Abstract
Nel volgere di pochi anni lo scenario delle fonti del diritto civile è nuovamente mutato, e, se possibile, divenuto sempre più complesso. Il Codice Civile, la cd. ‘costituzione dei rapporti tra privati’, ha subito notevoli modificazioni dal 1942 ad oggi, e gli interventi sul testo, insieme con il moltiplicarsi di numerose leggi speciali destinate ad innovare profondamente singoli settori dell’ordinamento privatistico, documentano l’evoluzione del diritto civile. Si è accentuato il fenomeno del ‘policentrismo legislativo’ in base al quale la funzione di regolamentazione delle attività e dei singoli rapporti privati tende a spostarsi dagli organi istituzionalmente deputati a creare norme ad altri soggetti. A queste spinte policentriche si contrappone l’opera razionalizzatrice del legislatore nazionale che promuove la redazione di ‘codici di settore’. Premessi brevi cenni in ordine alle origini della codificazione civile in senso ‘moderno’, segue la trattazione delle principali fonti del diritto civile, comprese quelle provenienti ‘dal basso’, frutto o della spontanea osservanza di regole di comportamento in determinati ambiti circoscritti, ovvero frutto dell’esplicazione dell’autonomia privata.
Le ideologie della codificazione concernono: il volontarismo, cioè la concezione della provenienza delle regole giuridiche da un’autorità suprema; l’imperativismo, nel senso che, trattandosi di leggi secolari, esse costituiscono un complesso di comandi; lo psicologismo, nel senso che la volontà dell’autorità è la volontà del ‘legislatore’. A queste ideologie potremmo associare anche quella garantistica: se il codice esprime in modo chiaro le regole, ogni destinatario sa o può sapere quali sono le regole che deve osservare, quali le sanzioni che gli saranno applicate in caso di loro violazione; quindi il codice offre garanzie di certezza e conoscibilità del diritto (Ferrante, R., Dan s l’ordre établi par le code civil. La scienza del diritto al tramonto dell’illuminismo giuridico, Milano, 2002).
Per redigere un codice si possono seguire varie tecniche. I razionalisti (come Leibniz) eleggono a codice ideale il codice che è descrittivo di proposizioni giuridiche e sistematico, nel senso che le proposizioni giuridiche seguono un ordine, dal generale al particolare, e sono composte in settori a seconda degli oggetti normati. Segue questo modello il Codice prussiano del 1794 ( Allgemeines Landrecht für die Koeniglich-Preussischen Staaten ). Un modello parzialmente diverso, non espresso in un codice, ma in opere teoriche destinate a rendere elementare la scienza giuridica, a unificare le fonti del diritto, a razionalizzarne il contenuto, è seguito dai giuristi francesi dell’inizio e della metà del Settecento, come Domat e Pothier: far discendere dal diritto naturale, dal diritto romano e dal diritto consuetudinario regole omogenee, applicabili in ogni regione dello Stato, non poggianti su concetti, ma su situazioni pratiche descritte in modo elementare.
Nelle codificazioni dell’Ottocento, temporalmente succedutesi dal Code civil (1804) e dal Code de commerce (1807) al Codice civile austriaco (1811), ai Codici italiani preunitari, al Codice civile e di commercio italiani (1865), al nuovo Codice di commercio italiano (1882), al Codice tedesco (1896-1900), i valori sono sufficientemente omologhi: il Codice è destinato ad un soggetto unitario, e i soggetti sono considerati (formalmente) eguali tra loro; il Codice prende in considerazione l’istituto principe, quale motore dell’economia, cioè la proprietà, e accanto a questa il commercio; i soggetti sono considerati in quanto proprietari o commercianti.
I Codici disciplinano i rapporti tra i privati, operanti nell’ambito della società civile. I rapporti tra i soggetti (intesi questa volta come subiecti ) e l’autorità, cioè lo Stato, sono regolati da carte costituzionali; dopo le prime carte dei diritti (dei cittadini) della fine del Settecento, con i primi moti del 1821, le carte costituzionali più rilevanti si susseguono a partire dal 1848. Tali carte, concesse dall’autorità (il monarca), riconoscono ai subiecti alcune libertà fondamentali, e, soprattutto, introducono la divisione dei poteri secondo il modello attribuito a Montesquieu (potere legislativo, potere esecutivo, potere giudiziario). La separazione tra le due categorie di rapporti è netta: gli ‘statuti’ (le costituzioni) sono circoscritti al rapporto cittadino-Stato; i Codici civili e di commercio riguardano i rapporti tra cittadini.
