Diritto romano in Cina
Premessa
Dalla prima pagina del Milione di Marco Polo, apprendiamo che il Gran Khān aveva chiesto notizia dell’imperatore, «e che signore era, e di sua vita e di sua iustizia». I Polo, il padre e lo zio di Marco, erano già stati in Cina e, tornando in Italia, erano stati latori di un messaggio nel quale il Gran Khān chiedeva al pontefice maestri, dotti altresì nelle arti liberali, i quali andassero a insegnare la religione cristiana. In risposta a tale richiesta, da Gregorio IX i Polo ebbero lettere e doni per il Gran Khān, e anche due frati che li accompagnassero «di quegli del monte del Carmine, i piue savi che fossero in quel paese», che poi, però, non sarebbero giunti a destinazione. Le dimensioni religiosa, politica e giuridica della vita della società si pongono immediatamente in primo piano: chi governa si cura di esse; i viaggiatori che giungono dall’Italia suscitano l’idea di Roma, della Chiesa, dell’Impero, del suo diritto.
Dall’antichità, pur nell’unità frammentata del mon-do antico, esistevano contatti indiretti fra Roma e la Cina e, già da prima, fra la Grecia, l’Egitto e la Cina. La seta ne è un testimone, tanto da indurre, sotto Tiberio, a un divieto che gli uomini la usassero (Tac., Ann., 2, 33) e, poi, a riflessioni critiche di Seneca (Benef., 7, 9, 5), fino a giungere, secoli dopo, alla imposizione, da parte di Giustiniano, di un prezzo massimo, e all’inganno, raccontatoci da Procopio (Bell. goth., 4, 17) e, in termini in parte diversi, da Teofane (apud Müller, FHG, 4, 1928, 270, 3), che portò al superamento del monopolio cinese. Pietre preziose, monete e altro si affiancano a tale testimonianza; così pure notizie sull’ateismo dei cinesi (Orig., Cels., 7, 63), sul loro far prevalere le tradizioni rispetto alle leggi (Cesario di Nazianzo, apud Migne, PG, 1862, t. 38, 2, 109). Vi sono anche notizie che consentono di ritenere che, per un errore al quale è poi seguita la prigionia di guerra, siano giunti in Cina alcuni soldati romani, della Prima legione, di M. Licinio Crasso, il triumviro: questi venne sconfitto presso Carre nel 53 a.C., nella Mesopotamia settentrionale, dove perse la vita, mentre parte dei suoi uomini furono uccisi o fatti prigionieri; altri, ritirandosi, sarebbero giunti nel Kazakistan, dove sarebbero stati presi prigionieri da una spedizione cinese contro tale Paese (battaglia di Zhizhi del 36 a.C.) e condotti in Cina, nell’attuale distretto di Yongchang, dove avrebbero fondato la città di Lijian.
Certamente, nel corso del 1° millennio della nostra era giunse in Cina la religione cristiana, attraverso la predicazione che partiva dall’Oriente (periodo dei nestoriani, dal 635); dall’Europa monaci e frati avrebbero mosso verso di essa solo 600 anni più tardi: Giovanni da Pian del Carpine partì da Lione nel 1245 e il periodo dei francescani presso i mongoli durò fino al 1368, quando, con tutti i cristiani, furono cacciati, a seguito dell’insediamento della dinastia dei Ming, espressione di una riscossa nazionale cinese. Dopo una lunga pausa, con solo sporadici brevi incontri, nel 1578 il gesuita Matteo Ricci (1552-1610), con il suo confratello Michele Ruggeri, ottenne il permesso di residenza in Cina, che fu confermato dall’imperatore nel 1601; ebbe inizio così un periodo di presenza di missionari gesuiti in Cina (si può ricordare, fra gli altri, Martino Martini, 1614-1661).
Il problema di una risalente presenza di elementi del sistema del diritto romano, e di una possibile considerazione di essi da parte cinese, si intreccia quindi con quello degli elementi del diritto canonico (si pensi alla materia del matrimonio e della famiglia o, per es., anche a quello del consenso negli accordi e dell’adem-pimento delle obbligazioni che ne nascano), e questo si intreccia a sua volta con le modalità della presenza della Chiesa cattolica. Questo periodo, il cui studio merita una verifica, anche solo per possibili permanenze a livello terminologico-concettuale che siano rintracciabili, si concluse nel 1838, alla morte dell’ultimo gesuita, il portoghese vescovo Pirès, che prima di morire affidò la chiesa di Pechino da lui retta a un prete ortodosso russo (fatto, questo, che indica emblematicamente l’esistenza anche di un’altra linea di comunicazione di cui tener conto).
