Abstract
Viene esaminato il sistema di protezione internazionale dei diritti umani a livello universale ed a livello regionale, sia nell’ottica delle norme sostanziali che in quella dei meccanismi di garanzia (istituzioni e procedure). Particolare attenzione è dedicata anche alla ricostruzione delle norme di diritto internazionale generale che si sono già affermate o si stanno sviluppando in questa materia.
Il sistema di tutela internazionale dei diritti umani si è sviluppato, dopo il 1945, sia nel quadro delle Nazioni Unite (NU), sia nell’ambito di alcuni sistemi giuridici di carattere regionale. Esso si è realizzato attraverso norme e meccanismi di garanzia. Le norme più significative sono costituite da una serie numerosa di trattati. Ma anche i meccanismi di garanzia hanno acquistato via via crescente importanza. Infine non si deve trascurare lo sviluppo progressivo e l’affermazione di alcune norme di diritto internazionale generale.
Conviene esaminare questo percorso di evoluzione normativa e istituzionale prima a livello universale e poi a livello regionale. Quindi faremo alcune osservazioni sulle norme del diritto internazionale generale. Non vi è spazio invece per esaminare il ruolo della soft law, che pure ha svolto una funzione non trascurabile nel suddetto percorso.
2. Norme e meccanismi di garanzia nel sistema delle Nazioni Unite
2.1 Carta delle Nazioni Unite
Alla Conferenza di San Francisco del 1945 emerse un consenso sulla inclusione di disposizioni sui diritti umani nella Carta delle NU, anche se durante la conferenza si confrontarono su tale punto posizioni diverse, sostenute da gruppi di Stati diversi, che resero necessario raggiungere un compromesso (Cassese, A., Diritto internazionale, II, Bologna, 2004, 87 s.).
Nella Carta il rispetto dei diritti umani figura nel preambolo e nell’art. 1.3, fra i fini generali delle NU. L’art. 55, lett. c), contiene una norma di natura programmatica, che impegna le NU a promuovere il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani senza discriminazioni. L’art. 56 stabilisce che gli Stati si impegnano ad agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l’organizzazione, per raggiungere i fini dell’art. 55. Tuttavia tale disposizione non impone a ciascuno Stato un obbligo specifico, immediato e precettivo, di agire individualmente per garantire i diritti umani. Gli artt. 13, 62, 68 e 76 conferiscono all’Assemblea generale (AG) ed al Consiglio economico e sociale (ECOSOC) la competenza ad occuparsi di questioni relative ai diritti umani. Infine la Carta proclama il diritto dei popoli all’autodeterminazione, ma solo come principio programmatico per l’organizzazione (artt. 1.2 e 55).
Pertanto, nella Carta le disposizioni sui diritti umani sono poche e generiche ed i poteri degli organi delle NU sono soggetti al limite generale del dominio riservato (art. 2.7), che poteva essere interpretato in modo da restringere molto tali poteri. Tuttavia, prima l’AG e l’ECOSOC e poi anche altri organi principali delle NU hanno intrapreso, con l’aiuto di una serie di organi sussidiari, una serie di azioni tese alla tutela dei diritti umani. Occorreva, in primo luogo, un’azione di natura normativa, per precisare il contenuto dei diritti umani e per passare dagli obblighi generici e programmatici della Carta verso una serie di obblighi più precisi e vincolanti. In secondo luogo, occorreva un’azione di natura istituzionale, per creare anche dei meccanismi di controllo sui comportamenti degli Stati.
L’azione delle NU in un primo tempo si è limitata prevalentemente a predisporre progetti di trattati e raccomandazioni generiche, ma è in seguito divenuta più coraggiosa, chiamando gli Stati a rispondere della propria condotta, quantomeno nei casi di gravi violazioni dei diritti umani. In tal modo hanno acquistato maggior valore normativo anche le norme della Carta sui diritti umani, e specie l’art. 55.
2.2 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
La Dichiarazione universale del 1948 nasce dall’idea di approvare un documento internazionale sui diritti dell’uomo che, non essendo un trattato con obblighi dettagliati e vincolanti, potesse essere accettato più facilmente da parte di tutti gli Stati membri delle NU, ispirati da tradizioni giuridiche e concezioni politiche e ideologiche assai diverse. Era quindi necessario trovare un accordo capace di unificare le suddette differenze. Il tentativo ebbe successo, anche se la Dichiarazione fu approvata con l’astensione di alcuni Stati.
Dal punto di vista del contenuto, la Dichiarazione è costituita da un preambolo e da 30 articoli. Nel preambolo si indicano gli scopi e ideali della Dichiarazione; quindi negli artt. 1 e 2 si stabiliscono i concetti di libertà, uguaglianza e fratellanza ed il principio di non discriminazione nel godimento dei diritti riconosciuti; negli artt. da 3 a 5 si affermano i diritti essenziali della persona (diritto alla vita, alla libertà e sicurezza, divieto di schiavitù e di tortura); negli artt. da 6 a 21 i classici diritti civili e politici di matrice liberale; negli artt. da 22 a 27 alcuni diritti economici, sociali e culturali; infine negli artt. da 28 a 30 le modalità di godimento ed i limiti dei diritti elencati. In realtà, prevale nel complesso la concezione occidentale dei diritti umani, con maggiore spazio dato ai diritti civili e politici e minore importanza per i diritti economici, sociali e culturali. Non viene incluso il diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Dal punto di vista della sua natura giuridica, la Dichiarazione, adottata con una risoluzione dell’AG, è un atto non vincolante. Tuttavia, con il passare del tempo, alcuni autori hanno sostenuto che essa, essendo strettamente legata alla Carta delle NU, ha in un certo senso concretizzato l’impegno da parte degli Stati membri di promuovere il rispetto dei diritti umani (art. 56 della Carta) e che quindi una violazione dei diritti elencati nella Dichiarazione costituisce una violazione della Carta. Altri hanno sostenuto la tesi che la Carta e la Dichiarazione, insieme a successive risoluzioni e dichiarazioni delle NU ed alla prassi degli Stati, hanno finito per incorporare i diritti elencati nella Dichiarazione nel diritto internazionale consuetudinario. A nostro avviso, queste due tesi non sono convincenti. Tuttavia si deve ammettere che alcuni dei diritti proclamati nella Dichiarazione sono con il tempo entrati a far parte del diritto internazionale generale. Inoltre si deve riconoscere che la Dichiarazione, pur con i suoi limiti, rimane uno strumento fondamentale, che ha formulato un insieme universalmente riconosciuto di valori per la comunità internazionale ed ha dato un impulso assai importante al processo di formazione progressiva del diritto internazionale dei diritti umani.
2.3 Evoluzione nel tempo dell’azione delle Nazioni Unite: le varie concezioni e generazioni di diritti umani
L’azione delle NU in materia di diritti umani si è evoluta progressivamente, con riferimento sia alle norme che ai meccanismi di garanzia. Questa evoluzione è dovuta alle maggioranze politiche (che sono cambiate nel tempo) dei gruppi di Stati che hanno sostenuto, specie nell’AG, tale azione. In proposito si suole distinguere fra quattro fasi storiche diverse e quattro c.d. “generazioni” di diritti umani (Cassese, A., Diritto, cit., 88-93).
Nella prima fase, che va dall’adozione della Carta fino alla fine degli anni ’50, si assiste al predominio degli Stati occidentali ed alla loro concezione dei diritti umani, che tende a privilegiare i diritti civili e politici, che non è favorevole al principio di autodeterminazione dei popoli, che favorisce la predisposizione di trattati sui diritti umani con norme precise e dettagliate e l’adozione di meccanismi internazionali di controllo per verificare il rispetto delle norme. Si parla, in questo senso, di una prima generazione di diritti umani.
