OBLIO, DIRITTO ALLO.
– Il tempo, la memoria, l’oblio. La nozione giuridica di oblio. Il diritto all’oblio nella società dell’informazione. Il diritto all’oblio e Internet. Bibliografia
Il tempo, la memoria, l’oblio. – I fatti naturali e le azioni degli uomini accadono e si compiono nel presente, lungo la sottile linea di confine che separa il passato dal futuro.
Ciò che è accaduto e si è ormai compiuto si colloca inesorabilmente nel passato e rimane attingibile soltanto dalla memoria e dal ricordo che di esso si conservi.
È la memoria, dunque, che consente di richiamare al presente i fatti del passato e di preservarne nel tempo il dato di conoscenza, il valore di esperienza e le implicazioni emozionali. Ma la memoria, inevitabilmente, è esposta alle ingiurie del tempo: i ricordi tendono progressivamente ad affievolirsi, a perdere di nitidezza, ad alterarsi; fino a cancellarsi e a perdersi in via definitiva e irrimediabile.
E, così, a cagione del trascorre del tempo – e in mancanza di segni e di tracce materiali durevoli che custodiscano e preservino la memoria dei fatti del passato – i ricordi vengono coperti dal velo dell’oblio e della dimenticanza. La perdita del ricordo, tuttavia, può non essere il risultato di un processo psichico naturale, ma – al contrario – costituire l’esito perseguito da una specifica volontà, consapevole o inconscia, volta a dimenticare esperienze passate ed episodi della vita vissuta che possano riuscire di impedimento o di ostacolo al presente e alla vita ancora da vivere.
In questa diversa prospettiva, l’oblio si propone non come uno stato del conoscere, ma come condizione psichica o come oggetto di un anelito o contenuto di un volere.
Gli studi di psicanalisi, infatti, offrono una nozione di oblio come risultato di un processo difensivo di rimozione di ricordi negativi o sgraditi. Cosicché la dimenticanza del passato può risultare funzionale e utile a vivere meglio il presente e una vita – per così dire – ‘nuova’, emendata e resa libera dal peso di una memoria avvertita come angosciante.
D’altra parte, l’idea della soppressione del ricordo della vita passata come condizione necessaria all’avvio di una vita nuova o per accedere a una vita di superiore virtù risale molto in là nel tempo.
Appartiene alla tradizione più antica il mito del Lete, il fiume della dimenticanza presso il quale i trapassati dovevano abbeverarsi per perdere il ricordo della vita passata, prima di reincarnarsi in nuovi corpi.
Il mito è stato successivamente ripreso nel Purgatorio dantesco: le anime, prima di salire in Paradiso, bevono le acque del fiume Lete che inducono l’oblio delle colpe e dei peccati terreni. L’acqua dell’oblio – con una simbologia che richiama con chiarezza il fonte battesimale della religione cristiana – lava, purifica, rende dimentichi; e, a un tempo, fa sì che le colpe siano emendate e rimesse.
L’oblio, dunque, può assumere un valore liberatorio e catartico: affrancando dal peso del passato – o, meglio, del solo passato che si voglia dimenticare – e consentendo la percezione di noi stessi come individui collocati nel solo presente e protesi verso il futuro.
La nozione giuridica di oblio. – Le relazioni tra passato e presente, memoria e oblio, potrebbero sembrare del tutto estranee alle prospettive di indagine del giurista. Ma, in realtà, il tema dell’oblio si è di recente imposto anche all’attenzione e alla riflessione degli studiosi del diritto.
Con l’adozione di formule, evocative e cariche di suggestione, come le droit à l’oubli, the right to be forgotten e il
d. all’o. si è infatti prospettata – nel nostro così come in altri ordinamenti giuridici – la possibilità di configurare l’oblio come possibile oggetto di un (nuovo) diritto soggettivo: il diritto a vedere coperte dal velo della dimenticanza vicende personali, negative o sgradevoli, già note al pubblico, ma accadute in un passato ormai lontano.
Nella prospettiva giuridica l’oblio assume – è opportuno precisarlo – tratti del tutto peculiari.
La soppressione del ricordo, in primo luogo, ha carattere selettivo. Possono assumere rilevanza, infatti, soltanto specifici fatti del vissuto personale di un individuo: quelli già usciti dalla sua sfera intima e privata e portati a conoscenza del pubblico, la perdurante memoria dei quali potrebbe risolversi nel presente in un pregiudizio per l’interessato.
Proponendosi come contenuto di un diritto soggettivo – e, dunque, di una pretesa esercitabile nei confronti di altri – l’oblio deve necessariamente intendersi non come rimozione del ricordo proprio, ma come soppressione del ricordo altrui.
Ma come si può pretendere ed esigere che altri dimentichino? Come si può imporre ad altri la rimozione della memoria?