A parte viaggiatori come i Polo, o come Andalò da Savignone, che compì tre viaggi tra il 1330 e il 1342, o Antonio Salmoria, di cui Andalò raccolse l’eredità da portare a Genova, o Jacopo di Oliverio, e altri di cui non ci è giunto il nome, un altro tipo di presenza organizzata iniziò, con intenti commerciali, nel 1517, quando i portoghesi sbarcarono a Canton e ottennero l’autorizzazione a esercitare l’attività voluta. A causa della loro condotta, essi ne furono, però, poco dopo cacciati e soltanto nel 1557 ottennero di insediarsi a Macao, dove rimasero fino al 1999 e impiantarono il diritto del sistema romanistico, che è insegnato nella locale università, ed è stato di recente tradotto in cinese a opera di un apposito Gabinete para a tradução jurídica. Nel Cinquecento, erano giunti in Cina anche gli spagnoli, ma non si insediarono. Giunsero gli olandesi e dal 1623 iniziarono a occupare Taiwan, impedendo un’espansione nell’isola degli spagnoli; ma essi, poi, ne furono cacciati nel 1662. Che anche da queste relazioni sia scaturito un dialogo a livello giuridico, e l’interesse alla ‘iustizia’ con cui l’imperatore governava in Occidente nei secoli ai quali si è fatto cenno e nel corso di tali scambi, merita ancora una verifica.
L’istanza della società riconducibile al problema della giustizia viene, per la Cina, rappresentata solita-mente come articolata in tre aree e due modalità: l’area della repressione criminale; quella delle istituzioni dell’amministrazione; quella dei rapporti interpersonali privati. La prima e la seconda sono regolate da leggi e da codici, la terza rimessa a principi e regole di condotta sanzionati moralmente e socialmente, affidati alla gestione di famiglie, di corporazioni e villaggi. Con riferimento alla prima, si ricordano alcune fondamentali opere di fissazione di norme risalenti alla metà del 1° millennio a.C.: il Fajing (Classico delle leggi) composto da Li Kui (455-395), illustre esponente della Scuola legalista, e il Qinlü (Leggi dello stato Qin), compilato sulla base del precedente, ed entrato poi in vigore in tutto il territorio in sostituzione delle leggi degli altri Stati dopo l’unificazione dell’Impero nel 221 a.C. Anche successivamente più volte, e altresì sotto l’ultima dinastia imperiale (Qing: 1644-1911), si è rinnovata l’esperienza della fissazione scritta e ordinata di norme, soprattutto nel Daqinglü (Leggi della grande dinastia Qing). Quali caratteristiche fondamentali di questo complesso di esperienze sono state indicate: l’unitarietà di ‘riti’ (li) e ‘punizioni’ (xing); la derivazione della legge solo dal sovrano; la disuguaglianza delle persone per la legge; l’unione di ‘amministrazione’ e ‘giurisdizione’; l’assenza di una dialettica fra regole ideali e regole effettive; la ricerca di conciliazione, sulla base di un radicato atteggiamento psicologico volto a evitare il procedimento giudiziario; l’amministrazione attraverso la morale se-condo i tre principi: generosità e comprensione per l’altro, insegnare e persuadere, bontà e rigore e così via. Quindi, nonostante che il complesso di esperienza giuridica cinese sia stato fissato in testi ordinati fin da epoca antichissima, e «la elaborazione del diritto compiuta da studiosi costituisca una parte importante dei testi giuridici» (Fei Anling 2007, p. 113), si tendeva a ritenere che in tale complesso non vi sarebbe stato un vero e proprio sviluppo del diritto civile perché il ‘rito’ ne avrebbe preso il posto, e si sarebbe fatto ricorso alla legge solo per esigenze qualificabili come di repressione penale, sotto l’amministrazione di un apparato burocratico colto, in un contesto culturale nel quale il confucianesimo era la dottrina ufficiale prevalente. Questa opinione diffusa, però, è stata da ultimo sottoposta a revisione, da parte di studiosi cosiddetti occidentali come da parte di studiosi cinesi: sia ponendosi in un’ottica attenta a riconoscere il ‘diritto’ anche dove la produzione e osservanza di regole coercibili viene realizzata a opera di qualificati corpi extrastatuali (famiglia, villaggio, corporazione ecc.), superando, finalmente, la prospettiva statual-legalista; sia esaminando gli interessantissimi archivi dei tribunali imperiali e la letteratura sulle ‘questioni minori’ relative a popolazione, matrimonio, terre e immobili ecc.; sia ripensando un patrimonio culturale indubbiamente ricchissimo. Anche alla luce di queste revisioni, però, «la visione equitativa confuciana si conferma come elemento forte del sistema» (Timoteo 2004, p. 39).
