Nss.D.I., XI, Torino, s.d. ma 1965, 599). Poiché la disciplina del codice vigente è improntata sul principio del consenso traslativo (art. 1376 c.c.), la proprietà non si acquista con la consegna del bene, ma con la semplice manifestazione della volontà di trasferire. Esistono tuttavia delle obbligazioni di dare del secondo tipo, aventi ad oggetto il compimento di un atto traslativo. È il caso, ad esempio, dell’obbligo gravante sul mandatario privo del potere di rappresentanza, il quale è tenuto al trasferimento in capo al mandante di un bene immobile acquistato per suo conto (Breccia, U., Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1991, 10 s.).
Quanto alle obbligazioni di fare e non fare, l’interesse del creditore è variamente soddisfatto, nel primo caso, mediante il compimento di un’opera o un’attività, mentre nel secondo caso tramite l’astensione da una determinata condotta. Si pensi, in tale ultimo caso, all’obbligo di non concorrenza o di non alienare un bene.
Si distingue poi, tradizionalmente, tra obbligazioni di mezzi e di risultato. Nel primo caso assume rilievo la condotta cui è tenuto il debitore, mentre nel secondo l’attività non rileva di per sé, ma è strumentale ad una specifica finalità. Tra le obbligazioni di mezzi vengono ricomprese ad esempio quelle del medico o dell’avvocato, tenuti ad adempiere con la diligenza richiesta dall’attività esercitata (art. 1176, co. 2, c.c.) ma non al risultato, rispettivamente, della guarigione del paziente e della vittoria della lite. Rientra invece tra le obbligazioni di risultato, ad esempio, quella dell’appaltatore.
Va comunque rilevato che in una prestazione ben può essere ravvisabile la compresenza del comportamento del debitore e del risultato, anche in rapporto variabile e che la contrapposizione in esame non si mostra decisiva per quanto concerne la ripartizione dell’onere della prova in caso di inadempimento.
A tale ultimo riguardo, la Corte di legittimità ha osservato che non è possibile sostenere che nelle obbligazioni di mezzi graverebbe sul creditore l’onere di provare la mancata osservanza del dovere di diligenza ex art. 1176 c.c. mentre nelle obbligazioni di risultato sarebbe il debitore a dover dimostrare che il mancato risultato sia dipeso da causa a lui non imputabile. La ripartizione dell’onere della prova prescinde, infatti, dalla natura di obbligazione di mezzi piuttosto che di risultato (Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577).
Caratteristiche peculiari assume, infine, l’obbligazione di garanzia, la quale non si concretizza in un obbligo di prestazione finalizzato ad un risultato ma alla diretta assicurazione di quest’ultimo e alla conseguente sopportazione del rischio in caso di mancata realizzazione. Un’ipotesi è rappresentata dalla promessa del fatto del terzo, che obbliga il promittente ad indennizzare l’altro contraente nel caso in cui il terzo rifiuti di obbligarsi o non compia il fatto promesso (art. 1381 c.c.) (Di Majo, A., Obbligazione: I) Teoria generale, cit., 23; Breccia, U., Le obbligazioni, cit., 155 s.).
Il carattere della patrimonialità, richiesto dall’art. 1174 c.c., trova fondamento nella normale rilevanza giuridica di prestazioni suscettibili di valutazione economica (Giorgianni, M., L’obbligazione, I, cit., 34).
È discusso se la patrimonialità debba essere considerata oggettivamente o possa dipendere da una valutazione delle parti o dalla natura della controprestazione. Per la giurisprudenza, conformemente a quanto previsto dalla Relazione al Codice (n. 557), il requisito in esame può sussistere, anche al di là dell’intrinseca natura patrimoniale, laddove una prestazione sia oggetto di valutazione economica ad opera delle parti, come avviene nel caso in cui sia previsto per essa un corrispettivo monetario.
