Abstract
La formula “diritti sociali” ha avuto alterne fortune negli ultimi secoli. La prospettiva storica aiuta a mettere a fuoco l'evoluzione di tali diritti come affermatisi in Europa con l'affermazione dell'economia moderna e della società di massa ed in particolare nelle costituzioni di democrazia pluralistica ove diventa costante l’inserimento di tali diritti. Si pone così, da un lato, la dialettica – che accompagna tutta la riflessione sui diritti sociali – fra necessaria interpositio legislatoris e immediata giustiziabilità degli stessi (oggi accentuata dalla cd. “tutela multilivello”) e, dall'altro lato, la problematica (che si intreccia con la prima) relativa al “costo” dei diritti sociali. Al fondo di tali questioni permane la domanda sul “fondamento di valore” dei diritti sociali e dunque sul significato degli stessi nelle moderne democrazie pluralistiche.
La riflessione dottrinale relativa alla definizione e alla struttura dei diritti sociali si è spesso soffermata sulle questioni connesse alle peculiarità e agli elementi di differenziazione di tali diritti rispetto ai “classici” diritti di libertà. E così se, all'inizio degli anni sessanta, Mazziotti evidenziava il carattere «non univoco» (Mazziotti di Celso, M., Diritto – Teoria generale: VII – Diritti soggettivi: e) Diritti sociali, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 802) del sintagma “diritti sociali”, di recente Marco Benvenuti inizia la sua ampia riflessione sul tema in oggetto riconoscendo che tale nozione «sembra … astretta ad insuperabili problemi di ordine definitorio» (Benvenuti, M., Diritti sociali, in Dig. Disc. Pubbl., Agg., Torino, 2012, 220). Punto di partenza da cui è preferibile prendere le mosse appare dunque quello relativo all'esame delle circostanze storiche, politiche, economiche e sociali che hanno condotto alla introduzione (e dunque alla giuridicizzazione) dei molteplici istituti ricompresi sotto la denominazione di “diritti sociali”, nonché alle matrici ideologiche e culturali sottostanti.
L'evoluzione legislativa che ha caratterizzato l'affermazione dei diritti sociali nei principali paesi europei evidenzia il mutamento di significato, sia pure all'interno di dinamiche che contengono anche (e necessariamente) elementi di continuità, nel passaggio dalla formula dei secours publics(che ricomprende gli istituti di sostegno previsti da varie legislazioni europee nel periodo compreso fra il XVIII secolo e i primi decenni del secolo successivo) a quella dei diritti sociali, che invece iniziano ad essere riconosciuti dalle legislazioni della seconda metà del XIX secolo e che sono poi proclamati (con forme ed accenti differenti) nelle costituzioni rigide del XX secolo (Baldassare, A., Diritti sociali, in Enc giur. Treccani, Roma, 1989, 1 ss.; Luciani, M., Sui diritti sociali, in Scritti in onore di M. Mazziotti, II, Padova, 1995, 104 ss.).
Può pertanto riconoscersi che la formula “diritti sociali” costituisce un'espressione raggruppante situazioni eterogenee previste nelle costituzioni lunghe e miste del secondo Novecento (Lavagna, C., Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1985, 390). Costantino Mortati (che non usa l’espressione “diritti sociali”, bensì quella di “diritti civici”) (Mortati, C., Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, 1133), definisce i diritti sociali «pretese dei singoli verso lo Stato o enti pubblici a prestazioni a loro favore» e che «si distinguono da quelli di libertà perché tendono ad ottenere dal soggetto passivo l’adempimento di obblighi positivi di fare». Per Mortati le situazioni giuridiche ricomprese sotto tale denominazione vanno distinte in ragione della rispettiva “strumentalità” rispetto ai diritti di libertà. Secondo questa impostazione i diritti sociali si differenziano fra quelli necessari a garantire il pacifico esercizio o ad assicurare la tutela dei diritti di libertà (e la cui trattazione va collegata pertanto al corrispondente diritto sostanziale) e quei diritti sociali che, non essendo collegati a diritti di libertà, sono piuttosto «rivolti alla soddisfazione degli svariati bisogni della persona»; questi ultimi, a loro volta, vanno distinti a seconda del riconoscimento operato dalla Carta costituzionale. Da ultimo Marco Benvenuti ha proposto una ricostruzione dei diritti sociali che, prendendo le mosse dalla evoluzione storica degli stessi, ne sottolinea dal punto di vista strutturale la qualità di diritti di prestazione e, dal punto di vista funzionale, quella di “diritti di redistribuzione”. La qualificazione come “diritti sociali” di taluni diritti costituzionali discende dunque dalla contemporanea incidenza del dato storico e della peculiarità (al tempo stesso) strutturale/funzionale degli stessi (Benvenuti, M., op. cit., 224).
