diritti umani
locuz. sost. m. pl. – Nel primo decennio del 21° secolo il tema dei diritti umani ha acquistato una rilevanza sempre crescente, tanto nella giurisprudenza internazionale quanto nel dibattito pubblico, in relazione soprattutto al processo incalzante di internazionalizzazione di questi stessi diritti strettamente connesso alle dinamiche dell’era della globalizzazione. Si è assistito a una moltiplicazione ed esplosione di nuovi diritti, sia a carattere soggettivo, sia collettivo, rivendicati da organizzazioni e movimenti nazionali e transnazionali, da minoranze linguistiche e culturali, da particolari gruppi sociali e politici. Il diritto a un ambiente non inquinato, al libero accesso a Internet, alla privacy personale e familiare, all’integrità genetica della persona sono temi ormai largamente presenti nel dibattito politico e culturale anche se rappresentano senz’altro più un’aspettativa, o addirittura una speranza, che un diritto acquisito. Un primo riconoscimento del dibattito sui nuovi diritti umani, anche se circoscritto solo a quelli meno controversi e che godono già in molti paesi di un riconoscimento giuridico, viene dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea siglata a Nizza nel dicembre 2000. Nel preambolo della Carta si sottolinea la necessità impellente di «rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici». In ambito di integrità genetica, per esempio, si sostiene all’art. 3 il diritto di ogni individuo alla propria integrità fisica e psichica, mettendo al bando le pratiche eugenetiche e la clonazione riproduttiva degli esseri umani. Molto più difficoltoso appare il cammino del riconoscimento di quei diritti, primo fra tutti quello all’acqua, che costituiscono un ostacolo all’azione di sfruttamento commerciale dei pozzi da parte delle grandi imprese internazionali. La centralità della questione ecologica nella riflessione sul destino del nostro pianeta si è accompagnata in questi ultimi anni alla consapevolezza dell’estrema difficoltà a vedere riconosciuti i diritti delle vittime delle devastazioni ambientali per la forte opposizione mostrata dai grandi centri del potere economico e dagli stessi governi nazionali impotenti, da soli, a imprimere un reale cambiamento nel sistema economico mondiale. In questo contesto la battaglia per il diritto all’acqua, intesa come bene comune universale, dono naturale e non frutto dell’ingegno umano, ha visto una grande mobilitazione a tutela delle comunità dei paesi più poveri dove i pochi pozzi potabili rischiano di essere sfruttati a beneficio esclusivo delle grandi aziende multinazionali. Non va dimenticato che sono oltre due milioni ogni anno i bambini vittime di mancanza di acqua potabile nelle regioni più povere del pianeta. Il problema della gestione delle risorse idriche è di grande attualità, d’altronde, anche nei paesi occidentali. In Italia i due quesiti referendari del 12 e 13 giugno 2011 che si proponevano di fermare la privatizzazione e la mercificazione dell’acqua hanno fatto registrare oltre il 95% dei consensi, a fronte di una partecipazione al voto superiore al 54%. Molto limitata appare anche l’effettività di tutti i diritti a tutela dei consumatori o il diritto di libero accesso alla rete telematica. A questo proposito basti pensare alla Cina dove la censura applicata dal governo di Pechino a Internet si è avvalsa della collaborazione delle più grandi società informatiche al mondo: le statunitensi Microsoft, Google, Yahoo. Al centro di aspre battaglie nel nostro Paese il riconoscimento delle famiglie omosessuali: se in Italia non è previsto alcun riconoscimento giuridico per le coppie gay che convivono, in Europa sono cinque i paesi dove il matrimonio è aperto a coppie dello stesso sesso (Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia), mentre diverse forme di unione civile per le coppie omosessuali sono in vigore in Germania, Regno Unito, Francia, Finlandia, Svizzera e Austria. In Italia è assente anche una normativa legislativa sul testamento biologico, ossia il documento scritto con il quale un individuo asserisce le proprie volontà in materia di trattamento medico (somministrazione di farmaci, rianimazione, ecc.), valide anche quando non si è in grado di comunicarle. Nuove battaglie sono state combattute anche in nome del diritto alla salute e alle cure sanitarie. Una totale mancanza di equità nella distribuzione delle risorse per la salute si è manifestata infatti nel caso delle cure per l’HIV/AIDS: se nei paesi ricchi gli individui colpiti dal virus hanno avuto accesso gratuito, o a prezzi ragionevoli, ai farmaci per curare la malattia, tale possibilità è stata negata ai malati dei paesi poveri a causa dei prezzi altissimi praticati dalle aziende farmaceutiche. Alle soglie del 21° secolo il