Nell’Ottocento, di fronte all’espansione colonialista europea, si ripropose da parte cinese l’interesse alla ‘iustizia’ del sistema del diritto romano, ma in termini nuovi, cioè in una prospettiva di ricezione che vorremmo qualificare difensiva, e che si accompagna a ulteriori esigenze e realizzazione di cambiamenti, in una vicenda ancora in corso.
Una precisazione: il sistema del diritto romano
Il riferimento al diritto romano viene oggi compiuto in molti modi, fra loro connessi, ma non coincidenti, e legati alle vicende, ancora in fase di svolgimento, cui è sottoposto il diritto romano stesso; ne è coinvolta, ovviamente, una riflessione sulla sua presenza in Cina oggi. Una sintetica precisazione sul modo in cui intenderlo è necessaria.
Il diritto romano trae il suo principio dalla fondazione di Roma e conclude l’era della sua formazione con i codici di Giustiniano e dei suoi giuristi (Codex, Digesta, Institutiones), prodotti dalla convergenza della statuizione del legislatore e dell’elaborazione della iuris scientia. In tali codici è stata portata a perfezionamento l’unitarietà e consonantia interna del diritto, per realizzare uno ius Romanum comune, elaborato come ‘sistema’ che include tutto, dal suo principium. Questi codici sono stati destinati a essere diffusi ad omnes populos e in omne aevum (a tutti i popoli, in tutte le epoche), e hanno trasferito a noi quei concetti, principi, istituti, regole, e quel metodo di elaborazione previa e in astratto di fattispecie, e le conseguenze a esse collegate sulla base di rationes verificabili in rapporto agli uomini (Dig., 1, 5, 2), frutto di costante discussione e impegno al quotidiano miglioramento, da parte dei giuristi (Dig., 1, 2, 2, 13).
Da Costantinopoli, ‘seconda Roma’, i codici, formulati in latino, vennero riletti e tradotti in altre lingue: in greco (in particolare, i Basilici) e poi in slavo antico, e pervennero a Mosca, ‘terza Roma’. Vennero in seguito inviati in Italia, a Ravenna e, secoli dopo, da Bologna imperio rationis, così come, ratione imperii, in forza del rinnovarsi dell’istituzione imperiale, offrirono il loro diritto all’Europa, in concorrenza con le istituzioni giuridiche medievali (a tale rinnovata e più estesa diffusione si sottrasse l’Inghilterra).
L’era delle grandi rivoluzioni e delle nuove codificazioni del sistema giuridico romanistico inizia con lo sconvolgimento delle conoscenze geografiche (la scoperta di quello che fu chiamato Nuovo mondo, la circumnavigazione del globo); con il connesso supera-mento dell’idea che l’Impero si estende ‘da dove sorge a dove tramonta il sole’, e l’acquisizione dell’idea che su di esso ‘non tramonta mai il sole’. Questa era realizza il superamento della formazione sociale feudale e della connessa contrapposizione fra le sue istituzioni e il diritto romano; culmina con le rivoluzioni politiche e sociali, da quella francese a quella dell’indipendenza dell’America Latina, a quelle del Messico, di ottobre, della Repubblica popolare cinese (RPC). E infine si realizza il processo di codificazione e costituzionalizzazione in cui si sviluppa di nuovo il confluire delle due grandi fonti del diritto del sistema: scienza giuridica e legge. L’era vede altresì la trasfusione dei principi dello ius gentium nel diritto internazionale (interstatuale) moderno.