La seconda fase, che va dalla fine degli anni ’50 fino a circa la metà degli anni ’70, è caratterizzata dalla maggiore importanza assunta dal gruppo degli Stati socialisti, che esercitano anche un’influenza su molti Stati in via di sviluppo. Questo gruppo introduce nelle NU una concezione socialista dei diritti umani, che tende a favorire i diritti economici e sociali, che dà molta importanza al principio di autodeterminazione dei popoli, che non favorisce la predisposizione di trattati con norme precise né l’adozione di meccanismi di garanzia internazionali. Si parla, in proposito, di una seconda generazione di diritti umani.
La terza fase storica, che va dalla metà degli anni ’70 fino all’inizio degli anni ’90, vede consolidarsi la concezione dei diritti umani dei Paesi in via di sviluppo (PVS). Essi tendono a rafforzare, per motivi politici, economici e culturali, l’autorità dello Stato o di leader dotati di poteri assoluti, e non conoscono la contrapposizione, di matrice occidentale, fra libertà individuale e potere dello Stato. La loro concezione dei diritti umani tende a privilegiare i diritti economici e sociali; pone in primo piano l’esigenza di modificare radicalmente il sistema economico internazionale come priorità rispetto alla tutela dei diritti umani; è interessata a combattere politiche di discriminazione razziale e di apartheid; e preferisce promuovere la tutela dei diritti umani con strumenti di soft law. La concezione dei diritti umani dei PVS apporta anche novità significative, favorendo la creazione di nuovi diritti di natura collettiva (i c.d. diritti umani di terza generazione), quali il diritto allo sviluppo, ad un ambiente sano, alla pace, alle risorse naturali. Ma questi diritti hanno un carattere piuttosto generico e sono difficilmente inquadrabili in diritti vincolanti e giustiziabili.
Infine, negli ultimi venti anni, si può parlare di una quarta generazione di diritti umani, che vede emergere alcuni diritti legati alle innovazioni scientifiche e tecnologiche (nel campo delle biotecnologie, della genetica e dell’informatica) ed alcuni nuovi diritti collettivi, quali il diritto alla democrazia, ad un buon governo, alla sicurezza umana, ed i diritti dei popoli indigeni. Ma alcuni di questi diritti costituiscono obiettivi politici non vincolanti, più che diritti veri e propri. In questo periodo si assiste anche ad una sorta di “riconciliazione” fra le precedenti concezioni dei diritti umani, poiché le NU, con alcune importanti risoluzioni, hanno più volte affermato solennemente che tutti i diritti umani sono universali, indivisibili, interdipendenti e strettamente legati fra loro, su una base di uguaglianza e con la medesima importanza. Inoltre si è ormai consolidato un nucleo essenziale di diritti umani fondamentali, che sono riconosciuti da tutti gli Stati e che fanno ormai parte del diritto internazionale generale (v. infra, § 4).
2.4 Trattati promossi dalle Nazioni Unite
Come si è già detto, un primo tipo di azione delle NU necessaria per lo sviluppo di un sistema universale di tutela dei diritti umani richiedeva di tradurre i principi generali della Dichiarazione universale in norme internazionali giuridicamente vincolanti. Questa azione, di carattere normativo, è stata perseguita in due modi diversi. Da una parte, occorreva predisporre trattati a vocazione universale di contenuto generale, cioè tendenzialmente comprensivi di tutti i diritti umani. Dall’altra parte, era opportuno redigere altri trattati, sempre a vocazione universale, ma di carattere settoriale, cioè adottati per la tutela di diritti specifici o per la protezione di certe categorie di persone particolarmente deboli.
2.5 Trattati universali a carattere generale: i Patti delle Nazioni Unite del 1966
Il primo obiettivo è stato in gran parte raggiunto, dopo lunghi negoziati, con l’adozione dei due Patti internazionali sui diritti umani, approvati dall’AG nel 1966 ed entrati in vigore nel 1976. Essi intendono, in sostanza, specificare e tradurre in norme vincolanti i principi della Dichiarazione universale.
Come è noto, l’idea iniziale di predisporre un unico trattato, che si occupasse sia dei diritti di prima generazione che di quelli di seconda generazione, fu presto abbandonata e si scelse di negoziare due trattati separati, poiché all’epoca prevalse l’idea che vi fosse una netta distinzione fra i due gruppi di diritti: mentre i diritti civili e politici richiedevano agli Stati obblighi negativi di astensione dall’interferire nelle libertà e diritti individuali e quindi erano anche self-executing e giustiziabili dinanzi ai giudici interni; al contrario i diritti economici, sociali e culturali richiedevano agli Stati obblighi positivi, e spesso addirittura un’azione graduale di attuazione, e quindi non erano self-executing e giustiziabili. Di conseguenza, si riteneva che anche i meccanismi di controllo internazionali dovessero essere diversi. Pertanto furono predisposti e poi approvati due trattati separati: il Patto sui diritti civili e politici ed il Patto sui diritti economici, sociali e culturali. I due Patti hanno ad oggi raggiunto un numero di ratifiche assai elevato e pertanto costituiscono un notevole successo da parte delle NU.
Non è qui possibile entrare in dettaglio nel contenuto dei due Patti. In sintesi si può ricordare che il Patto sui diritti civili e politici stabilisce che gli Stati parti si impegnano a garantire tutti i diritti enunciati nel Patto (art. 3). Tali diritti comprendono l’autodeterminazione dei popoli, il divieto di discriminazione, i diritti essenziali della persona. Quindi segue un ampio e dettagliato catalogo di diritti civili e politici. Tuttavia alcuni diritti possono essere limitati in situazioni di emergenza, ma sulla base di procedure ben definite. Infine, la parte IV del Patto stabilisce una procedura di controllo sul rispetto del medesimo (v. infra, § 2.9).
Il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, invece, con una formulazione assai diversa, stabilisce che ciascuno Stato parte si impegna ad operare, con il massimo delle risorse di cui dispone, al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel Patto (art. 2.1). Tali diritti comprendono di nuovo il diritto di autodeterminazione dei popoli e quindi una serie ampia e dettagliata di diritti socio-economici e culturali. Nella parte IV del Patto, si prevede una procedura di controllo sulle misure di attuazione del medesimo.
2.6 Trattati universali a carattere settoriale
Il secondo obiettivo delle NU era quello di predisporre una serie di trattati di carattere settoriale, per la tutela di diritti specifici o per la protezione di certe categorie di persone. Questo obiettivo è stato raggiunto solo parzialmente ed è stato condizionato dalle priorità che sono state via via privilegiate dai vari gruppi di Stati che esercitavano un predominio nel seno dell’AG. I trattati principali che appartengono a questa categoria sono i seguenti: la Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio del 1948; la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 ed il Protocollo di New York del 1967; la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965; la Convenzione sulla soppressione e la punizione del crimine di apartheid del 1973; la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna del 1979; la Convenzione contro la tortura ed altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti del 1984; la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989; la Convenzione sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 1990; la Convenzione relativa ai diritti delle persone con disabilità del 2006; e la Convenzione per la protezione di tutte le persone da sparizioni forzate del 2006.
Infine, fra i trattati universali a vocazione universale, non promossi dalle NU ma nel quadro di Istituti Specializzati, si devono segnalare la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali del 1989 e la Convenzione UNESCO sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005.
