Diritto costituzionale tra memoria e mutamento
Tecnici del diritto, politici e storici percorrono itinerari diversi nel fornire all’opinione pubblica orientamenti nella valutazione del contenuto delle riforme costituzionali approvate dal Parlamento nel corso dell’anno. Già alla prima lettura del testo della legge di revisione si intravedono dubbi interpretativi e oscurità soprattutto con riferimento alle nomine dei titolari delle nuove cariche politiche e al ruolo dei nuovi organi della Repubblica, oltre che all’interpretazione delle disposizioni in tema di procedure legislative bicamerali; restano sullo sfondo i rapporti con le istituzioni europee e la finanza internazionale. Il dibattito mediatico e il susseguirsi di appelli esaspera la contrapposizione tra gli schieramenti, con il rischio di perdere ancora una volta l’occasione per una riflessione sui valori costitutivi della convivenza nazionale e internazionale.
Torna a profilarsi il rischio che l’opinione pubblica nazionale non riesca a trarre dal dibattito sulle riforme del testo costituzionale elementi per una riflessione unitaria sui valori costitutivi della convivenza e sulle esigenze di un effettivo rinnovamento della politica nazionale e internazionale.
Il dibattito mediatico tende infatti a spostare l’attenzione sul confronto tra le persone e i partiti protagonisti della prassi costituzionale, mentre il susseguirsi di appelli, sempre più differenziati, sottoscritti da gruppi di accademici e di politici, finisce per esasperare la contrapposizione tra gli schieramenti del “sì” e del “no” alle riforme.
Il giurista che si interroghi oggi sulle dinamiche costituzionali e internazionali e sul mutamento dei valori della convivenza non deve staccare lo sguardo dall’esperienza storica, sociale e culturale del Paese, né dal contesto politico nazionale e internazionale. A questa considerazione, apparentemente ovvia, occorre aggiungere che lo studio del diritto costituzionale non può ridursi alla sola elaborazione di concetti operativi, legati da connessioni argomentative costruite al fine di tenere in vita una scienza dominata dalle forze politiche prevalenti. La riflessione sul diritto costituzionale richiede, anche da parte del giurista, un approfondimento dei mutevoli rapporti tra diritto, politica e economia; il giurista, in altre parole, avverte, oggi più che in passato, l’esigenza di interrogarsi sul mutare dei propri compiti sociali, sui limiti delle specializzazioni giuridiche, insieme alla necessità di non perdere di vista le variazioni degli orientamenti dell’opinione pubblica.
Il corpo elettorale italiano si troverà presto a esprimere una scelta sull’insieme delle riforme costituzionali approvate dal Parlamento, risolvendo con un suo voto le obiettive difficoltà di dialogo tra politici e giuristi che hanno progettato le riforme e coloro che hanno espresso fin dall’inizio perplessità tanto nel merito di alcune innovazioni quanto sul modo in cui si è giunti alla loro formulazione testuale. Le polemiche tra giornalisti, politici e specialisti di diritto costituzionale investono, più che i profili tecnici e di merito della scelta referendaria, soprattutto il ruolo svolto dai partiti e dagli strumenti della comunicazione sociale nel tentativo di orientare l’opinione pubblica. L’attuale pronuncia del popolo potrebbe assumere una valenza oppositiva rispetto agli orientamenti politici prevalsi nel Parlamento1, come è già accaduto in Italia nel 2006, ma potrebbe anche caricarsi di nuovi significati politici che vanno ben al di là del merito delle riforme previste dalla legge di revisione, fino a associare la vittoria del fronte del “no” o del “sì” all’affermazione personale dei capi di alcuni schieramenti politici piuttosto che al contenuto delle innovazioni istituzionali considerato nel suo insieme.