Il ricordo individuale, la traccia mnesica, di un fatto del passato di cui si abbia avuto conoscenza non può essere certamente alterato o rimosso. E, allora, appare evidente come quel che può assumere giuridico rilievo non è l’oblio individuale ma l’oblio collettivo. E l’oblio collettivo può essere perseguito mediante l’eliminazione delle tracce materiali durevoli che custodiscano e preservino nel tempo la memoria dei fatti del passato, nonché con il divieto di riportare all’attenzione pubblica accadimenti ormai divenuti privi di interesse per la collettività.
Così inteso, il d. all’o. avrebbe a oggetto specifiche condotte materiali altrui – a contenuto positivo (obblighi di fare) o a contenuto negativo (obblighi di non fare o di astensione) – dovute da soggetti determinati.
Rimane da osservare che, a ben vedere, un siffatto diritto attiene non tanto al ricordare quanto al conoscere. Il ricordo, invero, presuppone e implica una conoscenza del fatto già precedentemente acquisita. Con il concreto esercizio del d. all’o. si tende, invece, a precludere la conoscenza di fatti passati anche a coloro i quali di tali accadimenti siano stati ignari e lo siano tuttora.
Il diritto all’oblio nella società dell’informazione. – Nella società contemporanea, caratterizzata dalla diffusione e dalla pervasività dei mezzi di comunicazione di massa, i fatti di cronaca vengono sistematicamente rilevati e portati a conoscenza del pubblico.
Peraltro, le tecnologie oggi disponibili e concretamente utilizzate dagli operatori del settore consentono non soltanto una capillare diffusione delle notizie, ma anche la conservazione di esse su supporti materiali durevoli.
La progressiva e ormai sistematica digitalizzazione dei materiali informativi – siano essi articoli a stampa, trasmissioni televisive, immagini fotografiche, filmati o prodotti audiovisivi in genere – ha condotto alla formazione di imponenti archivi elettronici, mediante i quali le notizie di accadimenti passati possono essere conservate nel tempo, agevolmente reperite e altrettanto agevolmente riproposte, ove occorra, all’attenzione del pubblico.
La memoria del passato è divenuta, per così dire, permanente; e il ricordo – richiamabile e attingibile in qualsiasi momento – potenzialmente perenne.
Risulta, dunque, agevole comprendere come in questo contesto l’esigenza di apprestare tutela giuridica contro la possibile riproposizione al pubblico di fatti e vicende di un passato ormai lontano sia stata avvertita con particolare intensità e urgenza. Tuttavia, si deve riconoscere che – a oggi – i contorni del d. all’o. rimangono ancora poco nitidi e piuttosto sfumati.
Non si dubita in ordine alle ragioni della tutela: l’oblio collettivo consente di veder definitivamente dimenticato un vissuto personale ormai superato e non più attuale; l’ingiustificata riproposizione al pubblico di fatti passati potrebbe, per contro, comportare nuove sofferenze psicologiche ed emotive, nonché arrecare un pregiudizio alla reputazione e un vulnus alla vita di relazione.
Non si dubita neppure del fondamento normativo della tutela, che andrebbe rinvenuto nell’art. 2 della Costituzione: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».
Non si dubita, infine, della riconducibilità del d. all’o. alla composita categoria dei diritti della personalità. Si discute, tuttavia, se il d. all’o. sia da considerare un diritto della personalità nuovo e autonomo; o se esso costituisca null’altro che un particolare aspetto del diritto alla reputazione, o del diritto alla riservatezza, o – come sembrerebbe preferibile – del diritto all’identità personale (inteso, quest’ultimo, come diritto alla corretta rappresentazione del-l’immagine attuale del soggetto).
Ma è sul piano applicativo che si manifestano problemi di sicuro rilievo. L’art. 2 Cost. – che è norma priva di fattispecie – non offre indicazioni utili all’individuazione degli elementi costitutivi del diritto al quale appresta protezione. Ne consegue che il compito di determinarli è inevitabilmente rimesso al giudice, chiamato a integrare – o, se si preferisce, a specificare – il contenuto del precetto costituzionale.
Il giudice, inoltre, è tenuto a operare un delicato bilanciamento tra diritti, di rilievo costituzionale, apertamente confliggenti. Appare evidente, infatti, come la tutela del d. all’o. comporti il sacrificio del diritto di informare e di essere informati.
Esemplare, di questa opera di bilanciamento tra ‘diritti antagonisti’, il principio giurisprudenziale enunciato dalla Corte di cassazione: «Il legittimo esercizio del diritto di cronaca richiede che la notizia sia attuale; ne discende che non è lecito divulgare nuovamente, dopo un consistente lasso di tempo, una notizia che in passato era stata legittimamente pubblicata; ma quando il fatto precedente, per altri fatti sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse pubblico all’informazione» (Cassazione civile 9 apr. 1998 nr. 3679 e, più di recente, Cassazione civile 26 giugno 2013 nr. 16111).