Il Codice assolve anche a una funzione di ‘collante’: è la costituzione dei rapporti tra privati; ma certi rapporti, per la loro rilevanza e per la loro complessità, sono disciplinati con leggi ad hoc, per l’appunto denominate ‘speciali’: ad es., le leggi sugli espropri, le leggi sull’amministrazione pubblica, sulla cittadinanza, ecc. (Rescigno, P., Introduzione al Codice civile, Roma-Bari, 1991; Cappellini, P. – Sordi, B., a cura di, Codici. Una riflessione di fine millennio, Milano, 2002).
Il primo non solo per priorità temporale, ma anche per rilevanza, è il Code civil, introdotto in Francia nel 1804 (entrato in vigore nel 1806) ed esportato da Napoleone via via nei territori conquistati. È ancora in vigore in Francia, anche se aggiornato, ed è stato imitato quasi in tutto il mondo. Il Code civil fu tradotto in italiano e nel 1806 entrò in vigore nelle regioni che componevano il Regno d’Italia di origine napoleonica. Per espressa prescrizione di legge (r.d. 15.11.1808) la versione italiana viene introdotta nelle Università e nei licei con il raffronto con il diritto romano (al riguardo è significativa l’edizione a cura di Onofrio Taglioni, pubblicata a Milano nel 1809).
Sorto come atto politico necessario ad esprimere la frattura con l’Ancien Régime, e come complesso normativo destinato a unificare e razionalizzare le regole che governavano i rapporti tra privati, il Code civil reca le stimmate dell’Illuminismo, ma non è la completa espressione degli ideali della Rivoluzione francese; anzi, si ritiene che, essendosi arrestato con l’avvento di Napoleone il processo politico-sociale rivoluzionario, il Code esprima piuttosto le esigenze del ceto borghese che aveva raggiunto il potere e con il Codice voleva rinsaldarlo. In ogni caso, è un capolavoro, di chiarezza, di sintesi e di acume tecnico.
Le diverse redazioni (le prime tre dovute a Cambacérès, e l’ultima all’impegno di Portalis) tendono a contemperare le regole della tradizione romanistica, la loro sistemazione ad opera di Domat e Pothier, con le consuetudini e le discipline locali particolari. Il Code civil si compone di un titolo preliminare, e di tre libri (secondo lo schema delle Istituzioni di Gaio - personae, res, actiones -); i titoli dei libri sono: le persone, i beni, i modi di acquisto della proprietà; la disciplina del contratto e delle responsabilità civile, così come quella delle successioni, sono perciò contenute nel III libro.
La caduta di Napoleone non comportò, automaticamente, l’abrogazione del suo Codice, né in Francia, né nei territori conquistati. Ad esempio, nel Regno di Sardegna, mentre in Piemonte ritornavano in auge le costituzioni pre-rivoluzionarie, in Sardegna si dava piglio alla introduzione di nuove leggi, il Codice civile napoleonico restò in vigore in Liguria fino alla elaborazione del nuovo Codice emanato dal re Carlo Alberto nel 1837.
Il Codice francese è padre di molti figli. Oltre ad influenzare incisivamente il Codice albertino (del 1837) funge da modello per il Codice parmense, per il Codice estense e per lo stesso Codice del Regno delle due Sicilie del 1819, e soprattutto per il primo Codice dell’Italia unita, del 1865.
Dal Code civil ha tratto modelli, terminologie, regole (così come dai Codici preunitari che si erano ispirati al Code civil ) il primo Codice unitario italiano del 1865.
