Abstract
Il diritto comunitario – originariamente nato nel terreno del diritto pubblico e gradualmente estesosi ad investire il ‘substantial law’ – costituisce oggi una delle basi del diritto privato europeo, sia per le regole che, mediante le diverse fonti di produzione, sono destinate a disciplinare i rapporti dei privati, sia per i riflessi indotti nel diritto interno dai principi che si possono ricavare dal diritto comunitario stesso. Di più. Il recente processo di ratifica della Costituzione europea – che si è avviato con molte difficoltà, anche se alcuni degli Stati membri, come l’Italia, hanno accolto favorevolmente la svolta costituzionalizzante del diritto comunitario – ripropone il problema della diretta applicazione delle norme costituzionali comunitarie ai rapporti tra privati.
Anche per il diritto comunitario si può parlare di principi generali? E quali sono le questioni che essi pongono?
La dottrina ha enunciato le seguenti:
(i) quali siano i principi generali desumibili, per via di induzione, dai testi istitutivi delle Comunità e ora dell’Unione europea, dai regolamenti e dalle direttive, portanti quindi una specificità propria;
(ii) quali siano i principi generali penetrati dalle esperienze dei singoli Paesi dell’Unione, e quali quelli condivisi da tutti gli ordinamenti dell’Unione, che informano il diritto comunitario, in quanto erede della tradizione del diritto comune;
(iii) quali siano i principi maturati attraverso l’attività della Corte di Giustizia;
(iv) se mutino i principi dei diritti nazionali a seguito della creazione del diritto comunitario e della permeabilità dei diritti nazionali al diritto comunitario.
a) L’esistenza di principi generali di diritto comunitario. Il discorso, appena avviato, potrebbe già concludersi se si dovesse ritenere che nel diritto comunitario non sia possibile costruire principi generali né sia possibile rintracciarne nei testi normativi e nelle pronunce della Corte di Giustizia. Il che non è: la costruzione e identificazione dei principi del diritto comunitario, pur eclettica e di variegata origine, è un fenomeno di cui non si può mettere in dubbio l’esistenza. Dottrina (dei diversi Paesi membri e giurisprudenza (della Corte di Giustizia documentano non solo il frequente uso, ma anche il progressivo espandersi del numero dei principi (Trabucchi, A., I principi generali del diritto nell’esperienza comunitaria, in Atti del convegno linceo sul tema I principi generali del diritto, Roma, 1992, 187 ss.; Simon, D., Y a-t-il des principes généraux du droit communautaire??, in Droits, 1991, 73 ss..
Ovviamente, l’autore o il giudice riflette nella costruzione, nella identificazione, nella redazione dell’inventario, la concezione di ‘principio generale’ da cui muove. E, a proposito dei principi del diritto comunitario, si rinvengono definizioni che necessariamente a loro volta riflettono le scelte assiomatiche o ideologiche ad esse intrinseche. Così, di volta in volta, si allude ai principi generali come a regole scritte di secondo grado, a regole non scritte desumibili dalle regole scritte, a regole di logica e di buon senso, a regole informate a valori universali, e così via. In altri termini, l’essere operanti a livello comunitario, cioè parte di un ordinamento sovranazionale, non incide né sulla natura né sull’origine di tali principi. Ciò che, al momento, non si può rinvenire nel diritto comunitario è il principio di completezza, in quanto si tratta di un ordinamento che procede in modo settoriale; e pertanto di volta in volta occorrerà accertare se si tratta di principi che:
(i) sono generali in quanto contenuti nei trattati istitutivi delle Comunità: ad es., il principio di libertà di circolazione di persone, beni, servizi, capitali; il principio di libera concorrenza;
(ii) sono generali in quanto derivanti dal funzionamento delle istituzioni comunitarie: ad es., il principio di eguaglianza, di proporzionalità, di sussidiarietà;
(iii) sono generali in quanto ispirati a principi tratti da convenzioni internazionali, o dalle stesse convenzioni europee: ad es., i principi derivanti dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, quali le libertà personali, il diritto alla riservatezza della vita privata, il diritto di proprietà, la libertà di domicilio, la libertà sindacale, il diritto di non testimoniare contro se stesso, ecc.;
(iv) sono generali in quanto tratti dall’esperienza di uno o più Stati membri: ad es., il principio di pubblicità, chiarezza, non retroattività della legge; oppure il principio di buona fede, che proviene dalle esperienze continentali, o il principio di reasonableness, che proviene dalle esperienze di common law; il principio di affidamento, che proviene dall’esperienza tedesca; il principio di tutela del consumatore; il principio di parità tra uomo e donna nella prestazione lavorativa;
(v) sono generali, in quanto tratti dalla esperienza o dalla logica: ne sono esempio i brocardi della tradizione romano-canonistica, quali nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse non habet; in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis; pacta sunt servanda, rebus sic stantibus; nemo contra se venire potest; ecc.
b) La prassi dei principi generali del diritto comunitario nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. Se la identificazione e la costruzione di principi generali si limitasse ad una operazione intellettuale ci troveremmo di fronte ad una mera rappresentazione immaginifica di un diritto comunitario ‘in progress’. Tuttavia i principi ora menzionati, e molti altri che via via si possono rintracciare, sono effettivamente praticati, cioè riconosciuti, creati, utilizzati, dalla corte di Giustizia e quindi sono operativi. Si tratta di un campo di indagine che da qualche tempo è arato da autori i quali, pur provenendo da esperienze diverse, sono pervenuti a risultati univoci (Lorenz, W., General Principles of Law: Their Elaboration in the Court of Justice of the European Communities, in 13 Am. J. Comp. Law, 1964, 1 ss.; Usher, J., Principles derived from Private Law and the European Court of Justice, 1 European Review of Private Law, 1993, 109 ss.; Toriello, F., I principi generali del diritto comunitario, Milano, 2000, passim.
Fin qui, i principi generali del diritto comunitario non segnalano elementi di specificità, rispetto agli altri principi generali, tranne quelli che si sono evidenziati, derivanti dalla loro appartenenza ad un corpus iuris diverso e sovraordinato rispetto ai diritti dei Paesi membri. E pertanto, si può dire, dei principi del diritto comunitario, ciò che si è detto a proposito dei principi operanti nei singoli ordinamenti: la loro creazione è eterogenea e diacronica; la loro applicazione necessaria, razionale, utile; la loro citazione talvolta meramente esornativa, talvolta fondativa della ratio decidendi; la loro inventariazione impossibile, in quanto i principi non costituiscono un numerus clausus, ma sono individuati e creati ad hoc.
c) Il ruolo dei principi di diritto comunitario nella integrazione europea. Ma i principi generali del diritto comunitario - e nel diritto comunitario - assolvono ad una funzione che i principi generali non possono assolvere all’interno dei singoli ordinamenti dei Paesi membri: la promozione di una comunità giuridica europea, e quindi la promozione della integrazione europea, non solo economica, dunque, ma anche politica e sociale.
