Diritto all’istruzione scolastica e disabilità
La Corte di cassazione, modificando il precedente orientamento, ha nel 2014 riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative al servizio di sostegno scolastico a favore di minori disabili. Una volta che sia stato definito il piano educativo individualizzato, previsto dalla legge, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato, anche ricorrendo all’attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni. La mancata adozione delle misure necessarie è suscettibile di costituire una forma di discriminazione indiretta, vietata dalla legge.
Il diritto all’istruzione dei disabili è espressione di un diritto fondamentale, sia sul versante del diritto all’istruzione sia per ciò che concerne la garanzia dei diritti dei disabili, al fine di garantire il pieno sviluppo e l’inclusione della persona umana con disabilità. La legislazione è dunque attuazione di questo diritto fondamentale. Muoviamo da una ricognizione del quadro legislativo.
1.1 Il quadro legislativo
Elemento centrale del quadro legislativo su “diritto all’istruzione e disabilità” è la definizione del piano educativo individualizzato, cui partecipano ai sensi dell’art. 12 l. 5.2.1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), anche i genitori della persona handicappata. Prevede in particolare l’art. 12, co. 5, che «all’individuazione dell’alunno come persona handicappata» segue la definizione di un «profilo dinamicofunzionale» (necessario per la formulazione del piano educativo individualizzato), il quale «indica le caratteristiche fisiche, psichiche e sociali ed affettive dell’alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata». L’art. 13, co. 3, prevede quindi attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati.
In base all’art. 10, co. 5, d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 30.7.2010, n. 122, i soggetti chiamati a formulare il piano educativo individualizzato elaborano anche proposte relative all’individuazione delle risorse necessarie, ivi compresa l’indicazione del numero delle ore di sostegno, che devono essere esclusivamente finalizzate all’educazione e all’istruzione, restando a carico degli altri soggetti istituzionali la fornitura delle altre risorse professionali e materiali necessarie per l’integrazione e l’assistenza dell’alunno disabile richieste dal piano educativo individualizzato. Quanto agli insegnanti di sostegno per l’integrazione degli alunni handicappati, l’art. 40 l. 27.12.1997, n. 449, nel fissarne la dotazione organica, ha anche previsto la possibilità di assunzioni con contratto a tempo determinato in deroga al rapporto docentialunni in presenza di handicap particolarmente gravi. Successivamente l’art. 1, co. 605, lett. b), l. 27.12.2006, n. 296 ha sostituito al criterio numerico di cui all’art. 40, co. 3, l. n. 449/1997 il principio dell’individuazione, ad opera del Ministro dell’istruzione, di organici corrispondenti alle effettive esigenze rilevate, attraverso certificazioni idonee definire appropriati interventi formativi.
C. cost., 26.2.2010, n. 80 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, co. 413414, l. 24.12.2007 n. 244, che aveva da un lato fissato un limite massimo al numero degli insegnanti di sostegno e dall’altro eliminato la possibilità di assumerli in deroga laddove siano presenti classi di studenti con disabilità grave. Successivamente, l’art. 19, co. 11, d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 15.7.2011, n. 111, ha mantenuto ferma la possibilità di istituire posti in deroga, allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica, ed ha stabilito che l’organico di sostegno è assegnato complessivamente alla scuola o a reti di scuole allo scopo costituite, tenendo conto della previsione del numero di tali alunni in ragione della media di un docente ogni due alunni disabili, e che la scuola provvede ad assicurare la necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe.
Per completezza del quadro legislativo, anche ai fini dell’esame dell’arresto delle S.U. del 2014, su cui più avanti, va richiamata la l. 1.3.2006, n. 67 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni). L’art. 2 prevede quanto segue: «1. Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità. 2. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga. 3. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. 4. Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti». Ai sensi dell’art. 3 «i giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 2 sono regolati dall’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150». Quest’ultima norma, in materia di semplificazione dei riti civili, prevede una disciplina comune per tutte le controversie in materia di discriminazione ed istituisce la competenza del tribunale del luogo nel quale il ricorrente ha domicilio.
