Diritto delle comunicazioni elettroniche
Evoluzione storica e fonti normative
Dal monopolio pubblico alla prima liberalizzazione del settore
La fornitura di servizi di telecomunicazione (all’origine, telefono e telegrafo) è da sempre soggetta a un controllo pubblico, dato il carattere strategico che le attività in questione rivestono per l’economia nazionale e per lo stesso progresso sociale, e cioè ai fini della partecipazione piena dei cittadini alla vita civile del Paese. Tali attività sono state oggetto di un monopolio assoluto in favore dello Stato a partire dalla prima legislazione del settore (l. 30 giugno 1910 n. 395). In seguito, il Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni (d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, il cosiddetto Codice postale) ha introdotto un regime giuridico basato sull’istituto della concessione amministrativa dei servizi di telecomunicazione a un unico soggetto, che veniva comunque controllato dallo Stato e che era anch’esso operante in condizioni di monopolio.
Tale assetto normativo è stato rivisitato negli anni Novanta del secolo scorso, con la liberalizzazione del settore e l’apertura dei mercati alla concorrenza, che hanno avuto luogo con la trasposizione in sede nazionale di alcune direttive del Parlamento europeo e del Consiglio. Sul piano nazionale, questa prima stagione di liberalizzazione del settore ha trovato le principali fonti di disciplina nella l. 14 nov. 1995 n. 481, che ha introdotto le prime disposizioni per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità (ampio genus in cui sono state fatte rientrare le telecomunicazioni); nella l. 31 luglio 1997 n. 249, che ha istituito l’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), disciplinandone poteri e competenze; nonché, nel Regolamento per l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni, emanato con il d.p.r. 19 sett. 1997 n. 318 (in seguito abrogato). È così venuto meno il monopolio dell’impresa pubblica concessionaria del servizio di telecomunicazioni. Il sopra menzionato regime concessorio è stato sostituito con quello della licenza individuale, che deve essere rilasciata a ogni impresa interessata a entrare nel mercato, purché sia in possesso di taluni requisiti minimi determinati dalla legge.
‘Aprire il mercato’ voleva dire, innanzitutto, aprire la rete dell’operatore ex monopolista (incumbent) alle richieste di accesso degli operatori nuovi entranti, consentendo a questi ultimi di utilizzarla per offrire servizi agli utenti in regime di concorrenza. Ciò, sul piano normativo, presupponeva l’imposizione di una serie di obblighi a carico dell’operatore incumbent (in quanto designato quale impresa detentrice di significativo potere di mercato). I rimedi regolamentari in questione si sostanziavano, in primis, nell’obbligo di predisporre un’offerta di interconnessione di riferimento (il cosiddetto listino), che contenesse le condizioni tecniche ed economiche della fornitura dell’accesso alla rete e che fosse soggetta a un controllo da parte dell’Agcom, investita del potere di approvarla e di apportare le modifiche del caso, al fine di assicurare il rispetto dei principi regolamentari e di promuovere la competizione nel settore.
La seconda fase di liberalizzazione e la nozione di comunicazioni elettroniche
Nel 1999 la Commissione europea ha avviato una riflessione (nota come la ’99 Review) sugli strumenti regolamentari più appropriati per promuovere la concorrenza e, allo stesso tempo, per tutelare gli interessi dei consumatori nel settore delle comunicazioni elettroniche. I risultati di tale lavoro hanno portato dunque all’adozione, il 7 marzo 2002, di un pacchetto di direttive del Parlamento europeo e del Consiglio, che avevano come oggetto l’istituzione di un quadro regolamentare comune per le reti e i servizi di comunicazioni elettroniche. Viene fatto riferimento, in particolare, a quattro direttive: la direttiva n. 2002/21/CE (direttiva quadro); la n. 2002/19/CE (direttiva acces-so); la n. 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni); e la n. 2002/22/CE (direttiva servizio universale).
Alla base del nuovo quadro normativo europeo vi è un fattore prettamente tecnologico: nell’era della convergenza fra i sistemi di comunicazione, nella quale telefono, televisione e Internet sono destinati a convergere sulla medesima piattaforma tecnologica, tutti i sistemi volti alla diffusione di segnali di comunicazione su reti digitali sono soggetti alle medesime disposizioni normative. La stessa nozione di comunicazioni elettroniche definita dalla direttiva quadro include un novero di prestazioni e servizi molto più esteso rispetto a quella di telecomunicazioni. In essa rientra, infatti, qualsiasi forma di diffusione di segnali di comunicazione su una tipologia alquanto variegata di infrastrutture: reti fisse e mobili, a commutazione di circuito e a commutazione di pacchetto, reti via cavo, via radio, via satellite, in fibra ottica o basate sullo sfruttamento di mezzi elettromagnetici. Le comunicazioni elettroniche includono poi la diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi, nonché i sistemi per il trasporto della corrente elettrica, in quanto essi vengono utilizzati per trasmettere i segnali, e le reti televisive via cavo, indipendentemente dal tipo di informazione trasportato.