Non dobbiamo dimenticare che fino al 1918, nelle province italiane dell’impero asburgico si applicava il Codice civile austriaco, introdotto nel 1811 e nella versione italiana nel 1816. Di questo fatto storico è rimasta traccia non solo nel tessuto costituzionale (con l’autonomia speciale della Regione Trentino-Alto Adige, nelle sue due province di Trento e Bolzano, e della Regione Friuli-Venezia Giulia) ma anche nella disciplina di istituti locali (come il maso chiuso ) e nella disciplina della pubblicità immobiliare, in cui si applica il c.d. diritto tavolare (Alpa, G., La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 1999).
Avvenuta l’unificazione politica nel 1861, con l’estensione del dominio di casa Savoia sugli altri Stati della penisola (che si sarebbe completata con l’annessione dello Stato pontificio nel 1870), occorreva risolvere il problema dell’unificazione legislativa e amministrativa, la quale, da un lato, avrebbe consolidato e rafforzato l’unificazione, dall’altro avrebbe consentito di introdurre regole giuridiche e amministrative più conformi alle esigenze dei tempi. Attesa l’eterogeneità della disciplina, i Savoia non pretesero di estendere ai nuovi territori l’ordinamento vigente nel Regno sardo-piemontese, ma procurarono di dare al nuovo Stato un nuovo ordinamento. Sicché in pochi anni i giuristi compirono un’opera straordinaria: elaborarono un nuovo Codice civile e un Codice di commercio (1865); in più, predisposero alcune leggi amministrative fondamentali in materia di attività della pubblica amministrazione, di espropri, ecc. (Giannini, M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1993; Cassese, S., Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983).
Il Codice civile del 1865 era articolato in tre libri, ruotanti intorno alla proprietà (persone, proprietà, modi di acquisto della proprietà). Attraverso il filtro dei Codici degli Stati italiani anteriori all’unificazione politica del 1861 sotto il Regno sabaudo risaliva al modello principe, cioè al Codice napoleonico. In materia di rapporti familiari, era un Codice autoritario, affidando al marito il governo della vita della moglie e dei figli; era un Codice laico, perché riconosceva solo il matrimonio civile, e lasciava aperta la via all’introduzione del divorzio.
Dalla sua introduzione passarono cinquant’anni senza riforme, salva la legge che concesse alle donne la capacità di testimoniare negli atti pubblici e privati (l. 9.12.1877, n. 4167), e salve le leggi che abolirono la carcerazione per debiti (l. 6.12.1877, n. 4166) e quelle che modificarono la disciplina degli espropri.
Alla fine del secolo il Parlamento cominciò ad occuparsi delle questioni sociali, introducendo provvidenze per le classi lavoratrici. Si avvertì pure l’esigenza di modificare il Codice di commercio, prendendo a modello non più il Codice napoleonico, ma il Codice di commercio tedesco del 1861. Il nuovo Codice di commercio fu definito da Labriola «il libro d’oro della borghesia»; esso fu il bersaglio degli strali di un maestro del diritto commerciale, Cesare Vivante, il quale vide nelle nuove regole lo specchio delle richieste di privilegi avanzate dai commercianti, cioè dai banchieri, dagli assicuratori, dai vettori, dai rivenditori, a danno del pubblico dei consumatori, e, sostanzialmente, delle classi deboli (Grossi, P., Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998; Id., Scienza giuridica italiana 1860/1950. Un profilo storico, Milano, 2000; Alpa G., La cultura delle regole, cit.).
Durante e subito dopo il primo conflitto mondiale (1915-1918) si registrano le grandi innovazioni, introdotte con leggi speciali. Esse riguardano l’abolizione dell’autorità maritale (1919), l’unificazione legislativa con le nuove province (Trento e Trieste) con cui si salvava però l’istituto proprietario-agrario del maso chiuso, il sistema pubblicitario tavolare, il divorzio, l’introduzione della legislazione vincolistica in tema di locazioni. Si era anche provveduto a introdurre una nuova disciplina della cittadinanza (l. 13.6.1912, n. 555) e alcune modifiche alla disciplina delle successioni, con la limitazione della successione legittima (ab intestato) ai parenti entro il sesto grado, con la vocazione dello Stato alle successioni vacanti (d.lgt. 16.11.1916, n. 1688).