Emerge, con riferimento ai vari tentativi di revisione costituzionale degli ultimi decenni, anzitutto l’accennato interrogativo sul ruolo dei giuristi di fronte al prevalere sempre più intenso e diretto delle dinamiche economiche, politiche e finanziarie2, in presenza peraltro di un quadro partitico e di una pubblica opinione che tendono ad assumere nuove conformazioni e profili nella prassi costituzionale. All’esigenza, avvertita particolarmente da alcuni studiosi di diritto costituzionale, di mantenere spazi di indipendenza, di riflessione libera e critica, nel reciproco rispetto delle opinioni di ciascuno3, si contrappone la tendenza a chiedere al giurista un sempre maggiore allineamento, unito ad un’efficienza e a un crescente tecnicismo, irrigidendo ulteriormente i rapporti tra diritto e economia.
Un altro aspetto dello stesso interrogativo riguarda poi i rapporti tra la specializzazione e l’esigenza del pari avvertita dai giuristi di riflettere sui grandi temi del diritto costituzionale, interrogandosi problematicamente sulle contraddizioni e incongruenze politiche e sociali che si manifestano nelle attuali vicende. In poche altre discipline giuridiche le costruzioni della dottrina sembrano invecchiare così rapidamente come nel diritto costituzionale, fino al punto che le citazioni degli scrittori meno recenti appaiono progressivamente ridursi di numero e di qualità. Il ricordo degli scrittori che più hanno contribuito all’affermarsi dei principi liberali e democratici appare remoto, mentre si alimentano le speranze che continui stimoli dell’opinione pubblica attraverso dibattiti mediatici, uniti all’ascolto sempre più frequente di tecnici del diritto e di esperti di scienze sociali, possano accrescere la consapevolezza della scelta referendaria.
Le relazioni tra politica e diritto possono continuare, almeno in astratto, a essere il frutto, come insegnava Attilio Brunialti, di un’equilibrata collaborazione tra elementi diversi, senza che l’uno debba necessariamente prevalere rispetto all’altro4; vale la pena di ricordare che il contenuto giuridico e politico delle riforme, secondo questo scrittore, non dovrebbe dipendere tanto dalla qualità delle enunciazioni testuali, quanto da una «buona elaborazione sociologica del diritto» e da un’esatta comprensione della situazione politica. Questo si verificherebbe solo quando una riforma costituzionale trovasse quella formulazione adeguata, che le consenta di essere «poi modificata, temperata, avviata a provvide riforme dall’espressione della coscienza sociale nella forma politica»5. Non è facile oggi, per chi muova dalla lettura dei manuali universitari del nostro tempo, rileggere le parole dello scrittore vicentino e comprenderne il senso, come quando egli afferma che il diritto costituzionale è una «scienza eminentemente politica», in cui «la teoria ... deve considerare i risultati pratici che da ogni legge derivano» o quando lascia intendere che in nessun caso lo studioso di questa disciplina potrà prescindere dalla considerazione dell’opinione pubblica6.
Il diritto costituzionale si muove tra opinione pubblica e tradizione giuridica, secondo equilibri che possono mutare anche profondamente e che non possono impedire a una vasta serie di fattori, compresi in prima fila i partiti politici, di esercitare influenze diverse sugli sviluppi della disciplina. Gli appelli degli intellettuali, dei politici e degli specialisti, che continuano a incontrare adesioni da parte dei ritardatari, non contribuiscono purtroppo a chiarire i termini di una difficile scelta, che resta affidata al popolo e che non è detto riesca a far superare le contraddizioni presenti nell’attuale contesto sociale e politico. Sarebbe opportuno che tante energie fossero utilizzate più per avviare una riflessione comune su quanto è accaduto o sta accadendo in Europa o in Italia, che per diffondere semplificazioni dottrinarie o nostalgici richiami al passato. Per ristabilire le basi di un effettivo rinnovamento sociale e politico occorre avere coraggio nell’affrontare le contraddizioni esistenti, senza far riferimento solo agli equilibri partitici ma guardando oltre, verso quelli che potrebbero essere comuni punti di riferimento per la nostra tormentata collettività nazionale.