Ciò avviene attraverso diverse tecniche:
(i) la tecnica dell’effetto diretto del diritto comunitario nei Paesi membri. Mediante la teoria della rinuncia alla sovranità nazionale nei settori di competenza comunitaria, la normazione comunitaria vale a creare uno spazio giuridico comune che avvicina gli Stati membri; ciò attraverso le norme dei Trattati, dei regolamenti, dei principi generali comunitari;
(ii) la tecnica dell’effetto indiretto del diritto comunitario; ciò attraverso l’attuazione delle direttive, mediante le quali identici principi sono obbligatoriamente introdotti negli ordinamenti nazionali: un effetto sconvolgente del sistema tradizionale, per l’esperienza italiana, si è verificato, ad esempio, in materia di tutela del consumatore;
(iii) la tecnica della interpretazione della legge nazionale alla luce dei principi del diritto comunitario; l’appartenenza alla Unione, e la vincolatività dei principi fa sì che i giudici degli Stati membri siano obbligati ad interpretare i regolamenti e le regole di recepimento delle direttive alla luce del diritto comunitario; non solo dunque l’applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali, ma anche l’interpretazione della normativa preesistente alla luce del diritto comunitario (Van Gerven, W., The Case-Law of the European Court of Justice and National Courts as a Contribution to the Europeanisation of Private Law, in European Rev. Private Law, 1995, 367 ss. Per la responsabilità civile v. von Bar, C., The Common European Law of Torts, Oxford, 1994.
(iv) la tecnica della disapplicazione delle regole interne che non sono conformi al diritto comunitario; si tratta di una tecnica che i giudici nazionali non avvertono come vincolante, e per la quale manifestano ancora una scarsa sensibilità;
(v) la tecnica della espansione del diritto comunitario al di là dei settori di competenza; si comincia a registrare, negli Stati membri, un effetto di ‘trascinamento’ dei principi comunitari al di là dei confini loro propri; essi finiscono per incidere su rapporti che sarebbero estranei, per loro natura, alla loro influenza: ad es., la tutela del consumatore, riguardo alle clausole abusive, finisce per diventare una tecnica che opera non solo a favore dei consumatori, ma anche a favore di quei professionisti che sono trattati, al momento della conclusione del contratto predisposto dall’impresa, alla stregua dei consumatori;
(vi) la tecnica della uniformità linguistica e concettuale; pur se, nella trasposizione dalle direttive alle discipline di recepimento, la terminologia e i concetti si adeguano ai caratteri identificativi dei singoli ordinamenti statuali, essi finiscono per risentire dell’influsso delle direttive. Basti pensare, per l’esperienza del common law inglese, all’applicazione della clausola di buona fede; per l’esperienza italiana, alla categoria della inefficacia relativa e parziale con cui si sanziona l’abusività delle clausole contenute nei contratti dei consumatori.
Fin qui si è parlato del ruolo operato, direttamente o indirettamente, da principi introdotti in via normativa o in via giurisprudenziale nel diritto comunitario, e, attraverso la circolazione dei modelli, vincolata o spontanea, introdotti ex novo o reintrodotti dopo la loro esportazione negli ordinamenti degli Stati membri. Si tratta, in ogni caso, di principi già esistenti, o di principi creati ex novo sulla base di regole già esistenti. Fin qui, dunque, la dottrina ha svolto un ruolo di ‘registrazione’, piuttosto che non di promozione di principi generali.
Ma la dottrina ha oggi assunto un ruolo ben più rilevante, proponendo la introduzione di principi generali creati ad hoc ed ottenuti mediante la unificazione dei diritti nazionali dei Paesi membri. Emblematico, da questo punto di vista, il tentativo consumato dalla Commissione diretta da Ole Lando in materia di regole uniformi del diritto contrattuale europeo (Lando, O., Is codification needed in Europe? Principles of European Contract Law and the relationship to Dutch Law, in 1 European Rev. of Private Law, 1993, 157 ss.; Hondius, E., Towards a European Civil Code, in AA.VV., Towards a European Civil Code, Boston-Londra, 1993; Alpa, G. – Andenas, M., Fondamenti del diritto privato europeo, Milano, 2005.
Lo sforzo effettuato è notevole, dal momento che - talvolta in assonanza, talvolta in opposizione alle scelte dell’Unidroit - si sono costruite regole riguardanti la disciplina del contratto (quasi complete dal punto di vista della materia investita traendone il contenuto dai singoli ordinamenti nazionali, dalla prassi del commercio internazionale, e, ovviamente, dai principi del diritto comunitario; si sono superati gli scogli linguistici (operando la commissione con testi di lingua inglese e si sono superati molti pregiudizi. Non sempre l’opera delle commissioni dell’Unione è altrettanto rispettosa delle singole identità nazionali, come emerge dal testo di direttive in cui primeggiano i modelli dominanti per ragioni storiche (il modello francese, politiche (il common law o economiche (il modello tedesco. E il problema del contemperamento tra esigenze di armonizzazione o di unificazione del diritto e rispetto delle identità nazionali è aperto (Collins, J., European Private Law and the Cultural Identity of States, in 3 European Rev. of Private Law, 1995, 353 ss.
Valori, concetti e terminologia comuni restano alla base della integrazione europea; i principi generali, sia per l’eredità romana e canonica, sia per l’eredità delle codificazioni illuministiche, sia per il nucleo comune alle democrazie occidentali, di cui si fanno espressione, sono uno strumento indefettibile per la realizzazione di una “comunità giuridica europea”.
La Corte di Giustizia ha precisato che l’ordinamento comunitario è un nuovo genus tra gli ordinamenti noti nel diritto internazionale, è autonomo rispetto agli altri ordinamenti, ma prevale sugli ordinamenti degli Stati membri; ha quali propri destinatari gli Stati membri; ma anche i loro cittadini; e si impone agli organi giurisdizionali (C. giust., 9.3.1978, C-106/77, Simmenthal).
Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia costituisce una fonte del diritto comunitario, di cui dobbiamo tener conto non solo per conoscere il diritto comunitario, ma anche per l’applicazione delle regole comunitarie ai rapporti tra privati, e per chiarire i rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno. Si sono già citati alcuni casi decisi dalla Corte che hanno assolto il ruolo di vero e proprio precedente, osservato poi nel prosieguo dalla stessa Corte e dai giudici nazionali. Gli orientamenti interpretativi della Corte sono imprescindibili, ed hanno chiarito molti aspetti problematici della normativa, quali ad es., quelli concernenti la concorrenza, la tutela del consumatore, la discriminazione delle persone con riguardo al sesso, all’orientamento sessuale, alla lingua, etc. (Mancini, G.F., Per uno Stato europeo, Bologna, 1998.
La supremazia del diritto comunitario sul diritto interno dei singoli Paesi membri implica oramai l’esistenza di un ‘diritto comune delle fonti operanti negli Stati membri dell’Unione europea’. È però ancora aperta la discussione sul ruolo del diritto comunitario: se sia inserito nel sistema delle fonti del diritto interno, oppure se, trattandosi di due ordinamenti distinti, sia necessario rinvenire una norma interna di rinvio al diritto comunitario. Per semplicità, si è detto che questa norma è implicita all’ordinamento. Poiché tuttavia permangono nell’ordinamento interno molte disposizioni che sono incompatibili con il diritto comunitario, se non si provvede con il meccanismo della disapplicazione della norma interna in contrasto, occorrerà provvedere con l’introduzione di una disposizione che in modo generale imponga l’abrogazione di tutte le norme interne incompatibili.