In una prospettiva più rigorosa si osserva che la pattuizione di un compenso o di una clausola penale non giungono ad attribuire carattere patrimoniale ad una prestazione che non presenti intrinsecamente tale connotazione, risolvendo il diverso problema della giuridicità o meno dell’impegno assunto. L’alterità dei due piani conduce a rilevare che, se può essere ipotizzata una prestazione suscettibile di valutazione economica priva del carattere di giuridicità, d’altra parte un dovere giuridico mancante del carattere di patrimonialità non costituisce obbligazione in senso tecnico e ciò assume rilievo ai fini della disciplina applicabile (Rescigno, P., Obbligazioni (nozioni), cit., 138). La patrimonialità della prestazione si mostra dunque utile a circoscrivere l’obbligazione rispetto al più generale obbligo giuridico (Bianca, C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, cit., 82; del Prato, E., Obbligazione e dovere: contenuti e tutele, in Roma e America. Diritto romano comune, 2009, 100 ss.).
La prestazione oggetto del diritto di credito deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore, secondo quanto previsto dall’art. 1174 c.c.
La centralità dell’elemento in questione viene evidenziata in considerazione del principio basilare che i diritti sono attribuiti ad un soggetto in ordine alla tutela di un interesse il quale, oltre a rappresentare condizione di esistenza dell’obbligazione, costituisce criterio di determinazione della prestazione in mancanza di adeguate specificazioni nel titolo (Bianca, C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, cit., 43 ss.; Giorgianni, M., L’obbligazione, I, cit., 62).
Si è d’altra parte sostenuta l’inesistenza di un principio generale idoneo a condizionare il sorgere e il permanere del vincolo obbligatorio alla presenza, appunto, di un concreto interesse del creditore. Questo assumerebbe invece rilievo mediante la disciplina dell’errore, le norme in tema di incidenza del motivo, il contenuto del programma negoziale ovvero ancora tramite specifiche previsioni normative (Cian, G., Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, in Riv. dir. civ., 1968, I, 220 ss., 256 ss.).
Senza negare rilevanza alla sussistenza di un interesse in capo alla parte attiva del rapporto, occorre evidenziare che questo finisce per essere diversamente modulato nei vari momenti di esistenza del diritto di credito. È infatti agevole rilevare che, in occasione dell’adempimento della prestazione, ai fini del rifiuto da parte del creditore il difetto di interesse va necessariamente sorretto dalla presenza di un motivo legittimo, verificandosi altrimenti i presupposti per la mora credendi. Sul piano dello scioglimento del rapporto, qualora l’obbligazione derivi da contratto, la mancanza o il venir meno dell’interesse deve poi conciliarsi con le regole appositamente previste in materia (art. 1372 c.c.). A titolo esemplificativo, ai fini dell’esercizio del diritto di recesso non risulta talvolta sufficiente il difetto di interesse in capo alla parte attiva, richiedendosi l’esistenza di una giusta causa (art. 2119 c.c.) (Di Majo, A., Obbligazione: I) Teoria generale, cit., 21). Vi sono, peraltro, ipotesi nelle quali l’elemento dell’interesse finisce per incidere sensibilmente sul vincolo, come avviene nei casi di impossibilità temporanea (art. 1256, co. 2, c.c.), di impossibilità parziale (art. 1464 c.c.) o ancora, nei contratti a prestazioni corrispettive, di risoluzione per inadempimento (art. 1455 c.c.).
I diritti di credito sono suscettibili di trasferimento e la cessione si realizza tramite accordo tra creditore e terzo, secondo quanto previsto dall’art. 1376 c.c. Contrariamente alla precedente tradizione romanistica, connotata dal carattere necessariamente personale del vincolo obbligatorio, il nostro ordinamento recepisce il principio della libera cedibilità del credito, il quale può essere trasferito senza il consenso del debitore, salvi i limiti derivanti dal carattere della prestazione, da specifici divieti imposti dalla legge o ancora da un’apposita pattuizione convenzionale di incedibilità (art. 1260, co. 1 e 3, c.c.).