Nel lungo periodo successivo all’entrata in vigore della Costituzione del 1947, il diritto costituzionale italiano ha assunto un andamento sempre più specialistico, con l’ovvia conseguenza di un miglioramento del livello tecnico e dogmatico sia della dottrina che della giurisprudenza, ma con l’ulteriore risultato, tutt’altro che rassicurante, di un allontanamento della disciplina dalla sua vocazione teorica, storica e sociale. In effetti la progressiva tecnicizzazione dello studio del diritto costituzionale è molto più risalente nella tradizione giuridica italiana: basti ricordare che essa fu denunciata, molto prima del fascismo, fin dal 1912 in un celebre scritto di Gaetano Mosca7, e aggiungere che successivamente il regime fascista ebbe modo di fare appello al “tecnicismo giuridico” per utilizzare i migliori giuristi ai propri fini politici8. La tradizione del diritto costituzionale italiano era stata diversa in passato, quando si fondava sui richiami a un diritto costituzionale in gran parte non scritto e si ispirava a un comune patrimonio teorico e culturale non solo nazionale, oggetto di profonde analisi e ricostruzioni da parte di giuristi e scienziati della politica (solo ad esempio, Saredo, Arcoleo, Brunialti, Miceli). Va anche considerato che le costruzioni sistematiche del diritto costituzionale messe in atto nei decenni successivi alla caduta del regime fascista e all’entrata in vigore della Costituzione del 1947 hanno avuto il merito di avviare il diritto pubblico del “periodo transitorio” verso nuovi valori politici, democratici e repubblicani, aprendo orizzonti a un dialogo tra politici e giuristi, il cui studio è stato successivamente trascurato da gran parte della dottrina giuridica e persino dalla storiografia. La dottrina in tema di diritto costituzionale ha successivamente raggiunto, dopo l’entrata in vigore della Costituzione del 1947, livelli sistematici particolarmente elevati, soprattutto nell’interpretazione delle enunciazioni di principio della stessa Costituzione (basti pensare ai soli nomi di Carlo Esposito, Costantino Mortati e Vezio Crisafulli); si è così sviluppata una riflessione che ha cercato di superare le incertezze, nascenti dalla messa in atto dei valori costituzionali, che incontravano remore in una cultura giuridica tradizionale che stentava ad adeguarsi alle esigenze di un profondo mutamento politico e sociale del Paese. Se mi permetto di far cenno a queste vicende, ben note agli studiosi italiani di diritto, è solo perché vorrei insistere sull’esigenza di non perdere di vista il mutare dei rapporti tra politica, storia e diritto e sui rischi che si corrono a seguire troppo da vicino l’attualità. Non esiterei ad affermare che negli ultimi anni si è sviluppata, anche nella dottrina del diritto costituzionale, una tendenza a interrogarsi sul significato storico, oltre che teorico, dell’idea di costituzione, di valori costituzionali, di ordine costituzionale e persino dei rapporti tra la costituzione e l’opinione pubblica9. Si tornano a citare, facendo sostanziali riferimenti al loro pensiero, scrittori come Emilio Betti, Costantino Mortati, Giuseppe Capograssi, Alessandro Giuliani, sia per una visione dinamica dell’ordine giuridico, che per l’idea che i valori costituzionali non possono essere ridotti a precetti imperativi, soprattutto per il rischio che in questo modo vadano perdute le potenzialità connesse all’interpretazione di essi e la stessa essenza storica dei valori costituzionali10.
Vorrei anche accennare alla grande partecipazione della cultura giuridica italiana alla formazione e all’interpretazione della Costituzione repubblicana, ricordando che tra i protagonisti dei lavori dell’Assemblea costituente si collocarono, ai primi posti, giuristi non specializzati nello studio del diritto costituzionale, che contribuirono, accanto ai politici, a migliorare la qualità della formulazione dei testi. Il richiamo ai lavori dell’Assemblea costituente consente di mettere a confronto il clima culturale e sociale di allora con lo stato dell’opinione pubblica attuale, in occasione del dibattito sulle riforme costituzionali. La Costituzione del 1947 è stata il frutto dell’impegno di politici e giuristi che erano in possesso di un alto grado di conoscenza del diritto e della società italiana e non solo di trattative per la ripartizione delle cariche politiche tra rappresentanti dei partiti politici dell’“arco costituzionale”.