Il Code Napoléon (1804) è il codice della rivoluzione che ha cancellato i residui delle istituzioni feudali. I codici latinoamericani con la trasfusione del diritto romano e dell’indipendenza rendono propria all’America Latina, in nome del suis legibus uti (seguire le proprie leggi) della ‘Roma americana’, la tradizione del diritto romano comune, che matura anche la specificità di un sottosistema giuridico latinoamericano. La pandettistica scaturita dal diritto romano attuale di Friedrich Karl von Savigny, della metà dell’Ottocento, con la sua rilettura dei codici di Giustiniano e dei suoi giuristi, manifesta la fiducia nello sviluppo di quel metodo interpretativo-costitutivo del sistema di cui, raccogliendo anche l’eredità del razionalismo del Seicento, accentua la scientificità come «calcolare con i concetti», e lo pone al servizio di un rigoroso positivismo delle fonti, con cui affronta la rivoluzione industriale e perviene al BGB (Bürgerliches Gesetzbuch) tedesco del 1900. Seguono, senza frattura, ma con significative innovazioni, il codice civile svizzero; l’unificazione del diritto privato civile e commerciale; il riemergere di un’attenzione alla dimensione sociale; la rilevanza dei profili oggettivi realizzati nel codice civile italiano del 1942. Lo statual-legalismo, però, non prodotto dai codici, ma che di essi si avvale, e in contrasto con la strutturale unità del sistema, diventa egemone in Europa a causa degli sviluppi del nazionalismo, fino all’esplosione della sua crisi.
Con la Rivoluzione di ottobre, a Mosca la tradizio-ne dell’Università di Bologna, sovrappostasi a quella greco-slava, permane come un filo sottile, tenace e fruttuoso, che produce il codice civile della ‘nuova politica economica’ (NEP, Novaja Ekonomičeskaja Politika) del 1921, così come quello del 1964; inoltre la scienza giuridica emblematicamente rinnova la propria traduzione dei digesti (1984) e, come vero centro di autonomo riferimento propulsore, concorre a formare giuristi e ad alimentare l’ispirarsi al sistema del diritto romano da parte di altri Paesi.
L’accoglimento dei codici del sistema giuridico romanistico nei Paesi di diritto musulmano è settoriale e non li coinvolge tutti; esso in certi casi, come nel codice civile misto e in quello nazionale egiziano (1875 e 1883), è realizzato per recuperare e difendere la pienezza dell’esercizio della giurisdizione nel proprio territorio. Del 1925 è la fondazione della facoltà di Giurisprudenza dell’università del Cairo e negli anni Quaranta viene pubblicata la traduzione in lingua araba delle Institutiones di Giustiniano. Nel codice civile egiziano del 1948, di ῾Abd al-Razzaq al-Sanhuri, una scienza giuridica romanistica egiziana ha sviluppato il proprio ruolo, intrecciandosi anche con elementi del diritto musulmano.
Il codice civile in Giappone (1898) è, anch’esso, espressione di un accoglimento del sistema del diritto romano. Le scienze giuridiche francese e tedesca hanno svolto un ruolo fondamentale nella mediazione del rapporto con il sistema nella produzione del codice civile, ma si deve tenere presente che, dal 1874, era stata istituita anche una cattedra di Diritto romano nell’università imperiale di Tokyo (l’insegnamento avveniva sulla base delle Institutiones di Giustiniano) e «tra i giuristi vi era la convinzione profonda che se non si fosse studiato e compreso il diritto romano, non si sarebbe potuto comprendere a fondo il diritto moderno dell’Europa […]. Si può dunque dire che fu recepita prima la dottrina giuridica, e solamente in un secondo tempo si passò alla ricezione della legislazione europea» (Norio Kamiya, Aspetti e problemi della storia giuridica in Giappone: la ricezione del diritto cinese e del sistema romanista, «Index. Quaderni camerti di studi romanistici», 1992, 20, p. 375).
