AUTORE, diritto d'
Prima della fine del sec. XVIII non si può dire che esistesse un vero e proprio diritto d'autore, ma venivano soltanto concessi dei privilegi agli autori, specialmente ai librai. Un primo e timido riconoscimento legislativo del diritto si ebbe col decreto 13-19 gennaio 1791 dell'Assemblea nazionale francese relativo agli spettacoli, nel quale era espressa la proibizione di rappresentare opere di autori viventi senza il loro consenso, e si aggiungeva che gli eredi o cessionarî degli autori sarebbero stati "proprietarı" delle loro opere per cinque anni dopo la morte dell'autore. Dopo due anni, la Convenzione nazionale emanava la legge 19-24 luglio 1793, con la quale veniva riconosciuto il diritto esclusivo dell'autore per tutte le opere dell'ingegno: tale legge, successivamente modificata, è tuttora vigente in Francia.
In Italia, il primo riconoscimento della "più sacra e più preziosa delle proprietà" si ebbe con la legge 19 fiorile anno IX (9 maggio 1801) della Repubblica Cisalpina e con quelle del Regno Italico; seguirono l'editto 23 settembre 1826 per lo Stato Pontificio, il decreto 5 febbraio 1828 per il Regno delle Due Sicilie, il Codice civile albertino del 1836 per la Sardegna, il decreto 22 dicembre 1840 di Maria Luigia per il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla.
La prima legge del regno d'Italia fu quella del 25 giugno 1865, n. 2337, che - salvo qualche modificazione - rimase in vigore fino a oggi. Ad essa furono apportate alcune modificazioni con legge 10 agosto 1875, n. 2652, e altre con legge 18 maggio 1882, n. 756. Con quest'ultima legge era data facoltà al governo di riordinare in unico testo le leggi; valendosi di tale facoltà il governo, con decreto 19 settembre 1882, n. 1012, emanava il testo unico delle leggi sui diritti spettanti agli autori delle opere dell'ingegno.
Fin dal 1897 fu sentito il bisogno di modificare la legge e fu nominata una commissione per lo studio delle riforme; altre furono nominate nel 1901, nel 1902, nel 1909, nel 1917. Le relazioni delle varie commissioni rimasero sempre negli archivî. Il voto degl'interessati e degli studiosi poté essere appagato solo col r. decr.-legge 7 novembre 1925, n. 1950, contenente le "Disposizioni sul diritto d'autore". Seguì il r. decr. 13 luglio 1926, n. 1369, contenente il regolamento per l'esecuzione della legge, la quale entrò in vigore il 1 settembre 1926. Con successivo decreto-legge 13 gennaio 1927, n. 61, furono modificati due articoli della legge.
Per i rapporti con gli stranieri, oltre ad alcune convenzioni particolari, esiste l'Unione internazionale di Berna, alla quale l'Italia ha aderito. L'Unione venne costituita con una convenzione stipulata il 9 settembre 1886, fu modificata con l'atto addizionale di Parigi del. 4 maggio 1896, e finalmente modificata ancora con l'atto di Berlino 3 novembre 1908. L'Italia ratificò, salvo alcune riserve, quest'ultima convenzione con legge 4 ottobre 1914, n. 1114. Infine la convenzione è stata recentemente modificata con atto firmato a Roma dai rappresentanti delle varie potenze il 2 giugno 1928, ma non ancora ratificato. L'Unione venne originariamente costituita fra Italia, Francia, Germania, Belgio, Spagna, Gran Bretagna, Svizzera, Haiti e Tunisia. Aderirono successivamente Lussemburgo, Monaco, Norvegia, Giappone, Liberia, Danimarca, Svezia, Portogallo, Paesi Bassi, Indie Olandesi, Curaçao e Surinam; e, dopo la grande guerra, Marocco, Austria, Grecia, Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Brasile, Ungheria, Danzica, Canada, Estonia, Irlanda, Palestina, Romania, Siria.