Sud Africa, grazie alla battaglia condotta da Nelson Mandela, rivendicò il diritto dei paesi poveri a disporre di farmaci a basso costo efficaci nella cura della malattia e fu trascinato per questo in giudizio da alcune decine di aziende farmaceutiche con l’accusa di aver prodotto farmaci antivirali senza aver pagato i relativi brevetti. Il diritto alla vita di ogni individuo fu proclamato per la prima volta in ambito internazionale nell’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Tuttavia, più di ogni altro, questo diritto viene troppo frequentemente violato. Infatti, nonostante tutta la giurisprudenza internazionale a tutela dei diritti umani, la pena di morte come punizione di reati è tuttora in vigore in numerosi paesi, tra cui gli Stati Uniti. Nel 2010 sono stati ventitré i paesi che hanno eseguito una condanna a morte: oltre 1000 le vittime in Cina, più di 250 in Iran, 60 nella Corea del Nord, 46 negli Stati Uniti, 27 in Arabia Saudita. Altro tema delicatissimo e tornato di drammatica attualità è quello delle uccisioni di civili in guerra, tema che solleva profondi dilemmi: le considerazioni sulla strage della popolazione durante la guerra scatenata in Irāq dagli angloamericani (2003-2011) hanno alimentato il dibattito sul diritto alla vita, sulla condanna della tortura e più in generale sulle violazioni dei diritti umani. Nel febbraio 2006 dopo l’ispezione del carcere statunitense di Guantanamo (Cuba) le Nazioni unite hanno denunciato gli Stati Uniti per gravi violazioni dei diritti umani; nel rapporto conclusivo si parlava esplicitamente di torture e la stessa organizzazione delle NU ha chiesto agli Stati Uniti la chiusura del centro di detenzione (annunciata dal presidente Barack Obama nel 2009 ma poi rinviata). Le stesse Nazioni Unite hanno voluto dare un segnale di maggiore attenzione e considerazione verso i diritti umani e nel marzo 2006 l’Assemblea generale ha istituito un nuovo Consiglio per i diritti umani in sostituzione di un organismo preesistente, la Commissione dei diritti umani, che vedeva al suo interno la partecipazione di paesi come il Sudan o lo Zimbabwe, più volte denunciati per palesi violazioni dei diritti dell’uomo. In relazione a questa materia, risulta controverso anche lo scenario mediorientale, con particolare riferimento al conflitto israelo-palestinese; al riguardo, nel luglio 2006 una risoluzione dell’Assemblea generale delle NU esprimeva grave preoccupazione per i contraccolpi sulla popolazione palestinese delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza. Molto più dure le parole della dichiarazione conclusiva presentata nel settembre 2009 dalla Commissione istituita dal Consiglio per i diritti umani per indagare sugli effetti della guerra scatenata da Israele a Gaza alla fine di dicembre 2008: si leggeva nella dichiarazione, successivamente sconfessata dal presidente, ma non dagli altri commissari, che Israele aveva reiteratamente violato i diritti umani della popolazione palestinese. Una vigile opera di controllo sulle violazioni dei diritti umani in tutto il pianeta è svolta da Amnesty international, un’organizzazione che nei suoi rapporti annuali denuncia le situazioni maggiormente a rischio e opera in concreto per salvare molte vite umane: il rapporto 2011, nel ricordare il coraggio e la determinazione di quanti dal Nord Africa al Medio Oriente hanno protestato contro la tirannia e l’oppressione, sottolinea i cambiamenti che l’era digitale ha introdotto in tutto il mondo e auspica che la nuova tecnologia possa sempre essere utilizzata al servizio della giustizia e dell’umanità. Ancora molto resta da fare in grandi aree dell’Asia e dell’Africa per garantire alle donne il godimento dei loro diritti nel campo della salute, dell’inclusione sociale e dell’istruzione. Sono le cifre stesse a parlare: il destino di milioni di donne africane e asiatiche è segnato dal trattamento diseguale e sessista che impedisce alla popolazione femminile di accedere alle stesse forme di assistenza e istruzione garantite agli uomini. In particolare il diritto alla salute sessuale e riproduttiva rappresenta un indicatore significativo per valutare la condizione delle donne e la tutela dei loro diritti di individui nelle diverse società. Un caso estremo è rappresentato da quei paesi come la Cina dove sono stati adottati forti incentivi alla denatalità femminile e dove forme di incuria e abbandono hanno fatto crescere il tasso di mortalità infantile femminile. Private dei loro diritti politici e civili sono invece le donne di alcuni paesi arabi, e fra questi l’Arabia Saudita, dove alle donne non è stato ancora concesso il voto e dove pesanti condizionamenti, ai nostri occhi fortemente anacronistici, possono ostacolare la partecipazione attiva delle donne alla vita del paese.