E proprio con riguardo al profilo storico, bisogna ricordare che il dibattito (prima ancora che giuridico) culturale e politico sui “diritti sociali” (e sullo “Stato sociale”) sorge in Europa in stretta connessione con la progressiva affermazione della società di massa, delle coeve ideologie politico-economiche, e delle discipline legislative adottate a partire dalla seconda metà del secolo XIX. Infatti, con l’affermazione dell’economia moderna tutti i Paesi si sono trovati a dover affrontare gli enormi problemi sociali conseguenti sia alle cicliche crisi economiche sia in generale alle condizioni del proletariato. Parallelamente l'ampliamento della partecipazione democratica (conseguente alla lenta ma progressiva estensione del suffragio elettorale) conduce al passaggio dallo Stato liberale allo Stato democratico pluralistico. Ed è nelle costituzioni di democrazia pluralistica che diventa costante l’inserimento dei diritti sociali, anche se ciò avviene secondo due differenti linee di sviluppo. I diritti sociali infatti, da un lato, sono posti quali “compiti” o “programmi” per il legislatore mentre, dall'altro lato, vengono collocati (come nella Costituzione italiana) nel catalogo dei diritti del cittadino.
Un rapido esame delle prime normative di protezione sociale evidenzia la differenza “qualitativa” ravvisabile fra le prime discipline in materia e la successiva introduzione in costituzione dei relativi diritti e, in secondo luogo, dimostra come l’affermazione legislativa (fra la seconda metà del XIX secolo ed i primi decenni del secolo successivo) dei primi “diritti sociali”, se è dipesa dalla contemporanea azione di molteplici fattori, abbia spesso rappresentato una risposta a comuni esigenze da parte di regimi anche molto differenti.
Infatti, se la prima legislazione europea ad introdurre l’assicurazione obbligatoria per tutti i lavoratori dell’industria, per gli invalidi e per gli anziani è stata quella realizzata in Germania dal Cancelliere Bismarck (con due leggi del 1884 e del 1889), in Italia solo nel 1898 è istituita la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai (l.17.7.1898, n. 350) ed approvata la legge (l. 17.3.1898, n. 80) che introduceva l’obbligo assicurativo contro gli infortuni (che però riguardava solo alcuni settori industriali) e soltanto nel 1919 (decreto legge 21.4.1919, n. 603) è resa obbligatoria l’assicurazione per gli infortuni e la vecchiaia.
Nei testi costituzionali del ventesimo secolo l'espressione “diritti sociali” registra alterne fortune. Tale sintagma è infatti assente nella Costituzione tedesca, il cui art. 20 afferma che la Repubblica Federale Tedesca «è uno Stato federale democratico e sociale», ma ove non si rinviene un elenco di “diritti sociali” (fatta salva la proclamazione – art. 1, par. 1 – della intangibilità della dignità umana ed il dovere di ogni potere statale di «rispettarla e proteggerla»). Nella Costituzione italiana, il Titolo II della Parte I è intitolato «Rapporti etico-sociali», mentre è con la riforma costituzionale del 2001 che viene introdotta (nella parte della Costituzione relativa al riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni) la formula “diritti sociali” (all'art. 117, co. 2, lett. m), assegnando alla potestà legislativa esclusiva statale il compito di garantire in maniera uniforme sull'intero territorio nazionale il “livello essenziale” dei diritti “civili e sociali” (sulle singole disposizioni della Costituzione italiana v. infra par. 3).
Nella Costituzione francese, il Preambolo rinvia alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 26 agosto 1789 e al Preambolo della Costituzione del 27 ottobre 1946 (IV Repubblica), che pone una nutrita serie di principi di protezione dei fanciulli, dei disabili e dei lavoratori. Sempre nel preambolo, anche la Costituzione spagnola del 1978 afferma che la Nazione spagnola intende «Promuovere il progresso della cultura e dell'economia in modo da assicurare a tutti una dignitosa qualità di vita» e nell'art. 1 proclama la Spagna «Stato sociale e democratico di diritto» e afferma la tutela della dignità della persona, la gratuità dell'insegnamento elementare, il diritto al lavoro con «una remunerazione sufficiente per soddisfare le necessità loro e della loro famiglia», il diritto alla protezione della salute ed il diritto ad una abitazione «degna e adeguata».
