Abstract
Sul terreno della categoria dei diritti reali, esito di una elaborazione teorica risalente e stratificata, si confrontano le diverse concezioni relative alle stesse nozioni giuridiche fondamentali: diritto soggettivo, le sue possibili declinazioni (assoluto e relativo), poteri e facoltà, soggetti e beni.
La categoria dei diritti reali ricomprende i diritti patrimoniali caratterizzati da un potere immediato e diretto del titolare su di un bene(res, cosa). Essi sono tradizionalmente ascritti, insieme ai diritti della personalità, ai diritti soggettivi assoluti, in quanto possono essere fatti valere erga omnes, essendo imposto a tutti i consociati un generale dovere di astensione dall’ingerenza (ius exludendi alios) (cfr. Barassi, L., Diritti reali e possesso. I. Diritti reali, Milano, 1952, 14 ss.; sulla tradizionale bipartizione dei diritti soggettivi in assoluti o relativi, a seconda che al potere del titolare corrisponda un dovere di tutti ovvero di un soggetto determinato, v. Santoro-Passarelli, F., Diritti soggettivi. a) Diritti assoluti e relativi, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 748 ss.).
Le origini della categoria, unitariamente intesa, possono farsi risalire al diritto romano, solo riconoscendo prudentemente a tale concetto in ogni epoca romana un mero «stadio embrionale e inconsapevole», ricavabile dalla varie situazioni tutelate attraverso le actiones in rem, in quanto «accomunate da una certa unità di regime» (Pugliese, G., Diritti soggettivi. b) Diritti reali, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 758), relativa alla natura degli atti costituivi e traslativi e allo strumento processuale di difesa.
La nozione – astratta – di ius in re si è, invece, delineata specificamente nel medioevo, ad opera dei Glossatori e, poi, dei Commentatori, in ragione dell’incremento dei tipi di rapporto sui beni che si è avuto, secondo la visione patrimoniale statica dell’epoca, nel sistema feudale, nell’ordinamento canonico e nel diritto germanico: tali tipi sono stati poi recepiti dal diritto comune (a tale ragione attribuisce «l’imponente sviluppo della categoria del diritto reale nel medioevo» Comporti, M., Diritti reali. I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1).
Essa è giunta, con oscillazioni di significato e contenuto tra ’500 e ’700, sino alle codificazioni ottocentesche, ove si consolida una certa nozione unitaria, comprensiva della proprietà, quale diritto maggiore, e dei diritti, minori, su cosa altrui (di godimento e di garanzia) (per una dettagliata ricostruzione storica, v. ancora Pugliese, G., Diritti soggettivi. b) Diritti reali, cit., 755 ss.; Comporti, M., Contributo allo studio del diritto reale, Milano, 1977, 5 ss.; Gambaro, A., I diritti reali come categoria ordinante, in Tratt. Gambaro-Morello, I, Milano, 2008, 10 ss.). Rispetto a tale nozione unitaria così maturata, due sono le principali concezioni che si sono contese il campo: una ascrivibile alla teoria ‘classica’, l’altra alla teoria cd. ‘personalistica’ (per un analitico resoconto delle correnti di pensiero con varie sfumature sostenute da diversi autori in Europa tra ’800 e ’900 v. Comporti, M., Contributo allo studio del diritto reale, cit., 13 ss.).
Secondo la prima, che esalta, dal lato interno, il profilo contenutistico della situazione, il diritto reale si caratterizza per la signoria diretta e immediata del titolare sulla cosa (ius in re) che per essere esercitata non necessita della prestazione collaborativa di altro soggetto: il che varrebbe ad escludere la configurabilità di un qualunque rapporto tra titolare e terzi ed a giustificare la assolutezza del diritto in esame. In base a questa tesi, è solo «immaginaria» la relazione del titolare con tutti gli altri soggetti e sono assoluti «quei diritti ai quali non è correlativo alcun obbligo, cioè alcun dovere che sia elemento intrinseco del rapporto che essi implicano», di talché «se pure corrisponde alla realtà il fatto che i diritti assoluti spiegano la loro efficacia erga omnes, ciò dipende soltanto dalla materiale possibilità che tutti questi soggetti possano turbarne il godimento, cioè da una circostanza che, se non propriamente di fatto, è un semplice effetto riflesso del contenuto del diritto» (Romano, S., Diritti assoluti, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, 59 ss.; v. anche Romano, Salv., Aspetti soggettivi dei diritti sulle cose, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 1014, che invita a tenere «ben distinte le figure soggettive operanti in un rapporto concreto – diritti e doveri delle parti, ad es., in un rapporto obbligatorio – da altri diritti e doveri contemplati al difuori di quel rapporto e in dipendenza di altre norme», quale «il dovere di non oltrepassare la propria sfera giuridca ledendo quella degli altri»).