1.2 Gli orientamenti della giurisprudenza
Il tema “diritto all’istruzione e disabilità” ha ruotato nella giurisprudenza principalmente intorno alla questione del riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo. L’orientamento della giurisprudenza di legittimità, prima del recente arresto delle S.U., era nel senso che le liti relative al servizio di sostegno scolastico a favore di minori disabili rientrassero nella giurisdizione del giudice amministrativo, e ciò sia sotto il vigore dell’art. 33 d.lgs. 31.3.1998, n. 80, che nella vigenza dell’art. 133 c.p.a., approvato con il d.lgs. 2.7.2010, n. 104. Cass., S.U., 19.1.2007, n. 1144 e Cass., 29.4.2009, n. 9954 hanno messo in evidenza che il servizio di sostegno scolastico ai minori portatori di handicap non costituisce oggetto di un contratto di utenza di diritto privato tra l’istituto scolastico, obbligato alla prestazione, e i genitori del minore, ma è previsto dalla legge e consegue direttamente al provvedimento di ammissione alla scuola. A sua volta, premesso che l’art. 33 d.lgs. n. 80/1998, nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità di cui alla sentenza di C. cost., 6. 7. 2004, n. 204, deve essere letto «nel senso che le controversie in materia di pubblici servizi rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo qualora si discuta, tra l’altro, di provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione nell’esercizio dei suoi poteri autoritativi», Cass., S.U., 25.3.2009, n. 7103, ha rilevato che, in tema di insegnamento di sostegno, «la normativa di settore riconosce all’amministrazione il poteredovere di dare concretezza alle aspettative degli alunni mediante un’equa e ragionevole utilizzazione delle risorse, da ripartire fra gli aventi titolo sulla base di provvedimenti emanati anche alla luce di superiori scelte discrezionali». In tale prospettiva, «la determinazione delle ore a disposizione del singolo diversamente abile costituisce … il frutto di una prerogativa pubblicistica dell’amministrazione, che nel fissarle si pone in posizione di supremazia rispetto agli utenti del servizio»; sicché, qualora costoro contestino la congruità del supporto accordato, essi danno vita ad una vertenza che, «postulando necessariamente un giudizio sulla correttezza del potere esercitato in ordine alla organizzazione ed alle modalità dì erogazione del sostegno», rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «in quanto attinente al momento strutturale del servizio». In termini analoghi si è pronunciata Cass., S.U., 19.7.2013, n. 17664.
All’interno della giurisprudenza di merito dei giudici ordinari per un verso sono emerse posizioni analoghe a quelle espresse dalla giurisprudenza di legittimità1, per l’altro si è concluso nel senso dell’esclusione della giurisdizione del giudice amministrativa2. La contrarietà alla devoluzione all’autorità giudiziaria ordinaria delle controversie sul sostegno scolastico è stata manifestata dalle pronunce dei giudici amministrativi3. Da ultimo, TAR Sicilia, 3.12.2014, n. 31114 ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo anche dopo l’arresto delle S.U. del 2014 ed in consapevole contrasto con esso.
1.3 L’arresto delle Sezioni Unite del 2014
Il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato modificato da Cass., S.U., 25.11.2014, n. 25011. A seguito della ricognizione delle fonti, sovranazionali e nazionali, anche di ordine costituzionale, le S.U. hanno riconosciuto la natura di diritto fondamentale del diritto all’istruzione dei disabili, «la cui tutela passa attraverso l’attivarsi della pubblica amministrazione per il suo riconoscimento e la sua garanzia, mediante le doverose misure di integrazione e sostegno atte a rendere possibile ai portatori disabili la frequenza delle scuole, a partire da quella materna … E tra le misure di integrazione e sostegno previste dal legislatore onde garantire l’effettività del diritto all’istruzione del disabile vi è la somministrazione delle ore di insegnamento attraverso un docente specializzato». Continuano tuttavia le S.U. che «la natura fondamentale del diritto all’istruzione del disabile non è di per sé sufficiente a ritenere devolute le controversie che ad esso si riferiscono alla giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti soggettivi coperti da garanzia costituzionale». Per un verso l’art. 133, co. 1, lett. c), c.p.a. attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione, per l’altro verso «la categoria dei diritti fondamentali non delimita un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi: questi sono sempre più spesso chiamati, non solo all’assolvimento dei compiti rivolti ad attuare i diritti costituzionalmente garantiti, ma anche ad offrire ad essi una tutela sistemica, nel bilanciamento con le esigenze di funzionalità del servizio pubblico e tenendo conto, ai fini del soddisfacimento dell’interesse generale, del limite delle risorse disponibili secondo le scelte allocative compiute dagli organi competenti».
Passando all’esame della disciplina positiva, osservano le S.U. che una volta che il piano educativo individualizzato abbia prospettato il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell’alunno che versa in situazione di handicap particolarmente grave, l’amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale capace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura di quel supporto integrativo così come individuato dal piano, ma ha il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato, anche ricorrendo all’attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni.
L’omissione o le insufficienze nell’apprestamento, da parte dell’amministrazione scolastica, di tali doverose attività sono suscettibili di concretizzare, ove non accompagnate da una corrispondente contrazione dell’offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati, una discriminazione indiretta, vietata dall’art. 2 l. n. 67/2006. Tale è infatti anche il comportamento omissivo dell’amministrazione pubblica preposta all’organizzazione del servizio scolastico che abbia l’effetto di mettere il minore con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri alunni. Dato che l’art. 3 l. n. 67/2006 oltre ad attribuire, a fronte di un comportamento discriminatorio, un’azione a favore del disabile, prevede altresì la procedura per far valere la tutela giurisdizionale, facendo rinvio all’art. 28 d.lgs. n. 150/2011, che chiaramente individua nel giudice ordinario quello competente ad occuparsi della repressione di comportamenti discriminatori, le S.U. concludono nel senso che la giurisdizione in materia di istruzione scolastica e disabilità è del giudice ordinario.