Negli ultimi decenni una peculiare attenzione ai diritti sociali si rinviene anche a livello internazionale (Onu, Consiglio d'Europa, Unione Europea), con l'adozione di specifiche “Carte” e con la possibilità di ricorso a giudici internazionali (le cui decisioni sono vincolanti per gli Stati aderenti) (al riguardo v. infra par. 4).
La Costituzione italiana si caratterizza per l’esplicito ed ampio catalogo di diritti sociali e, prima ancora, per quanto affermato dalle disposizioni di carattere generale (artt. 2, 3 e 4 Cost.) sulle quali gli stessi trovano primario fondamento (v. infra, par. 6). Gli ambiti espressamente tutelati dalle norme costituzionali sono quelli relativi al lavoro (artt. 4, 35 e ss.), alla salute (art. 32), all’assistenza (art. 38), all’istruzione (artt. 33 e 34) e alla tutela della famiglia (artt. 29 e ss.).
Con riguardo al diritto al lavoro, ricordata la centralità del principio lavorista nella Costituzione repubblicana (Mortati, C., Art. 1, in Branca, G., a cura di, Comm. Cost., Bologna-Roma, 1975), va evidenziato che l’art. 4 Cost. è stato oggetto di diverse ricostruzioni dottrinali (v. in particolare Mazziotti di Celso, M., Il diritto al lavoro, Milano, 1956; D’Antona, M., Lavoro, diritti, democrazia. In difesa della Costituzione, Roma, 2010; Cantaro, A., Il diritto dimenticato. Il lavoro nella costituzione europea, Torino, 2007) che hanno oscillato, nella determinazione del contenuto di tale diritto, dalla pretesa ad avere un posto di lavoro (interpretazione rigettata dalla giurisprudenza costituzionale) al riconoscimento di un contenuto complesso volto a ricomprendere come valore costituzionale il principio, vincolante tutti i pubblici poteri, di attuazione di politiche economiche volte a massimizzare l’occupazione, ma anche situazioni giuridiche soggettive immediatamente tutelabili quali la libertà di scelta dell’attività lavorativa, la libertà di accesso al lavoro, il diritto alle mansioni, il diritto a non esser arbitrariamente licenziati, ecc. Si deve inoltre ricordare che l'art. 4 Cost., ponendo il lavoro come diritto, ma anche come “dovere” del singolo («dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»), stabilisce un vincolo ancora più stretto fra la medesima disposizione e il contenuto dell'art. 2 Cost. che (oltre a garantire i «diritti inviolabili dell'uomo») richiede anche «l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Ed è proprio quello di solidarietà a costituire il principio fondamentale intorno al quale ruota l'intero sistema dei diritti sociali e la collocazione degli stessi nel quadro dei diritti fondamentali, conferendo ai medesimi il “fondamento di valore” (v. infra par. 6)
In attuazione dei principi generali posti dagli artt. 4 e 35 Cost. (l’art. 35 Cost. dispone che «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni»), l’art. 36 Cost. pone esplicitamente il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente a vivere una vita dignitosa (co. 1) al riposo (co. 2 e 3) e alle ferie retribuite (co. 3). La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che il termine “lavoratore” di cui all’art. 36 Cost. indica non solo il lavoratore subordinato, ma anche il lavoratore autonomo (v. già C. cost, 23.6.1964, n. 75 e C. cost., 29.3.1980, n. 36) e che il concetto di retribuzione ex art. 36 Cost. non è un «mero corrispettivo del lavoro, ma compenso del lavoro proporzionale alla sua quantità e qualità e, insieme, mezzo normalmente esclusivo per sopperire alle necessità vitali del lavoratore e dei suoi familiari, che deve essere sufficiente ad assicurare a costoro un’esistenza libera e dignitosa» (C. cost., 10.12.1987, n. 559). La giurisprudenza riconosce quelli posti dall’art. 36 Cost. diritti soggettivi perfetti, inviolabili, irrinunciabili e inalienabili in quanto propri della persona umana come lavoratore (e dagli anni cinquanta – Cass., 21.2.1952, n. 461– ritiene proporzionata e sufficiente la retribuzione equivalente e quella stabilita nel relativo contratto collettivo).