Contro tale concezione è stato osservato (Santoro-Passarelli, F., Diritti soggettivi. a) Diritti assoluti e relativi, cit., 751 ss.) che non solo «il rapporto giuridico non può non essere una relazione intersoggettiva» ma anche che la pretesa «relazione tra soggetto e bene è priva della nota della giuridicità» data dalla garanzia di protezione dell’ordinamento giuridico che non può prescindere dalla connessione con la posizione di tutti gli altri soggetti che appunto sono tenuti ad astenersi dall’interferenza (per un’ampia indagine sulle ragioni politico-economiche che hanno determinato, nelle diverse epoche, le varie ricostruzioni dottrinali si rinvia a Comporti, M., Contributo allo studio del diritto reale, cit., 13 ss.)
Per la teoria ‘personalistica’, invece, invalsa a partire dalla metà dell’800, prevalentemente in area germanica, e che affonda le sue radici più profonde nella filosofia kantiana, ad essere rilevante giuridicamente non è la relazione tra soggetto e cosa ma – anche nel diritto reale al pari di ogni altro diritto soggettivo- solo il rapporto intercorrerente tra soggetto e soggetto (Allara, M., Le nozioni fondamentali del diritto civile, V ed., Torino, 1958, 193 ss.; Burdese, A., Considerazioni in tema di diritti reali. A proposito di una recente monografia, in Riv. dir. civ., 1977, II, 317 ss.). Privilegiando, così, dal lato esterno, il dovere negativo di astensione come indice di una relazione intersoggettiva tra il titolare del diritto e tutti gli altri consociati –configurabile come obbligazione negativa universale – la teoria personalistica riduce «il lato interno, ossia il complesso delle facoltà spettanti sulla cosa al titolare» a «substrato economico, mera espressione figurata od immagine, licere non qualificato sotto l’aspetto giuridico» (Comporti, M., Contributo allo studio del diritto reale, cit., 16 s.).
Alla teoria personalistica sono stati mossi rilievi attinenti alla artificiosità della soluzione che individua in tutti i consociati un’autonoma entità soggettiva o indistinti soggetti passivi di un fascio di rapporti obbligatori; inoltre il dovere negativo di astensione non sarebbe atto a caratterizzare in via esclusiva il diritto reale in quanto espressione del dovere di non invadere l’altrui sfera soggettiva che incombe a tutti rispetto a tutte le situazioni giuridiche, tutti i diritti soggettivi, compreso il diritto di credito (Comporti, M., Diritti reali. I) Diritto civile, cit., 2).
In particolare i sostenitori della teoria cd. ‘eclettica’, pur ammettendo che comunque il rapporto giuridico intercorre sempre tra soggetti e che la relazione con la cosa non può essere considerata alla stessa stregua di quello, hanno criticato la totale irrilevanza, desumibile dalla concezione personalistica, del cd. ‘lato interno’, da considerarsi invece «componente necessaria della nozione di diritto reale. L’interesse da questo protetto è infatti soddisfatto direttamente dal titolare, che si trova, appunto, in relazione immediata col bene. Di guisa che il dovere di astensione dei terzi con riferimento ai diritti reali si pone come secondario e riflesso, o forse meglio strumentale, rispetto alla realizzazione dell’interesse» (Santoro-Passarelli, F., Diritti soggettivi. a) Diritti assoluti e relativi, cit., 752 s.; anche Barassi, L., Diritti reali e possesso. I. Diritti reali, cit., 13, attribuisce rilevanza ad entrambi gli elementi: statico, quello interno, e dinamico, quello esterno, considerando la signoria immediata sulla cosa quale risultante dei doveri negativi di astensione a carico dei terzi).
La riferita contrapposizione dottrinale attesta la difficoltà, e al contempo la necessità, di cogliere la nota distintiva del diritto reale rispetto al diritto di credito che tradizionalmente viene prospettata riguardo all’oggetto del diritto o alla natura del potere del titolare (una recente sintesi della questione in Guarneri, A., Diritti reali e diritti di credito, in Tratt. Gambaro-Morello, I, cit., 29 ss.).