È il caso di sottolineare che gli orientamenti di valore testimoniati dalla Costituzione italiana hanno solide radici nei valori dell’antifascismo, che sono valori storici e non solo concetti dogmatici o massime giurisprudenziali. Essi non vanno trattati con la rigidità degli schemi costruiti dalla dottrina del diritto costituzionale e non possono neppure restare fermi per l’eternità negli stessi contenuti in cui sono stati concepiti dai partiti della maggioranza assembleare. Vorrei ricordare che, durante la fase transitoria che ha preceduto la riunione dell’Assemblea costituente, in un contesto ben diverso da quello prevalso successivamente, si erano manifestate tendenze politiche e orientamenti valutativi che, pur risalendo a movimenti e formazioni politiche antifasciste, venute meno poi per varie ragioni, non hanno trovato spazio in Assemblea costituente o nella successiva prassi politica.
Queste considerazioni indurrebbero ad aprire e sviluppare un discorso sugli attuali equilibri partitici, sulle pressioni internazionali e sui condizionamenti economici e finanziari che finiscono per bloccare ogni progetto che possa investire le esigenze di rinnovamento della società italiana. Incontra oggi difficoltà tornare a riflettere sulla memoria del passato, sull’origine della attuale crisi politica e persino sul ruolo dei giuristi nell’esperienza autoritaria e sugli anni immediatamente successivi, perché si teme che questo discorso possa spostare l’attenzione dagli attuali problemi di diritto costituzionale positivo verso orizzonti più generali che rimettano in discussione i rapporti tra il diritto costituzionale e la politica. Non si può continuare ad accettare che lo studio del diritto costituzionale si trasformi in un discorso prevalentemente tecnico, mentre i temi che più direttamente investono la politica e i profili sostanziali dei valori costituzionali finiscono per essere relegati in uno spazio estremamente rarefatto, in cui perdono ogni possibilità di incidere sulle soluzioni politicamente praticabili. Non si può perciò condividere neppure l’opinione di quegli scrittori secondo cui il solo limite, formale quanto sostanziale, della revisione costituzionale sarebbe costituito dalla non modificabilità dei primi dodici articoli del testo costituzionale, perché essi racchiuderebbero lo spirito stesso della Costituzione; il contenuto dei valori costitutivi di un ordine giuridico e politico non può in effetti vivere fuori dei rispettivi contesti nazionali e internazionali e non ci si può proporre perciò di isolare il significato giuridico e storico testimoniato da una sola parte della Costituzione da quello politico e costituzionale dell’intero testo.
Agli occhi di un tecnico del diritto può sembrare non accettabile che la riforma della Costituzione si riduca a un problema di parziale e poco chiara riscrittura di alcune disposizioni organizzative del testo costituzionale, con la riserva di lasciare, in un secondo momento, alla prassi il compito di mettere in luce l’effettivo significato delle innovazioni introdotte dal Parlamento. Il ricorso al referendum sposta l’attenzione del corpo elettorale verso orientamenti valutativi che non si lasciano guidare né direttamente dai partiti, né dai tecnici del diritto pubblico. Questo significa che l’occasione offerta dalla consultazione popolare di consentire all’opinione pubblica un libero confronto sulla grave situazione economica, sociale e umana che si è venuta creando nel Paese, non dovrebbe andare perduta. Il corpo elettorale e l’opinione pubblica dovrebbero rifiutarsi di considerare i soli interessi dei partiti, per aprire un dibattito sui valori sociali effettivamente condivisi, interrogandosi sulla migliore tradizione politica nazionale, che non si identifica neppure con le indicazioni che emergono dalle dichiarazioni populistiche di poco credibili tribuni11. Le esigenze di revisione del testo costituzionale non si identificano con l’eliminazione del bicameralismo paritario, con la riforma del procedimento legislativo e con il verticismo istituzionale12, né con gli attacchi alle istituzioni europee e neppure con la limitazione delle spese pubbliche o con l’accelerazione delle procedure di decisione, perché i problemi di diritto costituzionale vanno molto oltre le difficoltà fatte valere dalla finanza internazionale e riguardano l’intera convivenza sociale, non solo il ruolo dei supremi organi dello Stato.