Diritti soggettivi perfetti, inviolabili, irrinunciabili e inalienabili sono anche i diritti riconosciuti alle donne e ai minori dall’art. 37 Cost. (parità di trattamento nel lavoro e specifiche situazioni di tutela), la libertà sindacale e il diritto di sciopero (artt. 39 e 40 Cost.). L’art. 37 Cost, dopo aver disposto che la donna lavoratrice «ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore», aggiunge che le condizioni di lavoro della lavoratrice devono consentire alla stessa «l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione». In favore dei minori, il terzo comma dell’art. 37 Cost. (dopo che il secondo comma ha rimesso alla legge il compito di stabilire il limite minimo di età per il lavoro salariato) rimette a «speciali norme» il compito di tutelare il lavoro dei minori (cui è garantito il diritto alla parità di retribuzione in caso di parità di lavoro). La tutela del lavoro femminile e la tutela del lavoro dei minori, pur essendo prevista nell’identica disposizione costituzionale, trovano distinte ragioni di fondo giacché la tutela del minore è finalizzata a favorire le esigenze di sviluppo psico-fisico e di formazione culturale e professionale dello stesso, mentre, per quanto riguarda le donne, la norma costituzionale è indirizzata, da un lato, al raggiungimento della parità con l’uomo e, dall’altro, alla tutela della lavoratrice/moglie (v. C. cost., 14.2.1963, n. 27 e C. cost., 23.6.1983, n. 200) e della lavoratrice/madre.
La giurisprudenza ritiene diritti soggettivi direttamente azionabili e tutelabili giudizialmente anche il diritto all’assistenza e il diritto alla previdenza (art. 38, co. 1 e 2, Cost.), il diritto degli inabili e dei minorati all’educazione e all’avviamento professionale (art. 38, co. 3, Cost.).
La Costituzione (artt. 29, 30 e 31) pone particolare attenzione anche alla tutela dei diritti della famiglia (quale «società naturale fondata sul matrimonio»): dall’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, al diritto e dovere dei genitori di mantenere, educare ed istruire i figli (ed il diritto di questi ultimi ad essere mantenuti, educati ed istruiti), al diritto all’assistenza morale e materiale fino all’assegnazione alla Repubblica del compito di agevolare («con misure economiche e altre provvidenze») la «formazione della famiglia» nonché «l’adempimento dei compiti relativi» (art. 31, co. 1, Cost.) e (co. 2) di «proteggere» le maternità, l’infanzia e la gioventù.
In merito all’istruzione, gli artt. 33 e 34 pongono, oltre alla libertà di insegnamento e di scelta della scuola, il diritto all’istruzione obbligatoria e, per i meritevoli, il diritto all’istruzione superiore. Quello allo studio costituisce un diritto a fruire effettivamente dell’istruzione necessaria (v. C. cost., 3.6.1987, n. 215) e per la Corte costituzionale la gratuità dell'istruzione attiene alla predisposizione «degli ambienti scolastici e del corpo insegnante e di tutto ciò che direttamente inerisce a tali elementi organizzativi» (e dunque è da escludersi l’ammissibilità di tasse o di contributi per l’iscrizione o la frequenza della scuola media); non rientrano però, per la giurisprudenza costituzionale, in tale nozione di gratuità, le prestazione collaterali e coadiuvanti (ad es. l’acquisto di libri, di materiale di cancelleria, né la fornitura dei mezzi di trasporto) (C. cost., 28.2.1967, n. 27; C. cost., 2.7.1968, n. 106; in dottrina v. Pototschnig, U., Istruzione (diritto alla), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 721 ss.; Caravita, B., Art. 33 Cost., in Comm. Breve Cost., a cura di V. Crisafulli e L. Paladin, Padova, 1990, 225 ss. e dottrina ivi citata; Mattioni, A., Insegnamento (libertà di), in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1993, p. 420 ss.; Fracchia, F., Il sistema educativo di istruzione e formazione, Torino, 2008 ).