Se oggetto del diritto reale è la cosa, la sfera di controllo che su di essa può essere esercitato dal titolare ricomprende, nella proprietà, diritto reale per eccellenza e dal contenuto fisiologicamente più lato, la facoltà di godere e il potere di disporre (art. 832 c.c.). Negli altri diritti reali, infatti, detti minori o ‘limitati’, in quanto presuppongono la contemporanea proprietà di altri sul bene e da essa, in ultima analisi, scaturiscono, tali facoltà e potere si atteggiano diversamente –scomparendo persino quello dispositivo – a seconda del diritto. Talvolta il contenuto stesso del godimento è generico (v. il «contenuto del diritto di usufrutto», art. 981 c.c., ed il criterio-limite del rispetto della destinazione economica della cosa); altre volte è più ristretto (progressivamente rispetto all’usufrutto nell’uso e nell’abitazione ove si circosrive il bene goduto, il tipo di godimento e i soggetti a ciò ammessi); altre ancora, lo schema è addirittura già delineato dal legislatore, come nell’enfiteusi ove si traduce nella coltivazione migliorativa di un fondo rustico e in alcune specie di servitù prediali (ad es. di passaggio).
Per i cd. diritti reali di garanzia, si discute, infatti, proprio della loro stessa legittima afferenza alla categoria. In essi, circoscritti dallo scopo della garanzia in caso di insolvenza del proprietario e caratterizzati da una preesistente obbligazione tra proprietario-debitore e creditore garantito, la facoltà di godere è sostanzialmente esclusa a priori, così come il rapporto immediato, e la loro ratio consiste solo nella idoneità del titolare a soddisfarsi sul ricavato della vendita forzosa del bene con precedenza rispetto ad altri eventuali creditori: un diritto, quindi, «a conseguire una somma di denaro da un cosa, non dal debitore» dove la mediatezza è aumentata dal necessario intervento dell’autorità giudiziaria per la eventuale ‘realizzazione’ della garanzia reale (di «cauta realità» parla a tale proposito Barassi, L., Diritti reali e possesso. I. Diritti reali, cit., 65 ss. e 81 s.; a difesa della realità v. Bianca, C.M., Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 1999, 128, che precisa che per immediatezza deve intendersi non la detenzione materiale della cosa, ma la esercitabilità del diritto su di essa senza il tramite della prestazione altrui).
Oltre all’assolutezza, i caratteri che si attribuiscono tradizionalmente al diritto reale sono: immediatezza, inerenza, sequela, e per il diritto di proprietà, pienezza ed elasticità. Per immediatezza si intende che il godimento, ossia l’utilizzo del bene, sia possibile al titolare senza la necessaria cooperazione di altro soggetto a ciò tenuto: il titolare, quindi, è in grado di trarre dalla cosa le utilità che essa può dare indipendentemente dalla prestazione di alcuno e dall’esistenza di un rapporto obbligatorio. L’inerenza è il particolare nesso tra il diritto ed il bene, che si traduce nella opponibilità erga omnes del diritto stesso e nella possibilità quindi per il titolare di farlo valere verso chiunque. Grazie a tale connotato, che rappresenta «l’essenza della realità», il diritto, infatti, grava sul bene «per il solo fatto della sua esistenza», divendando «in un certo senso una qualità del bene stesso» (Natoli, U., La proprietà. Appunti dalle lezioni, ll ed. riv. e ampl., Milano, 1976, 14). All’inerenza è correlato il diritto di sequela (o di seguito): il diritto ‘segue’ la cosa cui è giuridicamente unito anche nei confronti dei terzi aventi causa a titolo particolare e quindi non è compromesso o altrimenti implicato dalle vicende dispositive che interessano il bene; tale nota si evidenzia in particolare nei cd. diritti minori, quali ad esempio, l’usufrutto o le servitù dove, in caso di alienazione del bene o del fondo servente, i titolari potranno esercitare il loro diritto di godere e di esercitare la servitù anche nei confronti nel nuovo proprietario. Qui si innesta, tuttavia, nella dialettica tra assolutezza e opponibilità, la centrale questione del rilievo della pubblicità (mediante trascrizione per i diritti sui beni immobili, mobili registrati, quote di s.r.l. e possesso per i beni mobili), idonea – e necessaria – a tramutare il «carattere potenziale» dell’assolutezza del diritto reale in attuale e concreta opponibilità (sul punto v. del Prato, E., Consensualità, realità, efficacia, corrispettività, alea, in Id., Dieci lezioni sul contratto, Padova, 2011, 80); questione che si pone altresì nell’ipotesi specifica della doppia alienazione (in tema v. Doria, G.,Doppia alienazione immobiliare e teoria dell'effetto reale. Il problema della responsabilità dell'alienante e del secondo acquirente, Milano, 1994).