La crisi dei partiti politici è sotto gli occhi di tutti e non ha senso insistere nell’illustrare i profili tecnicoistituzionali delle innovazioni, in un clima politico in cui i protagonisti dei dibattiti partitici sembrano non avvertire la necessità di esprimere valutazioni più vicine alle aspettative del cittadino. Si tratta di rafforzare la fiducia in alcuni valori condivisi, riflettendo sull’opportunità di un rinnovamento della prassi politica italiana anziché insistere sulla creazione di nuovi congegni organizzativi del potere istituzionale e sulle procedure di nomina alle cariche pubbliche, facendo valere inammissibili analogie con modelli federali piuttosto lontani dalla nostra storia istituzionale13.
Non si può negare che, tra le esigenze che si fanno valere per giustificare gli interventi riformatori, si colloca in primo piano quella di diminuire le spese pubbliche e di rafforzare l’apparato statale, rendendo più agili le decisioni politiche che investono la società e l’economia e riducendo il costoso insieme di organi e enti dei poteri pubblici centrali e territoriali, oltre a modificare alcune carenze nella ripartizione delle competenze tra Stato e regioni. Anche se queste motivazioni delle riforme costituzionali appaiono condivisibili, le schermaglie mediatiche tra le tifoserie del “sì” e del “no” alla revisione costituzionale sono impostate in modo da far perdere di vista il significato reale delle innovazioni. Le pressioni di Paesi stranieri e delle organizzazioni della finanza internazionale, che insistono sulle insufficienze del sistema rappresentativo italiano e sui ritardi nelle procedure parlamentari, finiscono per far perdere di vista l’esigenza di approfondire le cause delle complessive alterazioni del sistema partitico e organizzativo e della corruzione politica. Lo sforzo dei giuristi dovrebbe essere quello di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla connessione esistente tra i valori storici del diritto costituzionale italiano, le cause della crisi attuale e le esigenze di un effettivo rinnovamento istituzionale.
Ogni ordine giuridico e politico presuppone il consenso della collettività su alcuni valori costitutivi che devono essere condivisi almeno dalla maggioranza dei membri della società nazionale14. Il referendum costituzionale può rappresentare un momento di verifica del consenso sociale rispetto alla revisione, approvata dal Parlamento, di alcune disposizioni della nostra Legge fondamentale.
È appena il caso di aggiungere, per evitare fraintendimenti, che, quando si parla di valori costitutivi della convivenza, si fa riferimento a valori storici che aprono la strada a valutazioni non chiuse all’interno di schemi dottrinali, ma aperte al libero gioco della prassi costituzionale. I valori costitutivi presentano proprio perciò una consistenza particolarmente elevata, perché non sono difendibili attraverso i consueti formalismi esegetici, ma hanno radici nella loro effettiva condivisione da parte della collettività. I valori costitutivi mantengono ferme le loro prospettive realistiche e critiche e perciò non sono suscettibili di essere intesi in modo ideologico, formale, immanentistico o deterministico15.
Un discorso del tutto diverso è quello per cui, avendo ormai il diritto costituzionale, a detta di alcuni scrittori, assunto il carattere di un diritto giurisprudenziale, sarebbe compito proprio delle corti supreme procedere a “ponderazioni” tra valori costituzionali; una delle conseguenze di tale orientamento potrebbe essere quella di ridurre lo studio del diritto costituzionale a un impegno analitico e classificatorio delle tecniche argomentative delle corti supreme.