Riguardo alla salute, l’art. 32 Cost. ne dichiara la tutela quale «fondamentale diritto dell’individuo» e la giurisprudenza ritiene che tale diritto (immediatamente tutelabile) ricomprenda, oltre al diritto a trattamenti sanitari (di cui la Costituzione prevede la gratuità per gli indigenti), anche il diritto ad un ambiente salubre. Secondo la giurisprudenza, sia costituzionale che comune, il diritto alla salute ex art. 32 Cost. comporta il riconoscimento al singolo di una situazione soggettiva (riguardante la complessiva situazione di equilibrio psico-fisico del soggetto) immediatamente garantita ed «azionabile direttamente di fronte a comportamenti lesivi» (v. già C. cost., 12.7.1979, n. 88; C. cost., 1.7.1983, n. 212; C. cost., 10.12.1986, n.267; C. cost., 27.11.1987, n. 549; Cass., S.U., 21.3.1973, n. 796; Cass., S.U., 6.10.1975, n. 3164; Cass., S.U., 6.10.1979, n. 5172; in dottrina v. Luciani, M., Salute: I) Diritto alla salute (Diritto costituzionale), in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991; C.E. Gallo, C.E.-Pezzini, B. (a cura di), Profili attuali del diritto alla salute, Milano, 1998; Bottari, C., Il diritto alla tutela della salute, in Nania, R.-Ridola, P. (a cura di), I diritti costituzionali, II, Torino, 2001; Balduzzi, R.-Carpani, G. (a cura di), Manuale di diritto sanitario, Bologna, 2013, e dottrina ivi citata).
Il riconoscimento dell'immediata precettività delle disposizioni costituzionali relative ai diritti sociali non diminuisce (anzi accresce) l’importanza dell’intervento del legislatore nell’attuazione dei principi costituzionali. Infatti, la “supplenza” del giudice (costituzionale, amministrativo o ordinario) nei confronti dell’inerzia del legislatore non può mai giungere alla adeguata predisposizione della necessaria organizzazione di personale e di servizi, e proprio l’esperienza della giurisprudenza (costituzionale e comune) “creativa” ha evidenziato i molteplici profili problematici connessi sia al “costo” delle sentenze che all’incidenza delle stesse sull’intero tessuto normativo (al riguardo v. Politi, F., Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, Padova, 1997).
Bisogna invece sottolineare l’importanza del ruolo del legislatore nella concreta attuazione delle disposizioni costituzionali relative alle libertà e a (tutti) i diritti ed in particolare ai diritti sociali. La tutela e la garanzia di un diritto comportano sempre l’intervento dello Stato e dunque non possono non richiedere una allocazione di risorse (in tal senso già Mazziotti di Celso, M., Diritti sociali, cit., 802). Ed il pur importante aspetto relativo alle modalità e alle misure dell’intervento del legislatore, non può giungere a far negare l’operatività del precetto costituzionale. Il riconoscimento dell’immediata precettività delle disposizioni costituzionali relative ai diritti sociali inoltre consente di mettere adeguatamente in rilievo il decisivo ruolo dell’amministrazione pubblica nella delineata dimensione democratico-partecipativa, in cui il cd. status activus processualis (Häberle, P., Stato costituzionale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2002, 33), e cioè la dimensione delle garanzie dei diritti attraverso il procedimento (Ridola, P., Diritti fondamentali. Un'introduzione, Torino, 2006, 121), viene a costituire il riconoscimento al singolo di una posizione attiva, giuridicamente tutelata, nell'erogazione delle prestazioni pubbliche Ed è proprio in questa dimensione che, con riguardo al significato dei diritti sociali nella Costituzione italiana, si deve riconoscere oltre all’ampiezza e alla sistematicità degli stessi, che ad essi la Carta Repubblicana assegna la garanzia «propria dei diritti costituzionali (spesso, anzi, dei diritti inviolabili)» (Baldassare, A., Diritti sociali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989).
Da ultimo bisogna citare la l. 15 marzo 2017, n. 33 (Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali), che ha conferito al governo («al fine di contribuire a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l'eguaglianza dei cittadini e il pieno sviluppo della persona, di contrastare la povertà e l'esclusione sociale e di ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali per renderlo più adeguato rispetto ai bisogni emergenti e più equo e omogeneo nell'accesso alle prestazioni, in attuazione dell'art. 3 Cost. e nel rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea») delega ad adottare uno o più decreti legislativi di riordino delle prestazioni finalizzate al contrasto della povertà e al rafforzamento degli interventi in materia di servizi sociali (al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni nell'ambito dei principi di cui alla l. n. 328 del 2000) e di disciplina di una “misura nazionale” (misura da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale e denominata “reddito di inclusione”) di contrasto della povertà (come «impossibilità di disporre ... dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso»). Tale misura, unica a livello nazionale e garantita uniformemente in tutto il territorio nazionale, sarà articolata in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona e condizionata (oltre che all'effettivo reddito disponibile) all'adesione dell'interessato ad un «progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa» e finalizzato appunto all'affrancamento dalla condizione di povertà. Il progetto deve essere predisposto da parte di una équipe multidisciplinare (costituita dagli ambiti territoriali ex art. 8, co. 3, l. n. 328 del 2000, in collaborazione con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l'impiego, la formazione, le politiche abitative, la tutela della salute e l'istruzione) e con la piena partecipazione dei beneficiari. Purtroppo la l. n. 33 del 2017 non assegna nuove risorse alla lotta contro la povertà giacché all'attuazione del “reddito di inclusione” si provvede «nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà» (previsto dall'art. 1, co. 386, legge 28 dicembre 2015, n. 208 e si precisa che dall'attuazione delle ulteriori parti della legge «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»).