Con la l. 7.4.2005, n. 57, la Camera e il Senato hanno autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa siglato a Roma il 29.10.2004. Insieme con l’Italia, solo diciotto Paesi hanno approvato il Trattato: tra questi, la Grecia, l’Ungheria, la Lituania, la Slovenia; la Spagna lo ha approvato in via definitiva il 18 maggio 2005, dopo aver indetto un referendum che ha avuto esito positivo. In altri Paesi, il processo di approvazione si è rivelato più complicato, sia per ragioni politiche, sia per ragioni tecniche: in Francia, ad esempio, la ratifica è stata preceduta dalla revisione della Costituzione, approvata dall’Assemblea dei Deputati e dal Senato il 28.2.2005 ed il Trattato è stato sottoposto a referendum il 29 maggio, non ottenendo il consenso degli elettori; in Olanda, le consultazioni referendarie hanno avuto, allo stesso modo, esito negativo l’1.6.2005. Il Regno Unito, aveva approvato il ‘bill’ in prima lettura della Camera dei Comuni il 9.2.2005, prevedendone la ratifica nel 2006. Tuttavia, dopo la bocciatura popolare del Trattato Costituzionale da parte degli elettori francesi ed olandesi, il 6.3.2005 il governo ha deciso di sospendere a tempo indefinito l’iter di ratifica e di non fissare una data per la seconda lettura del disegno di legge che avrebbe aperto la strada al voto britannico.
Nei Paesi europei si sono registrati apprezzamenti, convinte adesioni, e molte critiche; esse ricantano, peraltro, molte delle obiezioni sollevate nel corso delle discussioni che hanno accompagnato l’approvazione del Trattato anche presso di noi: l’impianto costituzionale appare troppo complesso, la costruzione delle fonti troppo rigida, la posizione sulle autonomie regionali troppo riduttiva. Quanto al quadro dei diritti fondamentali, si è lamentata un’impronta eccessivamente individualistica, poco attenta alle esigenze dei gruppi e poco sostenuta dall’afflato sociale; analoghe critiche, peraltro, erano già state rivolte alla Carta di Nizza, ora incorporata nella seconda parte della Costituzione europea (Rodotà, S., La Carta come atto giuridico e come atto politico, in Manzella, A. - Melograni, P. - Paciotti, E. - Rodotà, S., a cura di, Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001, 57 ss.; Barcellona, P., La costruzione dell’ Europa e i diritti umani, in Barcellona, P. – Carrino, A., a cura di, I diritti umani tra politica filosofia e storia, Napoli, 2003, 15 ss.; Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, Padova, 2002.
L’aspetto positivo più evidente è dato dall’ammodernamento dei ‘vecchi’ diritti fondamentali e dall’allungamento del loro catalogo; l’aspetto problematico è dato dalla scomparsa di formule quali, ad es., quella di ‘funzione sociale’ e di ‘utilità sociale’ considerate qualificanti nella Costituzione della nostra Repubblica, in quanto limiti interni rispettivamente al diritto di proprietà e alla libertà di iniziativa economica; il primo limite è assorbito nel testo della costituzione europea dall’ ‘interesse generale’, il secondo dalle ‘legislazioni e prassi nazionali’.
a) I valori del Preambolo. Dal punto di vista giuridico e politico il significato pregnante del nuovo testo è racchiuso in modo icastico nel Preambolo della Parte II in cui si evidenziano i valori comuni dei popoli d’Europa, valori qualificati come indivisibili e universali; essi sono la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà; questi valori rispettano la diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d’Europa, sono radicati nel patrimonio spirituale e morale europeo, e sono considerati l’espressione più alta della nozione di persona, posta al centro dell’azione dell’ Unione; una nozione qualificante della cittadinanza e dello spazio di libertà, sicurezza, giustizia che essa intende promuovere e garantire. Lo sviluppo ‘equilibrato e sostenibile’ volto ad assicurare la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, la libertà di stabilimento, è dunque condizionato dalla tutela della persona. Analoga precisazione non è fatta per la concorrenza, l’altro pilastro (dal Trattato di Roma certo il più importante sul quale si fonda il mercato unico. Ma, attesa la formulazione ampia e omnipervasiva della nozione di persona e della sua tutela, non occorre fare particolare sforzi interpretativi per assoggettare anche la disciplina della concorrenza al rispetto dei diritti fondamentali.
L’Unione si impegna, inoltre, a rafforzare la tutela dei diritti fondamentali «alla luce della evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici». Per parte sua, il principio di sussidiarietà consente di riaffermare le tradizioni costituzionali e gli obblighi internazionali comuni agli Stati Membri, i diritti garantiti dalla Convenzione europea di Strasburgo e dalle Carte sociali adottate dall’ Unione e dal Consiglio d’Europa e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
b) La Costituzione europea come “processo” . Come si è detto da più commentatori, prima di tutto la Costituzione europea è un ‘processo’ che porta ad un testo che, a sua volta, con l’approvazione di tutti gli Stati Membri, sarà collocato nell’ambito delle fonti comunitarie, sarà interpretato e applicato, e comporterà non solo un rafforzamento politico dell’Unione , ma anche una più qualificata ‘cittadinanza’ europea, un rafforzamento dei diritti individuali , un arricchimento dei valori che fondano il diritto dei privati.
Questo processo è anzitutto un processo di natura culturale, e presenta una forte componente di valori giuridici; il suo è stato un avvio complesso, perché – se si vuol considerare solo la dimensione giuridica dei problemi - si sono riflessi prima sul testo della Carta di Nizza, poi sul testo della Costituzione europea, i dubbi e gli interrogativi che avevano contrassegnato l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, siglata a Strasburgo nel 1950, ai quali si sono poi aggiunti problemi inerenti il diritto comunitario: dalla legittimazione stessa dell’ Unione ad elaborare una ‘carta dei diritti’, al suo valore giuridico, alla sua applicabilità diretta, alla definizione dei diritti fondamentali, alla loro classificazione, alla tassonomia dei valori da essi incorporati, e così via.