2.7 Meccanismi di garanzia
Abbiamo visto che con il tempo sono stati adottati molti trattati sui diritti umani, che impongono veri e propri obblighi per gli Stati parti. Tuttavia il rispetto effettivo dei diritti umani richiede anche meccanismi di garanzia, sia internazionali che nazionali. Esamineremo adesso i principali meccanismi internazionali di garanzia a livello universale, i quali sono numerosi ma poco incisivi, per l’ostilità di molti Stati a sottoporsi a controlli internazionali davvero efficaci.
2.8 Organi principali delle Nazioni Unite e loro attività in materia di diritti umani
Tutti gli organi principali delle NU possono occuparsi di questioni relative ai diritti umani; ma alcuni organi sussidiari hanno una competenza più specifica e gestiscono procedure di controllo ad hoc.
L’AG può tenere discussioni pubbliche su questioni generali che concernono certi diritti umani, ma anche su situazioni critiche di rispetto dei diritti umani in uno Stato specifico. Essa può adottare risoluzioni o dichiarazioni di principi, e può anche formulare appelli per sollecitare lo Stato interessato a cessare le violazioni dei diritti umani ad esso contestate. Infine l’AG può negoziare direttamente ed approvare trattati in materia di diritti umani, che dovranno poi essere ratificati dagli Stati.
L’ECOSOC ha competenze specifiche in materia di diritti umani ex art. 68 della Carta ed ha in passato predisposto vari strumenti normativi sui diritti umani; ma attualmente si occupa più di coordinare le iniziative di altri organismi, con particolare riguardo ai diritti economici e sociali.
Il Segretario generale ha una competenza indiretta, poiché, nell’organizzare le operazioni di peace-keeping o peace enforcing o di ricostruzione di Stati dopo conflitti armati, deve accertarsi che tali operazioni avvengano nel rispetto dei diritti umani.
Il Consiglio di sicurezza, nel quadro della propria competenza in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, ha avuto modo di intervenire in situazioni di violazioni gravi di diritti umani, che costituivano una minaccia per la pace, sia con misure non implicanti l’uso della forza ex art. 41 della Carta sia autorizzando Stati o gruppi di Stati ad interventi armati.
Infine, anche la Corte internazionale di giustizia ha emesso alcune sentenze ed alcuni pareri importanti in materia di diritti umani.
2.9 Organi delle Nazioni Unite specializzati nei diritti umani e loro procedure di controllo
Esaminiamo adesso gli organi delle NU che sono specializzati in materia di diritti umani e le procedure di controllo che tali organi gestiscono. In proposito è importante distinguere fra due categorie: a) gli organi e le procedure che sono stati stabiliti da risoluzioni degli organi competenti delle NU (charter-based bodies or procedures); b) gli organi e le procedure che sono stati istituiti per mezzo di trattati (treaty-based bodies or procedures).
Le procedure della prima categoria si fondano soprattutto sulle attività dell’Alto commissario per i diritti umani delle NU e del Consiglio dei diritti umani. Si possono ricordare anche la Commissione sullo status delle donne e la Commissione sulla prevenzione dei crimini e sulla giustizia criminale.
L’Alto commissario per i diritti umani, creato nel 1993, ha la funzione di promuovere il rispetto dei diritti umani e può fare raccomandazioni, prestare assistenza tecnica e cooperazione. È intervenuto varie volte personalmente quando si trattava di attirare l’attenzione su casi di gravi violazioni dei diritti umani. È a capo dell’ufficio dell’Alto commissariato, che svolge una funzione di assistenza, coordinamento e supporto logistico e operativo per il Consiglio dei diritti umani e per i vari treaty-based bodies.
Ma attualmente il più importante fra i charter-based bodies è il Consiglio dei diritti umani, che è stato istituito nel 2006 con la risoluzione 251/60 dell’AG, come organo sussidiario di quest’ultima, e che ha sostituito la precedente Commissione per i diritti umani. Essa era un organo di Stati, che aveva importanti funzioni nel campo della predisposizione di norme ed il compito di controllare il rispetto dei diritti umani da parte degli Stati membri, tramite due procedure di controllo su casi di violazioni gravi e ripetute dei diritti umani (v. le risoluzioni 1235 (XLII) e 1503 (XLVIII) dell’ECOSOC) ed anche un sistema di procedure speciali per territorio (c.d. country procedures) e per aree tematiche (c.d. thematic procedures).
Il Consiglio dei diritti umani è stato creato per rafforzare il sistema di controllo delle NU in materia di diritti umani e per sostituire la Commissione, che era stata accusata di essere poco efficiente e “politicizzata”. Esso è un organo composto da 47 Stati, eletti dall’AG, con una ripartizione fra i cinque gruppi regionali del sistema ONU. Il mandato degli Stati è triennale e non immediatamente rinnovabile. In realtà il Consiglio ha ereditato le funzioni principali della vecchia Commissione; ma con qualche significativa novità. In primo luogo ha uno status più elevato, poiché è un organo sussidiario dell’AG e non dell’ECOSOC. In secondo luogo, la procedura elettiva dei suoi membri e la sua composizione hanno subito alcuni cambiamenti. In terzo luogo, l’AG ha il potere di sospendere uno Stato membro del Consiglio che abbia commesso gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Infine il Consiglio si riunisce molto più frequentemente rispetto alla precedente Commissione e può convocarsi anche in sessioni speciali per trattare problemi urgenti in tema di diritti umani.
Ma la novità più significativa del Consiglio riguarda l’istituzione di una nuova procedura di controllo (la c.d. Universal Periodic Review) , che ha lo scopo di verificare periodicamente che tutti gli Stati membri delle NU rispettino i diritti umani. In sintesi, questo meccanismo prevede che ogni Stato debba presentare un rapporto sulla situazione dei diritti umani nel proprio ordinamento interno. Su tale rapporto possono pervenire i commenti di tutti gli Stati membri, che formano un elenco di osservazioni e di raccomandazioni alle quali lo Stato sotto controllo deve rispondere. Il Consiglio poi esamina e discute i rapporti relativi agli Stati sotto controllo e presenta osservazioni sulla situazione dei diritti umani in tali Stati. Un primo ciclo di rapporti si è già concluso. Questo nuovo meccanismo ha introdotto delle novità importanti, ma ha il difetto strutturale, essendo sostanzialmente gestito dagli Stati e non da organi indipendenti, di non prevedere sanzioni efficaci per le violazioni dei diritti umani. In sostanza esso costituisce un meccanismo di pressione e sollecitazione politico-diplomatica nei confronti degli Stati, più che un meccanismo giuridico.
Si deve aggiungere che il Consiglio dei diritti umani ha mantenuto la maggior parte delle funzioni e delle procedure che venivano esercitate dalla Commissione per i diritti umani, anche se rivedute ed aggiornate. In particolare, esso ha mantenuto le country procedures, le thematic procedures ed anche la c.d. complaint procedure, istituita con la risoluzione 1503 (XLVIII) dell’ECOSOC.
Passiamo adesso ad esaminare la seconda categoria di meccanismi di garanzia sopra indicata, costituita dai treaty-based bodies or procedures. Esistono attualmente dieci comitati, composti di esperti indipendenti, ciascuno dei quali ha il compito di controllare il rispetto da parte degli Stati contraenti dei diritti garantiti da ciascuno dei nove principali trattati sui diritti umani predisposti dalle NU (v. supra, §§ 2.5 e 2.6). I due comitati con compiti più generali sono il Comitato dei diritti umani (CCPR), che controlla il rispetto del Patto sui diritti civili e politici, ed il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR), che controlla il rispetto del Patto relativo a tali diritti. Gli altri organismi sono il Comitato sulla eliminazione della discriminazione razziale (CERD), il Comitato sulla eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW), il Comitato contro la tortura (CAT) ed il Sottocomitato sulla prevenzione della tortura (SPT), il Comitato sui diritti del fanciullo (CRC), il Comitato sui lavoratori migranti (CMW), il Comitato sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) ed il Comitato sulle sparizioni forzate (CED).
