ACCRESCIMENTO, Diritto di
Nel diritto romano, campo del diritto di accrescimento erano il condominio e l'eredità.
Condominio. - Se uno dei condomini dello schiavo non poteva acquistare per mezzo dello schiavo, come accadeva nel caso che la cosa fosse sua o non ne avesse il commercium, ancora nel diritto giustinianeo acquistava per intero l'altro condomino. Se un condomino abbandonava la sua pars, nel diritto classico questa accresceva all'altro condomino e, parimenti, se manometteva lo schiavo, veniva necessariamente acquistata dall'altro condomino la quota del manumittente.
Nella legislazione giustinianea la pars derelicta è oggetto di occupazione (Dig., XXXXI, 7, pro der. 3 è testo interpolato) e lo schiavo, manomesso da uno dei condomini, favore libertatis diventa libero, salvo l'indennità che compete all'altro condomino costretto a vendere la sua parte (Cod., VII, 7, De servo comm. man., 1). Quest'ultima innovazione ha qualche addentellato classico, ma si inserisce nella legislazione di Giustiniano come norma generale per influenza, anche, del cristianesimo.
Eredità. - Il diritto di accrescimento è la facoltà che ha ciascuno dei coeredi, chiamati congiuntamente e senza distribuzione di parti, di far propria la quota del coerede mancante perché non può o non vuole essere erede.
Siccome qui ciascuno è astrattamente successore nel tutto, ma il suo diritto è concretamente limitato dal concorso degli altri, si comprende come la limitazione cessi quando il concorso venga meno; e si comprende, altresì, che l'erede per accrescere non abbia bisogno di nuova accettazione e l'accrescimento operi, anzi, a sua insaputa.
Nel diritto romano si distingueva una triplice forma di congiunzione: re et verbis, se la chiamata riguardava la medesima cosa ed era contenuta nel medesimo testamento e nella stessa disposizione; re, quando la chiamata riguardava la medesima cosa ma gli eredi erano chiamati con disposizioni distinte; verbis, quando più persone erano chiamate nello stesso testamento e nella medesima disposizione, così che la congiunzione era meramente verbale. La congiunzione, regolata dall'art. 880 del cod. civ., è la coniunctio re et verbis del diritto romano. La base giuridica dell'istituto in questo diritto era riposta nell'essenza della eredità romana, che aveva soltanto accessoriamente la funzione del trapasso patrimoniale e primieramente la funzione di conferire uno stato personale, il titolo di erede, in forza del quale si era chiamati ad acquistare il patrimonio del defunto. L'accrescimento aveva luogo anche se il testatore l'avesse espressamente proibito e contro la volontà degli eredi stessi che potevano esserne più danneggiati che avvantaggiati.
Perché nel diritto italiano vigente l'accrescimento abbia luogo, occorre innanzitutto - come si è avvertito - una chiamata di più persone senza distribuzione di parti. Nella successione legittima la chiamata congiuntiva si verifica quando per disposizione di legge più persone vengono in uno stesso grado (più figli dell'ereditando): poiché il grado seguente (genitori) non viene se non quando manchino tutti i chiamati del grado antecedente, la parte di colui che manca si accresce ai coeredi proporzionalmente alle loro quote (art. 946).
Nella successione testamentaria si ha quando il testatore in uno stesso testamento e con una stessa disposizione abbia istituito più eredi senza far distribuzione di parti: ad es. "istituisco miei eredi Tizio e Caio" (art. 880). Non implica distribuzione di parti l'espressione adoperata dal testatore, "per eguali parti" e "in eguali porzioni" (art. 881). Occorre, in secondo luogo, ehe una parte rimanga vacante, o perché il coerede abbia rinunciato (art. 879, 946, 948), o sia premorto al de cuius (art. 879, 890), o sia incapace (art. 879, 890, 723, 764), o sia venuta a mancare la condizione alla quale era sottoposta la sua chiamata (articoli 858, 859, 884). Occorre, infine, che non possa aver luogo il diritto di rappresentazione (art. 729 segg.; 890). L'erede, per il fatto dell'accrescimento sottentra negli obblighi cui era tenuto l'erede mancante: non può sottrarvisi col rinunziare all'accrescimento, ma può soltanto rinunziare all'intera chiamata.
L'accrescimento ha luogo anche tra collegatarî.
Sennonché a questo riguardo basta una coniunctio re tantum; cioè, quando: la stessa cosa è lasciata a più persone con disposizioni separate (art. 884). Se il diritto di accrescimento non ha luogo, l'art. 886 stabilisce che la porzione del mancante profitti a tutti gli eredi e in proporzione della quota ereditaria, quando del legato era gravata l'eredità; ovvero, quando il legato era disposto a carico di un solo erede o legatario, all'erede o legatario personalmente gravato.
Una regola speciale si applica al legato di usufrutto fatto a più persone: la parte del legatario mancante si accresce ai superstiti anche quando egli manchi dopo l'accettazione del legato (art. 885).
Bibl.: Per il diritto di accrescimento nel condominio: P. Bonfante, Il ius adcrescendi nel condominio, in Filangeri, 1913 (Scritti giuridici, III, 1921, p. 434 segg.); id., Corso di diritto romano, II, ii, Condominio, Roma 1926, p. 3 segg.; G. Rotondi, La manumissio del servus communis nel diritto romano classico, in Scritti giuridici, III, Milano 1922, p. 78 segg.; id., La c. 1 C. Just 7, 7 e la manumissio del servus communis nei diritti orientali, ibid., III, pag. 60 segg.; L. Wenger, Roemisches oder oriental. Rechtsgut in c. 1 C. Just 7, 7 de servo communi manumisso?, in Acta Congressus juridici internationalis, I, Roma 1935, p. 201 segg.; C. A. Maschi, Sulla origine del regime giustinianeo della manumissio del servus communis, in Studi in memoria di Aldo Albertoni, Padova 1937, II, p. 419 segg. Per il diritto di accrescimento nell'eredità: P. Bonfante, Corso di diritto romano, VI: La successione, p. 253 segg. e bibliografia ivi citata; R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, 7ª ed., III, Messina 1934, con bibl.