Nel nuovo quadro giuridico seguito alla riforma del 2002, la linea di confine tra telecomunicazione e televisione tende così ad assottigliarsi. Fatta salva la regolamentazione del settore televisivo relativa alla diffusione editoriale dei contenuti (per la quale assumono rilievo profili ulteriori, a cominciare dalla tutela del pluralismo delle voci informative), anche l’accesso alle reti di diffusione televisiva è assoggettato alle regole comuni che sono state prescritte per tutte le infrastrutture di comunicazione elettronica. Ciò in applicazione del principio regolatorio fondamentale della neutralità tecnologica: in base a tale principio qualsiasi rete o servizio comunque finalizzati alla prestazione di attività di comunicazioni elettroniche devono essere assoggettati alle medesime disposizioni regolamentari, senza distinzioni che, alla luce del processo di convergenza fra i mezzi di comunicazione, risulterebbero ingiustificate.
Le direttive comunitarie del 2002 sono state trasposte nell’ordinamento italiano con il Codice delle comunicazioni elettroniche (d’ora in poi c.c.e.), istituto con il d. legisl. 1° ag. 2003 n. 259, il quale anzitutto definisce gli obiettivi generali della disciplina delle reti e dei servizi di comunicazioni elettroniche, individuandoli fra l’altro nella libertà e nella segretezza delle comunicazioni, nonché nella libertà di iniziativa economica e nel suo esercizio in regime di concorrenza, così da introdurre un ordine giuridico del mercato e prevenire possibili abusi di potere da parte delle imprese di maggiori dimensioni. Il c.c.e. attribuisce inoltre importanza essenziale allo sviluppo delle infrastrutture di rete a banda larga: Internet veloce costituisce infatti, nell’era contemporanea, una priorità per alcuni versi assimilabile ai processi di elettrificazione del Paese che hanno avuto luogo nel secolo passato.
Soggetti regolatori
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
Il c.c.e. qualifica l’Agcom come «Autorità nazionale di regolamentazione», investendola di tutte le competenze (previste nelle leggi 481/95 e 249/97, oltre che nello stesso c.c.e.) riferibili, sul piano generale, alla regolazione del settore.
La nozione di regolamentazione (o meglio, regolazione, secondo l’etimo regulation) allude al complesso delle misure che possono essere introdotte dallo Stato per correggere, in taluni settori dell’economia di particolare rilievo pubblico, i fallimenti del mercato e dello stesso diritto privato. Il diritto comune di cui al codice civile è infatti ritenuto inadeguato al fine di garantire taluni primari interessi pubblici sottesi alla fornitura di determinati servizi. Né si ritengono sufficienti le disposizioni del diritto della concorrenza, le quali si sostanziano in un controllo ex post sui comportamenti economici dei singoli operatori, ma non hanno particolare valenza sul piano della prevenzione degli abusi, né su quello più generale della programmazione. Nei settori regolati, vi è dunque un terzo livello di misure normative, dirette a promuovere la concorrenza attraverso il contenimento del potere di mercato degli operatori economici di maggiori dimensioni e, sul piano pratico, con la fissazione di una serie di obblighi ex ante a carico delle imprese medesime.
In Italia, queste funzioni regolatorie sono riservate, in via prevalente, ad autorità amministrative indipendenti, ovvero sottratte al potere di indirizzo politico. L’autonomia di tali autorità è innanzitutto garantita, nel settore delle comunicazioni elettroniche, dalle disposizioni relative alla nomina degli 8 commissari e del presidente dell’Agcom (art. 1, 3° co., l. 249/97; art. 2, l. 481/95). I primi sono infatti eletti dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, nella misura di 4 componenti per ognuna delle due camere (ciascun senatore e ciascun deputato esprime il voto indicando due nominativi, uno per la Commissione per le infrastrutture e le reti, l’altro per la Commissione per i servizi e i prodotti), previo parere favorevole espresso dalla maggioranza dei due terzi delle commissioni parlamentari competenti.
Il presidente dell’Agcom è invece nominato con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei ministri d’intesa con il ministro delle Comunicazioni, anche in questo caso con il placet delle commissioni parlamentari con la maggioranza qualificata dei due terzi. Inoltre, il consiglio dell’Autorità (composto dal presidente e da tutti i commissari) resta in carica per un periodo di 7 anni. Si mira cioè a evitare che la composizione del predetto organo collegiale possa risultare espressione della maggioranza di governo al momento della nomina. Un ulteriore tratto distintivo dell’Agcom, così come delle altre autorità indipendenti, risiede nell’autonomia rispetto agli interessi privati. Al riguardo, la direttiva quadro impone agli Stati membri di provvedere affinché le autorità nazionali di regolamentazione siano funzionalmente autonome, oltre che giuridicamente distinte, da tutte le imprese che forniscono reti, apparecchiature o servizi di comunicazione elettronica. Inoltre obbliga gli Stati membri che tuttora detengono la proprietà o il controllo di imprese di comunicazione elettronica a separare strutturalmente le funzioni di regolamentazione da quelle inerenti allo svolgimento delle attività industriali. In un periodo storico nel quale gli Stati non hanno ancora dismesso le proprie iniziative nel settore delle comunicazioni, diviene cioè essenziale che lo Stato imprenditore non possa in alcun modo influenzare le scelte operate dallo Stato regolatore: onde, la «piena autonomia e indipendenza di giudizio e di valutazione» che anche l’art. 1, 1° co., della l. 249/97 riconosce all’Agcom.