La legislazione di guerra è molto importante (Rondinone, N., Storia inedita della codificazione civile, Milano, 2003), perché spezza la ripartizione tra diritto dei privati e diritto pubblico, obbliga a rimeditare le categorie portanti del diritto privato (in particolare, la nozione di proprietà) e si presenta come portatrice di valori egalitari e sociali.
Il diritto privato non è più soltanto il diritto del codice civile, ma è il diritto che trova sempre più le sue fonti nella legislazione speciale.
Dopo la ‘marcia su Roma’ (28.10.1922) e la presa di potere di Benito Mussolini, si avvia la costruzione di un nuovo ordinamento, informato alla ideologia del regime fascista. Si propone e si approva la delega al Governo per emendamenti al Codice civile (l. 30.12.1923, n. 2814). Viene istituita una commissione reale, divisa in quattro sottocommissioni, di cui la prima è presieduta da un maestro del diritto romano e del diritto civile, Vittorio Scialoja.
La Commissione reale, composta da civilisti e romanisti, magistrati e avvocati, iniziò i suoi lavori già nel 1924; nel 1928, parallelamente, fu redatto un Codice italo-francese delle obbligazioni; nel 1930 era pronto il progetto del I libro sulle persone comprensivo delle norme sulla famiglia; il progetto del libro delle successioni e donazioni (allora, libro III) vide la luce nel 1936, e il progetto sulle cose (allora, libro II) vide la luce nel 1937. I progetti furono diffusi nelle Università e sottoposti al parere della magistratura e dell’avvocatura; tutti concorsero con osservazioni, suggerimenti, proposte di emendamento, a discutere i progetti.
Il Codice entrò in vigore con r.d. 16.3.1942, n. 262 (approvazione del testo del Codice civile), accompagnato da una Relazione al Re, che corrispondeva alle ampie relazioni normalmente redatte per chiarire le scelte di principio, le soluzioni tecniche, le ragioni delle innovazioni. Al Codice si sono anteposte «disposizioni sulla legge in generale (o preleggi)», e con r.d. 30.3.1942, n. 318 si sono posposte le disposizioni per l’attuazione e le disposizioni transitorie.
Al suo apparire il Codice era preceduto dalla Carta del Lavoro, un manifesto del regime, approvato con legge del 1926, in cui si enunciavano i principi generali del nuovo ordine. Fino al 1939-1940 il Codice civile resta separato dal Codice di commercio, alla cui revisione attendeva un’altra commissione.
È in questo torno d’anni che si riprende l’idea della unificazione dei due Codici, che troverà la sua naturale realizzazione nel Codice civile unificato del 1942, oggi vigente, di cui si dirà più ampiamente tra poco.
Dal punto di vista storico, il Codice civile italiano del 1942 è l’ultimo dei diversi Codici che hanno governato i rapporti privatistici nel nostro Paese dall’inizio dell’Ottocento, e, attesa la sua riconosciuta perfezione tecnica, è stato preso a modello dai nuovi Codici dell’America latina.
Usualmente, il diritto privato si identifica con il diritto civile per antonomasia; ma esso è composto da un altra branca, il diritto commerciale; la bipartizione è rimasta nella organizzazione degli studi; però a seguito della unificazione del Codice civile e del Codice di commercio, mantenere la separazione non ha più senso (Cian, G., Il diritto civile come diritto privato comune, in Riv. dir. civ., 1989, I, 1 ss.).
La branca del diritto commerciale fino al 1942 ha in ogni caso registrato uno sviluppo autonomo.
Nel suo corso di diritto commerciale Tullio Ascarelli (Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, 1962), uno dei massimi commercialisti del XX secolo, osservava che a partire dalla caduta dell’impero romano e dal progressivo assorbimento da parte del diritto romano di istituti consuetudinari e locali fino a divenire diritto positivo, e per i vari secoli che ci separano dalla unificazione di diritto commerciale e di diritto privato (1942), il diritto comune, nella dicotomia ‘naturale’, costituiva la parte più variabile, più evoluta e aderente alla realtà concreta; una sorta di ius honorarium rispetto alla fissità del ius civile. Questa branca del diritto progredisce con il progredire dell’economia, regolando gli scambi; nascono le obbligazioni, i cambi, gli istituti di credito, le assicurazioni, le azioni (la cui derivazione è di natura processuale indicando appunto il mezzo per riottenere la quota conferita) e così via.