c) La definizione dei “diritti fondamentali” . La Costituzione europea non definisce i ‘diritti fondamentali’, ma ne fornisce un elenco; i diritti sono identificati all’interno dei titoli dedicati per l’appunto alla dignità, alla libertà, all’uguaglianza e alla solidarietà. Il significato della categoria – peraltro assai discusso nella letteratura recente (Oestreich, G, Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, 1978, Bologna-Roma, 2001; Habermas, J., Fatti e norme, 1992, Roma, 1996; Viola, F., Dalla natura ai diritti. I luoghi dell’etica contemporanea, Bologna-Roma, 1997; Luhmann, N., I diritti fondamentali come istituzione, 1999, Bari, 2002; Ferrajoli, L., Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, 2001; Palombella, G., L’autorità dei diritti, Roma-Bari, 2002; Lipari, N., Diritto e valori sociali. Legalità condivisa e dignità della persona, Roma, 2004. Sempre attuali sono le riflessioni di Perlingieri, P., La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Camerino, s.d. (ma 1972; per la curvatura dei diritti fondamentali all’interno delle categorie di ‘capacità giuridica e status’, v. Alpa, G., Status e capacità. La costruzione giuridica delle differenze individuali, Roma-Bari, 1994; per la curvatura dei diritti fondamentali all’interno della categoria della ‘cittadinanza’, v. Moccia, L., La cittadinanza europea, Roma-Bari, 2002 - è relazionale, sia perché la nozione si deve ricavare dal preambolo e dalle tradizioni culturali delle singole esperienze, sia dalla storia interna dei diritti fondamentali come segnata dall’evoluzione del diritto comunitario, sia dalle pronunce della Corte di Giustizia. In più, è una nozione legata, per un verso, al diritto positivo, perché i diritti fondamentali sono individuati ed elencati nel testo, per altro verso all’evoluzione culturale connessa al divenire dei ‘valori’, cui si richiama il preambolo. Spetta all’interprete calibrare i limiti fissati nello stesso preambolo e contemperare i diritti fondamentali in conflitto tra loro.
Il titolo presuppone dunque una triplice sineddoche, in quanto allude sia alla nozione di ‘diritti fondamentali’ sia alla nozione di ‘efficacia diretta’; muovendo dall’analisi della Costituzione europea, si deve perciò presumere (i che l’applicazione dei diritti sia riferibile alle disposizioni che nella Costituzione europea definiscono o includono ‘diritti fondamentali’, che (ii nonostante le numerose limitazioni previste dalla stessa Costituzione (artt. II-111, II-112,II-113, II-114 queste disposizioni siano giuridicamente – e non solo politicamente – vincolanti, (iii che questi diritti si possano applicare al di là dell’ambito delineato dal testo, per poter essere estesi ai rapporti tra i privati.
L’excursus dei diritti fondamentali in ambito europeo costituisce, allora, la premessa per poter risolvere la questione della applicabilità diretta dei diritti fondamentali come previsti dalla Costituzione europea ai rapporti tra privati. Non si possono, infatti, ignorare l’evoluzione dei diritti fondamentali all’interno del diritto comunitario e la loro affermazione, prima del loro ingresso del diritto comunitario, nell’humus culturale e giuridico delle istituzioni europee. È probabile, infatti, che si ripresentino per l’applicazione della Costituzione europea i medesimi problemi che si sono dovuti risolvere per le altre Carte dei diritti già in vigore.
Rispetto alle altre Carte si nota subito, tuttavia, una grande differenza: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo sono atti internazionali; la Carta di Nizza aveva – originariamente – solo un significato politico; la Costituzione europea è considerato un atto costituzionale che, pur nella peculiarità dell’ ordinamento comunitario, non assimilabile tout court ad un ordinamento nazionale, rappresenta pur sempre la ‘norma di base’ dell’intero sistema. Ma permangono i dubbi che il sistema di valori espressi dalle singole Carte costituzionali siano davvero integralmente riflessi in questa Costituzione (Albino, L., L’ingiustizia e gli interessi protetti, in Gambino, S., a cura di, Costituzione italiana e diritto comunitario, Milano, 2002, 453 ss. e che la elencazione come la formulazione dei diritti fondamentali così come recepiti nel testo possano scoraggiare la competizione tra ordinamenti al livello costituzionale (Zoppini, A., a cura di, La concorrenza tra ordinamenti giuridici, Roma-Bari, 2004; Somma, A., L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Milano, 2001; Canivet, G. – Andenas, M. – Farigrieve, D., eds., Comparative Law Before the Courts, Londra, 2004; Markesinis, B., Il metodo della comparazione, Milano, 2004.
Dal punto di vista terminologico la letteratura gius-politica e gius-filosofica distingue i ‘diritti dell’uomo’, i ‘diritti fondamentali’, ‘le libertà e i diritti della personalità. Per ragioni di semplicità del discorso, ma anche per aderenza al testo della Costituzione europea, che non traccia distinzioni, la terminologia variegata di cui si farà uso deve intendersi come unificata nell’espressione ‘diritti fondamentali’.
d) L’Europa dei diritti. Muovendo dalla teoria secondo la quale il ‘diritto’ è dato dall’interrelazione di fonti normative, fonti giurisprudenziali e fonti dottrinali, il sintagma diritti fondamentali e rapporti tra privati deve sciogliersi tenendo conto: i della nozione di “diritti fondamentali”, ii della nozione di contratto, iii dei testi scritti che trattano il rapporto o, senza trattarlo, si prestano ad una interpretazione nella prospettiva tracciata dal sintagma, iv delle pronunce dei giudici che si sono posti il problema e lo hanno risolto, in senso positivo (il problema esiste e ha una soluzione o negativo (il problema non esiste, ovvero esiste ma non ha soluzione, v degli orientamenti dottrinali, in cui si distinguono l’indirizzo giusnaturalista (laico oppure confessionale, l’indirizzo giuspositivista (statalista oppure pluralista, l’indirizzo realistico.
L’espressione diritti fondamentali in queste note è intesa nel senso più generico ed esteso, cioè come pretese o libertà riconosciute in testi internazionali, in testi costituzionali nazionali, in prassi giurisprudenziali, in prassi sovranazionali, etc.; allo stesso modo il termine rapporto tra privati è usato in modo generico, come di vincolo o promessa liberamente espressa oppure come contatto generatore di responsabilità (civile. Ora, considerando solo i testi scritti più frequentemente utilizzati nella comparazione, come le costituzioni dei Paesi occidentali e i codici civili, oltre che singole leggi speciali, convenzioni internazionali e trattati, non si rinviene una formula normativa esplicita che coniughi per l’appunto ‘diritti fondamentali’ e ‘rapporti tra privati’. Però, l’interprete può compiere alcune operazioni di verifica per accertare se a livello ermeneutico la coniugazione sia possibile, sia stata effettuata, che risultati abbia sortito.
e) La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il testo di base per accertare la possibilità di coniugare i diritti fondamentali e i rapporti tra privati è dato dalla Dichiarazione universale dell’Onu, del 1948. Qui non si trova, nel catalogo dei diritti dell’uomo, una disposizione concernente il contratto, o il principio che meglio esprime il potere di obbligarsi (o di non obbligarsi concepito in termini di libertà contrattuale. Letteralmente parlando, dunque, alla domanda si dovrebbe dare risposta negativa, in quanto l'art. 2 della dichiarazione dispone che «ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione»; poiché la libertà contrattuale non è specificamente enunciata, si dovrebbe ritenere che essa non configuri un diritto fondamentale (o dell’uomo, o umano, o inviolabile.
Tuttavia, l'interprete può supplire a questa ‘carenza’ (in senso scientifico, non in senso politico o valutativa tenendo conto di alcune considerazioni. Qui di seguito si elencano solo le più rilevanti.