Le competenze dell’Agcom spaziano dall’emanazione di provvedimenti di regolazione vera e propria, come, per es., le delibere che mirano a migliorare le condizioni concorrenziali di un mercato, all’esercizio di funzioni di vigilanza e controllo sulla condotta delle imprese regolate (cui, in caso di violazioni della normativa di settore, possono essere comminate le sanzioni previste dal c.c.e.).
Inoltre, l’Autorità può essere chiamata a risolvere le controversie che insorgono fra gli operatori di comunicazione che abbiano a oggetto la violazione di un obbligo regolamentare. A questo proposito, l’art. 23 del c.c.e. stabilisce che, nell’esercizio delle proprie funzioni contenziose, l’Autorità deve in ogni caso perseguire gli obiettivi generali della regolamentazione (art. 23, 3° co., del c.c.e.). Anche la risoluzione delle controversie tra imprese costituisce quindi una modalità di intervento regolatorio, nell’ambito della quale l’Agcom non si limita alla composizione di una lite fra privati, ma deve tener conto anche delle predette finalità di interesse generale.
Sempre in sede contenziosa, l’Agcom può essere inoltre chiamata a dirimere le controversie che insorgono tra operatori e utenti. L’art. 1, 11° co., della l.249/97 preclude peraltro il ricorso alla sede giurisdizionale da parte degli utenti sino a quando non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione, che deve concludersi entro 30 giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. Lo svolgimento del tentativo di conciliazione – fenomeno ricorrente nella disciplina processuale di controversie che coinvolgono contraenti deboli – è stato delegato dall’Agcom ai Comitati regionali per le comunicazioni (Co.Re.com), nell’ambito di un piano di decentramento volto a favorire l’accesso alla giustizia da parte degli utenti. In caso di esito negativo della fase di conciliazione, l’utente può alternativamente adire la giurisdizione ordinaria o deferire la controversia alla medesima Agcom, che deve risolverla attraverso «procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose» (come previsto all’art. 84 del c.c.e., in at-tuazione del quale è stato emanato il nuovo regolamento di procedura annesso alla delibera dell’Agcom n. 173/07/CONS).
L’esercizio di tutte le competenze dell’Autorità si concreta, in ogni caso, nell’emanazione di provvedimenti amministrativi a elevato grado di discrezionalità tecnica che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, possono essere censurati davanti al giudice amministrativo soltanto nella misura in cui risultino irragionevoli o frutto di un manifesto travisamento dei fatti.
Il concerto regolamentare europeo
Il nuovo quadro giuridico del settore instaura una relazione di stretta interdipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione con la Commissione europea (nonché, fra ciascuna delle autorità dei 27 Paesi membri). L’applicazione uniforme delle regole del diritto comunitario in materia di comunicazioni elettroniche è infatti divenuta essenziale in un contesto di mercato caratterizzato dall’integrazione sovranazionale degli operatori e dall’incidenza diretta che le decisioni delle singole autorità nazionali possono avere sull’intera economia comunitaria.
Le relazioni fra autorità nazionali e Commissione danno così origine a una sorta di ‘concerto regolamentare europeo’: l’organizzazione nazionale del regolatore e il suo funzionamento, prima neutrali per il diritto comunitario (purché venisse rispettata la separazione fra soggetti regolatori e imprese regolate), «sono divenuti oggetto di disciplina comunitaria: il diritto comunitario penetra nell’assetto organizzativo nazionale, che diventa ‘poroso’ e deve adeguarsi al diritto comunitario» (Cassese 2002, p. 689). Le autorità nazionali devono dunque tenere in massimo conto le raccomandazioni della Commissione europea. Inoltre, all’interno di un quadro di cooperazione permanente fra l’Agcom e la stessa Commissione, le decisioni nazionali di principale impatto sugli equilibri del mercato (quelle assunte all’esito delle procedure di analisi di mercato, v. oltre) possono essere adottate solo dopo aver acquisito le osservazioni della Commissione.
Il Ministero e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato
Le competenze del Ministero hanno carattere residuale rispetto a quelle dell’Autorità e sono indicate nel d. legisl. 30 luglio 1999 n. 300. Tra esse, rientra il rilascio dei titoli abilitativi all’esercizio di attività nel settore delle comunicazioni elettroniche. Peraltro, ogni riferimento al Ministero delle Comuni-cazioni operato dalle disposizioni del settore deve intendersi attualmente riferito al Ministero per lo Sviluppo economico, che ne ha recentemente assorbito le competenze.