Attualmente nell'ordinamento italiano l'attuazione dei diritti sociali avviene (oltre che a livello statale) a livello regionale (in ragione di quanto disposto dall’art. 117 Cost. che, al co. 2, lett. m), riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», mentre al successivo co. 3 che pone fra le materie di potestà legislativa ripartita, la tutela e la sicurezza del lavoro, l’istruzione, la tutela della salute, la previdenza complementare e integrativa) e a livello internazionale (ricomprendendo le dimensioni dell'Unione europea, del Consiglio d'Europa e dell'O.N.U.). E così l’art. 22 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo («Diritti economici, sociali e culturali»), proclama i diritti al lavoro, al giusto salario, all’organizzazione sindacale, al riposo, allo svago, alla limitazione delle ore di lavoro, alle ferie periodiche remunerate; il diritto alla sicurezza e all’assistenza sociale; il diritto delle madri e dei fanciulli a una speciale protezione, nonché il diritto all’istruzione.
Nell'ambito del Consiglio d'Europa vige la Carta sociale europea (firmata nel 1961, riveduta nel 1996 ed entrata in vigore nel 1999) che prevede anche il controllo, sul rispetto dei relativi contenuti, da parte del Comitato europeo per i diritti sociali, mentre con riguardo all'ordinamento europeo, se bisogna ricordare la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali (proclamata nel 1989 e che, pur non possedendo valore giuridico – e richiamata oggi dall’art. 151, TFUE – ha rappresentato un punto di riferimento per le direttive in tema di protezione dei lavoratori), è nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (approvata a Nizza nel 2000 e alla quale il Trattato di Lisbona conferisce lo «stesso valore giuridico dei trattati», art. 6, TUE) che si rinviene il Titolo IV («Solidarietà») che pone diverse norme di tutela del lavoratore: il diritto dei lavoratori all’informazione alla consultazione (art. 27); il diritto di negoziazione e di azioni collettive (art. 28); la tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30); il diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque (31), il divieto di lavoro minorile e la protezione dei giovani sul luogo di lavoro (art. 32); la protezione della famiglia; la tutela contro il licenziamento per motivo di maternità e il diritto al congedo retribuito di maternità e parentale (art. 33); il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, ai servizi sociali e all’assistenza abitativa (art. 34); la protezione della salute (art. 35); l’accesso ai servizi d’interesse economico generale (art. 36); la tutela dell’ambiente (art. 37); la protezione dei consumatori (art. 38). Vanno ricordati inoltre (Titolo III, «Uguaglianza») i diritti: del minore (art. 24); degli anziani (art. 25); il diritto all’inserimento delle persone con disabilità (art. 26), nonché (Titolo II, «Libertà») quelli all’educazione (art. 14), alla libertà professionale e al diritto di lavorare (art. 15).
Inoltre l’art. 3, par.3, TUE prevede il fine della piena occupazione e di uno sviluppo sostenibile basato (oltre che su una crescita economica equilibrata) su un’economia sociale di mercato («fortemente competitiva»), nonché la lotta contro l’esclusione sociale, le discriminazioni e la promozione della giustizia e della protezione sociale. E se la giurisprudenza della Corte di giustizia ha come “bussola di orientamento” il principio di concorrenza (e dunque si muove nell'ottica della difesa del corretto funzionamento del mercato comune e di evitare pratiche discriminatorie), sicché la tutela dei diritti (v. sentenze Laval e Viking) tende a porsi in secondo piano, al tempo stesso può riconoscersi una lenta crescita della tutela dei diritti sociali. A questo proposito sono già stati evidenziati gli effetti conseguenti alla “infiltrazione” del diritto europeo della concorrenza nei sistemi nazionali di droit social (Giubboni, S., Diritti sociali e mercato, Bologna, 2003). La netta prevalenza assegnata, nell’ordinamento europeo, alle esigenze del “mercato” non esclude il riconoscimento dell’esistenza di un nucleo di valori e di diritti sociali, anche se dalle linee di fondo dell’agenda sociale europea continuano ad emergere indicazioni contraddittorie in quanto contenenti a volte obiettivi politici neo-liberisti, altre volte strategie neo-corporativiste ed altre volte ancora di tutela di esigenze sociali.