Dopo che l'abolizione dei privilegi ebbe a determinare il riconoscimento del diritto d'autore come un diritto naturale, si è molto disquisito sulla natura di tale diritto. I trattatisti della materia si possono suddividere a tal proposito in due grandi campi: i sostenitori del diritto di proprietà, e quelli del diritto di personalità. È certo che fra i diritti concessi all'autore ve ne sono che si attengono alla personalità, e sono i cosiddetti "diritti morali", ma ciò non può portare alla conseguenza di escludere che il contenuto patrimoniale del diritto sia effettivamente quello di una proprietà, per quanto sui generis. Il fatto che le leggi limitano la durata del diritto, non esclude l'esistenza di una proprietà: lo stato può, per ragioni d'interesse pubblico, limitare l'esercizio del diritto di proprietà; e tale è appunto il caso della proprietà intellettuale.
Qualunque sia la teoria che si voglia accogliere circa la natura del diritto d'autore, è indiscutibile che esso attribuisce a chi lo possiede la facoltà esclusiva di trarre dalla sua opera tutti i vantaggi economici che essa può produrre, nei limiti concessi dalla legge. Di conseguenza, l'opera letteraria o artistica non può essere pubblicata, tradotta, riprodotta, eseguita o rappresentata senza il permesso dell'autore o dei suoi aventi causa. Ammesso e riconosciuto che qualsiasi forma di sfruttamento è riservata all'autore, non occorrerebbe elencare le varie facoltà. Ma poiché il cammino per giungere all'esatta comprensione della proprietà letteraria e artistica, come diritto naturale e insito nella qualità di autore, è stato lungo e faticoso, e a ogni nuova forma di sfruttamento sorsero opposizioni all'applicazione della legge, così il legislatore ha avuto cura di spiegare che la facoltà di pubblicare comprende l'uso della stampa, litografia e qualsiasi mezzo o procedimento di riproduzione, la trascrizione di letture o improvvisazioni orali a mezzo della stenografia o dattilografia, la recitazione in pubblico di scritti o discorsi e la costruzione dell'edificio per le opere di architettura, secondo quello che è stato ritenuto dalla giurisprudenza.
La facoltà di traduzione comprende anche la traduzione in o dal dialetto. La facoltà di riprodurre e di diffondere comprende anche tutti i mezzi di riproduzione e diffusione meccanica: cinematografo, fonografo, e strumenti analoghi, telefono e radiotelefonia. Il diritto esclusivo di pubblicazione comprende le riduzioni, i compendî, gli adattamenti, e la trasformazione da una in altra forma letteraria e artistica. Il diritto esclusivo di eseguire e rappresentare opere adatte a pubblico spettacolo e composizioni musicali è limitato all'esecuzione e rappresentazione pubblica: dall'acquisto dell'esemplare di una commedia o di un lavoro musicale deriva come conseguenza naturale il diritto di eseguirli privatamente, come il compratore di un libro può leggerlo ad alta voce a parenti od amici.
Difficile era determinare il limite tra esecuzione pubblica ed esecuzione privata. Per molti anni, si sostenne che potesse dirsi pubblica soltanto l'esecuzione fatta in luogo aperto a chiunque paghi un biglietto d'ingresso. Ciò sostenevano specialmente le compagnie di filodrammatici, per sottrarsi a ogni controllo e a pagamento qualsiasi; la stessa teoria fu pure sostenuta per sottrarre a ogni pagamento i caffè e gli spettacoli di beneficenza. La dottrina e la giurisprudenza francesi furono sempre molto oscillanti su tale punto, e, pur ammettendo che l'elemento della gratuità della rappresentazione non potesse bastare ad escludere la pubblicità, generalmente esclusero dal pagamento le recite fatte in riunioni ove potessero accedere soltanto persone munite di biglietti d'invito personali. La giurisprudenza italiana invece si è sempre e risolutamente affermata in senso più rigido; essa ha sempre riconosciuto che è pubblica l'esecuzione allorché non è fatta nell'intimità di una famiglia. E la nuova legge ha esattamente definito (art. 10) per rappresentazione pubblica, quella che è data "fuori della cerchia ordinaria di una famiglia, di un convitto, di una scuola".
Recentemente sorse il quesito: è pubblica l'esecuzione radiofonica? Si sosteneva essere privata, basandosi sul fatto che essa avviene in luogo chiuso. Ma è presto risposto che, potendo essere ascoltata da chiunque possieda un apparecchio ricevitore, la diffusione radiofonica è la più pubblica di tutte le esecuzioni. E ciò fu espressamente dichiarato dalla nostra legge.