(i) Nel catalogo si menzionano la libertà e l’eguaglianza in dignità e diritti (art. 1, si ritiene che tali espressioni riguardino la posizione pubblicistica inerente al rapporto tra l’individuo e l’autorità, e non invece al rapporto (privatistico interindividuale. È possibile trasporre la libertà e l’eguaglianza dalla Carta universale ai rapporti interprivati, cioè applicare direttamente questi principi ai rapporti interprivati? La risposta dipende da come si intende la nozione di diritto (si tratta di un diritto soggettivo riconosciuto dalla Dichiarazione e azionabile nei rapporti tra privati? e da come si intende la nozione di applicazione diretta (un contratto in contrasto con i principi della Dichiarazione di per sé e un contratto contra legem, contro l’ordine pubblico, etc.? Oppure e un contratto invalido perché viola principi e valori già oggetto di altre disposizioni di natura civile?
(ii) Nel catalogo si fa riferimento (art. 2, co. 1 al divieto di discriminazione degli individui in ragione del sesso e di altri criteri; al divieto fa da contrappunto il diritto ad una eguale tutela contro le discriminazioni (art. 7. La materia investe direttamente il diritto del lavoro e quindi il contratto di lavoro: parità di trattamento di soggetti di sesso diverso, dei soggetti con orientamenti sessuali diversi da quelli praticati dalla maggioranza, di soggetti appartenenti ad etnie, religioni o professanti orientamenti politici, o parlanti lingue diverse rispetto alla maggioranza sono temi che hanno costituito oggetto di ampie discussioni in Italia come in altri Paesi dell’Unione europea e nell’ambito degli stessi organismi comunitari. La problematica può essere ripresa riguardo ai diritti riconosciuti nella materia del lavoro dagli artt. 23 e 24.
(iii) Il diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza della persona, ma anche il divieto di servitù e di schiavitù (artt. 3 e 4 possono incidere sul rapporto contrattuale: servitù e schiavitù, sempre con riguardo al rapporto contrattuale, oppure al rapporto matrimoniale, almeno là dove sia considerato alla stregua di un vincolo contrattuale; vita e sicurezza possono venire in considerazione per quei contratti in cui può essere compromessa la vita e la sicurezza della persona, o siano in gioco la sua salute, la vita o la sicurezza sua o di altri. Tanto per esemplificare, il contratto di gestazione, tra la madre sterile e la madre gestante, i rapporti contrattuali inerenti alla fecondazione artificiale, etc. possono essere incisi dal riconoscimento di diritti fondamentali? A questo punto ci si deve chiedere se i diritti del catalogo riguardino l’individuo già formato o anche l’individuo in formazione, se l’embrione sia un individuo in formazione, etc.
(iv) Il diritto al riconoscimento della ‘capacità’ giuridica può incidere sul contratto là dove si dispongono dei criteri distintivi, quali il nome, l'immagine anche ideale, i dati personali raccolti con gli strumenti informatici, etc.
(v) Il diritto alla libertà matrimoniale incide sul contratto, là dove il vincolo matrimoniale sia ascritto al novero dei vincoli contrattuali (art. 16 e così pure la libertà di associazione che incide sul vincolo contrattuale inerente al rapporto associativo (art. 17).
(vi) Si devono poi considerare i diritti economici e sociali (art. 22).
La coniugazione di diritti fondamentali e rapporti tra privati è stata offerta da un convegno organizzato da Alfredo Mordechai Rabello e Peter Sarcevic a Gerusalemme nel settembre del 1994. I giuristi che hanno portato il loro contributo, provenendo da culture e paesi diversi, hanno ovviamente esaminato la questione con diversi accenti e sensibilità. Tuttavia, rimane dubbia la possibilità di applicare direttamente le disposizioni della Dichiarazione universale ai rapporti privati, esse sembrano piuttosto destinate ad essere assunte come modelli di riferimento per la valutazione complessiva dei connotati della persona intesa come portatrice di diritti fondamentali.
f) La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Quanto alla Convenzione di Strasburgo, innanzitutto, gli autori che si sono occupati del tema lo riferiscono alla problematica della Drittwirkung propria dell’esperienza tedesca (Spielmann, D., L’effet potentiel de la Convention européenne des droit de l’homme entre personnes privées, Bruxelles 1995, 26.
Si è però avanzata l’idea che il concetto di applicabilità indiretta non abbia contenuti identici nella esperienza tedesca e nella problematica dei diritti riconosciuti dalla Convenzione europea (Hahne, M.M., Die Drittwirkung in der Europeeischen konvention zum Schutz de Menschenrechte und Grundfreiheiten, Heidelberg, 1973, 26. Nel primo caso, si fa riferimento soprattutto alla determinazione del contenuto delle clausole generali di buona fede e di ordine pubblico, mentre, nel contesto della Convenzione europea questa nozione si riferirebbe piuttosto alla teoria degli obblighi positivi imposti ai pubblici poteri, che si risolve nella responsabilità dello Stato per la violazione dei diritti fondamentali da parte dei privati.
Ma non si è escluso che si possa parlare di applicazione diretta della Convenzione europea ai rapporti tra privati. Le argomentazioni addotte sono molteplici.
(i) Innanzitutto, si argomenta dalla intenzione espressa dagli Stati che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione, da cui si deriva che “negli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione e l’hanno ratificata all’individuo si possono imputare obblighi derivanti dal diritto internazionale” (Spielmann, D., L’effet potentiel de la Convention européenne des droit de l’homme entre personnes privées, cit.;
(ii) in secondo luogo, si fa riferimento alla giurisprudenza della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, secondo la quale «i diritti fondamentali della persona creano obbligazioni erga omnes» (Forde, M., Non-Governmental Interferences with Human Rights, in B.Y.I.L., 1985, 265;
(iii) poi si fa riferimento alla stessa intenzione espressa dal testo della Convenzione;
(iv) e dalle enunciazioni contenute nel suo Preambolo (Eissen, M.A., La Convention et des devoirs de l’individu, La protection internationale des droits de l’homme dans le cadre européen, Parigi, 1961, 190 s.;
(v) oppure si ritiene che le disposizioni della Convenzione siano espressione dell’ordine pubblico (Spielmann, D., L’effet potentiel de la Convention européenne des droit de l’homme entre personnes privées, cit., 45;
(vi) ancora si dice che al pari della Dichiarazione universale, le disposizioni della Convenzione siano applicabili sia nei confronti dei pubblici poteri sia nei confronti dei singoli individui (Ganshof van der Meersch, W.J., La Convention Européenne des Droits de l’Homme a-t-elle dans le cadre du droit interne une valeur d’ordre public??, Bruxelles, Manchester, 1968.
L’interpretazione letterale dell’art. 1 della Convenzione non consente invece interpretazioni univoche, in quanto l’espressione inglese secondo la quale le Alte Parti Contraenti garantiranno (‘shall secure’ a ciascuno i diritti e le libertà definiti nella Convenzione appare più forte della espressione francese riconoscono (‘reconnaissent’. Si possono dare dunque significati dissimili (e quindi soluzioni opposte alla applicabilità diretta, a seconda che si faccia prevalere il più estensivo significato inglese o il più restrittivo significato francese.