Il sistema giuridico del diritto romano viene anche qualificato come sistema di diritto codificato: ciò corrisponde al connotato che esso trae dai codici di Giustiniano e dei suoi giuristi, e dai codici moderni che sono stati appena ricordati.
Nelle diverse specifiche vicende della realizzazione o della successiva interpretazione dei codici moderni, l’articolazione interna del sistema e le stesse relazioni fra le diverse fonti (in particolar modo, fra legge, scienza giuridica, consuetudine) sono state varie. A ciò ha concorso il riaffermarsi del principio, di cui i codici di Giustiniano erano portatori (Dig., 1, 4, 1 pr.), della competenza del popolo a porre le leggi, e il suo collegarsi sia, in modo conforme al sistema, con l’affermazione del suis legibus uti dei popoli; sia, in contrasto con il sistema e il suo universalismo, con l’affermazione del monopolio statual-legalistico della produzione del diritto che comporta un nuovo particolarismo giuridico.
Inoltre, con le ultime due vicende di codificazioni ora indicate, i codici moderni sono pervenuti laddove ancora non lo erano né quelli di Giustiniano e dei suoi giuristi, né la scienza giuridica di derivazione bolognese, o vi pervengono parallelamente a questa; con tali vicende la dialettica fra i momenti della codificazione (legislazione e scienza giuridica), ma anche fra questi e il complesso di esperienza giuridica preesistente, risulta diversa da quelle indicate per l’America Latina o per la Russia, pur essendo realtà fra loro differenti.
Infine, i codici di questa era sono formulati in una pluralità di linguaggi nazionali, settoriali e tecnicizzati. Essi, pur prodotti, come quelli di Giustiniano, dai giuristi, e pur essendo sviluppi delle loro riletture, includono solo enunciati normativi, lasciando sommerse le analisi, le controversie, le rationes o, per così dire, comprimendole nella formulazione di quelli. Non sono testi sui quali il giurista si forma, ma presuppongono tale formazione.
La codificazione e la formazione dei giuristi dal 1902 al 1949
In Cina dopo la guerra dell’Oppio della metà dell’Ottocento, come in Giappone e in altri Paesi non europei, le potenze europee e gli Stati Uniti d’America imposero il sistema delle concessioni e dei tribunali misti/consolari che giudicavano secondo il diritto straniero. Come in tali Paesi, anche in Cina vi fu l’esigenza di sottrarsi a questa privazione della giurisdizione, dandosi una legislazione e un ordinamento tali da essere ‘accettati’. Il processo che si avvia è assai complesso.
Nel 1902 il governo imperiale decise di inviare i giuristi Shen Jiaben (studioso della storia del diritto cinese) e Wu Tingfang in Inghilterra, America del Nord, Spagna e Perù allo scopo di conoscerne i diritti; Wu Tingfang, al rientro, fu nominato ministro per la revisione delle leggi. Non erano casi isolati: si trattava, infatti, di un gruppo di ‘letterati di livello superiore’ (jinshi) con una preparazione giuridica acquisita in Europa, in America e in Giappone, che, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, venne posto in una serie di posizioni chiave per promuovere delle riforme.