Quanto, poi, alle prerogative dell’Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), come già accennato, antitrust e regolamentazione si pongono, rispetto ai comportamenti degli operatori economici, su prospettive opposte: mentre le autorità della concorrenza intervengono ex post, sanzionando i comportamenti illeciti delle imprese, i regolatori applicano i rimedi ex ante ritenuti più appropriati per riequilibrare le sorti della concorrenza nel mercato. Vi sono peraltro interazioni e, talvolta, sovrapposizioni fra le funzioni esercitate dall’Agcm, da una parte, e dall’Agcom e dal Ministero, dall’altra. La legge prevede infatti una serie di ipotesi nelle quali i provvedimenti dell’Agcom (per es., quelli relativi alle procedure di analisi di mercato) o del Ministero (come quelli in materia di trading dei diritti d’uso delle frequenze dello spettro radio, art. 14 del medesimo d.legisl. 259/03) possono essere assunti solo dopo aver acquisito il parere dell’Agcm, data l’elevata incidenza che tali provvedimenti possono avere sugli equilibri competitivi del settore.
Del pari, talune decisioni dell’Agcm (come quelle relative alla valutazione delle operazioni di concentrazione nel settore delle comunicazioni) richiedono la previa acquisizione del parere dell’Agcom. In altri casi, ancora, le competenze di Agcom e Agcm si pongono su due binari paralleli: per es., con riferimento all’autorizzazione delle operazioni di acquisizione di imprese che operano nel settore radiotelevisivo. Queste operazioni sono infatti soggette, sulla base di due procedimenti autonomi, al vaglio di entrambe le autorità, in quanto l’Agcm valuta se l’operazione determini la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante, mentre l’Agcom verifica non solo se la stessa acquisizione possa ledere i principi in materia di pluralismo delle voci informative, ma anche se possano derivare alterazioni della concorrenza. Ciò ha fatto registrare, talvolta, conflitti fra le pronunce delle due autorità (mentre l’Agcm aveva ritenuto l’operazione compatibile con gli equilibri della concorrenza, l’Agcom ne aveva vietato l’esecuzione), risolte solo con l’intervento del giudice amministrativo.
Le Regioni
La riforma del settore delle comunicazioni elettroniche si è intersecata con la modifica del riparto delle competenze in materia di ‘ordinamento della comunicazione’ derivante dalla riforma del Titolo V della Costituzione (l. cost. 18 ott. 2001 n. 3). Secondo l’art. 117, 2° co., Cost., tali competenze sono infatti riservate a quella legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni. In altri termini, lo Stato dovrebbe limitarsi all’individuazione dei principi fondamentali in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica, rimanendo la normazione di dettaglio riservata all’autonomia regionale.
Nell’impostazione del c.c.e., invece, le competenze regolamentari in materia di comunicazioni elettroniche sono conferite quasi esclusivamente a organi statali (quali l’Agcom e il Ministero), mentre alle Regioni vengono riservate solamente funzioni di sostegno finanziario alla diffusione delle nuove tecnologie e iniziative volte alla tutela di particolari esigenze sociali di utenti e consumatori.
Il possibile conflitto tra il nuovo criterio di riparto previsto dalla Costituzione e le competenze attribuite dal c.c.e. è stato risolto dalla Corte costituzionale, che ha interpretato la competenza concorrente regionale in senso restrittivo. Questo perché ci si trova in presenza di un’industria a rete, la quale, per sua natura tecnica, richiede assetti regolatori unitari e coerenti e mal sopporta una regolamentazione frammentaria e diversificata.
Titoli abilitativi
Il regime dell’autorizzazione generale
L’art. 25 del d. legisl. 259/03 stabilisce che l’attività di fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica è libera, fatte salve le eventuali limitazioni che possono essere introdotte nei confronti di imprese che provengano da Paesi non appartenenti all’Unione Europea, qualora tali Paesi non accordino alle imprese italiane un trattamento analogo, su base di reciprocità. Ulteriori limitazioni possono essere previste per esigenze connesse alla difesa e alla sicurezza dello Stato.
Al di fuori di tali ipotesi limitate, qualsiasi operatore può intraprendere un’iniziativa economica nel settore delle comunicazioni elettroniche, sulla base di un regime di autorizzazione generale. L’autoriz-zazione, più che un titolo abilitativo, costituisce uno status giuridico nel quale può rientrare chiunque presenti una semplice dichiarazione al Ministero, contenente la manifestazione della propria intenzione di avviare un’attività nel mercato delle comunicazioni. Una volta trasmessa la dichiarazione, l’operatore è libero di avviare immediatamente la propria attività, fermo restando il potere del Ministero di adottare, entro 60 giorni, un provvedimento che ne vieti la prosecuzione, in caso di accertata carenza dei presupposti e dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo (per es., nel caso in cui venga accertato che un amministratore della società autorizzata abbia riportato una condanna penale per un delitto non colposo a una pena detentiva superiore ai 6 mesi). Le autorizzazioni in questione hanno durata ventennale e, alla scadenza, possono essere rinnovate. Le stesse possono essere inoltre cedute a terzi, previa comunicazione al Ministero che può comunicare il proprio diniego entro 60 giorni, qualora rilevi che il cessionario sia privo dei requisiti previsti per il rilascio del medesimo titolo abilitativo.