La proiezione cinematografica è considerata rappresentazione. Per quanto fosse insito nel concetto di rappresentazione ed esecuzione, la legge espressamente dichiara che la facoltà esclusiva dell'autore non è limitata all'opera rappresentata o eseguita integralmente e come scritta dall'autore, ma si estende alle singole parti, pezzi estratti e riduzioni.
Molto si è discusso in passato circa il concetto di pubblicazione, specialmente in rapporto alle opere d'arte figurativa e d'arte rappresentativa. In Italia tale discussione era specialmente importante, per la determinazione della durata del diritto, avendo la nuova legge fissata questa, non in base alla decorrenza di un termine dalla prima pubblicazione, la questione ha perduto molto del suo valore pratico. In ogni modo, ormai la questione è stata risolta, giacché nella convenzione dell'Unione (art. 4) è dichiarato espressamente che il concetto di pubblicazione si riferisce soltanto alle opere edite; l'esecuzione o rappresentazione di un'opera musicale o drammatica, l'esposizione di un'opera d'arte, la costruzione di un'opera d'architettura non costituiscono una pubblicazione.
La giurisprudenza italiana è sempre stata assai larga nel riconoscere la protezione a qualsiasi opera dell'ingegno: perciò l'art. 1 della nuova legge non ha fatto che sancire quanto già era stato ritenuto nell'interpretazione della vecchia legge. Tutte le opere dell'ingegno godono la protezione della legge: opere scientifiche, letterarie, artistiche e didattiche. La nuova legge ha avuto cura di aggiungere che le opere dell'ingegno sono protette "qualunque ne sia il merito e la destinazione". Quindi l'opera è tutelata, senza riguardo alla sua maggiore o minore importanza; se vi è chi la copia o la imita, ciò significa che un qualunque valore, sia pur minimo, essa possiede in sé. Con la parola "destinazione" si è risolta l'annosa questione delle opere d'arte applicate all'industria. Con l'ammettere che l'opera deve essere protetta, qualunque ne sia la destinazione, il legislatore ha riconosciuto espressamente che non soltanto le opere d'arte propriamente dette sono protette, ma anche quelle che servono a oggetti industriali; e così è protetta tanto l'opera d'arte pura e che venga poi applicata ad oggetto industriale (per esempio una pittura applicata ad un mobile), quanto l'opera che è di natura industriale, ma ha una forma estetica nuova (ad esempio un modello di candelabro). Nell'enumerazione delle opere artistiche il legislatore ha affermato espressamente che fra esse sono compresi "i lavori d'arte applicata all'industria".
Fra le opere artistiche, oltre le opere drammatiche e musicali, furono comprese quelle cinematografiche, coreografiche e pantomimiche; e, oltre le opere di pittura e scultura, furono espressamente comprese l'architettura, le fotografie e i procedimenti analoghi.
Fra le opere scientifiche il legislatore ha espressamente compresi "i progetti di lavori d'ingegneria, quando costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici". Vi è chi ritiene che tale disposizione protegga la riproduzione dei lavori d'ingegneria, non la loro esecuzione: noi riteniamo però che in tal modo viene frustrato lo scopo che il legislatore si è prefisso. Col negare all'autore di un progetto originale d'ingegneria la facoltà esclusiva di eseguirlo, si va contro il principio informatore di tutte le leggi sul diritto d'autore, e si concede all'autore una protezione così limitata che alle volte può divenire illusoria.
Una limitazione importante al diritto esclusivo di riproduzione è sancita dall'art. 6 della nuova legge, il quale permette che i discorsi pubblici su argomenti politici o amministrativi siano liberamente riprodotti sui giornali e negli atti delle assemblee in cui furono pronunciati, fermo restando il divieto di riprodurli separatamente, senza il permesso dell'autore.
Per le pubblicazioni contenute in giornali, o altre pubblicazioni periodiche, la nuova legge contiene un notevole progresso. La legge precedente e la convenzione internazionale, accordavano la protezione soltanto se l'autore ne aveva fatto esplicita riserva: la legge italiana attuale invece abolisce ogni obbligo di riserva. Concede la riproduzione soltanto degli articoli di polemica politica o amministrativa, delle informazioni e delle notizie, purché se ne citi la fonte e si indichi il nome dell'autore degli scritti firmati.