Come ricordato: a) le scienze giuridiche francese e tedesca avevano raggiunto massimo prestigio e diffusione nell’intero sistema romanistico, come pure i codici da esse prodotti; b) il Giappone si era già orientato alla ricezione di tale sistema; c) più in generale, la scienza giuridica fondata sulla preventiva elaborazione di fattispecie e delle loro conseguenze, sull’elaborazione dogmatica e sistematica, e su principi rapportati agli uomini, poneva a disposizione un metodo scientifico universalisticamente aperto che, da un lato, costituiva un ponte verso gli altri Paesi, d’altro lato, era capace di articolarsi per includere nuovi apporti. Gli stessi primi libri di giuristi occidentali tradotti in cinese nella seconda metà dell’Ottocento (a partire dal testo di Henry Wheaton, Elements of international law, 1836; trad. cin. 1864) indicavano il diritto romano come la base del diritto internazionale, profilo particolarmente considerato dai governanti, e anche, più in generale, come ‘l’origine’ di tutti i diritti positivi. Questi caratteri generali e riflessioni sul sistema giuridico romanistico portarono la Cina a orientarsi verso di esso e ad ampliare l’attenzione dalle sue concretizzazioni moderne al suo principium, in consonanza con atteggiamenti emergenti nella cultura cinese di quel periodo. Dall’iniziale intento essenzialmente ‘difensivo’ della sovranità nel Paese, che affiancava le tendenze all’acquisizione della moderna tecnologia sintetizzata nella formula «il sapere occidentale come mezzo, il sapere cinese come fondamento», e sulla spinta di crisi (per es., la rivolta dei Boxer del 1900 e la brutale azione del corpo internazionale a Tianjin e Pechino) e di emozioni legate a eventi vicini (per es., la sconfitta russa nella guerra russo-nipponica del 1904 con l’emergere del Giappone che aveva già realizzato grandi cambiamenti del suo ordinamento giuridico), si passò in quei decenni a un sempre più articolato dibattito i cui obiettivi miravano a una più estesa ‘modernizzazione’ che poneva in discussione l’autosufficienza sinocentrica. In questo contesto, la ricerca delle ‘cause’ dei successi dei Paesi occidentali (e del Giappone) si orientava non sulla tecnologia di cui essi disponevano, ma sul sistema giuridico-istituzionale, di cui il sistema del diritto romano era indicato e assunto come il fondamento.
Vennero costituite delle università e delle facoltà di Giurisprudenza di tipo moderno, a partire dal 1895 con la facoltà dell’università nord-occidentale di Tianjin fondata da Gustav Derting, poi con l’università di Pechino e Shanghai (è interessante notare che nella Soochow University di Suzhou, fondata da un pastore metodista, venne invece insegnato il common law fino al 1949). Nel 1905 il sistema dei concorsi imperiali per l’accesso alle carriere di funzionario dello Stato fu abolito, e il nuovo regolamento del 1907 richiese la formazione in materie giuridiche o in scienze politiche. Nel 1906 fu avviata la redazione del codice civile e, parallelamente, una grande indagine sugli usi presenti nella società. Nel 1911 il progetto di codice civile della grande dinastia Qing (Daqing minlu cao’an) era realizzato. Questo progetto, articolato in cinque libri, introduceva quella parte generale del codice civile che si può considerare l’estremo punto dello sviluppo, realizzato dalla pandettistica, del metodo dei giuristi romani che costituiscono il diritto in sistema. Si trattava di una scelta, una consonanza nella formazione emergente dei giuristi cinesi per la soluzione che si presentava come la più scientificamente avanzata e la più sistematica. Il progetto, invero, proponeva anche l’individualismo dell’Ottocento europeo, che aveva ridotto l’attenzione al bene comune contrariamente al diritto romano; in conseguenza di ciò, tale progetto incontrò resistenza, soprattutto in materia di famiglia e in materia di successione ereditaria.
Il progetto del 1911 non fu approvato per la crisi dell’Impero che portò all’instaurazione della repubblica. Questo periodo fu ugualmente di massimo rilievo sotto il profilo della ‘prima’ estesa elaborazione di un linguaggio giuridico cinese nel quale si trasferivano i concetti del sistema del diritto romano; per questo profilo, il lavoro svolto precedentemente dai giuristi giapponesi è stato rilevante, forse anche in parte per le tracce della anteriore, remota, comunicazione di diritto dalla Cina al Giappone (il tema è da indagare, e la sua rilevanza, anche pratica, verrà emergendo in relazione agli sviluppi odierni).
Nel periodo dei Signori della guerra (1911-1927) venne attuata una significativa attività legislativa, prevalentemente volta a organizzare la repubblica: allo Statuto provvisorio della Repubblica cinese (Zhonghua minguo linshi yuefa), dello stesso 1911, fecero seguito leggi sull’organizzazione del parlamento, del governo e così via. Per il codice civile fu istituita, nel medesimo anno, una commissione presieduta da Wang Zhonghui, formatosi in Giappone, della quale furono nominati consiglieri tecnici il belga Georges Pardoux e i giapponesi Itakura Matsutaro e Iwata Shin, nel 1916, il francese Jean Escara, nel 1921. In seguito a tale attività furono redatti due libri di un nuovo progetto nel 1925, il cui iter venne interrotto dall’insediamento del governo del Partito nazionalista (Guomindang) nel 1928. È da notare che, però, nel frattempo il ‘progetto 1911’ veniva largamente utilizzato dalla Corte suprema, le cui decisioni furono raccolte nei Principi fondamentali per il giudizio dei casi civili, facendo accrescere il processo di assimilazione e adattamento, anche in relazione all’attenzione rivolta agli usi della società civile.