È evidente l’importanza che il trasferimento dei diritti di credito finisce per assumere all’interno del sistema economico, quale strumento di circolazione della ricchezza. La disciplina generale prevista dagli artt. 1260 ss. c.c. si mostra tuttavia inidonea ad un’agile e sicura circolazione.
Basta, infatti, rilevare la possibilità, in capo al debitore ceduto, di opporre al cessionario le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, relative all’esistenza e alla validità del titolo da cui derivi il credito, all’esatto adempimento del negozio o, se anteriori, a fatti modificativi ed estintivi del rapporto (Cass., 2.11.2010, n. 22280). Ancora, il medesimo credito può formare oggetto di una pluralità di cessioni e un avente causa potrebbe vedersi opposta una cessione anteriormente notificata al debitore ceduto o accettata da quest’ultimo con atto di data certa (art. 1265 c.c.).
Tali inconvenienti sono superati dalla disciplina dei titoli di credito, dall’incorporazione del diritto nel documento e dalla conseguente circolazione alla stregua di beni mobili. Il possessore del titolo nelle forme di legge è legittimato ad esigere la prestazione in esso indicata (art. 1992 c.c.) in considerazione della normale corrispondenza tra disponibilità del titolo e titolarità (Oppo, G., Titoli di credito: I) In generale, in Enc. giur. Treccani, 1994, 2). Inoltre, l’autonomia del diritto cartolare dal rapporto che ha causato l’emissione del titolo impedisce che il debitore emittente possa opporre ad un soggetto diverso dal primo prenditore le eccezioni relative al rapporto fondamentale, salva l’ipotesi in cui il possessore abbia agito intenzionalmente a danno del debitore (art. 1993, co. 2, c.c.).
La mancata esecuzione della prestazione oggetto del diritto di credito obbliga il debitore a risarcire il danno subito dal creditore, salvo che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Il creditore può dunque procedere all’esecuzione forzata per equivalente nei confronti del debitore ai fini dell’ottenimento della somma dovuta a titolo di risarcimento (artt. 2910 ss. c.c.) ovvero, laddove sia possibile, agire mediante esecuzione in forma specifica e raggiungere lo stesso risultato che avrebbe prodotto l’adempimento del debitore (artt. 2930 ss. c.c.). Nel caso in cui il diritto abbia fonte contrattuale, il creditore potrà agire per l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il risarcimento del danno (art. 1453 c.c.).
Sono poi previsti strumenti di tutela preventiva, a fronte di situazioni idonee a pregiudicare la realizzazione del credito. Si pensi ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (artt. 2900 ss. c.c.), al diritto di ritenzione (es. art. 1152 c.c.), a strumenti di autotutela (artt. 1186 e 1460-1461 c.c.) o ancora a rimedi impiegabili in relazione a contratti sottoposti a condizione o a termine (Fadda, R., La tutela preventiva del credito, Napoli, 2012, passim). Contrariamente a quanto sostenuto dall’opinione tradizionale, è altresì considerato praticabile l’impiego di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nel caso in cui i rimedi preventivi tipici e quelli successivi si mostrino inidonei ad assicurare una tutela integrale (già Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, IV, III ed., Napoli, 1964, 257).
Se la pretesa ad una determinata prestazione accordata dalla titolarità del diritto di credito può essere fatta valere nei confronti di uno o più soggetti determinati, al creditore va d’altra parte riconosciuta tutela, in via risarcitoria o in forma specifica ove possibile (art. 2058 c.c.), a fronte di condotte di terzi idonee a pregiudicare la realizzazione del credito e l’utilità che ne deriva. Risultando configurabile, anche in relazione ad un diritto relativo, il dovere del neminem laedere in capo a soggetti estranei al rapporto giuridico (Busnelli, F.D., La lesione del credito da parte di terzi, Milano, 1964, passim; Di Majo, A., Obbligazione: I) Teoria generale, cit., 12).