Disciplina dei diritti d’uso delle frequenze radio
Il Ministero e l’Agcom sono entrambi chiamati a garantire la gestione efficiente dello spettro delle radiofrequenze per i servizi di comunicazione elettronica. Le frequenze costituiscono infatti una risorsa pubblica limitata, il cui utilizzo deve aver luogo nella misura il più possibile adeguata al fine di soddisfare gli interessi generali della comunità nazionale. In concreto, il Ministero predispone i piani di ripartizione mentre, a valle, l’Autorità predispone i piani di assegnazione delle stesse risorse, sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, e non discriminatori (ovvero, cercando di contemperare le esigenze complessive del mercato con le aspettative imprenditoriali dei singoli operatori). Considerata la scarsità delle risorse in questione, la loro assegnazione deve essere necessariamente limitata a un numero ristretto di operatori, in regime di concessione. In proposito il c.c.e. stabilisce che la scelta dei soggetti concessionari debba avvenire con procedure trasparenti, pubbliche e non discriminatorie. Preferibilmente, esse devono svolgersi su base d’asta o in ogni caso garantire comparazione dettagliata del progetto industriale di tutti i soggetti che propongano una domanda di rilascio dei diritti in questione (cosiddetto beauty contest).
I diritti d’uso delle frequenze radiomobili possono essere inoltre trasferiti fra gli operatori, previa comunicazione al Ministero che, come sopra ricordato, deve pronunciarsi all’esito di un procedimento che coinvolge sia l’Agcom sia l’Agcm.
Nel nuovo regime giuridico scaturito dalla riforma del 2002, la fornitura di servizi di comunicazione mobile non presuppone necessariamente, tuttavia, la titolarità dei diritti d’uso delle frequenze radiomobili. Nel mercato possono infatti agire anche i cosiddetti operatori virtuali, i quali non dispongono di alcuna infrastruttura (né, dunque, di alcun diritto di uso dello spettro), ma forniscono i propri servizi al pubblico avvalendosi della rete di un altro operatore, stipulando un apposito contratto di accesso. A questo proposito, un impulso decisivo verso l’ingresso di tali operatori nel mercato si deve all’attività svolta dall’Agcm, che ha sottoposto a un procedimento istruttorio gli operatori di rete mobile che si erano rifiutati di concedere l’accesso alle proprie reti.
Analisi di mercato e regolamentazioneprocompetitiva
Le procedure di analisi di mercato
La regolamentazione del settore delle comunicazioni elettroniche ha come punto di partenza la procedura di analisi di mercato, volta a valutare sia il grado di concorrenzialità di un mercato sia l’imposizione dei rimedi più opportuni per favorire una maggiore competitività.
Il primo passaggio di tale procedura consiste nella definizione dei mercati rilevanti, che deve essere condotta sulla base delle raccomandazioni relative ai mercati rilevanti di prodotti e servizi del settore delle comunicazioni elettroniche e le linee direttrici della Commissione. Allo stato attuale, la raccomandazione della Commissione dell’11 febbraio 2003 contiene un elenco di 18 mercati rilevanti che le autorità nazionali sono tenute a fare oggetto di un’analisi competitiva ogni 18 mesi. Un’autorità nazionale di regolamentazione, ove intenda procedere alla definizione di un mercato rilevante diverso da quelli indicati a livello comunitario, deve informarne la Commissione che, prima dell’adozione del relativo provvedimento, può chiedere alla stessa autorità di riesaminare le proprie determinazioni.
Sotto il profilo merceologico, i mercati rilevanti elencati nella raccomandazione della Commissione europea possono essere distinti in due categorie principali: quelli dei servizi all’ingrosso (che consistono nella messa a disposizione di un’infrastruttura di rete ad altri operatori concorrenti, perché a loro volta possano fornire servizi agli utenti finali) e quelli dei servizi al dettaglio (ovvero, dei servizi di comunicazioni elettroniche forniti direttamente al pubblico).
Con riferimento ai mercati all’ingrosso, occorre premettere che, sebbene i processi di liberalizzazione del settore abbiano favorito lo sviluppo di alternative rispetto agli operatori esistenti, le principali infrastrutture di rete rimangono comunque concentrate nelle mani di uno solo o di pochi operatori. Nelle comunicazioni di rete fissa, in particolare, la società ex monopolista detiene tuttora una quota largamente prevalente dei vari mercati interessati; mentre, nel settore delle comunicazioni mobili vi sono 4 operatori ‘infrastrutturati’ (due dei quali detengono tuttavia una quota di mercato molto più elevata rispetto agli altri) e almeno 10 operatori virtuali, per definizione privi di una propria rete. La disciplina dei mercati all’ingrosso mira, pertanto, a riequilibrare le asimmetrie esistenti fra gli operatori sul piano infrastrutturale, imponendo determinati obblighi di comportamento a carico delle imprese di maggiori dimensioni, in modo da garantire la parità delle armi sul piano competitivo ovvero, come pure è stato definito, il contraddittorio paritario fra i soggetti economici che operano all’interno di un mercato, in diretta attuazione dello stesso art. 3 Cost., che sancisce il principio di eguaglianza.