In Italia i vari Codici di commercio si sono susseguiti in modo distinto ed autonomo dai Codici civili; sia nel 1865 che nel 1882 (i primi Codici di commercio unitari) si mantiene questa distinzione; muta, però, soprattutto per merito del Codice di commercio napoleonico (1806-1807), il criterio di qualificazione degli atti commerciali: si passa cioè da un profilo ‘soggettivo’, che qualifica come ‘commerciali’ gli atti compiuti dal soggetto che possiede la qualità di ‘commerciante’, ad un profilo oggettivo che, tralasciando il soggetto che li pone in essere, considera tali gli atti che intervengono a regolare attività commerciali (es. vendita). Questo passaggio fino al 1942 non è completo in Italia: sono aboliti fino dall’inizio del secolo i Tribunali di Commercio, ma continuano ad esser qualificati come ‘commerciali’ gli atti compiuti dai ‘commercianti’. Sicché si ha l’assurda situazione secondo cui una semplice vendita intercorrente tra produttore (o rivenditore) e consumatore è unilateralmente atto commerciale, in quanto posto in essere da un commerciante, e, da parte dell’acquirente, è un atto ‘civile’.
Il diritto commerciale che prima era diritto di una determinata classe (commercianti; ‘borghesia’) si estende quindi a tutti i consociati ed i suoi principi diventano principi di diritto comune. Se volessimo cogliere il senso di questa estensione dell’ambito delle norme mercantili lo potremmo indicare nella progressiva ‘oggettivazione’ del diritto commerciale. Il diritto si applica agli atti oggettivamente considerati prescindendo dalle qualifiche soggettive; ai regimi diversi secondo le varie classi si sostituisce un diritto uniforme per tutti i soggetti.
L’unificazione di diritto civile e diritto commerciale è avvenuta, per ragioni politiche con il codice civile del 1942. Per più di mezzo secolo questa unificazione ha retto dal punto di vista normativo, mentre, dal punto di vista didattico, i due settori sono rimasti separati. Qualche legislatore in Europa ha seguito il modello italiano: è accaduto, ad esempio, nei Paesi Bassi, il cui nuovo codice civile del 1980 ha inglobato la materia del diritto commerciale. In tutti gli altri ordinamenti europei a codificazione scritta, per contro, la separazione è stata conservata.
Nell’ambito del diritto comunitario si è adottato - come si vedrà più in dettaglio nel prosieguo - un linguaggio giuridico e categorie concettuali assai affini ai modelli francesi e tedeschi, talvolta commisti ai modelli inglesi, sicché le regole di derivazione comunitaria hanno finito per perpetuare la distinzione tra le due partizioni del diritto privato. E così si va radicando anche nel nostro ordinamento e nella nostra cultura giuridica una nuova separazione, non più assistita dai presupposti ideologici che sorressero la precedente, ma comunque antitetica alla unificazione oggi ancora vigente. Di questo problema si parlerà oltre, anche a proposito della distinzione tra contratti dei consumatori, contratti dei professionisti e contratti tra privati.
Il Codice civile è una legge ordinaria: la più lunga, articolata, organica, legge ordinaria.
Il Codice civile è diviso in sei libri: «delle persone e della famiglia» (I), «delle successioni» (II), «della proprietà» (III), «delle obbligazioni» (IV), «del lavoro» (V), «della tutela dei diritti» (VI). Ogni libro è diviso in titoli, i titoli sono suddivisi in capi e i capi in sezioni.
Originariamente conteneva 2969 articoli e si presentava, ed è tuttora, come uno dei Codici più lunghi del mondo (è stato però superato dal Codice olandese del 1980-1990); con il tempo, molti articoli sono caduti per effetto di abrogazione legislativa o per declaratoria di incostituzionalità, altri sono stati introdotti in occasione di riforme, con la tecnica della novellazione (cioè la sostituzione del vecchio testo con quello nuovo) e con l’inserzione di articoli con numeri accompagnati da aggettivazione latina (bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, ecc.).