Va ribadito che nel nostro ordinamento la funzione del referendum costituzionale previsto dall’art. 138 Cost., così come quella del dibattito che lo precede, dovrebbe essere quella di provocare una valutazione complessiva, da parte del popolo, sull’insieme delle riforme, per valutarne l’adeguatezza. Il significato della scelta affidata al popolo non può essere irrigidito in definizioni che tendano a trasformarne il contenuto in una valutazione dettagliata nel merito delle scelte adottate dalle maggioranze parlamentari. È appena il caso di ricordare che l’appello al popolo può essere chiesto da un quinto dei membri di ciascuna Camera, da un numero consistente di cittadini
o da almeno cinque consigli regionali, nel caso in cui il Parlamento non abbia raggiunto la maggioranza dei due terzi dei membri di ciascuna delle due Camere: da queste indicazioni istituzionali appare anche chiara la differenza di funzioni tra il referendum costituzionale e quello diretto all’abrogazione del testo di una legge ordinaria. Non ha perciò alcun senso pensare a analogie con il referendum abrogativo delle leggi ordinarie, per il quale, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, sarebbe indispensabile l’omogeneità del quesito referendario, perché nel referendum costituzionale, la valutazione del popolo investe nel suo insieme una riforma già approvata dal Parlamento. La proposta, pur avanzata in alcuni momenti più caldi del dibattito politico, di trasformare la pronuncia popolare in un’approvazione nel merito di singoli punti della riforma, si rivela perciò contraria alla stessa ratio del referendum costituzionale.
I problemi delle riforme costituzionali non si esauriscono nella contrapposizione tra chi vuole la difesa del testo costituzionale e chi tenta di persuadere l’opinione pubblica che il risanamento delle istituzioni esige alcune modifiche della parte organizzativa di esso. Conviene riflettere anche sul mutamento del ruolo della Costituzione, che appare oggi sempre meno un testo normativo e organizzativo e sempre di più una testimonianza essenziale perché non si perdano di vista i valori costitutivi della convivenza. Vorrei affermare che, per risanare una società profondamente segnata da gravi carenze etiche e politiche, non basta tentare di inserire nel testo della Costituzione del 1947 complessi congegni i cui profili tecnici si andranno precisando nella prassi, eventualmente imitandoli da altri “modelli” costituzionali presenti in Paesi meno corrotti del nostro, ma occorre riaprire un dialogo etico e politico tra i valori condivisibili dalle varie e eterogenee componenti della società civile. Il mutamento dei valori della convivenza e il loro adeguamento alle esigenze che emergono da tutta la società, non solo dalle contingenti maggioranze partitiche, corrette attraverso congegni maggioritari che le rendano sempre più lontane dalla collettività, non può essere imposto da risicate maggioranze parlamentari: occorre mantenere un dibattito aperto e pluralistico sul rinnovamento delle istituzioni.
La Legge fondamentale della nostra Repubblica, a tanti anni dalla sua scrittura, continua a rappresentare, più che mai, una testimonianza di orientamenti politici e sociali che solo attraverso la loro condivisione da parte dei cittadini possono mantenere la loro vitalità. I tentativi di revisione della parte organizzativa della Costituzione italiana, da sottoporre all’approvazione da parte del corpo elettorale, anche se possono stravolgere il significato giuridico delle restanti parti del testo costituzionale16, non possono mutare il corso della storia del nostro Paese. Non si può fare a meno di denunciare il malcostume e l’abuso degli strumenti istituzionali da parte dei protagonisti della vita politica e amministrativa, né l’uso distorto delle procedure decisionali e delle iniziative mediatiche, in modo da far credere all’opinione pubblica che il rinnovamento dell’intero Paese sia un problema tecnico risolvibile attraverso il ricorso a “esperti” di congegni e “modelli” organizzativi. Al contrario, le iniziative mediatiche potrebbero persino giovare a mettere a fuoco le reali esigenze della collettività, mettendo in evidenza che occorre stabilire limiti al profitto economico o finanziario di pochi soggetti privati, per ristabilire un assetto costituzionale solidaristico, sensibile agli interessi dell’insieme dei membri della società e non solo di quanti facciano parte delle grandi organizzazioni speculative, criminali o intese a promuovere l’affermazione personale di pochi privilegiati.
Appare perciò fondamentale che si apra un dialogo tra tutti i cittadini sui temi di più ampio respiro, quelli che possono considerarsi connessi ai valori effettivamente condivisibili dalla maggioranza del popolo, considerando le profonde contraddizioni della nostra storia nazionale e le esperienze fatte finora nella politica e nell’amministrazione. Occorre riaprire il discorso sul valore sostanziale della Costituzione, al di fuori di formalismi e dottrine accademiche, cercando con serietà e umiltà di individuare i problemi più difficili e le contraddizioni più gravi sulla base di una riflessione sulle evenienze che si prospettano al nostro Paese. Purtroppo al momento attuale sembra che lo spettacolo continui e nei prossimi mesi potremmo persino raggiungere i vertici di una situazione mediatica nella quale discorsi privi di contenuto reale, e che investono soprattutto polemiche personali tra i singoli attori della commedia, si contrapporranno sempre di più, continuando a eludere una riflessione politica sulle esigenze del Paese.