Rispetto particolarmente al diritto di proprietà, sono inoltre predicabili le note della tendenziale pienezza ed elasticità, con le quali si intende «l’idoneità del diritto ad espandersi su tutta la cosa quando essa si accresca o vengano meno i diritti altrui gravanti su di essa» (Paradiso, M., Corso di Istituzioni di diritto privato, VIII ed., Torino, 2014, 140).
Se quelli dianzi riportati sono i tradizionali attributi abbinati ai diritti reali in genere, ognuno di essi ha un suo «nucleo fondamentale» (Comporti, M., Diritti reali. I) Diritto civile, cit., 4) che si atteggia diversamente, come si accennava, a seconda dell’ampiezza della sfera di poteri e facoltà riconosciuti al titolare e che si riconducono, in ultima analisi, a godimento (attività materiali non modificative dell’assetto giuridico) e disposizione (atti giuridici modificativi) (cfr. Bigliazzi Geri, L. - Breccia, U. – Busnelli, F.D. - Natoli, U., Diritto civile, 2, I diritti reali, Torino, 2007, 56); eventuali convenzioni private dettate per regolare l’esercizio del diritto non potranno modificare detto nucleo, al punto da snaturarlo e da compromettere l’appartenenza al tipo.
E così la proprietà è ricavabile dal contenuto del diritto attribuito al proprietario dall’art. 832 c.c. : la facoltà di godere e il potere di disporre della cosa con i limiti imposti dall’ordinamento (di carettere pubblico e di carettere privato anche legati alla particolare natura del bene, che può essere soggetto a regimi speciali) e quello, generale, della utilità sociale di cui all’art. 42 Cost.
Negli iura in re aliena, la posizione del titolare si confronta con quella del nudo proprietario ed è quindi ravvisabile in capo al primo un contenuto attivo ed uno passivo: nell’usufrutto sono ammesse tutte le attvità di godimento che non siano incompatibili con la destinazione economica del bene (art. 981 c.c.); nell’uso (artt. 1021 ss.), anch’esso dal contenuto generale, il titolare può trarre le utilità del bene limitatatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia e nell’abitazione (artt. 1022 ss. c.c.) il godimento, concesso sempre al titolare e alla sua famiglia, è circoscritto ad una casa; nella superficie (artt. 952-956 c.c.) il diritto consiste nella facoltà di edificare su suolo altrui, impedendo che si produca l’effetto acquisitivo per accessione o nell’acquistare la proprietà della «costruzione già esistente» separata da quella del suolo;nell’enfiteusi (artt. 957-977 c.c.) alla facoltà di godere del fondo si affianca il dovere di migliorarlo. Con le servitù prediali(artt. 1027-1099 c.c.) si realizza la soggezione di un fondo per il vantaggio (utilità o necessità, in caso di servitù coattive) di un altro fondo ed il contenuto varia a seconda delle diverse specie (positive, negative, apparenenti e non apparenti).
A differenza della proprietà, che suole dirsi imprescrittibile, in quanto non è soggetta a prescrizione l’azione recuperatoria di rivendicazione (art. 948 c.c.), i diritti reali su cosa altrui, tranne superficie ed enfiteusi che possono essere a tempo indeterminato, sono sottoposti necessariamente ad un termine di durata (convenzionale o legale, che al massimo corrisponde alla vita del titolare) e sono soggetti a prescrizione: si estinguono, quindi, per non uso protratto per venti anni (dando così luogo alla riespansione della propietà piena in forza del principio di elasticità).