Alcune materie sono state invece regolate con leggi speciali (fallimento, divorzio, adozione dei minori, ecc.).
L’ordine di esposizione è nuovo: non si tratta solo di un segno di modernità dovuto ad esigenze di immagine del regime fascista, sotto il quale è nato, anche se non ne ha portato le stimmate, ma di una esigenza di adeguamento della concezione del Codice e del diritto privato ai risultati della elaborazione scientifica. Si è superato quindi lo schema tripartito di Gaio (personae, res, actiones ) per seguire questo itinerario: la persona intesa come individuo e gli enti (cioè i soggetti di diritto); la persona nella famiglia; dai rapporti familiari, intesi in senso patrimoniale, si passa al trasferimento dei rapporti e dei beni per causa di morte (successioni); seguono i beni; le obbligazioni; l’impresa, il lavoro e le società; finalmente gli istituti residuali. I titoli dei libri sono solo in parte riferitivi dei contenuti, dando rilevanza ai fenomeni più importanti (ad es. nel libro delle successioni si trattano anche le donazioni) oppure riflettendo l’ideologia corporativa (il libro del «lavoro» comprende tutte le forme di esercizio dell’attività economica a titolo individuale e poi le regole di funzionamento delle società), oppure riassumendo argomenti eterogenei tra loro (tutela dei diritti).
Il Codice non è una tavola combinatoria da cui si possono dedurre tutti i casi futuri, bensì un principio di selezione strutturale dei conflitti mano a mano che si presentano e uno strumento di organizzazione delle relative decisioni nell’unità del sistema giuridico, garantendo così al suo interno il primato dell’argomentazione giuridica.
Sono notevoli le innovazioni rispetto al Codice del 1865. Talvolta esse riflettono esigenze di carattere tecnico e pratico (come accade, ad es., per la più articolata disciplina del contratto o della responsabilità civile); altra volta riflettono esigenze del momento (come accade per la legislazione di guerra: ad es., ammassi, requisizioni); altra volta ancora introducono nuovi istituti: ad es. la cessione del contratto, e molti contratti tipici. Anche il linguaggio è tecnicamente più preciso e più moderno.
L’innovazione più rilevante è però segnata dalla fusione di Codice civile e Codice di commercio: il che costituisce una novità, dal momento che ancor oggi in molti Paesi i due testi sono rimasti separati (come in Francia, in Spagna, ecc.).
Essa, almeno dichiaratamente, rispondeva alla concezione corporativa di unificare in un solo Codice tutte le regole destinate a disciplinare i comportamenti dell’homo oeconomicus. Le particolari circostanze in cui si decise il mutamento di orientamento sono ancora oggi oscure (Teti, R., Codice civile e regime fascista, Milano, 1990).
Quanto alle altre novità, si è soppresso il consiglio di famiglia, si è prevista una disciplina di coordinamento tra il matrimonio civile e il matrimonio religioso ad effetti civili, si sono regolati in modo più articolato i rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi; il Codice aveva previsto anche la dote, poi soppressa dalla riforma del 1975; ha reintrodotto seppure nei limiti angusti la sostituzione fedecommissaria; nella disciplina della proprietà, ha mantenuto una miriade di regole sui rapporti di vicinato, ma ha introdotto regole sulla bonifica e sui consorzi; ha disciplinato il condominio; nella materia delle obbligazioni pur sotto l’imperante influsso culturale tedesco ha evitato di disciplinare il negozio giuridico, unificando le regole sotto la disciplina del contratto; ha ripudiato la distinzione tra contratti e quasi-contratti, delitti e quasi-delitti di derivazione francese. Nel libro V, accanto alla disciplina del rapporto di lavoro che è del tutto innovativa, ha introdotto più precise disposizioni in materia di impresa e di società (v. infra ).