Questi comitati esercitano le proprie funzioni con tre procedure tipiche. La prima è l’esame dei rapporti periodici trasmessi dagli Stati contraenti. Il rapporto viene discusso con i rappresentanti dello Stato in questione e al termine il Comitato predispone a sua volta un documento, che contiene delle “osservazioni conclusive”, nelle quali si indicano gli sviluppi positivi, i punti critici e si emettono raccomandazioni nei confronti dello Stato sottoposto ad esame.
La seconda procedura si realizza tramite l’esame di presunte violazioni dei diritti contenuti nella pertinente convenzione da parte di uno Stato contraente su richiesta di un altro Stato contraente. Ma finora questa procedura è rimasta in pratica inoperante.
La terza procedura (che è applicabile solo in alcuni comitati e nei confronti degli Stati che l’abbiano accettata) è quella più interessante e più efficace. Essa consiste nell’esame di presunte violazioni di diritti da parte di uno Stato contraente su istanza di individui o gruppi di individui che dichiarino di aver subito una violazione. Questa procedura ha prodotto una prassi importante di alcuni comitati, che ha finito per attribuire ad essi una funzione quasi-giurisdizionale. Infatti, il comitato esamina il caso concreto, decide se vi è stata o meno una violazione del trattato rilevante e, in caso affermativo, raccomanda misure di riparazione, che quasi sempre vengono eseguite da parte degli Stati. Pertanto la procedura non si conclude con una vera e propria sentenza di condanna, ma con dei pareri (views) o osservazioni o costatazioni, che sono motivate e che sono molto simili, anche nella forma, a vere e proprie sentenze.
Infine, questi comitati hanno sviluppato una quarta funzione, che consiste nella prassi di predisporre dei commenti generali, per fornire agli Stati contraenti dei vari trattati un’interpretazione autorevole sul significato delle loro disposizioni.
2.10 Altri meccanismi di garanzia a livello universale
In aggiunta ai meccanismi di garanzia sopra indicati, che funzionano nel quadro delle NU, vi sono altre organizzazioni internazionali, legate al sistema delle NU, che hanno competenze in materia di diritti umani e hanno sviluppato procedure di controllo sul rispetto dei medesimi. Ad esempio, l’OIL ha istituito varie procedure di controllo e comitati di esperti per monitorare il rispetto dei più importanti principi e standard in materia di lavoro contenuti nelle numerose convenzioni e raccomandazioni adottate dall’Organizzazione. L’UNESCO ha stabilito un Comitato, che esamina reclami da parte di individui che si lamentano di violazioni. Tuttavia la procedura privilegia una soluzione conciliativa della controversia ed ha carattere confidenziale.
3. Norme e meccanismi di garanzia nei sistemi regionali
3.1 Consiglio d’Europa e Convenzione europea dei diritti dell’uomo
Le norme ed i meccanismi di garanzia sul rispetto dei diritti umani che esistono a livello regionale sono talora più avanzati rispetto a quelli tendenzialmente universali sopra esaminati. Ciò dipende da una maggiore omogeneità di carattere politico, culturale e sociale degli Stati, che favorisce una loro concezione comune dei diritti umani e quindi anche la possibilità di meccanismi di controllo più efficaci. Conviene adesso esaminare in maniera sintetica tali sistemi regionali.
Come è noto, il sistema più avanzato è quello, creato nel quadro del Consiglio d’Europa (CdE). I risultati maggiori conseguiti dal CdE sono stati la conclusione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, la Carta sociale europea del 1961, la Convenzione europea contro la tortura del 1987, la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1995 ed il Commissario europeo per i diritti umani, istituito nel 1999.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) è notissima e quindi possiamo limitarci ai suoi aspetti essenziali. Essa si compone di due parti: la prima elenca i diritti garantiti, che appartengono per lo più ai diritti umani di prima generazione; la seconda parte stabilisce i meccanismi di garanzia. Nel tempo la Convenzione è stata integrata e modificata da 15 protocolli addizionali, che hanno aumentato i diritti garantiti e modificato i meccanismi di garanzia. Pertanto adesso la Convenzione costituisce un vero e proprio sistema giuridico particolare, che va integrato con la estesissima prassi e giurisprudenza della Commissione e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per quanto riguarda la parte sostanziale della CEDU, l’art. 1 stabilisce l’obbligo generale degli Stati contraenti di riconoscere i diritti ivi garantiti «ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione». Quanto all’elenco dei diritti tutelati, si possono distinguere i diritti fondamentali, i diritti di natura giudiziaria ed i classici diritti civili e politici. Molti di questi diritti non sono assoluti, ma subiscono limitazioni, e numerosi diritti possono essere derogati in situazioni di guerra o di emergenza nazionale. Inoltre si devono sottolineare tre concetti importanti. In primo luogo, la giurisprudenza degli organi di Strasburgo ha chiarito che i diritti previsti non impongono agli Stati solo obblighi negativi di astensione, ma anche obblighi positivi di azione. In secondo luogo, la CEDU contiene obblighi erga omnes partes. Infine, le norme sostanziali della CEDU si indirizzano formalmente non solo agli Stati parti, ma anche direttamente agli individui, conferendo loro veri e propri diritti sul piano internazionale.
Per quanto riguarda la parte procedurale della CEDU, essa ha creato un meccanismo assai progredito, che prevede il funzionamento di veri e propri organi giurisdizionali, ai quali hanno accesso anche gli individui. Tale meccanismo si fondava, fino al 1998, su tre organi: la Commissione e la Corte europea dei diritti dell’uomo ed il Comitato dei Ministri del CdE. Con il Protocollo n. 11 tale meccanismo è stato profondamente modificato, poiché è stata istituita una Corte unica e permanente, che ha in sostanza assunto le funzioni che prima erano svolte dalla Commissione e dalla Corte. Il Protocollo n. 14 ha introdotto altri cambiamenti nella procedura.
La Corte attuale è competente ad esaminare, in via contenziosa, sia i ricorsi interstatali (art. 33) che i ricorsi individuali (art. 34). Ha anche una funzione consultiva.
La procedura contenziosa può essere distinta in tre fasi principali. Nella prima fase, che funziona come una sorta di filtro preliminare, si decide sulla ricevibilità dei ricorsi (art. 35). La principale condizione di ricevibilità è data dal previo esaurimento dei ricorsi interni da parte dell’individuo ricorrente o da parte dell’individuo vittima della violazione fatta valere dallo Stato ricorrente.
Nella seconda fase, la Corte esamina il caso con i rappresentanti delle parti e può condurre indagini, nelle quali gli Stati contraenti si impegnano a prestare collaborazione. Peraltro, in qualsiasi stadio della procedura, la Corte si mette a disposizione delle parti con lo scopo di raggiungere una soluzione amichevole della controversia (art. 39). Se la conciliazione riesce, il ricorso è stralciato dal ruolo e la soluzione raggiunta è riportata in una decisione, che viene trasmessa al Comitato dei Ministri. Se la soluzione amichevole non viene raggiunta, la Corte decide nel merito con una sentenza, che accerta se vi sia stata o meno una violazione della Convenzione o dei Protocolli e, nel primo caso, può accordare alla parte lesa una “equa soddisfazione” (art. 41), che può consistere in un risarcimento del danno o in una restitutio in integrum. Le sentenze della Corte sono obbligatorie per gli Stati membri (art. 46), anche se esse non sono direttamente esecutive negli ordinamenti interni e quindi lasciano allo Stato condannato un certo margine di discrezionalità nel decidere le misure interne di esecuzione. Tuttavia recentemente la Corte di Strasburgo non si limita a stabilire se lo Stato abbia violato la Convenzione, ma, almeno in certi casi di c.d. “violazioni strutturali”, indica allo Stato le misure, anche legislative, che dovrebbero essere adottate per evitare continue violazioni della Convenzione.