La regolamentazione dei mercati al dettaglio ha invece carattere residuale e viene posta in essere dall’Autorità qualora le misure introdotte nei mercati all’ingrosso si rivelino insufficienti rispetto all’obiettivo di riequilibrare il gioco della concorrenza.
Definiti i mercati rilevanti, l’Agcom deve misurarne il grado di competitività. Nel caso in cui accerti che lo stesso non è effettivamente concorrenziale, individua le imprese che dispongono di un significativo potere di mercato (nozione che coincide con quella, di matrice antitrust, di posizione dominante), individualmente o congiuntamente con altri operatori.
Le imprese detentrici di significativo potere di mercato sono dunque assoggettate dall’Autorità ai rimedi da questa ritenuti più appropriati, secondo il principio di proporzionalità, al fine di riequilibrare la concorrenza (artt. 45-50 del c.c.e.). I rimedi in questione consistono, in particolare, nell’imposizione degli obblighi di trasparenza (che si sostanzia nell’obbligo di predisporre un’offerta di riferimento dei propri servizi, valevole per tutti i rapporti contrattuali instaurati dall’impresa designata come SMP, cioè dotata di significant market power); di non discriminazione (in base al quale un operatore deve applicare «condizioni equivalenti in circostanze equivalenti nei confronti di altri operatori che offrono servizi equivalenti»); di separazione contabile (al fine di rendere trasparenti i prezzi all’ingrosso applicati da un operatore e quelli relativi ai trasferimenti interni, così da garantire l’osservanza dell’obbligo di non discriminazione o, se del caso, per evitare sovvenzioni incrociate abusive); di accesso e uso di determinate risorse di rete; di controllo dei prezzi e contabilità dei costi.
L’obbligo di controllo dei prezzi (art. 50 del c.c.e.) costituisce la misura più restrittiva dell’autonomia privata degli operatori e può essere graduato attraverso la previsione di differenti condizioni attuative. La più frequente consiste nell’imposizione dell’obbligo di orientamento al costo dei prezzi all’ingrosso praticati agli altri operatori e nella fissazione di un tetto massimo per i predetti prezzi. Il valore massimo che può essere imposto a un operatore è il frutto, normalmente, di un’analisi della cosiddetta contabilità regolatoria dell’operatore interessato (cioè delle risultanze contabili connesse alla fornitura di servizi intermedi di accesso e interconnessione agli operatori concorrenti). Nelle more della predisposizione della suddetta contabilità, l’Agcom può applicare una serie di metodi più empirici, quali il raffronto con i prezzi praticati negli altri Paesi dell’Unione Europea (il cosiddetto benchmarking europeo) e con quelli applicati da altri operatori del mercato italiano in anni precedenti, quando si trovavano in condizioni concorrenziali assimilabili a quelle dei nuovi operatori.
La disciplina dei contratti di interconnessione fra gli operatori
I contratti di interconnessione garantiscono l’interoperabilità delle reti di comunicazione dei vari operatori presenti sul mercato, consentendo così ai rispettivi utenti di comunicare fra loro. Il c.c.e. stabilisce in termini generali che gli operatori possono negoziare tra loro «accordi sulle disposizioni tecniche e commerciali relative all’accesso e all’interconnessione»; e che l’Agcom garantisce che non vi siano «restrizioni che impediscano alle imprese accordi di interconnessione e di accesso» (art. 40).
Gli operatori hanno dunque il diritto e, se richiesto da altri operatori titolari di un’autorizzazione dello stesso tipo, l’obbligo di negoziare tra loro l’interconnessione ai fini della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico. All’obbligo di negoziare l’interconnessione può poi aggiungersi, per gli operatori designati come detentori di significativo potere di mercato, quello di stipulare un accordo di tale tipo, in attuazione dell’obbligo regolamentare dell’accesso. Sussiste così un vero e proprio obbligo legale a contrarre, che può essere azionato in sede giurisdizionale, ovvero dinanzi all’Agcom, cui possono essere deferite tutte le controversie attinenti al rifiuto di un operatore di dare accesso alla propria rete (ossia di concederlo a condizioni economiche talmente svantaggiose da costituire ugualmente, nella sostanza, un diniego di accesso).
Servizio universale e diritti degli utenti
Obblighi di servizio universale
Il diritto delle comunicazioni elettroniche ha anche una valenza sociale in quanto, per un verso, garantisce il diritto di tutti gli utenti di avvalersi di determinati servizi base; per altro verso, appronta una serie di tutele in favore degli stessi utenti, in ragione dello status di contraente debole in cui gli stessi si trovano quando negoziano un contratto con un operatore.
Quanto al primo profilo, in assenza di obblighi specifici, le imprese che operano nel settore potrebbero evitare di fornire alcuni servizi, in ragione, per es., delle particolari difficoltà tecniche sottese al collegamento di talune aree geografiche alle rete di comunicazione; oppure, della presumibile ridotta propensione al consumo di talune categorie di utenti, che quindi non genererebbero un traffico telefonico sufficiente per coprire i costi.