Il Codice civile ha subìto notevoli modificazioni dal 1942 ad oggi e gli interventi sul testo, insieme con il moltiplicarsi di numerose leggi speciali destinate a innovare profondamente singoli settori dell’ordinamento privatistico, documentano l’evoluzione del diritto civile, la sua progressiva integrazione con il diritto pubblico, il delinearsi di una nuova partizione del diritto (tra diritto comune e diritto dello sviluppo economico), infine una vera e propria fase innovativa del diritto civile.
Considerando tali innovazioni non in senso temporale, ma seguendo l’ordine dei libri del Codice, è sufficiente indicare alcune notevoli modifiche per intendere in che modo sta evolvendo il diritto civile, e quindi in che modo si trasforma il Codice civile.
L’intera materia dei rapporti familiari è stata modificata con la legge di riforma del diritto di famiglia, del 19.5.1975, n. 151, che reca anche importanti innovazioni nel settore delle successioni legittime; si è introdotto l’istituto del divorzio (l. 1.12.1970, n. 898, con le modificazioni della l. 1.8.1978, n. 436 e della l. 6.3.1987, n. 74) e una diversa forma di adozione per i minori (l. 5.6.1967, n. 431 e l. 4.5.1983, n. 184); il regime del matrimonio concordatario è stato rivisto con l’accordo di Villa Madama del 18.2.1984 (reso esecutivo con l. 25.5.1985, n. 121, che modifica il Concordato del 1929). È stata poi approvata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (l. 22.5.1978, n. 194).
La disciplina della proprietà ha subìto grandi trasformazioni, non solo per l’intervento dello Stato, ma anche per effetto della disciplina comunitaria e della disciplina regionale in materia di proprietà agraria, di caccia, di tutela della flora e della fauna, di beni culturali e ambientali (d.P.R. 24.7.1977, n. 616); ed inoltre per l’introduzione di importanti corpi legislativi in materia di disciplina della proprietà edilizia (l. 28.1.1977, n. 10), delle locazioni urbane (l. sull’equo canone, 27.7.1978, n. 392), delle terre incolte (l. 2.8.1978, n. 439) (Breccia, U., I quarant’anni del libro terzo del codice civile, in Riv. crit. dir. priv., 1983, 377).
Il settore delle obbligazioni e dei contratti ha subìto in genere minori modifiche: importanti interventi sono stati però operati sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani (l. 27.7.1978, n. 392); dei contratti agrari (l. 15.9.1964, n. 756) e dei fondi rustici (l. 11.2.1971, n. 11 e l. 3.5.1982, n. 203) (Gandolfi, G., L’attualità del libro quarto del codice civile nella prospettiva di una codificazione europea, in Riv. dir. civ., 1993, I, 415).
Completamente modificato è poi il rapporto di lavoro, sia per la espansione dei contratti normativi di categoria, sia per la introduzione di una legge sui principi fondamentali del lavoro, lo Statuto dei lavoratori (l. 20.5.1970, n. 300), insieme con l’introduzione di un nuovo processo di lavoro (l. 11.8.1973, n. 533) (Cottino, G., I cinquant’anni del codice civile: il libro del lavoro, in Giur. comm., 1993, I, 5).
Inoltre, si è avviata la riforma delle società per azioni (l. 7.6.1974, n. 216, recante disposizioni relative al mercato mobiliare e al trattamento fiscale dei titoli azionari; l. 10.2.1986, n. 30, contenente norme di modifica del Codice civile) e si è dato vita ad un primo nucleo di disciplina del ‘mercato mobiliare’ (l. 23.3.1983, n. 77, l. 4.6.1985, n. 281, l. 2.1.1991, n. 1). Altre riforme importanti riguardano settori specifici, come quello dell’assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e dei natanti (l. 24.12.1969, n. 990; l. 26.2.1977, n. 39) e la disciplina del commercio (l. 11.6.1971, n. 426). Le società – in particolare le società di capitali – sono state investite nuovamente da una radicale riforma con il d.lgs. 17.1.2003, n. 6 (e con d.lgs. 17.1.2003, n. 5 per il processo in materia societaria), successivamente corretto con d.lgs. 30.12.2003, n. 394, 6.2.2004, n. 37, 28.12.2004, n. 310, con riguardo alla cd. corporate governance e alla riforma del t.u. bancario (d.lgs. 1.9.1993, n. 395).