Spetta al Comitato dei Ministri controllare l’esecuzione delle sentenze della Corte. Il Protocollo n. 14 ha rafforzato tale ruolo del Comitato, poiché ha creato una sorta di “giudizio per inadempimento” delle sentenze. Se lo Stato soccombente non adempie, il Comitato dei Ministri può adire la Corte per far dichiarare tale inadempienza; quindi la questione viene di nuovo rinviata al Comitato dei Ministri che può decidere le misure da prendere (art. 46). In teoria, una persistente inesecuzione di una sentenza della Corte potrebbe anche comportare una sospensione dello Stato dal CdE, ex art. 3 del suo Statuto (Ronzitti, N., Introduzione al diritto internazionale, III ed., Torino, 2009, 307).
3.2 Carta sociale europea
Poiché la Convenzione europea dei diritti dell’uomo si occupava solo marginalmente dei diritti economici, sociali e culturali, il CdE ha predisposto la Carta sociale europea, firmata nel 1961, e successivamente integrata da tre protocolli. Inoltre, nel 1996, è stata adottata una nuova versione della Carta, denominata Carta sociale europea riveduta.
La Carta è uno strumento giuridico originale, che presenta un carattere flessibile e differenziato fra i vari Stati membri. Infatti vi è una distinzione fra la Parte I della Carta, che contiene 31 diritti e principi, formulati in maniera molto generale, e la Parte II, che comprende 31 articoli più dettagliati, ciascuno dei quali contiene vari paragrafi numerati. Ogni Stato contraente si impegna a considerare la Parte I della Carta come una dichiarazione degli obiettivi che esso perseguirà con tutti i mezzi appropriati. Inoltre si impegna a vincolarsi ad almeno 6 di 9 articoli della Parte II, che vengono espressamente indicati; ed anche ad un numero addizionale di articoli o di paragrafi della Parte II, a sua scelta, purché il numero totale di articoli o di paragrafi cui esso si vincola non sia inferiore a 16 articoli o 63 paragrafi. Questo sistema conferma che la Parte I della Carta non contiene obblighi immediatamente precettivi e vincolanti; e che ad ogni Stato è lasciata libertà nello scegliere gli obblighi vincolanti contenuti nella Parte II. Questo meccanismo favorisce un’adesione più ampia da parte di Stati, che hanno situazioni interne assai diverse nel campo economico e sociale.
Il catalogo dei diritti protetti comprende il diritto al lavoro, nelle sue varie specificazioni, il diritto alla salute, il diritto all’assistenza medica e sociale, i diritti di protezione economica della famiglia, delle donne e dei minori, il diritto alla non discriminazione, il diritto all’abitazione.
Inoltre conviene accennare ai meccanismi di garanzia. Vi sono due procedure di controllo, che si fondano sulla presentazione di rapporti periodici ad opera degli Stati parti. Ma vi è anche, dal 1998, una procedura più interessante, di natura quasi-giurisdizionale, che consiste nella presentazione di reclami collettivi da parte di organizzazioni internazionali di datori di lavoro e di lavoratori, o di certe organizzazioni non governative, o di organizzazioni nazionali di datori di lavoro e di lavoratori dello Stato accusato della violazione della Carta. I reclami sono istruiti dal Comitato europeo dei diritti sociali, che decide prima sulla ricevibilità e poi eventualmente sul merito. Quindi esso predispone un rapporto con le conclusioni circa la violazione o meno della Carta e lo trasmette al Comitato dei Ministri, che rivolge allo Stato che abbia commesso una violazione una raccomandazione e controlla l’osservanza della medesima.
3.3 Unione europea
I trattati relativi alle Comunità europee contenevano solo pochissime norme concernenti diritti umani, ma si trattava solo di diritti strumentali alla realizzazione del mercato comune. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni ’60, la tutela dei diritti umani si è lentamente e gradualmente affermata per via giurisprudenziale, per merito della Corte di giustizia, la quale, sotto la spinta di alcune sentenze delle Corti costituzionali italiana e tedesca che rivendicavano il controllo sulle norme comunitarie contrastanti con i principi costituzionali, ha affermato che la protezione dei diritti umani faceva parte degli obiettivi della Comunità. Più in particolare, la Corte di giustizia ha affermato che i diritti fondamentali fanno parte dei principi giuridici generali dell’ordinamento comunitario e che tali principi potevano essere ricavati: a) dalle tradizionali costituzionali comuni degli Stati membri; b) dai trattati sui diritti umani di cui gli Stati membri sono parti, con particolare riguardo per la CEDU. Ma questa azione della Corte di giustizia, pur avendo il merito di colmare una lacuna dell’ordinamento comunitario, aveva il limite di far progredire i diritti fondamentali solo per via giurisprudenziale e quindi in maniera lenta e frammentaria, e quello di stabilire talora standard minimi di tutela.
Un progresso è stato raggiunto con il Trattato di Maastricht sull’Unione europea del 1992, che ha stabilito espressamente che l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto dell’Unione. Successivamente, fallita l’ipotesi coltivata dalla Commissione di far aderire le Comunità alla CEDU, a causa di un parere negativo della Corte di giustizia del 1996, il Trattato di Amsterdam del 1997 ha stabilito che l’Unione si fonda sul rispetto dei diritti umani; che tale rispetto è un requisito per l’adesione di nuovi Stati; e che la violazione grave e persistente dei principi sui diritti umani da parte di uno Stato membro può causare la sospensione di alcuni suoi diritti.
In seguito si è venuta affermando l’idea che fosse opportuno dotare l’UE di un proprio catalogo scritto di diritti fondamentali. Questa idea si è realizzata con la redazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la sua proclamazione, come documento non vincolante, durante il Consiglio europeo di Nizza del 2000. La Carta riprende ed aggiorna il catalogo dei diritti della CEDU nonché tutti i diritti che la giurisprudenza della Corte di giustizia aveva progressivamente individuato per via giurisprudenziale. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, la Carta (con piccoli riadattamenti) ha assunto finalmente lo stesso valore giuridico vincolante dei nuovi Trattati.
Infine si noti che l’art. 6.2 del TUE sancisce ora l’impegno e la competenza dell’UE di aderire alla CEDU. Tale adesione comporterebbe la possibilità che la Corte di Strasburgo estenda il suo sindacato sulla stessa UE e direttamente sugli atti dell’Unione che incidano sui diritti umani protetti dalla CEDU.
3.4 Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
L’OSCE è nata come conferenza diplomatica (CSCE), che in seguito si è dotata di alcuni organi ed ha funzionato per alcuni anni tramite conferenze biennali. Nel 1994 si è trasformata in un’organizzazione permanente ed ha assunto il nome di OSCE. Uno degli scopi principali dell’OSCE è costituito dalla tutela dei diritti umani, che viene definita in senso lato come la “dimensione umana” dell’Organizzazione. Questa espressione ha un significato più ampio di quella di “diritti umani”, poiché si applica non solo ai diritti umani in senso stretto, ma anche ai rapporti fra le istituzioni: concetto di democrazia, istituzioni democratiche, stato di diritto, diritti delle minoranze, disarmo, prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi. In effetti la nozione di “dimensione umana” è oramai diventata autonoma rispetto a quella di “diritti umani”, anche se ovviamente i due aspetti sono fra loro collegati (Ronzitti, N., Introduzione, cit., 318).