In ogni caso, non tutte le disposizioni contenute nella Convenzione sono applicabili ai rapporti tra privati; quelle che certamente sono applicabili, secondo i fautori dell’applicabilità diretta riguardano il lavoro coatto (art. 4, la libertà di movimento (art. 2, la libertà matrimoniale (art. 12 nonché le disposizioni che riguardano le libertà fondamentali. Si discute se sia applicabile direttamente anche la disposizione sul rispetto della vita privata (art. 8, questione per noi superata dalla sua applicazione da parte della giurisprudenza in materia di diritto alla riservatezza (Alpa, G. – Markesinis, B., Il diritto alla privacy nell’esperienza di common law e nell’esperienza italiana, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997,417.
Mentre si ritiene comunemente che siano suscettibili di applicazione diretta anche l’art. 1 del Prot. n. 1 sul diritto alla proprietà e l’art. 14 della Convenzione che prevede il principio di non discriminazione.
Nella giurisprudenza dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione, i commentatori segnalano alcuni casi significativi, anche se, ovviamente, assai rari.
Tra i casi belgi, si riporta il provvedimento del giudice di pace di Tubize che ha negato esecutività ad un decreto di rilascio della casa di abitazione di una madre con figli a carico, che versava in difficili condizioni economiche e non avrebbe potuto avere d’inverno un ricovero adeguato (Juge de paix de Tubize. 27.10.1981, J.J.P., 1982, 171; oppure, la sentenza della Corte d’appello di Bruxelles che ha negato la sospensione della fornitura di energia elettrica al debitore in quanto misura contraria alla dignità umana (App. Bruxelles, 25.2.1988; o, ancora, la sentenza del Tribunale civile di Bruxelles che ha considerato contraria all’ordine pubblico la clausola contenuta in un contratto in cui si prevedeva che la parte soccombente avrebbe rimborsato l’altra di tutte le spese legali (Trib. Bruxelles, 23.11.1967, J.T., 1967, 741. Altri casi riguardano il diritto di licenziamento del dipendente quando tenga un comportamento contrario ai valori espressi dall’impresa da cui dipende. La questione è nota, nel nostro ordinamento, come tutela della c.d. impresa di tendenza di cui si discute se abbia diritto di licenziare i dipendenti per opinioni, comportamenti, credenze religiose incompatibili con le finalità dell’impresa (a favore dell’impresa v. ad es. Pret. Roma 23.5.1994, in Riv, it. dir. lav., 1995, 11, 624; Trib. Roma, 29.7.1987, in Dir. lav., 1987, II, 501. A favore del dipendente v. ad es. Pret. Milano, 24.7.1987, in Dir. lav., 1987, III, ì498; Pret. Milano, 8.1.1980, in Riv. giur. lav., 1981, II, 205.
Significativi, tra i casi olandesi, quelli relativi alla applicazione diretta in materia di rapporti obbligatori. Si tratta dei casi in cui si sono ritenute nulle le clausole di contratti di locazione di immobili che discriminavano il conduttore sulla base delle origini etniche, delle credenze religiose o della nazionalità App. Arnhem, 25.10.1943, NJ., 1949, 331, 612.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo offre esempi di applicazione diretta nel settore dei diritti della personalità, mentre, con riguardo ai rapporti obbligatori, le decisioni concernono quasi esclusivamente il rapporto di lavoro. A questi indirizzi occorre poi aggiungere la copiosa giurisprudenza sulle lungaggini dei procedimenti, che hanno più volte colpito lo Stato italiano e la giurisprudenza sulla disciplina della proprietà, specialmente con riguardo all’indennità di esproprio e alla occupazione acquisitiva.
Dal complesso di questo quadro di riferimenti i commentatori inferiscono non tanto l’applicazione diretta della Convenzione, quanto la sua applicazione indiretta, che si risolve nella responsabilità dello Stato verso l’individuo che subisce la violazione di un diritto fondamentale nell’ambito di un rapporto privatistico, oppure l’obbligo dei giudici nazionali di applicare la normativa della Convenzione ai rapporti tra privati: obbligo che si risolve in una obbligazione positiva secondaria (Spielmann, D., L’effet potentiel de la Convention européenne des droit de l’homme entre personnes privées, cit., 88.
Nel corso del dibattito sviluppatosi anche di recente nella esperienza italiana (Rescigno, P., Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto privato (Famiglia, proprietà, lavoro, in Riv .dir. civ., 2002, I, 325 ss., si è manifestata una certa delusione sulla “resa” nella applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte dei giudici. Pur essendo frequenti le menzioni della Convenzione, l’impressione che si ricava è che la menzione sia forse più un mero orpello che non il fulcro sul quale si basa la ratio decidendi per raggiungere la soluzione del caso. Le ragioni di questa deludente reazione sono imputate, da Pietro Rescigno, ad una pluralità di fattori. Innanzitutto, al fatto che i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione di Strasburgo risalgono ad una formulazione ormai più che cinquantennale, e che quindi si tratti di diritti fondamentali ‘della prima generazione’, mentre quelli della seconda generazione (i cd. diritti sociali e quelli della terza generazione, che sono i diritti attuali concernenti le nuove tecnologie e i consumi, non sono contemplati nella Convenzione. I diritti riconosciuti dalla Convenzione sono stati intesi come espressione di norme di natura programmatica, piuttosto che precettive. E tali norme lasciano spazio alle eccezioni introdotte dagli ordinamenti nazionali; in più si è ritenuto che queste disposizioni non abbiano valenza costituzionale e quindi – a differenza delle disposizioni previste nelle Carte costituzionali – non siano suscettibili di applicazione diretta. In altri termini, le disposizioni della Convenzione sono state utilizzate a fini interpretativi. Così è accaduto per le sentenze della Corte costituzionale che hanno richiamato la Convenzione, ad es., in materia di famiglia o di privacy o di rapporti di lavoro. Ed appare curioso che la Corte di Strasburgo, nell’applicazione della Convenzione, abbia dato rilievo più al danno di natura morale che non al danno di natura patrimoniale. Le disposizioni più recenti, attinenti alla proprietà, in materia di occupazione acquisitiva, di liberazione degli immobili occupati dai conduttori inadempienti, il divieto di arresto per debiti, aprono invece gli orizzonti ad una applicazione più lata dei principi espressi nella Convenzione.
g) La protezione dei diritti umani in ambito comunitario: il parere della Corte di Giustizia del 1996 e il Trattato di Amsterdam. L’opinione secondo la quale nell’ambito del diritto comunitario vi sia un riconoscimento dei diritti umani dovuto al fatto che (quasi tutti i Paesi appartenenti all’Unione li riconoscono nelle rispettive costituzioni si è venuta formando lentamente negli ultimi anni; il rispetto dei diritti umani può essere riguardato come principio generale di diritto comunitario. Su questo punto vorrei tornare in conclusione del discorso, perché la configurazione dei diritti fondamentali come ‘principi generali’ può essere una delle via per l’affermazione dell’applicabilità diretta dei diritti fondamentali ai rapporti tra privati (Mengozzi, P., a cura di, Casi e materiali di diritto comunitario, Padova, 1998, 580 ss..