Note
1 Cfr. in proposito le chiare indicazioni di Panunzio, S.P., Le vie e le forme per le innovazioni costituzionali in Italia: procedura ordinaria di revisione, procedure speciali per le riforme costituzionali e percorsi alternativi, in Cervati, A.A.Panunzio, S.P.Ridola, P., Studi sulla riforma costituzionale. Itinerari e temi per l’innovazione costituzionale, Torino, 2001, 161, dove lo scrittore esamina criticamente la procedura prevista dalla l. cost. 24.1.1997, n. 1 in quanto diretta a sostituire un referendum plebiscitario al referendum oppositivo previsto dall’art. 138 Cost.
2 Per una denuncia della profonda alterazione dei rapporti tra economia, politica e ruolo della costituzione, si veda Garcia Herrera, M., Estado ecónomico y capitalismo finanziarizado; propuestas para un constitucionalismo crìtico, in Costitucionalismo critico, Liber amicorum Carlos de Cabo Martin, Valencia, 2015, 137; Maestro Buelga, G., Del Estado social a la forma global de mercado, ivi, 53 ss. Per una valutazione parzialmente diversa delle dinamiche costituzionali iberiche, si veda Corquera Atienza, J., Algunas consideraciones sobre la reforma constitucional, ivi, 745 ss.; Amirante, C., Crisi della democrazia e tramonto dei partiti, in corso di stampa, 1 ss.; Zagrebelsky, G., Contro la dittatura del presente. Perché è necessario un discorso sui fini, Bari, 2014, 70.
3 È appena il caso di ricordare che una parte della letteratura giuridica parla di una “società aperta degli interpreti delle costituzioni”, che manterrebbe ampi spazi di confronto tra i cultori del diritto costituzionale, al di là di riferimenti specifici a una determinata costituzione storica: Cfr. Ridola, P., Stato e costituzione in Germania, Torino, 2016, 143, sotto il paragrafo intitolato La res publica come società aperta della costituzione: P. Häberle.
4 Brunialti, A., Il diritto costituzionale e la politica nella scienza e nelle istituzioni, I, Torino, 1896, 48, secondo cui l’uno e l’altra «dovranno procedere sempre come stretti da fraterna concordia».
5 Brunialti, A., op. cit., 31 ss., «il diritto costituzionale è scienza eminentemente politica, anche perciò che la teoria, prima di concretarsi in disposizioni legislative, deve considerare i risultati pratici che da ogni legge deriveranno»; con riferimento in particolare al tema delle riforme costituzionali, Brunialti afferma che, accanto alla «definitiva espressione» in termini giuridici, sarebbero altrettanto importanti una buona formulazione testuale, «la buona elaborazione sociologica del diritto e la sua esatta espressione politica».
6 Calvino, I, Perché leggere i classici, Milano, 1991, 7 e 12, dove si osserva con riferimento ai rapporti tra l’attenzione eccessiva all’attualità e la riflessione sui classici, che «è classico chi riesce a relegare l’attualità a rango di rumore di fondo», aggiungendo che «leggere i classici sembra in contraddizione con il nostro ritmo di vita, che non conosce i tempi lunghi».
7 Mosca, G., Diritto costituzionale, in Enc. Giuridica italiana, IV, pt. V, Firenze ,1912, 134 ss., dove l’illustre scrittore palermitano rileva la diffusione in Italia di un metodo giuridico dogmatico, che egli qualifica come di origine tedesca, che sta lentamente spiazzando il metodo «storico politico o storico sociale molto più diffuso nella tradizione italiana».