Nel quadro dell’OSCE si sono sviluppati anche meccanismi di garanzia, fondati soprattutto su procedure di negoziati, mediazione e conciliazione. Il c.d. “meccanismo della dimensione umana” è una procedura tesa a garantire il rispetto delle disposizioni sui diritti umani contenute nei documenti dell’OSCE. Essa si compone di quattro fasi: una denuncia dell’inosservanza da parte di uno Stato nei confronti di un altro; una replica da parte del secondo Stato ed eventuali incontri bilaterali; un deferimento della questione all’attenzione di tutti gli Stati partecipanti; ed infine una discussione della questione in una riunione della Conferenza sulla dimensione umana dell’OSCE. Tuttavia questo meccanismo ha perso d’importanza dopo l’istituzione del Consiglio Permanente dell’OSCE, nel cui ambito avvengono le discussioni circa l’osservanza dei diritti umani da parte degli Stati.
Inoltre nel 1992 è stata istituita la Corte di arbitrato e conciliazione dell’OSCE, che è competente a decidere tutte le controversie fra Stati membri, incluse quelle relative ai diritti umani. Ma finora la Corte non ha deciso alcun caso. Infine sono stati creati, nel 1992, un Alto commissario per le minoranze nazionali e, nel 1997, un Rappresentante OSCE sulla libertà dei mezzi di informazione.
3.5 Sistema interamericano dei diritti umani
Il sistema interamericano di tutela dei diritti umani nasce, nel 1948, con l’adozione della Carta dell’organizzazione degli Stati americani (OSA) e della Dichiarazione americana dei diritti e doveri dell’uomo, un documento di carattere non vincolante. Nel 1959 fu istituita la Commissione interamericana dei diritti umani, che divenne un organo dell’OSA ed alla quale fu affidato il compito di controllare il rispetto della Dichiarazione americana. Un progresso notevole si è realizzato con l’approvazione, nel 1969, della Convenzione americana sui diritti umani, entrata in vigore nel 1978, ratificata dai più importanti Paesi del Sudamerica e dell’area centro-americana. La Convenzione, nella sua Parte I, stabilisce i diritti umani che gli Stati parti si obbligano a riconoscere, con un catalogo che si ispira in gran parte a quello della CEDU e a quello del Patto delle NU sui diritti civili e politici. La Parte II della Convenzione istituisce la Corte interamericana dei diritti umani e regola le funzioni della Corte e della Commissione. Successivamente sono stati adottati due protocolli addizionali.
Per quanto riguarda i meccanismi di garanzia del sistema interamericano, essi sono affidati alla Commissione ed alla Corte. Tuttavia mentre la Commissione funziona sia come organo dell’OSA che come organo della Convenzione americana, la Corte ha competenza solo nel quadro della Convenzione.
La Commissione svolge il suo mandato tramite diverse procedure: può esaminare la situazione dei diritti umani in un dato Paese e predisporre rapporti, può effettuare visite, predisporre studi e nominare relatori su temi generali, indirizzare raccomandazioni, preparare progetti di trattati o di altri atti internazionali. Ma le sue funzioni più importanti concernono il sistema dei ricorsi individuali. La Commissione può ricevere “petizioni” da individui o gruppi di individui che lamentano la violazione della Convenzione o della Dichiarazione americana. In una prima fase, la Commissione decide sulla ricevibilità del ricorso. In una seconda fase, essa esamina il ricorso nel merito con un procedimento quasi-giurisdizionale, raccogliendo informazioni, svolgendo indagini e esaminando le osservazioni delle parti. In questa fase la Commissione cerca anche di facilitare una composizione amichevole della controversia. Se tale composizione non riesce, la Commissione redige un rapporto preliminare di natura confidenziale e lo invia allo Stato in questione. Tale rapporto può contenere raccomandazioni allo Stato di riparare eventuali violazioni entro un certo termine. Quindi la Commissione valuta la risposta dello Stato e può adottare un rapporto finale oppure sottoporre il caso alla Corte interamericana, se lo Stato ha accettato la competenza di quest’ultima. Nel suo rapporto finale la Commissione decide se lo Stato abbia violato la Convenzione ed abbia adottato le misure idonee di riparazione. La Commissione ha anche la competenza a ricevere comunicazioni di uno Stato contro un altro Stato. Ma finora nessuna comunicazione di questo tipo è stata presentata.
La Corte interamericana dei diritti umani è competente ad esaminare i ricorsi già sottoposti alla Commissione, su richiesta della Commissione medesima o degli Stati interessati, previa accettazione della sua competenza da parte di questi ultimi. Gli individui non possono presentare ricorsi diretti alla Corte. Il procedimento dinanzi alla Corte ha i caratteri di un procedimento giurisdizionale con una fase orale ed una scritta, sulla base del principio del contraddittorio. La sentenza della Corte accerta l’esistenza o meno di una violazione e decide anche sulle eventuali misure di riparazione. L’esecuzione delle sentenze è controllata dalla Corte stessa, che fa un rapporto annuale all’OSA. La Corte può svolgere anche una funzione consultiva.
In realtà, la Commissione e la Corte interamericana hanno emanato decisioni molto importanti e pareri di grande interesse, dimostrando in molti casi un approccio assai progressista in tema di tutela dei diritti umani.
3.6 Sistema africano dei diritti umani
In tempi più recenti, anche il continente africano si è dotato di norme e istituzioni sulla tutela dei diritti umani. Nel 1981 è stata adottata, nel quadro dell’Organizzazione per l’unità africana (OUA), oggi sostituita dall’Unione africana (UA), la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli. La Carta si ispira agli altri trattati regionali sui diritti umani, ma si differenzia in parte da essi perché nella sua Parte I prevede, oltre ai diritti, anche i doveri degli individui e soprattutto i diritti dei popoli, che comprendono il diritto all’uguaglianza; all’autodeterminazione; alla libera disposizione delle ricchezze e delle risorse naturali; allo sviluppo economico, sociale e culturale; alla pace e sicurezza nazionale e internazionale; ad un ambiente favorevole allo sviluppo. La Parte II istituisce e regola il funzionamento della Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli. Nel 1998 è stato adottato un Protocollo addizionale, che istituisce la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli.
Il meccanismo di garanzia della Carta africana si basa sulla Commissione e sulla Corte. La Commissione ha un mandato assai ampio: può effettuare studi su problemi in materia di diritti umani, organizzare conferenze, diffondere informazioni, indirizzare raccomandazioni agli Stati, formulare norme e principi guida per le legislazioni nazionali ed interpretare le disposizioni della Carta. Le procedure di controllo sul rispetto della Carta sono soprattutto due: quella di esame dei rapporti periodici degli Stati parti sulle misure adottate per dare esecuzione alla Carta; e quella di decisione sulle comunicazioni relative a violazioni specifiche della Carta, ricevute da Stati parti o da individui, gruppi di individui o organizzazioni non governative. Quest’ultima procedura ricalca quella di altri sistemi regionali, ma è più debole. La Commissione decide sulla ricevibilità e sul merito, ma i rimedi per le violazioni sono limitati. Quando la comunicazione rivela l’esistenza di una serie di violazioni massicce dei diritti umani, la Commissione informa l’Assemblea dei Capi di Stato e di Governo, la quale può richiedere alla Commissione di predisporre un rapporto, con le sue conclusioni e raccomandazioni.