La nuova legge italiana dichiara espressamente all'art. 3 che "il diritto d'autore si estende al titolo dell'opera, quando non sia un titolo generico". La tutelabilità del titolo specifico era già stata riconosciuta dalla giurisprudenza. La dottrina ha molto disputato circa la natura di tale diritto, poiché è molto dubbio se veramente possa ritenersi un vero e proprio diritto d'autore, o non invece un segno distintivo. È certo che se si volesse attribuire al titolo un vero e proprio carattere di diritto d'autore, si dovrebbe concederne l'esclusività a chi lo abbia ideato, e permettergli di proibirne l'uso anche per un'opera d'arte di un genere completamente diverso. Invece non può esservi dubbio, a quanto sembra, che quando non vi sia possibilità di confusione o di concorrenza tra un'opera e un'altra (ad esempio tra un romanzo e un dipinto) non si possa proibire di adottare per tutt'e due lo stesso titolo. In ogni modo, e non indugiando in discussioni teoriche, deve ritenersi che opportunamente il legislatore ha riconosciuto la proteggibilità del titolo, e che essa deve intendersi non assoluta, ma relativa a opere di genere non completamente differenti tra loro.
Un diritto importantissimo è quello sulla traduzione delle proprie opere. Il timore d' impedire la diffusione di opere giovevoli alla cultura nazionale trattenne il legislatore dal parificare il diritto di traduzione al diritto sull'originale, sì che la legge testé abrogata limitava a dieci anni la durata del diritto esclusivo di traduzione. Ma di fatto tale disposizione fu abrogata dalla convenzione dell'Unione. L'atto addizionale di Parigi del 1896 stabilisce che gli autori godano negli altri paesi unionisti il diritto esclusivo di fare o autorizzare la traduzione delle opere per tutta la durata del diritto sull'opera originale; però tale diritto esclusivo viene a cessare, ove l'autore non ne abbia fatto uso entro i dieci anni dalla prima pubblicazione dell'opera originale.
Nell'ultima convenzione di Berlino venne tolta anche questa restrizione, e assimilato completamente il diritto di traduzione al diritto sull'originale. Siccome però era riservato alle alte parti contraenti il diritto di ratificare anche solo parzialmente la convenzione, così l'Italia si valse di tale diritto e nella legge di ratifica, in data 4 ottobre 1914, fece eccezione pel diritto di traduzione; il quale, quindi, è tuttora retto dall'atto addizionale di Parigi. Il curioso è che, mentre si faceva tale riterva, nella convenzione speciale con la Germania - ratificata proprio nell'anno 1908, allorché veniva firmata la convenzione dell'Unione a Berlino - l'Italia accettava il concetto della parificazione completa del diritto di traduzione a quello sull'originale. Insorse allora la Francia, e invocò la clausola della nazione più favorita, contenuta nella sua convenzione speciale con l'Italia, del 9 luglio 1884. E così, per un certo lasso di tempo, la parificazione ebbe valore anche per la Francia. Ma il 4 aprile 1916 l'Italia denunciò la convenzione colla Germania, e così tornò ad aver vigore la restrizione dei dieci anni anche per la Germania e per la Francia.
La nuova legge ha però compreso fra le elaborazioni dell'opera riservate all'autore anche la traduzione in altre lingue (art. 2), e ha così parificato il diritto di traduzione al diritto sull'originale. Ha soltanto voluto porre una restrizione per le opere scientifiche, mantenendo per esse (art. 27) la restrizione dell'obbligo della traduzione entro dieci anni dalla pubblicazione dell'originale. Poiché nella prossima revisione della convenzione internazionale sarà certamente confermata l'assimilazione completa e tolta ai varî stati la possibilità di accettare la convenzione solo parzialmente, ne avverrà che l'art. 27 della legge - ultimo residuo di un vecchio pregiudizio - dovrà essere abrogato dal nostro legislatore.
La traduzione è protetta anche quale opera a sé; e così chi traduca un'opera caduta in dominio pubblico, non può impedire che altri ne faccia altra traduzione, ma gode del diritto esclusivo della propria.