Dei diritti reali si suole tramandare, pur in assenza di una norma espressa in tal senso, che sono tipici; con l’espressione sintetica di numerus clausus si intende che mentre i privati sono liberi di confezionare contratti diversi da quelli disciplinati dall’ordinamento, la loro autonomia non si può spingere a creare nuovi diritti reali oltre a quelli previsti e regolati nel codice civile. Le ragioni storiche del riemergere «dopo una parentesi di oltre otto secoli» (Comporti, M., Diritti reali. I) Diritto civile, cit., 5) del principio del numero chiuso nella codificazione napoleonica sono state ampiamente indagate in dottrina ove si confronta l’opinione di chi fonda il principio sull’assenza in quell’ambito del codice di una norma speculare all’art. 1322 c.c. (Comporti, M., Contributo allo studio del diritto reale, cit., 296 ss.; contra Burdese, A., Considerazioni in tema di diritti reali. A proposito di una recente monografia, cit., 325) con quella di chi osserva proprio da una prospettiva storica che, al contrario, «entrambe le regole, della tipicità dei diritti reali e della libertà di stipulare contratti atipici- sono informate ad una medesima ratio», manifestando la tendenza tipica delle codificazioni ottocentesche a «proteggere l’individuo uti singulus e a salvaguardarlo da eventuali prevericazioni dello Stato» salvo poi riconoscere che, da un lato, il superamento della concezione unitaria della proprietà plasmata sul modello fondiario, dall’altro la sua «funzionalizzazione in termini di interesse sociale» rendono non più invocabili le ragioni ideologiche poste a sostegno del numerus clausus (Costanza, M., Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, in Studi in onore di Cesare Grassetti, I, Milano, 1980, 424 ss.) e pongono un problema di collegamento tra contratto e diritti reali.
La tipicità, in particolare, indica la predeterminazione, immodificabile pattiziamente, del contenuto essenziale di ciascuno (sul concetto di ‘tipo’ di diritto reale v. Natucci, A., La tipicità dei diritti reali, II, Padova, 1985).
In dottrina si ritiene che tali principi, riconducibili all’ordine pubblico, si giustifichino con la tendenza ad evitare il moltiplicarsi di pesi e vincoli, potenzialmente infiniti, gravanti sulla proprietà anche a tutela dei terzi nonché per assicurare la sicurezza degli acquisti e dei traffici (Comporti, M., Diritti reali. I) Diritto civile, cit., 5; sul tema si rinvia a Natucci, A., La tipicità dei diritti reali, I, Padova, 1982; Costanza, M., Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, cit., 421; Morello, U., Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in Tratt. Gambaro-Morello, I, cit., 67 ss.; Bilotti, E., Proprietà temporanea, usufrutto e tipicità delle situazioni di appartenenza, in Riv. notariato, 2013, 1277 ss.).
Tale caratteristica non impedisce ai privati di modellare situazioni rispetto a beni diverse dai diritti reali deducendole in contratto e rendendole quindi vincolanti su base obbligatoria, come anche di recente è stato ribadito, con riferimento alle cd. ‘servitù irregolari’, in giurisprudenza: «in base al principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cosa altrui e di dar luogo a rapporti meramente obbligatori, con la conseguenza che, invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo, che si configura come una qualitas fundi, le parti ben possono pattuire un obbligo personale, quando il diritto attribuito sia stato previsto esclusivamente per un vantaggio di un determinato soggetto, senza alcuna funzione di utilità fondiaria» (Cass., 4.2.2010, n. 2651; nello stesso senso, Cass., 11.2.2014, n. 3091).
Poste le annose questioni ricostruttive di cui si è detto da sempre alcune figure sollevano dubbi di collocabilità e, di conseguenza, di utilità stessa della distinzione. Ove essa infatti sia da marcarsi rispetto al potere immediato sulla cosa, è stato osservato che tale carattere fisionomico non è necessariamente ravvisabile in tutte le fattispecie classificate come diritti reali ovvero non è esclusivo di esse, in quanto riscontrabile altrove: non sarebbe, quindi, idoneo a fondare le basi della nota contrapposizione (cfr. Giorgianni, M., Diritti reali (diritto civile), in Nss.D.I., V, Torino, 1960, 748 ss.; Id., Contributo alla teoria dei diritti di godimento su cosa altrui, cit., 135 ss., che ampia trattazione dedica alla distinzione tra diritti di godimento reali e personali).
Infatti, tale potere immediato non è possibile o agevole rintracciarlo nel caso, cui si è accennato, dei diritti reali di garanzia e nelle cd. servitù negative. Nell’ipoteca, così come nel pegno, che l’esercizio del potere sulla cosa non richieda la necessaria cooperazione del debitore non comporta automaticamente la qualità di immediatezza: al punto che, per soddisfare il suo interesse, il creditore ipotecario (o pignoratizio) deve comunque chiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria, istaurando un giudizio di espropriazione; e, in ogni caso, anche a voler ridurre la portata di tale intervento esterno, un potere del tutto simile si dovrebbe riconoscere nella situazione di ogni creditore, in quanto assistito dalla garanzia generale su «tutti i beni presenti e futuri» ex art. 2740 c.c..