In tutti i Paesi europei i codici civili sono stati o sono oggetto o si preannuncia che saranno oggetto di ampie riforme. L’evoluzione rapida dei meccanismi che governano il mercato, il succedersi di innovazioni scientifiche e tecnologiche, l’emergere di esigenze sociali nuove, fa sì che le ‘tavole della legge civile’ non possano considerarsi più dotate di stabilità, come avveniva nell’Ottocento e ancora nella prima metà del Novecento.
I progetti in corso sono ancora più ambiziosi, perché sono diretti alla redazione di un codice civile europeo (v. Diritto civile 4. Il progetto di un codice civile europeo), nel quale fissare, sotto forma di regole generali, di principi di massima, le materie che interessano il diritto privato patrimoniale (Alpa, G.- Buccico, E.N., a cura di, Il codice civile europeo, Materiali - Consiglio Nazionale Forense, Milano, 2000; Alpa, G., Diritto civile 3. Ordinamento comunitario, in Diritto on line, 2017).
L. 6.12.1877, n. 4166; l. 9.12.1877, n. 4167; l. 13.6.1912, n. 555; d.lgt. 16.11.1916, n. 1688; l. 30.12.1923, n. 2814; r.d. 16.3.1942, n. 262; r.d. 30.3.1942, n. 318; l. 15.9.1964, n. 756; l. 5.6.1967, n. 431; l. 24.12.1969, n. 990; l. 20.5.1970, n. 300; l. 1.12.1970, n. 898; l. 11.2.1971, n. 11; l. 11.6.1971, n. 426; l. 11.8.1973, n. 533; l. 7.6.1974, n. 216; l. 19.5.1975, n. 151; l. 28.1.1977, n. 10; l. 26.2.1977, n. 39; d.P.R. n. 24.7.1977, n. 616 del 1977; l. 22.5.1978, n. 194; 27.7.1978, n. 392; l. 1.8.1978, n. 436; l. 2.8.1978, n. 439; l. 3.5.1982, n. 203; l. 23.3.1983, n. 77; l. 4.5.1983, n. 184; l. 25.5.1985, n. 121; l. 4.6.1985, n. 281; l. 10.2.1986, n. 30; l. 6.3.1987, n. 74; l. 2.1.1991, n. 1; d.lgs. 1.9.1993, n. 395; d.lgs. 17.1.2003, n. 5; d.lgs. 17.1.2003, n. 6; d.lgs. 30.12.2003, n. 394, 6.2.2004, n. 37, 28.12.2004, n. 31.
Alpa, G., La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 1999; Alpa G. - Buccico E.N., a cura di, Il codice civile europeo. Materiali, Consiglio Nazionale Forense, Milano, 2000; Ascarelli, T., Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, 1962; Breccia, U., I quarant’anni del libro terzo del codice civile, in Riv. crit. dir. priv., 1983, 377; Cappellini, P. – Sordi, B., a cura di, Codici. Una riflessione di fine millennio, Milano, 2002; Cassese, S., Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983; Cian, G., Il diritto civile come diritto privato comune, in Riv. dir. civ., 1989, I, 1 ss.; Cottino, G., I cinquant’anni del codice civile: il libro del lavoro, in Giur. comm., 1993, I, 5; Gandolfi, G., L’attualità del libro quarto del codice civile nella prospettiva di una codificazione europea, in Riv. dir. civ., 1993, I, 415; Giannini, M.S., Diritto amministrativo, Milano, 1993; Grossi, P., Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998; Id., Scienza giuridica italiana 1860/1950. Un profilo storico, Milano, 2000; Ferrante, R., Dan s l’ordre établi par le code civil. La scienza del diritto al tramonto dell’illuminismo giuridico, Milano, 2002; Rescigno, P., Introduzione al Codice civile, Roma-Bari, 1991; Rondinone, N., Storia inedita della codificazione civile, Milano, 2003; Teti, R., Codice civile e regime fascista, Milano, 1990.