L'art. 2 della nuova legge, oltre alle traduzioni, riconosce la protezione delle altre elaborazioni di un'opera, e così le trasformazioni da una in altra forma letteraria o artistica, i compendî, gli adattamenti e le riduzioni, compresi quelli per istrumenti o mezzi atti a riprodurre l'opera meccanicamente. Ciò è confermato dall'ultimo cap. dell'art. 9, il quale però fa un'eccezione nel caso in cui "il motivo di un'opera originale diventi occasione o tema di una composizione musicale che costituisca un'opera nuova". Tale eccezione, tuttavia, è ritenuta da alcuni contraria ai principî informatori della legge, tanto più che le variazioni di un motivo originale potrebbero anche ledere il diritto dell'autore all'integrità dell'opera propria.
Il diritto all'integrità dell'opera fa parte di quelle facoltà che con frase impropria ma espressiva sono chiamate "diritti morali". Tale diritto è indipendente dai diritti patrimoniali e spetta all'autore anche nel caso che egli abbia ceduto completamente l'opera a un editore, o che l'opera - per effetto delle disposizioni restrittive della precedente legge sia caduta in dominio pubblico. L'autore ha quindi azione per impedire che la paternità dell'opera sia disconosciuta o che sia modificata, alterata o deturpata. Tale diritto, essenzialmente personale, che fino a non molti anni fa non era stato preso in considerazione, fu tema di studî dottrinali, ed è veramente notevole il fatto che il nostro legislatore lo abbia espressamente riconosciuto (art. 16), e abbia stabilito (art. 24) che dopo la morte dell'autore, tale diritto possa, senza limite di tempo, essere fatto valere dal coniuge o dai figli, e in loro mancanza dai genitori e avi e dai discendenti diretti, e via via dai fratelli, sorelle e loro discendenti, e finalmente dal Pubblico ministero, il quale può esercitarlo anche se esistano i parenti dell'autore, ma omettano di farlo valere. Un altro aspetto del diritto personale è regolato dall'art. 15, il quale permette all'autore, non ai suoi eredi, di ritirare l'opera dal commercio per gravi ragioni morali, risarcendo l'editore del danno che gliene deriva.
Una restrizione al diritto esclusivo dell'autore è stata stabilita nell'art. 22 della legge, il quale permette di riprodurre brani di opere, in misura limitata, nelle antologie a uso scolastico, purché si faccia menzione dell'opera, dei nomi dell'autore e dell'editore, e si dia un equo compenso all'autore o suo avente causa. Tale disposizione, ispirata alla legge germanica, può non essere da tutti approvata, tanto più che potrebbe in determinati casi ledere quel diritto morale che la legge ha voluto riconoscere. Un'altra restrizione al diritto esclusivo dell'autore, a scopo di diffusione della cultura, è contenuta nell'art. 50 della legge, che permette l'esecuzione anche pubblica di pezzi musicali alle bande e fanfare dei corpi armati dello stato.
Il diritto spetta all'autore, come tale, anche se non abbia completa capacità giuridica; così il minorenne, l'interdetto, il fallito, possono divenire soggetti dei diritti personalissimi attribuiti alla persona dell'autore. Invece la tutela giuridica, l'esercizio del diritto può essere esercitato soltanto da chi li rappresenta legalmente.
Soggetti del diritto possono essere tanto le persone singole, quanto due o più persone in comune, le quali abbiano collaborato tra loro alla creazione dell'opera. In questo secondo caso, il diritto appartiene in parti eguali ai varî proprietarî del diritto, salvo che essi abbiano convenuto altrimenti (art. 18).
Per le opere cinematografiche, il legislatore ha ritenuto di poter senz'altro stabilire che, salvo patti in contrario, il diritto appartiene per metà all'autore del libretto e per metà all'autore della pellicola; se poi all'opera ha collaborato anche un musicista con musica scritta espressamente, il diritto si divide fra i tre (art. 20).
Per l'esercizio del diritto occorre il consenso di tutti i coautori, ma in caso di disaccordo decide l'autorità giudiziaria (art. 18). Il legislatore però ha senz'altro regolato l'esercizio delle opere poste in musica e di quelle cinematografiche. Per le prime, l'autore della musica ha diritto di riprodurre con essa le parole, mentre il poeta non può riprodurre la musica, ma ha facoltà di pubblicare separatamente la parte letteraria. Per le opere coreografiche la legge dispone in senso opposto, dando la prevalenza al coreografo (art. 19). Per le opere cinematografiche, l'autore della pellicola può riprodurla unitamente al libretto ed eventualmente alla musica; l'autore del libretto e il musicista hanno la facoltà esclusiva di riprodurre separatamente la loro opera, e il librettista può trarne un'opera letteraria o artistica di altra specie (art. 21).