Con il parere reso il 28.3.1996, la Corte di Giustizia ha risposto al quesito proposto dal Consiglio della Comunità in ordine alla compatibilità della adesione da parte della Comunità alla Convenzione europea sui diritti umani con il Trattato (Parere 2/94 del 28.3.1996, in ECR, 1996, I, 1759. Il parere ha precisato che, atteso il testo del Trattato in quel momento in vigore, la Comunità non aveva competenza a sottoscrivere la Convenzione. Solo un emendamento del testo lo avrebbe consentito, anche se in ambito comunitario si riteneva che il rispetto dei diritti umani costituisca un requisito di legittimità degli atti della Comunità (in questo senso si esprime il par. 34, del parere cit.. Il parere è stato criticato da opposti angoli di visuale: da alcuni si era osservato che i diritti fondamentali classici non investono il diritto comunitario, per sua natura dedito al diritto patrimoniale; da altri, all’opposto, che il parere non avrebbe impedito la redazione di un bill of rights elaborato a livello comunitario (così Betten, L. – Grief, N., EU Law and Human Rights Londra - New York 1998, 120. Entrambe le critiche si sono rivelate infondate: la prima, perché gli stessi atti comunitari hanno smentito la unidirezionalità economica del diritto comunitario; la seconda, perché il catalogo dei diritti fondamentali è stato finalmente realizzato.
Il Trattato di Amsterdam del 1997 ha modificato il testo originario del Trattato di Roma con una formula più agevole per la soluzione del problema della Drittwirkung.
È rilevante, ai nostri fini richiamare l’attenzione sulla formulazione additiva del primo comma dell’art 6. Il testo, che non è ambiguo, e neppure restrittivo, come pure si era sostenuto, rafforza il rispetto dei diritti umani in ambito comunitario.
Si era anche segnalato che il nuovo testo ha un significato politico di rilievo, in quanto subordina l’adesione di nuovi Paesi all’Unione al rispetto dei diritti umani (art. O, ora 49 del Trattato. Ma si era tuttavia osservato che le modifiche introdotte «restano per più versi … al di sotto delle aspettative che erano maturate in materia» (Tizzano ,A., Il trattato di Amsterdam, Padova, 1998, 38.
Il testo ha introdotto una procedura sanzionatoria degli Stati che violino persistentemente i principi con cui si proteggono i diritti umani (art. 7. Ma la procedura si esauriva nell’ambito della competenza del Consiglio, restandone esclusa la Corte di Giustizia. La conclusione era che la Corte avrebbe potuto applicare i principi del diritto comunitario con cui si riconoscono implicitamente i diritti fondamentali avendone riconosciuta una competenza esplicita (art. 42, ma non si sarebbe potuto far leva su di un catalogo comunitario di tali diritti, né si era ammesso uno specifico ricorso diretto alla Corte da parte dei singoli per la violazione dei diritti.
In compenso, il Trattato di Amsterdam ha rafforzati alcuni diritti della personalità come i diritti relativi ai dati personali, alcuni diritti in materia di accesso agli atti della Comunità, e i diritti dei consumatori.
Inoltre, ha rafforzato l’impegno della Comunità contro le discriminazioni basate sul sesso, sulle origini «razziali o etniche, sulle credenze religiose, sull’età e sull’orientamento sessuale» (art. 6.a).
Da quel momento la via per l’applicazione diretta delle disposizioni comunitarie, in sintonia con quelle della Convenzione di Strasburgo è divenuta più agevole (Pocar, E., La tutela dei diritti del cittadino davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, Milano, 1989.
h) La Carta dei diritti fondamentali siglata a Nizza. I giuristi italiani hanno salutato la Carta di Nizza con largo favore. Il dibattito sulla sua rilevanza politica e sui suoi contenuti giuridicamente rilevanti è stato diffuso e colto. Dal punto di vista politico e giuridico si è sottolineato che la Carta segna una vera e propria discontinuità nel processo di costruzione europea (Rodotà, S., La Carta come atto politico e documento giuridico, cit., 59 in quanto si presenta come il nucleo di una vera e propria costituzione europea. A differenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la Carta include i diritti sociali e risolve molti problemi interpretativi a cui avevano dato adito i Tratti delle Comunità europee. La Carta ha dato luogo, dunque, a una pluralità di letture: come un prodotto storico, come un esperimento istituzionale, come un documento politico, come un documento tecnico (Rodotà, S., La Carta come atto politico e documento giuridico, cit.,. L’Europa ha quindi abbandonato la sua dimensione riduttiva, essenzialmente economica, per aprirsi alla protezione dei valori fondamentali della convivenza civile: la Carta non può quindi essere oggetto di una lettura riduttiva, non ha accolto una concezione “molecolare” dei diritti individuali, ma ha sottolineato la loro connessione con la dimensione sociale, dimensione poi accolta nel testo della Costituzione europea (Condinanzi, M., Il singolo e la “comunità di diritto” nel nuovo testo di Trattato che adotta una Costituzione per l’ Europa, in Corr. giur., 2004, 1545 ss..
Nel cammino storico tracciato dal costituzionalismo europeo la Carta ha manifestato caratteri di originalità e peculiarità notevoli, perché non rappresenta una volontà costituente, ma piuttosto un patrimonio già esistente (Fioravanti, M., La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella prospettiva del costituzionalismo moderno, Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, cit., 206 ss.
In altri termini – ha sottolineato Paolo Grossi (L’ultima Carta dei diritti, Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, cit., 249 – «… è una carta di identità europea almeno a livello di diritti fondamentali». Lo stesso A. ha però precisato che una “carta” non può rimanere un testo, per l’appunto cartaceo – avulso dal diritto praticato, né il soggetto come un ente cementato dal diritto: e i diritti non possono essere estrapolati dal loro contesto politico (Barcellona, P., L’ Europa, la politica ed i diritti, in Carta europea e diritti dei privati, cit.,114 ss., né dalla fissazione dei limiti ai diritti riconosciuti, anche se essi esprimono valori condivisi (Busnelli, D., Importanza e limiti dei valori fondamentali nella Carta europea, Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, cit., 138.
