voto, diritto di
Facoltà di partecipare con il proprio v. alla scelta degli organi rappresentativi (a livello nazionale e locale) e alla determinazione degli indirizzi di governo, oltre che a consultazioni di tipo referendario. Proclamato alla fine del Settecento dall’Illuminismo, nell’ambito della teoria della volontà generale e della rappresentanza politica su base volontaria, il diritto di v. costituisce uno dei più importanti diritti politici riconosciuti da costituzioni e leggi. Esso fu per lungo tempo applicato con varie restrizioni in relazione al censo e all’istruzione, e la sua estensione fino al suffragio universale divenne quindi uno dei principali obiettivi del movimento operaio e democratico. Solo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, però, si affermò il suffragio universale, peraltro inizialmente solo maschile, e con tempi diversi a seconda dei Paesi (➔ ). La richiesta del voto femminile caratterizzava intanto i settori più avanzati dello stesso movimento operaio ed esperienze politiche peculiari come quella delle suffragette (➔ ). In Italia, nel 1912, il diritto di v. fu esteso a tutti i cittadini italiani di sesso maschile e di età superiore ai 30 anni, e nel 1918 a tutti i maggiorenni (suffragio universale maschile). Dopo la cancellazione della democrazia rappresentativa operata dal fascismo, nel 1945 fu introdotto il suffragio universale per le elezioni dell’Assemblea costituente che si tennero l’anno successivo; in tale occasione per la prima volta votarono anche le donne. Nel 2000-01 è stato introdotto il diritto di v. per i cittadini italiani residenti all’estero.