In attuazione della delibera 2002/22/CE, il c.c.e. indica (artt. 53 e sgg.) una serie di servizi che devono essere in ogni caso forniti a chiunque, all’interno del territorio nazionale, ne faccia richiesta. Si tratta, in primo luogo, della «connessione in postazione fissa alla rete telefonica pubblica», che può essere utilizzata sia per il servizio telefonico sia per quello di accesso a Internet, ancorché non nella modalità a banda larga. In ciò l’attuale disciplina appare poco in linea con le effettive esigenze degli utenti. Dal novero delle prestazioni essenziali e irrinunciabili non può infatti essere esclusa, ormai, la fornitura della banda larga, che da tempo costituisce la sola modalità socialmente accettabile di connessione a Internet. Inoltre, non vi sono obblighi di servizio universale riferiti alla fornitura del servizio di comunicazione mobile, il quale ha da tempo superato, quanto a livello di diffusione e di traffico telefonico originato, le comunicazioni di rete fissa.
Il servizio universale include poi fornitura dell’elenco abbonati e del servizio di consultazione; e quella dei telefoni pubblici a pagamento, per quanto questi siano sempre meno utilizzati, dato l’elevatissimo tasso di penetrazione del servizio di comunicazione mobile, che in Italia è anche superiore al 100%.
Tutte queste prestazioni essenziali devono essere fornite a un prezzo accessibile (o abbordabile, secondo la locuzione impiegata dalla direttiva servizio universale) e a un livello di qualità soddisfacente; nonché nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità. Misure speciali possono essere poi introdotte in favore degli utenti disabili. Di recente, l’Agcom ha imposto, per es., agli operatori di comunicazione mobile di fornire 50 messaggi SMS gratuiti al giorno ai propri consumatori non udenti (delibera n. 514/07/CONS).
La fornitura dei servizi che afferiscono al servizio universale deve essere effettuata da una o più imprese designate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (sino a oggi, tale designazione è sempre ricaduta sulla società ex monopolista). Qualora ritenga che tale fornitura generi un onere ingiustificato a carico delle imprese, l’Autorità procede al calcolo del costo netto del servizio universale (ovvero, del costo connesso alla fornitura di tale servizio, al netto, fra l’altro, dei vantaggi commerciali dovuti alla circostanza di essere percepiti come la principale impresa di comunicazioni del Paese). Tale costo viene poi ripartito fra tutti gli operatori in proporzione al rispettivo fatturato, fatta salva tuttavia la possibilità di esentare da tale onere contributivo, per ragioni di equità, gli operatori di minori dimensioni.
Diritti degli utenti finali
Gli utenti di servizi di comunicazione elettronica godono, rispetto alla generalità degli utenti di altri servizi commerciali, di una tutela rafforzata della propria posizione contrattuale, che va ad aggiungersi alle protezioni accordate al consumatore dal c.c. e dal Codice del consumo (d. legisl. 6 sett. 2005 n. 206).
La disciplina dei contratti di fornitura dei servizi di comunicazione (art. 70 del c.c.e.) stabilisce una serie di informazioni che devono essere necessariamente incluse nel testo di ciascun accordo, fra cui le disposizioni relative all’indennizzo e al rimborso applicabili qualora non sia raggiunto il livello di qualità del servizio previsto dal contratto (in conformità a una carta dei servizi che gli operatori hanno l’obbligo di predisporre). Il c.c.e. prevede poi il diritto degli utenti di recedere dal contratto, senza penali, all’atto della notifica di proposte di modifiche delle condizioni contrattuali. A questo riguardo, gli abbonati devono essere informati con adeguato preavviso, non inferiore a un mese, di tali eventuali modifiche e sono informati nel contempo del loro diritto di recedere dal contratto, senza penali, qualora non accettino le nuove condizioni. Tale disposizione assume rilievo particolare, poiché per prassi gli operatori rimodulano con frequenza i prezzi dei servizi, nell’ambito di una strategia di marketing volta a rendere le proprie offerte commerciali maggiormente attrattive di quelle dei propri concorrenti.
L’Agcom deve inoltre assicurare la trasparenza dei prezzi e delle tariffe, nonché delle condizioni generali vigenti in materia di accesso e di uso dei servizi telefonici accessibili al pubblico. Nell’esercizio di tale potere, l’Autorità ha introdotto una serie di obblighi regolamentari, fra cui quelli relativi alla pubblicità e alla durata dei dispositivi di blocco dei terminali mobili (il cosiddetto sim lock, che consente di utilizzare un apparecchio unicamente con la scheda SIM dell’operatore che ha messo in commercio lo stesso terminale).
Occorre inoltre menzionare la portabilità del numero (art. 80 del c.c.e.), che consiste nel diritto di mantenere il proprio numero telefonico in occasione di un passaggio ad altro gestore fornitore del servizio. Tale prestazione – che ha impresso una spinta decisiva allo sviluppo della concorrenza nel mercato – richiede la cooperazione tecnica dell’operatore cosiddetto donat-ing e di quello cosiddetto recipient, i cui sistemi informatici e contabili devono interoperare al fine di assicurare il trasferimento tempestivo di un’utenza da un gestore all’altro.