La Corte africana ha una competenza consultiva ed una contenziosa. Secondo quest’ultima, la Corte può esaminare i ricorsi presentati dalla Commissione, dallo Stato parte che ha adito la Commissione, dallo Stato parte contro il quale è stato presentato il ricorso alla Commissione, dallo Stato nazionale della vittima, da tutte le organizzazioni intergovernative africane, ed infine da individui e da organizzazioni non governative, ma solo quando lo Stato accusato abbia accettato questa competenza della Corte. La procedura segue le regole tradizionali degli altri organismi internazionali di controllo sui diritti umani: vi è una fase relativa alla ricevibilità dei ricorsi, una fase concernente il tentativo di composizione amichevole della controversia, ed infine una fase di accertamento tramite udienze in contraddittorio fra le parti. Quindi la Corte emana una sentenza nel merito, che può ordinare allo Stato condannato le misure appropriate per rimediare alla violazione. Sull’esecuzione delle sentenze sorveglia la stessa Corte ed il Consiglio dei Ministri dell’UA.
3.7 Altre iniziative regionali
Gli Stati asiatici e gli Stati arabi islamici dell’Asia medio-orientale non hanno finora creato strumenti normativi vincolanti e meccanismi di garanzia sulla tutela internazionale dei diritti umani. Tuttavia alcune organizzazioni sub-regionali hanno intrapreso iniziative in materia di diritti umani, che potrebbero rafforzarsi in futuro.
Nel quadro della Lega araba, si può ricordare la Carta araba dei diritti dell’uomo, un documento approvato nel 1994 dal Consiglio della Lega araba e in seguito riveduto nel 2004, che contiene un elenco di diritti umani piuttosto limitato. Nell’ambito della Conferenza islamica (divenuta nel 1972 Organizzazione della conferenza islamica), è stata adottata, nel 1978, una prima Dichiarazione sulle libertà e i diritti dell’uomo e il loro ruolo nell’Islam; nel 1981, un altro documento denominato Dichiarazione dei diritti dell’uomo nell’Islam; ed infine, nel 1990, la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, che non ha carattere vincolante, ma «rappresenta degli orientamenti generali per gli Stati».
Per quanto riguarda gli altri Stati dell’Asia, le azioni per la tutela internazionale dei diritti umani sono state finora assai limitate. Gli Stati dell’area del Pacifico hanno approvato una Carta pacifica dei diritti umani, che non ha poi avuto seguito. Un’altra iniziativa è la proposta di una Carta dei diritti umani per le Nazioni asiatiche, promossa nel 2000 dall’Associazione dei Parlamenti asiatici per la pace. Alcune organizzazioni non governative hanno adottato, nel 1998, la Carta asiatica dei diritti dell’uomo, un documento più innovativo rispetto a quelli elaborati dagli Stati asiatici.
4. Norme di diritto internazionale generale: sostanziali e strumentali
La conclusione di numerosi trattati sui diritti umani, sia a livello universale che a livello regionale, nonché la giurisprudenza e la prassi delle corti internazionali e degli organi di controllo sul rispetto di tali trattati hanno anche contribuito alla formazione di alcune norme di diritto internazionale generale (consuetudini e principi generali di diritto) in materia di diritti umani. È chiaro che tali norme rappresentano un progresso notevole, perché esse vincolano tutti gli Stati, a prescindere dalla loro adesione ai vari trattati.
Tuttavia, la dottrina non è unanime quando si tratta di individuare con certezza quali siano tali norme. Gran parte della dottrina appare conservatrice su questo punto, sia perché pone l’accento più sulla diuturnitas che sull’opinio iuris; sia perché non utilizza più ampiamente la fonte dei principi generali di diritto; sia infine perché tende a non considerare i trattati sui diritti umani e la prassi degli organi di controllo su tali trattati, trascurando così il ruolo contemporaneo dei trattati nel processo di formazione del diritto internazionale generale. A nostro avviso, invece, specie nel settore dei diritti umani, laddove la prassi internazionale classica relativa alle controversie fra Stati è scarsa per ovvi motivi di natura politica, la ormai amplissima prassi degli organi internazionali di controllo sui diritti umani produce un impatto decisivo e fondamentale sul diritto internazionale generale. E ciò vale non solo per i trattati tendenzialmente universali, ma anche per quelli di carattere regionale, dovendosi respingere la tesi che questi ultimi costituiscano sistemi giuridici self-contained, separati rispetto al diritto internazionale generale. Del resto tale prassi è quasi sempre uniforme, quantomeno in relazione ai diritti umani fondamentali. In sintesi, si può sostenere che il nucleo di diritti umani protetti dal diritto internazionale generale è più esteso di quanto comunemente si pensi e che esso comunque si sta ampliando.
Ciò premesso, vi è accordo unanime sull’esistenza di una norma consuetudinaria che vieta le c.d. gross violations, intese come violazioni massicce e sistematiche dei diritti umani fondamentali. Ma si sta affermando la tendenza a comprendere fra le gross violations anche le violazioni massicce e sistematiche di altri diritti umani, specie quelli di prima generazione e quelli di seconda generazione che siano immediatamente vincolanti (v. Villani, U., Studi su La protezione internazionale dei diritti umani, Roma, 2005, 25).
La soluzione è più controversa per quanto riguarda le violazioni singole, e non massicce e sistematiche, dei diritti umani. Noi riteniamo che alcuni diritti umani fondamentali (il c.d. nocciolo duro dei diritti umani) siano oramai protetti da norme consuetudinarie o da principi generali di diritto. Si tratta dei divieti di genocidio, di tortura e di trattamenti disumani, di schiavitù e servitù, di discriminazione razziale e di apartheid, di privazione arbitraria della vita e della libertà personale. Anche il divieto di refoulement dei richiedenti lo status di rifugiato o l’asilo appare oggi stabilito da una norma di diritto internazionale consuetudinario. A questo elenco si possono oggi aggiungere quegli illeciti dello Stato, che sono commessi da individui-organi del medesimo, e che sono considerati come crimini individuali contro l’umanità o crimini di guerra, ai sensi del diritto internazionale penale. In effetti, molti di questi illeciti (ma non tutti) finiscono con il coincidere con le gravi violazioni di diritti umani fondamentali sopra indicate. Inoltre, si deve aggiungere il diniego, con la forza, del principio di autodeterminazione dei popoli.
Come si vede, si tratta di un nucleo non molto ampio di norme, che hanno natura sostanziale. A mio parere, si possono aggiungere a tali norme sostanziali anche altre norme consuetudinarie, che hanno natura strumentale o funzionale rispetto alle prime, e senza le quali le norme sostanziali perderebbero in pratica di efficacia. Una prima norma prevede il diritto individuale di accesso alla giustizia in caso di violazione dei diritti umani, o quantomeno dei diritti umani fondamentali sopraindicati. Una seconda norma prevede il diritto dell’individuo vittima ad ottenere una riparazione, in caso di accertamento di una violazione di tali diritti fondamentali. Ambedue queste norme non hanno carattere assoluto, ma richiedono che l’individuo vittima non abbia alcuna possibilità di accedere alla giustizia o di ottenere una riparazione né dinanzi ad organi interni né dinanzi ad organi internazionali di accertamento del diritto. In altri termini, tali norme proibiscono il diniego di giustizia per le gravi violazioni dei diritti umani fondamentali.
5. Conclusioni
Si possono, adesso, trarre alcune conclusioni generali su quanto è stato esposto finora.