La nuova legge ha regolato l'esercizio delle opere postume e inedite sulle quali nulla disponeva la legge abrogata. L'autore ha diritto di pubblicare l'opera anonima o con pseudonimo: può però rivelarsi quando lo creda, e può agire in giudizio per la tutela del proprio diritto. Dopo che egli si sia rivelato, i suoi aventi causa devono pubblicare e rappresentare l'opera col suo nome. Qualunque patto contrario a tale facoltà, che appartiene a quelle che si dicono diritti morali, sarebbe nullo (art. 14).
L'autore può, morendo, affidare a una determinata persona la pubblicazione delle sue opere inedite, e può stabilire un termine, prima dei quale le opere stesse non debbono essere pubblicate. Salve tali restrizioni, il diritto d'autore sulle opere inedite appartiene ai suoi eredi o legatarî (art. 25).
Altri diritti, di cui la legge antica non teneva parola, sono quelli sulle lettere e sul ritratto. Il diritto d'autore sulle lettere appartiene evidentemente a chi le ha vergate; la legge però ha creduto di non permetterne la pubblicazione senza il consenso del destinatario (art. 12).
Per quanto attinente più al diritto di personalità che al diritto d'autore propriamente detto, fu opportunamente regolato anche il diritto sul ritratto. Il diritto d'autore sul ritratto (la legge non lo dice, né aveva bisogno di dirlo) appartiene a chi lo ha eseguito; ma questi non può pubblicarlo, senza il consenso, espresso o tacito, della persona effigiata, la quale può anche revocare il già dato consenso, ma deve risarcire il danno che l'esercizio di tale sua facoltà abbia prodotto. È libera la pubblicazione di un ritratto per scopi culturali, o che si riferisca a fatto di interesse pubblico o svoltisi in pubblico (art. 11).
Tanto per le lettere, quanto per il ritratto, dopo la morte dell'autore o dell'effigiato, la legge richiede il consenso del coniuge, e dei figli, o in loro mancanza, dei genitori o degli altri ascendenti e discendenti diretti (articoli 11 e 12).
La durata del diritto d'autore e la decorrenza di essa erano regolate diversamente nelle varie legislazioni. Tale diversità portava a contestazioni nei rapporti internazionali e si vide quindi la necessità di equiparare il più possibile le norme relative. E poiché il sistema più semplice era quello della legge francese, così esso venne accolto, nei rapporti internazionali, dalla convenzione dell'Unione, riveduta a Berlino il 13 novembre 1908. Per esso la durata della protezione comprende la vita dell'autore e cinquant'anni dopo la sua morte.
La legge italiana aveva adottato un criterio differente. Il diritto esclusivo dell'autore cominciava dalla data di prima pubblicazione e durava per tutta la vita dell'autore stesso, e a favore degli eredi fino al compimento di quarant'anni alla prima pubblicazione. Trascorso tale termine era concesso agli eredi un diritto, ma non esclusivo, per la durata di altri quarant'anni: in questo secondo periodo chiunque poteva pubblicare l'opera, purché pagasse agli eredi o aventi causa il cinque per cento sul prezzo lordo indicato sugli esemplari dell'opera. Per il diritto di rappresentazione di opere adatte a pubblico spettacolo e di esecuzione di opere musicali, la legge stabiliva un termine unico di esclusività fissato in ottant'anni dalla prima rappresentazione o pubblicazione. La nuova legge, seguendo anche i postulati degli studiosi, ha adottato il sistema della convenzione internazionale, cioè la durata per tutta la vita dell'autore e per cinquant'anni dopo la sua morte (art. 26).
Per le opere pubblicate a spese o per conto dello stato e delle amministrazioni pubbliche, e per le opere fotografiche, il diritto è stato limitato a vent'anni dalla pubblicazione (articoli 26 e 31): sono però di dominio pubblico le leggi, i decreti, i regolamenti, le sentenze e in genere gli atti ufficiali (art. 7). Per le opere in collaborazione, la durata si determina sulla vita del collaboratore che muore per ultimo (art. 28).