Specularmente, in alcune altre situazioni considerate pacifiche fonti di rapporto obbligatorio, quindi diritti di credito, proprio tale immediatezza sembra connotare il rapporto tra il creditore e la cosa, essendo da considerarsi artificiosa la ricostruzione in positivo della prestazione del locatore o comodante (adempimento di fare godere in ogni momento, quotidie et singulis momentis); mentre quella in negativo, di lasciar godere la cosa concessa ad altri (pati), smentirebbe appunto la necessaria e sufficiente collaborazione del debitore, atteso che l’interesse del conduttore e del comodatario si realizza mediante un potere sulla cosa, del tutto simile, tranne che per la fase iniziale di instaurazione del rapporto, a quello dell’usufruttuario, «nell’uno e nell’altro caso senza la cooperazione di alcun estraneo» (Giorgianni, M., Diritti reali (diritto civile), cit., 750; Id., Contributo alla teoria dei diritti di godimento su cosa altrui, Milano, 1940, 109 ss.; Barassi, L., Diritti reali e possesso, I, Diritti reali, cit., 110 parla di «figure intermedie tra diritti di credito e diritti reali»: tra queste le servitù negative; la posizione del locatore che ha un godimento diretto e immediato, come l’usufruttuario e la tutela della regola emptio non tollit locatum stabilita, in presenza di dati requisiti, dall’art. 1599 c.c.).
Secondo altra parte della dottrina (Natoli, U., La proprietà. Appunti dalle lezioni, cit., 15 s.) «la differenza specifica che vale ad indentificare i diritti personali di godimento, è che in essi l’immediatezza non è, per così dire, originaria come nei diritti reali, avendo bisogno di essere – sia pure una tantum – intermediata attraverso l’attività necessitata (prestazione) di un altro soggetto a ciò specificaemnte obbligato».
Esaminando, quindi, i particolari presupposti richiesti dalla legge perché la locazione concessa dal proprietario sia opponibile al terzo acquirente a titolo particolare, si conferma la qualifica ‘personale’ dei diritti di godimento quando e in quanto l’esistenza stessa del diritto «si inserisce necessariamente in un rapporto obbligatorio» e consente di considerarli relativi, senza con ciò volere dare preminenza all’aspetto obbligatorio del fenomeno, lasciando in ombra o addirittura obliterando «la facoltà di godimento che è il momento precipuo e caratteristico» (Natoli, U., Il conflitto dei diritti e l’art. 1380 del codice civile, Milano, 1950, 108, il quale, dopo puntuale ricostruzione della struttura dei diritti personali di godimento, conclude che «la locazione, pur dando luogo a favore del conduttore a un diritto nel cui contenuto è una tipica facoltà di godimento, non costituisce però, per questo solo fatto, un diritto reale, non potendo considerarsi come espressione di una inerenza di quel diritto al bene, la opponibilità della locazione stessa a certi terzi, ammessa dalla legge entro certi limiti e sotto certe condizioni» (101).
Una simile posizione è stata tacciata di apriorismo e viziata da un equivoco di fondo: modellare, come tradizionalmente si fa, i diritti reali sul paradigma della proprietà, e quindi ricostruirli come diritti spettanti all’usufruttuario, enfiteuta, ecc., e, viceversa, considerare la locazione essenzialmente solo secondo lo schema del rapporto obbligatorio (Comporti, M., Contributo allo studio del diritto reale, cit., 344 ss.).
La giurisprudenza fonda la distinzione proprio sulla tipicità, affermando che «la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il dirirtto reale d’uso e il diritto personale di godimento è costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, in conformità al canone della tipicità dei diritti reali rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contentuto» (v., fra tante, Cass., 26.2.2008, n. 5034).