Negli ultimi decenni, muovendo dalla (elaborazione della) nozione di “costituzione economica” ed attraverso lo studio delle disposizioni costituzionali relative agli assetti economici, si sono registrate tesi che, mettendo l’accento sul carattere “privato” dell’economia, hanno affermato l’esigenza di un minore intervento dello Stato nell’economia e nella vita sociale. La Weltanschaung sottostante tale impostazione è abbastanza evidente, ma essa (che negli ultimi anni ha dimostrato drammaticamente i propri limiti) ha goduto anche degli effetti degli sviluppi dell’ordinamento europeo fondato su una ritrazione del potere pubblico dall’ambito economico (in ragione della garanzia della libertà di concorrenza). E proprio il profilo europeo evidenzia in questi anni in modo particolare la connessione della tutela dei diritti sociali con l’intervento pubblico nell’economia. A questo proposito emerge chiaramente la consapevolezza della necessità di una regolazione (o regolamentazione) del “mercato” sia per esigenze di corretto funzionamento dello stesso, sia per non trascurare esigenze connesse alla affermazione di una effettiva libertà del singolo e al riconoscimento della dignità di ogni essere umano. La dialettica fra gli interessi sottesi alle ricostruzioni dottrinali più orientate al libero mercato e le esigenze ed i valori riflessi nelle proclamazioni dei diritti sociali determina molteplici momenti di frizione ed è presumibile immaginare che tale dialettica produrrà «un lungo itinerario di sviluppo» (Zagrebelsky, G., Il diritto mite, Torino, 1991) destinato a far risaltare il ruolo del potere giudiziario.
E, di fronte ai problemi del costo dei diritti sociali anche nella attuale fase di crisi economica, va ricordato che già nel 1926, in contrapposizione al dogma liberista che chiedeva tagli alle spese pubbliche, John Maynard Keynes dimostrò che le cicliche crisi economiche andavano affrontate non con un taglio alle spese sociali ma piuttosto con un deciso intervento dello Stato nell’economia e con interventi pubblici volti a favorire un incremento della domanda di beni di consumo e una redistribuzione più equa delle risorse. Le soluzioni da adottare vanno dunque ricercate non in semplicistici “tagli alla spesa”, bensì nella elaborazione di nuovi modelli di welfare che tengano conto delle nuove frontiere delle conquiste scientifiche (che ad esempio in materia sanitaria faccia leva sulla prevenzione) nonché del coinvolgimento di più livelli territoriali di governo e dei privati purché ciò non rappresenti una mera operazione di disimpegno da parte del potere pubblico.
La storia insegna infatti che i problemi di ordine sociale, se non affrontati adeguatamente, finiscono sempre per conquistarsi la ribalta dell’agenda politica. Pertanto anche le tesi che (oramai da qualche decennio) propongono forme di riduzione dell’assistenza pubblica dimostrano di ignorare la forte stabilità oramai raggiunta dai diritti sociali e il significato degli stessi nelle moderne democrazie pluralistiche. La storia e l’analisi comparata dimostrano che negli ordinamenti nei quali più basso è il livello di protezione dei diritti sociali cresce il tasso di irresponsabilità sia individuale che collettiva: i diritti sociali non solo non deresponsabilizzano gli individui ma piuttosto aprono ad una «cultura dei diritti» che è anche una «cultura della responsabilità e quindi del dovere» (Holmes, S.-Sunstein, C.R., Il costo dei diritti, Bologna, 2000, 166). I diritti, ed in particolare i diritti sociali, svolgono infatti la funzione di strumenti di una strategia di inclusione all’interno di un assetto costituzionale pluralistico e di una società aperta e comunicativa (Ridola, P., cit.).