L'adozione del sistema francese ha dato modo di abolire le formalità di riserva, stabilite dalla legge precedente, la cui mancanza toglieva all'autore ogni diritto sull'opera propria; disposizione assolutamente ingiusta, perché faceva dipendere l'esercizio di un diritto naturale dall'adempimento di formalità burocratiche, e perché dava luogo a frequenti contestazioni a favore dei contraffattori. La nuova legge ha creduto però di conservare una formalità, stabilendo, all'art. 58, che l'autore deve depositare un esemplare dell'opera all'ufficio della proprietà intellettuale, sotto pena di un'ammenda e del sequestro di uno o più esemplari dell'opera; però la protezione non è subordinata all'effettuazione di tale deposito.
Non si comprende la ragione di tale disposizione; essa fu forse dettata da uno scopo culturale. Ma a ciò provvede già la legge 7 luglio 1910, n. 432, la quale impone l'obbligo del deposito di tre copie di ogni opera, una per la Biblioteca centrale di Firenze, una per la Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma o (per le opere giuridiche) per la biblioteca del Ministero di grazia e giustizia, e la terza per la biblioteca governativa (o altra designata) della provincia.
Per le opere anonime e pseudonime a cui il criterio adottato non sarebbe applicabile, l'art. 29 della legge ha fissata la durata della protezione in cinquant'anni dalla prima pubblicazione, rappresentazione o esecuzione; se poi l'autore farà risultare in seguito tale sua qualità, tornerà ad applicarsi il principio generale della durata di cinquant'anni dopo la morte dell'autore. Per le opere inedite, l'art. 30 ha stabilito lo stesso termine fissato per le anonime, purché la pubblicazione o esecuzione avvenga entro trent'anni dalla morte dell'autore; trascorso tale termine l'opera inedita, se pubblicata, cade senz'altro in dominio pubblico.
Per le opere musicali e per quelle adatte a pubblico spettacolo, dopo che esse siano cadute in dominio pubblico per decorso del termine, la nostra legge ha stabilito un dominio di stato, e con l'obbligo, per chiunque le esegua o rappresenti in pubblico, di pagare all'erario il cinque per cento sugl'incassi (art. 34). In realtà può dirsi che si tratti di una tassa e non di un diritto d'autore, ché in questo caso avrebbe dovuto essere pagato, sia pure in parte, agli eredi dell'autore. Affinché da questi incassi possa trarre beneficio la cultura nazionale, il successivo art. 35 stabilisce che saranno erogati due milioni ogni anno "per incoraggiamento ad autori, ad enti ed istituti che abbiano eseguito o promosso opere di particolare pregio ed importanza per la cultura e l'industria".
Mentre la legge testé abrogata conteneva poche disposizioni d'indole generale circa l'alienazione e trasmissione dei diritti d'autore, il regio decreto 7 novembre 1925 ha dato norme dettagliate riflettenti il contratto di edizione, e di esse si parlerà sotto tale voce. Qui è opportuno ricordare soltanto un nuovo istituto creato dalla nuova legge, quello della trascrizione, poiché esso riguarda non soltanto le cessioni, ma anche altri atti.
L'art. 37 stabilisce che debbano farsi per atto pubblico o per scrittura privata sotto pena di nullità gli atti di trasferimento, di godimento o di garanzia, di divisione, di società, di transazione e di rinuncia, riflettenti diritti d'autore; e l'art. 51 fa obbligo di trascrivere gli atti suddetti, fatti per un tempo eccedente i cinque anni, o per tempo indeterminato, i precetti per vendita forzata, le sentenze di vendita, i decreti di espropriazione per pubblica utilità (regolati dagli articoli 55 e seguenti), come pure gli atti giudiziarî riflettenti cause di annullamento per mancata trascrizione. Tali disposizioni restrittive sono ritenute da alcuni non giustificate, in quanto possono creare inciampi alla libera esplicazione del diritto d'autore.
ll testo unico 19 settembre 1882 sanciva pene assai lievi contro i contraffattori. Il nuovo legislatore, pur escludendo ancora le pene restrittive della libertà personale, ha aggravato le pene pecuniarie; infatti l'art. 61 commina la pena della multa da L. 500 a L. 10.000 per le pubblicazioni, esecuzioni e rappresentazioni abusive; e l'art. 62 la multa fino a L. 5.000 per le traduzioni abusive. L'art. 23 conserva la facoltà, già esistente nella legge precedente, all'autore o suo avente causa di chiedere al prefetto la proibizione della rappresentazione o esecuzione d'opera adatta a pubblico spettacolo, quando manchi la prova scritta del consenso. L'art. 68 contiene una disposizione nuova, affine a quella già esistente per le privative industriali; permette cioè di ottenere la descrizione o il sequestro delle contraffazioni.