Figure ‘ibride’ collegate a situazioni reali che da sempre si collocano in una zona grigia, sono le obbligazioni reali (o propter rem) e gli oneri reali, caraterizzate entrambe dal fatto che la loro spettanza è dovuta solo in ragione della titolarità di un diritto reale. Mentre dei secondi – solitamente pesi o tributi imposti rispetto ad un fondo – si dubita appartengano al nostro ordinamento (se ne discute a proposito del canone enfiteutico), le obbligazioni propter rem, quale ad es. quella per i comproprietari di contribuire alle spese per conservazione e godimento della cosa comune (art. 1104 c.c.), sono anch’esse, al pari dei diritti reali, connotate dalla tipicità (da ultimo Cass., 26.2.2014, n. 4572, per la quale possono sorgere per contratto solo nei casi e con il contenuto espressamente previsti dalla legge) ma la loro tutela consiste in un’azione personale del creditore, detta ‘ambulatoria’ in quanto rivolta a chiunque si trovi ad essere titolare del diritto reale sul bene cui è collegata: tale nota, sebbene sia dibattuto, è solo «un modo di determinazione della persona del debitore che non incide sulla struttura del rapporto o sulla sua natura» che resta appunto obbligatoria (Bianca, C.M., Diritto civile, 6, La proprietà, cit., 138; sul tema si rinvia a Natucci, A., La tipicità dei diritti reali, II, Milano, 1985, 119 ss.; ma v. anche Costanza, M., Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, cit., 444, che vede nelle obbligazioni propter rem di fonte privata l’«unico settore in cui è ipotizzabile una eventuale violazione del limite del numerus clausus»).
A difesa della unitarietà della categoria è stato sostenuto che le singole fattispecie dei diritti reali, per quanto diversamente e specificamente regolate nel codice civile, presentano tratti comuni tali da giustificare la reductio ad un’unica categoria ordinante, tale da distinguersi dalle altre categorie di diritti patrimoniali: i diritti di credito e i diritti su beni immateriali (Bianca, C.M., Diritto civile, 6, La proprietà, cit., 121 ss.).
Infine, sempre più frequentemente si affacciano nella circolazione giuridica figure nuove (quali, ad es., la cessione di volumetrie, i diritti di godimento turnario, i vincoli di destinazione e le operazioni fiduciarie) dalla inquadrabilità talvolta complessa che tuttavia, pur avendo implicazioni ‘reali’, non consentono di ritenere scalfiti i principi anzidetti, ma semmai pongono questioni sul piano dell’ammissibulità dei negozi ad esse relativi.
Del resto, comunque si intenda ricostruire la nozione di diritto reale, quel che è certo è che il codice civile, pur senza definirla, impiega in vari ambiti l’espressione riassuntiva di quel novero di diritti, tipicamente disciplinati, per riferirsi in modo univoco ad essi (solo a titolo di es. tra i più significativi: art. 1376 c.c.; art. 1140 c.c.; art. 1350 c.c.) cui è accordata una particolare tutela dall’ordinamento (azioni petitorie, inibitorie, restitutio in integrum e accertamento) sulla base della mera esistenza (provata) del diritto.
La questione appare, quindi, in realtà di diritto positivo.Se, da un lato, stante l’impianto codicistico, non c’è modo – più che ragione – di sconfessare la categoria, dall’altro certe posizioni (ad es. la locazione ultranovennnale trascritta rispetto all’usufrutto) appaiono indubbiamente similari a quelle del titolare di diritto reale ma questo tipo di affinità non dovrebbe tanto indurre a sminuire il diritto reale in quanto tale (e in rapporto al diritto di credito), cancellando il loro confine, quanto a ridimensionare semmai la radicalità della distinzione tra diritti assoluti e relativi.
Anche la tutela aquiliana del credito, che sembra orami acquisita in via definitiva, ha contribuito a tale processo, purtuttavia rispondendo ad altra logica e rappresentando l’applicazione di altra norma, l’art. 2043 c.c.. L’ammissibilità di tale tutela è stata, infatti, il risultato di un ampliamento delle situazioni giuridiche soggettive protette dal precetto generale del neminem laedere e non può produrre l’effetto ultroneo di assimilare tutte queste tra di loro, in un unico indistinto magma, facendo coincidere l’opponibilità con una onnicomprensiva, ma generica, difendibilità.
Il rispetto del diritto reale – comunque si configuri quest’ultimo – che si chiede alla generalità dei consociati, destinato a rimanere ‘quiesciente’ in caso di mancata violazione, infatti, è e resta in ogni caso altro dalla pretesa ad una prestazione specifica da soggetto determinato a ciò tenuto in virtù di un vincolo che tra le parti intercorre.
Artt. 832, 952, 957, 981, 1021, 1022, 1027 c.c.
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