Il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario consegue alla qualificazione in termini di discriminazione indiretta della condotta della pubblica amministrazione. La tutela delle posizioni soggettive rispetto alle condotte discriminatorie segue sempre il modulo del diritto soggettivo e della giurisdizione del giudice ordinario, anche laddove vengano per ipotesi in rilievo procedimenti nei quali il privato fruisca di una posizione di interesse legittimo, ha affermato Cass., S.U., 30.3.2011, n. 7186. Ove non risulti promossa un’azione per discriminazione indiretta, la giurisdizione sarebbe comunque del giudice ordinario, alla stregua degli argomenti adoperati da Cass., S.U., 25.11.2014, n. 25011. Stante la presenza della giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, per ottenere questo risultato non basta affermare che in gioco è un diritto, e non un interesse, ma bisogna anche dimostrare che il comportamento della pubblica amministrazione che fronteggia il diritto soggettivo non è riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio del potere amministrativo (art. 7, co. 1, c.p.a.). Gli argomenti delle S.U. mirano a liberare la condotta dell’amministrazione da connotati di autoritatività per ricondurla ad una condizione di mera obbligatorietà.
La definizione del piano educativo individualizzato corrisponde ad un accertamento, puramente tecnico, in ordine alla ricorrenza dei presupposti di fatto del diritto soggettivo al sostegno scolastico dell’alunno che versa in situazione di handicap, rispetto al quale nessun margine di apprezzamento è lasciato dalla legge all’autorità amministrativa, se non il puro riscontro tecnico delle concrete condizioni di persona handicappata. Definito il piano educativo individualizzato, per la pubblica amministrazione residua una posizione di mera obbligatorietà, senza alcun collegamento con profili di autoritatività. L’amministrazione scolastica ha così il dovere di assegnare il personale docente specializzato alla persona handicappata, se del caso istituendo un posto in deroga al rapporto insegnanti/alunni. L’assenza di collegamento, anche indiretto, con l’esercizio del potere amministrativo è sufficiente per la sottrazione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, indipendentemente dal profilo della discriminazione indiretta.
Di rilievo è il riconoscimento in Cass., S.U., n. 25011/2014 della sottoposizione dei diritti fondamentali al bilanciamento con altri interessi di rilevanza costituzionale, coerentemente alle conclusioni della giurisprudenza costituzionale (si vedano C. cost., 9.5.2013, n. 85 e C. cost., 28.11.2012, n. 264), facendo venir meno l’idea che essi possano rappresentare un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi. Si supera così la tesi, a lungo sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, dell’incomprimibilità dei diritti fondamentali, da cui deriverebbe la riserva di giurisdizione in favore del giudice ordinario.
Diritti soggettivi ed interessi legittimi sono le tecniche apprestate dall’ordinamento mediante cui si provvede alla tutela in forma specifica del bene della vita, riconducibile secondo diverse gradazioni ad un diritto fondamentale, all’esito del bilanciamento con altri valori costituzionali. La norma attributiva del potere alla pubblica amministrazione, mediante cui il bene della vita trova protezione nella forma dell’interesse legittimo, è la risultante così del bilanciamento del principio, cui quel bene della vita è riconducibile, con altri interessi costituzionalmente rilevanti. La questione di giurisdizione, a questo punto, è tutta di diritto positivo. L’interprete deve indagare se, in sede di bilanciamento con altri interessi costituzionali, il legislatore abbia attribuito alla pubblica amministrazione il potere in relazione ad un bene della vita riconducibile ad un principio costituzionale, assegnando a quest’ultimo la tutela offerta dall’interesse legittimo, o abbia configurato la posizione soggettiva come diritto, rispetto alla quale tutti i soggetti, pubblici e privati, sono obbligati ad un determinato comportamento.
Quanto alla cognizione dei diritti fondamentali da parte del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, è stata ormai riconosciuta dalla Corte costituzionale l’idoneità del giudice amministrativo «ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa» (C. cost., 27.4.2007, n. 140). In tal senso vanno anche le previsioni legislative contenute nel codice del processo amministrativo (artt. 55 e 133, co. 1, lett. p).
1 Trib. Cagliari, 4.2.2008, in Riv. giur. sarda, 2009, 641 e Trib. Napoli, 14.3.2006, in Foro it. Rep., 2007, voce Istruzione pubblica, n. 321.
2 Trib. Reggio Calabria, 9.4.2007, in Famiglia e minori, 2007, fasc. 10, 73; Trib. Napoli, 25.11.2004, in Foro it. Rep., 2005, voce Giurisdizione civile, n. 251.
3 Cons. St., sez. VI, 21.3.2005, n. 1134, in Urb. App., 2006, 468; TAR Campania, 9.1.2014, n. 51, in Foro amm., 2014, 315.
4 In Foro it., 2015, III, 149.