Dopo aver inizialmente adottato una posizione negativa, la giurisprudenza ha riconosciuto la tutela aquiliana del credito affermando tra l’altro che, ai fini della risarcibilità del danno ex art. 2043 c.c., non costituisce criterio di selezione la contrapposizione tra diritti assoluti e relativi, né risulta di ostacolo il principio di relatività degli effetti ex art. 1372, co. 2, c.c. (Cass., S.U., 26.1.1971, n. 174). Ampliando poi in maniera graduale il novero delle situazioni creditorie suscettibili di risarcimento.
Alla lesione aquiliana del diritto di credito sono riconducibili le ipotesi del danno arrecato al creditore per effetto dell’uccisione del debitore-dipendente, la distruzione o deterioramento della cosa dedotta in obbligazione, l’impossibilità transitoria della prestazione per fatto del terzo, la temporanea interruzione della prestazione del debitore-lavoratore al quale il datore di lavoro corrisponde comunque lo stipendio, la cooperazione o l’induzione all’inadempimento o ancora l’incisione in negativo sugli strumenti di tutela del credito (in argomento Navarretta, E., La responsabilità e il danno, in Lipari, N. – Rescigno, P., a cura di, Diritto civile, IV, t. 3, Milano, 2009, 184 s.).
Si è inoltre osservato che il carattere di relatività finisce per risultare evanescente con riferimento all’esistenza di obblighi accessori alla prestazione principale che si mostrino rilevanti non solamente nei confronti del creditore ma altresì verso altri soggetti, aventi una particolare relazione con una delle parti del contratto. Si parla al riguardo di contratto con effetti di protezione per i terzi (Castronovo, C., Obblighi di protezione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 7; Di Majo, A., Obbligazione: I) Teoria generale, cit., 13), figura distinta dal contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.) in quanto gli effetti nei loro confronti sono dovuti alla rilevanza dei doveri connessi alla prestazione primaria, senza che questi costituiscano la finalità del negozio e senza che i terzi siano legittimati a pretendere la prestazione.
È il caso, ad esempio, del rapporto che intercorre tra gestante ed ente ospedaliero, il quale si obbliga a porre in essere non soltanto l’attività connessa al parto, ma altresì prestazioni accessorie che risultino necessarie al feto e al neonato, in maniera tale da evitargli, per quanto possibile, qualsiasi danno. Prestazioni idonee a legittimare il soggetto successivamente nato e altri stretti congiunti ad agire per l’inadempimento, a tutela di un loro interesse (Cass., 22.11.1993, n. 11503; Cass., 29.7.2004, n. 14488; Cass., 11.5.2009, n. 10741; Cass., 4.1.2010, n. 13; Cass., 30.3.2011, n. 7256. Diversamente, tuttavia, Cass., 8.5.2012, n. 6914).
Artt. 1173-1320 c.c.
Bianca, C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993; Breccia, U., Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1991; Cantillo, M., Le obbligazioni, I, Torino, 1992; Chianale, A., Obbligazione, in Dig. civ., XII, Torino, 1995, 337 ss.; Di Majo, A., Delle obbligazioni in generale, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988; Id., Obbligazione: I) Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990; Gambino, F., Le obbligazioni, I, Il rapporto obbligatorio, in Tratt. Dir. Civ. Sacco, Torino, 2015; Giorgianni, M., L’obbligazione, I, Milano, 1968; Id, Obbligazione (diritto privato), in Nss.D.I., XI, Torino, s.d. ma 1965, 581 ss.; Guarneri, A., Diritti reali e diritti di credito. Valore attuale di una distinzione, Padova, 1979; Id., Diritti soggettivi (categorie di), in Dig. civ., V, Torino, 1989, 437 ss.; Rescigno, P., Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 133 ss.; Russo, E., Diritti soggettivi (classificazione dei), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2005; Santoro Passarelli, F., Diritti soggettivi. a) Diritti assoluti e relativi, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 748 s.; Zoppini, A., coordinato da, Il rapporto obbligatorio, in Lipari, N. - Rescigno, P., diretto da, Diritto civile, III, t. I, Milano, 2009.