La prima conclusione è che, dal punto di vista normativo, il progresso della tutela internazionale dei diritti umani realizzato negli ultimi 60 anni è stato notevolissimo. A livello universale, ciò è dovuto soprattutto all’azione delle Nazioni Unite, che hanno in genere adottato un metodo in più fasi. In una prima fase, si è cercato di raggiungere un consenso generalizzato degli Stati tramite strumenti di soft law. In una seconda fase, si sono predisposti trattati su quei diritti umani che apparivano maturi per una codificazione convenzionale. A livello regionale, si è talora proceduto con un metodo simile e talora, invece, si è potuto iniziare direttamente con un trattato di carattere tendenzialmente generale, come nel caso della CEDU. Nel complesso, si può affermare che esiste ormai una rete assai estesa di norme convenzionali sui diritti umani, anche se essa concerne soprattutto i diritti di prima e di seconda generazione. Per quanto riguarda invece le norme generali di diritto internazionale sui diritti umani, il progresso è stato più lento. Come si è visto, soltanto un nucleo ristretto di diritti umani è protetto dal diritto internazionale generale. Peraltro si tratta anche di quei diritti fondamentali, che rappresentano valori irrinunciabili della comunità internazionale nel suo insieme. Questo risultato è indubbiamente importante.
La seconda conclusione attiene invece ai meccanismi internazionali di garanzia. Su di essi, vi sono stati nel tempo progressi non trascurabili; ma si deve ammettere che la situazione è più carente. Ciò vale specie per le istituzioni e le procedure di controllo che operano a livello universale, che non hanno carattere vincolante e non prevedono veri e propri meccanismi giurisdizionali. Appare urgente rafforzare quantomeno i meccanismi quasi-giurisdizionali, come quelli dei treaty-bodies delle NU. Al contrario, nei sistemi regionali, la situazione è assai migliore, specie nel sistema della CEDU e in quello interamericano.
Infine una terza conclusione. La spinta propulsiva della teoria dei diritti umani nell’ordinamento internazionale non si è certo fermata ed ulteriori progressi sono necessari. Tuttavia la nostra impressione è che gli Stati, come apparati di governo, ed i ministeri degli esteri, come organi statali che maggiormente gestiscono i rapporti giuridici internazionali, al di là delle affermazioni enfatiche sull’importanza dei diritti umani, siano tuttora troppo interessati alla difesa della tradizionale sovranità dello Stato e non abbiano un interesse forte e concreto al progressivo sviluppo dei diritti umani. La stessa conclusione vale per i tribunali internazionali, specie quelli non specializzati nei diritti umani. Assai significativa è, in proposito, la recente sentenza della Corte internazionale di giustizia sulle Immunità giurisdizionali dello Stato del 3.2.2012 (in www.icj-cij.org/ ), laddove la Corte ha adottato un’impostazione conservatrice e strettamente stato-centrica del diritto internazionale.
Pertanto, occorre che adesso tale spinta propulsiva continui e derivi soprattutto dagli operatori giuridici interni, fra i quali i giudici e gli avvocati specializzati in diritti umani; dalle istituzioni nazionali sui diritti umani che siano davvero indipendenti rispetto ai governi; dalle organizzazioni internazionali non governative; dalle società civili dei singoli Stati (Cassese, A., Diritto internazionale, Bologna, 2006, 189-191). Gli strumenti giuridici interni possono consistere, come si è visto, nell’interpretazione delle norme internazionali sui diritti umani come tendenzialmente self-executing, nel rendere sempre più flessibile la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, nel limitare le regole sull’immunità degli Stati e degli organi statali, nell’espandere la regola sulla giurisdizione penale e civile universale, ecc. Accanto agli strumenti giuridici occorre che la pubblica opinione rafforzi i suoi mezzi di pressione nei confronti dei governi.
Fonti normative
Le fonti sulla protezione internazionale dei diritti umani sono numerosissime. Si indicano solo le principali. Nel sistema universale: Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10.12.1948; Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio del 9.12.1948; Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 25.7.1951 e Protocollo del 31.1.1967; Patto internazionale sui diritti civili e politici del 16.12.1966, Protocollo facoltativo del 16.12.1966 e Secondo protocollo facoltativo del 15.12.1989; Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 16.12.1966 e Protocollo facoltativo del 10.12.2008; Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21.12.1965; Convenzione sull’eliminazione e la repressione del crimine di apartheid del 30.11.1973; Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 18.12.1979 e Protocollo facoltativo del 6.10.1999; Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10.12.1984 e Protocollo facoltativo del 18.12.2002; Convenzione sui diritti del fanciullo del 20.11.1989, Protocollo facoltativo del 25.5.2000 e Secondo protocollo facoltativo del 25.5.2000; Convenzione sui diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 18.12.1990; Convenzione per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata del 20.12.2006.
Nei sistemi regionali: Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4.11.1950 e 15 Protocolli addizionali; Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 26.11.1987, Protocollo n.1 del 4.11.1993 e Protocollo n.2 del 4.11.1993; Carta sociale europea del 18.10.1961, Protocollo addizionale del 9.11.1995 e Carta sociale europea riveduta del 3.5.1996; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7.12.2000; Convenzione americana sui diritti umani del 22.11.1969, Protocollo del 17.11.1988 e Protocollo dell’ 8.6.1990; Carta africana sui diritti umani e dei popoli del 27.6.1981 e Protocollo del 9.6.1998; Carta araba sui diritti umani del 22.5.2004.
Bibliografia essenziale
Si indicano solo gli studi recenti e che trattano gli aspetti generali del tema, contenuti in monografie o in capitoli di manuali di diritto internazionale: Addo, M.K., International Human Rights Law, Aldershot, 2006; Alston, P.-Steiner, H.J., International Human Rights in Context: Law, Politics, Morals. Text and Materials, Oxford, 2008; Breems, E., Human Rights: Universality and Diversity, The Hague, 2001; Cassese, A., Diritto internazionale, II, a cura di P. Gaeta, Bologna, 2004, Cap.III; Cassese, A., Diritto internazionale, a cura di P. Gaeta, Bologna, 2006, cap. VIII; Cassese, A., I diritti umani oggi, Roma-Bari, 2009; Cassese, A., Il sogno dei diritti umani, Milano, 2008; Castillo, M., Derecho Internacional de los Derechos Humanos, Valencia, 2003; Clapham, A., Human Rights. A Very Short Introduction, Oxford, 2007; De Sena, P., Diritti dell’uomo, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, III, Milano, 2006; De Shutter, O., International Human Rights Law: Cases, Materials, Commentary, Cambridge, 2010; Flores, M.- Groppi, T.- Pisillo Mazzeschi, R., a cura di, Diritti umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell’epoca della globalizzazione: Dizionario, Torino, 2007; Focarelli, C., Lezioni di diritto internazionale, I, Padova, 2008, cap. V, sez. 2; McCorquodale, R., Human Rights, Ashgate, 2003; Moeckli, D.- Shah, S.-Sivakuraman, S.-Harris, D. (eds.), International Human Rights Law, Oxford, 2010; Nowak, M., Introduction to the International Human Rights Regime, Leiden, 2004; Pineschi, L., a cura di, La tutela internazionale dei diritti umani: norme, garanzie, prassi, Milano, 2006; Ronzitti, N., Introduzione al diritto internazionale, III ed., Torino, 2009, cap. 12; Symonides, J., Human Rights: International Protection, Monitoring, Enforcement, Ashgate, 2003; Tomuschat, C., Human Rights: Between Idealism and Realism, Oxford, 2003; Villani, U., Studi su La protezione internazionale dei diritti umani, Roma, 2005; Villani, U., Dalla Dichiarazione universale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Bari, 2012; Weissbrodt, D.-De La Vega, C., International Human Rights: An Introduction, Philadelphia, 2007; Zanghì, C., La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, II ed., Torino, 2006; Zappalà, S., La tutela internazionale dei diritti umani, Bologna, 2011.