A questo riguardo, l’Autorità è tenuta a provvedere affinché i prezzi dell’interconnessione correlata alla portabilità del numero siano orientati ai costi e gli eventuali oneri diretti a carico degli abbonati non agiscano da disincentivo per gli utenti alla richiesta della medesima prestazione.
Collegata sia al tema del recesso sia a quello della portabilità è la disciplina contenuta nel cosiddetto decreto Bersani-bis (d.l. 31 genn. 2007 n. 7, convertito con modificazioni nella l. 2 apr. 2007 n. 40). Nell’ambito di una più vasta serie di misure dirette a fa-vorire lo sviluppo della concorrenza nel sistema economico nazionale, tale decreto legge ha attribuito a tutti gli utenti che stipulino contratti per adesione relativi alla fornitura di servizi di telefonia, di reti televisive e di comunicazione elettronica il diritto di recedere senza spese non giustificate dai predetti contratti, con un termine di preavviso non superiore a 30 giorni (art. 1, 3° co.). Ciò per contrastare la prassi diffusa fra gli operatori di comunicazione di subordinare al pagamento di una penale la possibilità degli utenti di sciogliersi da un contratto. Lo stesso decreto Bersani-bis ha abolito i contributi sino ad allora pretesi dagli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche per la ricarica delle schede prepagate.
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha ritenuto che le disposizioni appena richiamate del d.l. 7/07 implicassero necessariamente l’obbligo degli stessi operatori di restituire agli utenti il cosiddetto credito residuo, ovvero l’importo corrispondente al traffico telefonico ricaricato su una scheda prepagata e rimasto ancora inutilizzato al momento della comunicazione del recesso o della richiesta di portabilità del numero da parte di un utente.
Prospettive di riforma
La Commissione europea ha recentemente presentato una proposta di riforma complessiva della normativa comunitaria del settore delle comunicazioni elettroniche (la proposta originaria del 13 nov. 2007 è stata da ultimo modificata il 6 nov. 2008), e dunque di revisione delle direttive del 2002. Tale proposta mira a rafforzare i diritti dei consumatori e a promuovere in misura più incisiva gli investimenti in nuove infrastrutture di comunicazione.
Le cosiddette reti di nuova generazione, come sottolineato più volte dalla stessa Agcom (da ultimo nella Relazione annuale sull’attività svolta e sui programmi di lavoro del 15 luglio 2008), sollevano infatti problemi competitivi alquanto diversi rispetto al passato. Se fino a oggi il compito delle autorità di regolamentazione è stato quello di disciplinare l’accesso a risorse esistenti, siano esse lo spettro frequenziale assegnato ai vari servizi, ovvero le reti degli operatori mobili o dell’incumbent fisso, «oggi è necessario promuovere la creazione del nuovo; presiedere, cioè, all’accesso all’inesistente con regole incentivanti che riconoscano la giusta remunerazione agli investimenti nelle reti di nuova generazione», in un mutato contesto regolatorio.
La proposta della Commissione contiene dunque una serie di misure di rilievo strategico, fra cui anzitutto la previsione del potere delle autorità nazionali di regolamentazione di imporre la cosiddetta separazione funzionale degli operatori dominanti (che consiste nella costituzione di una divisione separata, all’interno dell’impresa ex monopolista, per la gestione della rete d’accesso, in modo da riservare il medesimo trattamento alla divisione commerciale dello stesso incumbent e a quelle degli operatori concorrenti).
Il tema è stato peraltro a lungo dibattuto anche in Italia, e l’Agcom ha avviato, indipendentemente dalla modifica del quadro regolatorio comunitario, un tavolo di confronto con l’impresa ex monopolista, mirato a valutare l’introduzione in Italia di rimedi di separazione analoghi a quelli attuati nel Regno Unito.
La Commissione intende inoltre comporre la cosiddetta frattura digitale (digital divide) connessa al mancato utilizzo di rete a banda larga da parte di un numero ancora molto consistente di cittadini europei, mediante una migliore gestione dello spettro radio e rendendo disponibile lo spettro per servizi senza filo a banda larga nelle regioni in cui la costruzione di una nuova infrastruttura in fibra ottica sarebbe troppo costosa. Con riferimento alle procedure di analisi di mercato, la Commissione ha invece ridotto il numero dei mercati suscettibili di regolazione ex ante (che avrà luogo quasi esclusivamente per i mercati all’ingrosso).
Quale strumento di attuazione delle nuove linee riformatrici, la Commissione ha inoltre proposto l’istituzione di una Autorità europea del mercato delle telecomunicazioni, con il compito di assicurare maggiore uniformità di disciplina (per servizi come l’accesso Internet a banda larga, il roaming – ossia la rintracciabilità sul territorio –, la telefonia mobile a bordo degli aerei e delle navi e i servizi transfrontalieri) in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.
Bibliografia
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