Una norma importantissima è contenuta nelle disposizioni transitorie della nuova legge, e si collega all'abolizione delle formalità del deposito. Anche per le opere già pubblicate o rappresentate prima della nuova legge, per le quali non siano trascorsi i termini in essa stabiliti, la durata del diritto è regolata secondo le norme di questa. Coloro che avessero perduto i loro diritti per mancanza dell'adempimento del deposito, li riacquistano e ne godranno per il resto della durata fissata dalla legge, purché lo dichiarino entro un anno (art. 70). Reintegrando l'autore nel diritto da lui perduto soltanto per mancanza di una formalità, si è fatto opera di giustizia. Però la legge ha provveduto a tutelare i diritti quesiti, stabilendo che coloro i quali abbiano legittimamente pubblicato opere cadute in dominio pubblico per mancanza del deposito, potranno ancora tenerle in commercio per il periodo di un anno dal giorno in cui sarà data pubblica notizia della dichiarazione fatta dall'autore o suoi aventi causa di voler riacquistare i diritti perduti.
Il decreto-legge 13 gennaio 1927, n. 61, con il quale si sono apportate alcune modificazioni alla legge, regola anche i diritti quesiti di coloro che avevano legittimamente, in base alla vecchia legge, riprodotto opere cadute nel secondo periodo di dominio pubblico pagante, e che per effetto della nuova legge sono rientrate in dominio esclusivo degli eredi e aventi causa dell'autore. A essi è concesso di tenerle ancora in commercio per un periodo di tre anni.
Se v'è materia che più facilmente comporta rapporti internazionali è certo quella del diritto d'autore. Per ciò fu sentita la necessità di un regolamento internazionale, e le nazioni più progredite stipularono quella convenzione, di cui si è già fatto cenno. Il concetto informatore della convenzione è quello di permettere un'efficace protezione in tutti gli stati aderenti; quindi il caposaldo della convenzione è la disposizione (art. 4) per la quale gli autori appartenenti a uno dei paesi dell'Unione godono negli altri paesi i diritti concessi agli autori nazionali dalle leggi del paese nel quale è reclamata la protezione. Nella prima convenzione si esigeva, da chi reclamava la protezione in un paese, di provare che la sua opera fosse protetta dalla legge del paese di origine. Ciò dava luogo a difficoltà pratiche, e finalmente nell'ultima revisione, quella di Berlino del 1914 tuttora in vigore, fu stabilito che il godimento e l'esercizio dei diritti non sono subordinati ad alcuna formalità, e sono indipendenti dall'esistenza della protezione nel paese d'origine. Questa liberalissima e provvida disposizione faceva sì che, sotto l'impero della precedente nostra legge, le opere italiane fossero protette all'estero più che in Italia; infatti, anche le opere cadute nel dominio pubblico in Italia per mancanza del deposito di riserva, erano pur sempre protette negli altri paesi. Tale anomalia ha certamente contribuito a ottenere che la nuova legge abolisse l'odiosa e antigiuridica disposizione, che faceva dipendere l'esistenza e l'esercizio di un diritto naturale dall'adempimento di una formalità burocratica.
Bibl.: E. Piola-Caselli, Trattato del diritto d'autore, 2ª ed., Torino-Napoli 1927; U. Pipia, Codice dei diritti d'autore, Milano 1927; E. Valerio, La nuova legge sul diritto d'autore, Milano 1926; M. Amar, Dei diritti degli autori, Torino 1874; L. Ferrara, L'esecuzione forzata nel diritto d'autore, Napoli 1904; E. Rosmini, Legislazione e giurisprudenza sui diritti d'autore, Milano 1890; N. Stolfi, La proprietà intellettuale, Torino 1915-17, voll. 2; U. Tiranty, La cinematografia e la legge, Torino 1921: v. anche la rivista I diritti d'autore, novembre 1882-1921.