L’elemento peculiare dei diritti sociali e che fornisce a questi il fondamento di valore è il rapporto di reciproca connessione che intercorre, nell'attuazione degli stessi, fra la tutela della dignità umana e la piena realizzazione del principio democratico. È la progressiva affermazione del principio democratico e del suo fondamento di valore (la pari dignità di ciascun uomo) a condurre a ritenere necessario il riconoscimento a ciascun individuo del diritto a godere di un minimum di tutela (assistenziale, sanitaria, di istruzione, ecc.) che, qualora assente, lede la dignità del soggetto e impedisce a questi di esprimere appieno la propria personalità, rivelandosi così di ostacolo alla partecipazione del singolo alla vita politica e dunque alla piena affermazione del principio democratico (Politi, F., Diritti sociali, in Nania, R. - Ridola, P. (a cura di), Diritti costituzionali, II, Torino, 2005, 223 ss.; Id., Diritti sociali e dignità umana nella Costituzione repubblicana, Torino, 2011). L’affermazione dei diritti sociali, consentendo all’individuo di affrancarsi dal bisogno, rende effettivo il godimento delle libertà e, dunque, permette la piena e libera formazione della personalità e quindi di un cittadino consapevole e partecipe della vita democratica.
In Assemblea Costituente, in occasione dell’approvazione dell’art. 2 Cost., fu in particolare l’intervento di Aldo Moro a definire tale disposizione un «sicuro criterio di orientamento per una lotta che non è finita adesso e che non può finire, lotta per la libertà e per la giustizia sociale». Nell’intervento di Moro traspare la connessione esistente tra dignità umana e diritti sociali al fine di garantire e rendere effettiva una democrazia pluralistica. Ed è una peculiarità della Costituzione italiana (e che la differenzia da quella di altri paesi) la scelta di avere posto a base dell’ordinamento «l’idea di persona nella sua semplice dimensione di essere individuale e di essere sociale» (Baldassarre, A., Diritti sociali, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 10). I diritti sociali vengono a rivestire il ruolo di «componente essenziale dei valori fondamentali della democrazia» (Baldassarre, A., op. cit., 7) e costituiscono una componente decisiva della «trama costituzionale intessuta di pluralismo politico e sociale» (Baldassarre, A., op. cit., 8).
Nella Costituzione repubblicana i diritti sociali tutelano ogni individuo, allo scopo di assicurare una vita “dignitosa” e la piena partecipazione alla vita (sociale ed economica e dunque) politica del Paese. È la progressiva affermazione del principio democratico, e dunque l’esigenza di una tutela completa del singolo, a riempire le forme dello Stato di diritto di contenuti sostanziali legati al valore della persona umana e alla tutela della dignità umana e dunque al principio sostanziale della stessa democrazia. La previsione dei diritti sociali nelle costituzioni del secondo dopoguerra discende dall’affermazione del principio democratico il quale, da un lato, trova nel riconoscimento e nel rispetto della dignità umana la propria premessa e il proprio fondamento di valore, ma, dall’altro lato, assegna ai diritti sociali una (ulteriore) funzione teleologica giacché impone all’intero ordinamento giuridico di porre in essere scelte che, consentendo la effettiva partecipazione di tutti alla vita politica, economica e sociale del Paese, adempiono al rispetto della dignità umana. Naturalmente la “libertà dal bisogno” non esaurisce le esigenze di tutela della dignità umana, giacché il principio solidaristico deve fondersi con il fondamento pluralistico e con il principio del riconoscimento dell’altro, entrambi ricompresi nel principio della dignità dell’uomo (Esposito, C., La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, in Riv. it. sc. giur., 1957-1958, 49 ss., ora in Id., Diritto costituzionale vivente, Milano, 1992, 167; v. anche Id., La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 61).
I diritti sociali rivestono dunque il duplice ruolo di strumento sia di attuazione che di possibile ulteriore perfezionamento del principio democratico, in quanto consentono l’effettiva partecipazione di ciascun individuo alla vita politica ed economica del Paese, tutelando in tal modo il substrato di valore della democrazia stessa rappresentato dalla pari dignità di ciascun uomo (Häberle, P., Stato costituzionale, cit.).
Artt. 2-4, 29-38 Cost.; art. 6 del Trattato dell’Unione Europea; artt. 14, 15, artt. 24-38 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; L. 8.11.2000, n. 328; d.lgs. 11.4.2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246); art. 1, co. 386, l. 28.12.2015, n. 208 (Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale; Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale); art. 81, co. 32, d.l. 25.6.2008, n. 112, conv., con modificazioni, nella l. 6.8.2008, n. 133(carta acquisti); L. 15.3.2017, n. 33 (Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali).
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