Si può notare come il criterio decisorio adottato si fondi sull’attualità della notizia: la distanza temporale dall’evento comporterebbe la perdita di tale attributo ed escluderebbe la persistenza dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto.
Un simile criterio, tuttavia, condurrebbe a esiti non del tutto condivisibili se applicato anche alle opere di ricostruzione storica o a quelle di analisi politica, sociologica, di costume e culturale in genere, che guardino al passato per meglio intendere il tempo presente. In questa prospettiva si avverte come la memoria collettiva dei fatti del passato costituisca patrimonio dell’intera società; e, come tale, essa sia da considerare indisponibile, irrinunciabile e non sacrificabile.
Il diritto all’oblio e Internet. – Gli archivi digitali, che consentono la conservazione dei materiali a contenuto informativo, non sono accessibili ai soli operatori professionali del settore: grazie alla rete Internet, essi sono oggi costantemente e agevolmente fruibili da chiunque.
Cosicché, se è vero che l’uso sempre più diffuso di Internet ha reso certamente più agevole l’accesso alle informazioni e la condivisione delle conoscenze, è altresì vero che la rete espone i beni della reputazione, della riservatezza e dell’identità personale a nuovi e più insidiosi pericoli.
È circostanza nota che per un qualsiasi utente è sufficiente digitare il nome di un individuo nella stringa di un motore di ricerca per ottenere una visione complessiva delle informazioni, relative a quella data persona, reperibili sul web (e tra queste, come è ovvio, anche quelle contenute negli archivi delle testate giornalistiche on-line).
Perché si abbia lesione del d. all’o., dunque, non è più necessario che un operatore professionale del settore informativo riproponga all’attenzione generale fatti del passato, pubblicando nuovamente la notizia di eventi lontani: la notizia è on-line e, come tale, rimane sempre accessibile sul web e insuscettibile di essere dimenticata.
In Internet tutte le notizie, vecchie e nuove, sono contemporaneamente presenti: la dimensione temporale della rete sembra essere quella di un ‘presente continuo’.
Ma se il web non dimentica e non consente di essere dimenticati, forse residua la possibilità di invocare un ‘diritto di non essere trovati in rete’. A tal proposito, non si può non segnalare un’importante sentenza resa dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea il 13 maggio 2014, nel caso ormai noto come Google Spain.
La Corte – facendo, peraltro, applicazione della direttiva 94/46 CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ott. 1995 «relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati», attuata nell’ordinamento giuridico italiano con il d. legisl. 30 giugno 2003 nr. 196 («Codice in materia di protezione dei dati personali») – ha valutato come sussistente a carico dei gestori di motori di ricerca l’obbligo di rimuovere, su richiesta dell’interessato, i link verso pagine web pubblicate da terzi (la cd. deindicizzazione o de-listing) e contenenti informazioni riguardanti la persona del richiedente, se pregiudizievoli o lesive per la sua vita privata. All’esito della de-indicizzazione il dato non comparirà più tra i risultati dell’interrogazione nominativa che venga effettuata sul motore di ricerca; e ciò renderà il dato – che pure rimane presente sul sito web che lo ha pubblicato – non più agevolmente attingibile da parte della generalità degli utenti di Internet.
È comunque facile prevedere che, anche in relazione al cd. diritto di non essere trovati in rete, si porrà inevitabilmente – nel prossimo futuro – il problema del bilanciamento tra il diritto del singolo individuo al rispetto della vita privata e il contrapposto diritto degli utenti della rete a rinvenire le informazioni disponibili in Internet: oggi elevati a diritti fondamentali dell’Unione Europea dagli artt. 7 e 11 della Carta di Nizza.
Bibliografia: G.B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, «Rivista di diritto civile», 1990, parte I, pp. 801 e segg.; P. Ricoeur, Das Rätsel der Vergangenheit. Erinnern, Vergessen, Verzeihen, Göttingen 1998 (trad. it. Ricordare, dimenticare, perdonare, Bologna 2012); Il diritto all’oblio, Atti del Convegno di studi, Urbino 1997, a cura di E. Gabrielli, Napoli 1999; P. Ricoeur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris 2000 (trad. it. Milano 2003); M.R. Morelli, Oblio (diritto all’), in Enciclopedia del diritto, 6° vol. di aggiornamento, Milano 2002, ad vocem; M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli 2009; F. Pizzetti, Il caso del diritto all’oblio, Torino 2013; S. Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Roma-Bari 2014; Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, a cura di G. Resta, V. Zeno-Zencovich, Roma 2015.