8 Si veda Giuliani, A.Picardi, N., La responsabilità dei giudici, Milano, 1956, 133 ss.
9 Si vedano soprattutto Barbera, A., Costituzione della Repubblica italiana, in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, 265 ss.; Mortati, C., Costituzione dello Stato (Dottrine generali e Costituzione della Repubblica Italiana), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 197 ss; Modugno, F., Interpretazione giuridica, Padova, 2015, 164 ss., Roselli, F., Le nuove tutele contro i licenziamenti illegittimi. Incidenza sull’ordinamento costituzionale?, in Giust. civ., 2015, 743 ss. Si segnala Volpe, G., Il costituzionalismo del Novecento, Bari, 2000, 178 ss. e passim.
10 Mi si consenta di citare le fondamentali riflessioni sulla concezione ciceroniana di costituzione di Betti, E., La crisi della Repubblica e la genesi del principato in Roma, ristampa a cura di G. Crifò, Roma, 1982, passim. Sulla scrittura dei principi del diritto, si veda l’intervento dello stesso scrittore al Convegno di Pisa del 1941, in AAVV., Studi sui principi generali dell’ordinamento fascista, Pisa, 1943, 322 ss.; Id., Teoria generale dell’interpretazione, ed. a cura di G. Crifò, I, Milano, 1990, 402 ss.; Id., Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica), ed. a cura di G. Crifò, Milano, 1971, 325 ss.; Cervati, A.A., L’insegnamento di Emilio Betti e il diritto costituzionale, in Id., Per uno studio comparativo del diritto costituzionale, Torino, 2009, 75 ss.
11 Benvenuti, M., Divagazioni su popolo e populismo a partire dall’attuale orizzonte costituzionale italiano, in Il populismo tra storia, politica e diritto, a cura di R. Chiarelli, Soveria Mannelli, 2015, 275 ss.
12 Cervati, A.A., Riflessioni su alcuni orientamenti costituzionali in tema di procedimento legislativo, in Baldassarre, A. Cervati, A.A., Critica dello Stato sociale, Bari, 1982, passim.
13 Si vedano le realistiche considerazioni, fondate sulla storia costituzionale tedesca, svolte da Schefold, D., Audizione Commissione Affari Costituzionali Camera dei Deputati 22 ottobre 2014, in Atti parlamentari, e quelle fondate sulla genesi del federalismo tedesco; nonché le riflessioni di Meyer, H., Föderalismusreform: wie reformfähig ist unser System?, Berlin, 2008, 1 ss.; Koja, F., Bundesrat, in Hellbling, E.C.-Mayer Maly, T.Marcic, R., Bundesrat auf der Waage, Wien, 1969, passim; e le osservazioni di Ardant, P.Mathieu, B., Droit constitutionnel et institutions politiques, Paris, 2004, 538 ss. Non si può condividere l’uso distorto della comparazione giuridica da parte di quegli studiosi delle riforme costituzionali che utilizzano le informazioni che si possono facilmente trarre dalla letteratura specialistica dei diversi Paesi, per rimontare pezzi di congegni istituzionali ricavati da vari modelli costituzionali, secondo una tecnica in cui la comparazione scompare quasi del tutto a vantaggio di un impiego meccanico degli strumenti ricavabili dalla prassi di altri Paesi. Molto produttivo potrebbe essere, ad esempio, trarre ispirazione dalle riflessioni storiche e critiche di scrittori stranieri sul tema delle seconde Camere in Paesi caratterizzati da strutture federali autonomistiche.
14 Per riferimenti a esigenze costituzionali che non si limitano a registrare le polemiche accademiche o partitiche, si veda in questo volume, Diritto costituzionale: 1.1.4 Procedimenti legislativi statali e regionali; 1.1.5 Autonomie sociali e locali; 1.1.7 Economia tra diritto pubblico e privato; 1.1.8 Nuove forme di solidarietà sociale.
15 Si vedano in proposito le considerazioni di Giuliani, A., I due storicismi, in Il Politico, 1953, 329 ss.
16 Cfr. La Costituzione italiana: Riforme o sconvolgimento?, a cura di C. Amirante, Bari, 2016, XI ss.; Zagrebesky, G., Loro diranno, noi diciamo, Bari, 2016, 23 s.