Dal punto di vista del diritto privato, la Carta, incentrandosi sulla tutela della persona, “è uno strumento per la ricerca di valori unitivi e per ridefinire i rapporti fra privati e fra questi e le Istituzioni in un ambito che supera i confini di ciascuno Stato” (Vettori, G., Carta europea e diritti dei privati, in Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, cit., 53. Tenendo conto dei diritti fondamentali che essa riconosce – ivi compresi i nuovi diritti collegati all’incidenza delle tecnologie, della bioetica, della raccolta di dati personali – e di quelli che ormai erano acquisiti (quanto alla proprietà, alla libertà contrattuale, alla libertà di concorrenza e di libera intrapresa di attività economiche anche la natura stessa dei diritti soggettivi sembra riformulata in un contesto che di volta in volta deve essere specificato, in quanto essi sono protetti da nuovi organi e con nuovi strumenti tecnici. La sua formulazione tecnica lascia adito a dubbi interpretativi e a molte vaghezze (Furgiuele, G., Valore e limiti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, cit., 226, e contiene anche lacune, se confrontata con i testi costituzionali di alcuni Stati Membri, come, ad es., il diritto al lavoro o la libertà contrattuale (Collura, G., Cenni introduttivi sulla Carta dei diritti, in Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, cit., 166 ss.. Ma la Carta non può essere letta come si legge una costituzione, avulsa dal suo contesto e dal suo processo originante: la Carta si pone come un preambolo ad una costituzione europea ed ha il merito di “territorializzare” gli spazi in cui i diritti che essa riconosce sono protetti (Falzea, A., Osservazioni introduttive, in Vettori, G., a cura di, Carta europea e diritti dei privati, cit., 202.
In ogni caso, il suo inserimento nella Costituzione europea ne esalta la valenza giuridica e la trasforma in un testo suscettibile di essere utilizzato per ottenere rimedi giurisdizionali (Brun, A., La Charte des droits fondamentaux .De la proclamation politique à la constitutionnalisation formelle, in Quellejustice pour l’Europe?, Bruxelles, 2004, 39 ss..
i) L’applicazione giurisprudenziale della Carta di Nizza. Nonostante l’affermazione secondo la quale la Carta di Nizza, finché non fosse incorporata in una Costituzione approvata dai Paesi Membri secondo le procedure proprie di ogni sistema nazionale, non dovesse essere considerata un testo giuridicamente vincolante, ma avesse un significato solo politico, la Carta è stata applicata dai giudici nazionali e invocata più volte dagli Avvocati generali nel corso dei procedimenti celebrati dinanzi alla Corte di Giustizia. Ma si trovano tracce di riferimenti alla Carta di Nizza anche in alcuni Statuti regionali italiani.
Una accurata, dettagliata e corposa rassegna delle pronunce dei tribunali, della Corte Costituzionale e di talune decisioni del Tribunale europeo, e di qualche accenno contenuto nelle sentenze della Corte di Giustizia è offerta da Alfonso Celotto e Giovanna Pistorio, e non è il caso, in questa sede, si ripercorrere i risultati della loro ampia ricerca (Celotto, A. – Pistorio, G., L’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea - rassegna giurisprudenziale 2001-2004, in Giur. it., 2005, 427-440.. Val la pena però di sottolineare come – facendo appello alla libertà dell’interprete – i giudici non si siano fatto scrupolo di applicare, o di richiamare, o di riprendere, i diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta di Nizza come se le disposizioni della Carta fossero al tempo stesso di natura giuridica, vincolanti per l’interprete e applicabili ai rapporti tra privati.
l) Tre vie per applicare direttamente i diritti fondamentali della Costituzione europea ai rapporti tra privati. Per riassumere quanto fin qui si è sinteticamente osservato, possiamo allora concludere nel senso che i diritti fondamentali, come riconosciuti dalla Costituzione europea, si possono applicare ai rapporti tra privati attraverso tre operazioni ermeneutiche. Come ogni operazione ermeneutica, si tratta di manipolazioni del testo che possono essere giustificate o in modo formale oppure tenendo conto del dato fattuale, che è uno dei capisaldi del giusrealismo.
(i) Sul piano formale, si può fare appello innanzitutto alla nozione e al ruolo dei principi generali. E’ noto che i principi generali sono considerati norme a tutto tondo e a tutti gli effetti, in quanto derivati per procedimento induttivo, dalle norme vigenti in un determinato ordinamento (Alpa, G. – Andenas, M., Fondamenti del diritto privato europeo, cit..
Già il Parere reso dalla corte di Giustizia, le pronunce della stessa Corte e ora il testo della Costituzione qualificano i diritti fondamentali come principi generali. In questa prospettiva, essi presiedono alla applicazione delle norme: di più, essendo principi generali già vigenti nel diritto costituzionale dei Paesi Membri e facenti parte del diritto costituzionale europeo emergente dalla cultura giuridica europea e dai valori sui quali essa si fonda, non è difficile poter argomentare nel senso che il valore fondante di tali principi pervade, si ‘irradia’ direbbero i giuristi tedeschi, anche negli ordinamenti nazionali, e quindi tali principi non sarebbero vigenti solo nell’ordinamento comunitario, ma sarebbero applicabili anche negli ordinamenti nazionali; spetta all’interprete stabilire se essi si debbano applicare solo ai rapporti che si collocano nelle materie in cui è competente l’ Unione o se, data la loro natura, siano estensibili anche alle altre materie.
(ii) Sempre sul piano formale, si può seguire la via inglese alla Drittwirkung, sostenendo che le disposizioni della Costituzione europea debbono essere applicate dai giudici nazionali; la loro applicazione dunque passa attraverso la ratifica della Costituzione. Ed occorre allora capire se negli ordinamenti in cui la Costituzione europea è già stata ratificata – ancorché non sia ancora entrata in vigore – tali disposizioni possano già considerarsi vincolanti (unilateralmente per lo Stato Membro che ha effettuato la ratifica della Convenzione.
(iii) Sul piano fattuale, cioè del diritto vivente, i diritti fondamentali sono già applicati così come incorporati nella Carta di Nizza: la ricerca di Celotto e Pistorio stanno proprio a dimostrare ciò. E poiché non dobbiamo ‘aver paura’ del diritto vivente, possiamo registrare l’attuale ‘vigenza’ di tali diritti anche nella nostra esperienza.
L’azione comunitaria relativa alla promozione dei diritti umani è comunque in corso: anche in questo settore si sono sollevate critiche sia alle scelte politiche degli organi comunitari sia alle modalità di applicazione delle direttive, specie in materia di discriminazione delle persone nel mondo del lavoro. Ma il quadro complessivo non sembra così scoraggiante. Il dibattito sulla Costituzione europea ha portato l’Unione a ripensare ed in parte ridimensionare le proprie ambizioni costituenti. Il 21.6.2007, infatti, il Consiglio europeo si è riunito a Bruxelles e, alla fine dei negoziati, ha deciso di abbandonare il progetto di Trattato-Costituzione e di limitarsi alla revisione dei Trattati esistenti (v. anche Diritto civile 1. Nozione; Diritto civile 2. Storia, fonti, codici; Diritto civile 4. Il progetto di un codice civile europeo).
Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, Roma, 29.102009, artt. II-111, II-112, II-113; II-114; L. 7.4.2005, n. 57; Dichiarazione Universale dell'Onu, artt. 1, 2, 3, 4, 7, 16, 17, 22, 23, 24; Trattato di Amsterdam, 1997, artt. 6, 6A, 7, 42; CEDU, Carta di Nizza; Parere della Corte di Giustizia n. 2/1994, del 28.3.1996, art. 34.
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