Le innovazioni introdotte nell’organizzazione della repubblica dal governo del Guomindang lo agevolarono nella produzione legislativa: nello stesso 1928 fu approvato un codice penale che innovava incisivamente in materia; leggi vennero altresì elaborate in materia di istruzione, trasporto, risorse naturali, organizzazione dei pubblici uffici e così via. Per il diritto civile, di cui si sottolinea la centralità, la nuova Commissione di codificazione, presieduta da Fu Bingchang e di cui era consigliere tecnico soltanto il già ricordato belga Pardoux, adottò un metodo di approvazione di singole leggi (cinque) relative alle diverse parti del codice. Esse entrarono in vigore fra il 1928 e il 1931, e successivamente furono riunite nel codice del 1931 (Zhonghua Minguo Minfa; trad. ingl. The civil code of the Republic of China, 1931; trad. lat. Codex Juris Civilis Reipublicae Sinicae, Typis Missionis Catholicae, 1934).
La ricezione del sistema del diritto romano perviene così a un momento fondamentale della propria vicenda. Essa è sostenuta da una cultura giuridica in crescita, nel cui ambito sono presenti anche studi specifici sul diritto romano antico. Già negli ultimi anni dell’Impero, oltre ai ricordati inviati del governo stesso, molte persone si erano recate all’estero a studiare diritto; altri fecero altrettanto durante la repubblica. Parallelamente crebbe il numero delle facoltà di Giurisprudenza: nel primo periodo repubblicano, l’insegnamento del diritto romano divenne obbligatorio. Tra coloro che si erano recati a studiare all’estero, alcuni si dedicarono in modo specifico al diritto romano antico: Huang Youchang e Chen Chaobi e poi Chen Yun, Yin Shi, Qiu Hanping. Scrissero alcuni manuali pubblicati fra il 1915 e il 1937, e furono soprannominati ‘i cinque grandi studiosi del diritto romano’. I loro lavori, che utilizzano la letteratura europea in materia, non svolgono un’autonoma lettura delle fonti, ma ugualmente manifestano una consapevolezza metodologica essenziale: una consapevolezza, cioè, secondo cui il sistema deve essere fatto proprio dal suo principio.
Il governo del Guomindang perdette – o non realizzò mai – il controllo di tutto l’immenso territorio della Cina perché, superati i conflitti del periodo che lo aveva preceduto, in taluni territori scoppiò la rivoluzione attuata dal Partito comunista cinese che riuscì ad acquisirne il controllo e iniziò un’esperienza che si sarebbe proiettata sugli anni successivi. Tra il 1931 e il 1934 in tali province, infatti, il partito varò leggi sul lavoro, sul sistema economico, sul matrimonio, sulla terra, che, da un lato, seguivano strettamente l’esperienza dell’URSS, d’altro lato, lo impegnavano nella concreta attività governativa.
L’aggressione che la Cina subì dal Giappone incise ancora più significativamente sulle difficoltà di portare a diffusa effettività il diritto del codice civile nel Paese.
Nel 1948 il grande giurista nordamericano Roscoe Pound, nominato consulente del Ministero della Giustizia del governo cinese quando la capitale era a Nanchino, anche se certo non fu mai un osservatore benevolo nei confronti del sistema giuridico romanistico, in un suo parere al competente ministro, raccomandò: «La Cina ha codici eccellenti […] il Codice civile cinese è, nella sua essenza, il culmine di un’epoca di continui sviluppi che sono derivati dall’insegnamento del diritto romano sulla base della codificazione di Giustiniano nelle Università italiane del dodicesimo secolo. […] È una forte testimonianza della permanente vitalità della tradizione giuridica romana che lo sviluppo giuridico dell’Estremo Oriente segua le impronte del moderno diritto romano piuttosto che del diritto inglese o angloamericano. Invero, il diritto romano moderno, fortemente sistematico, con la sua abbondante dottrina scientifica, è molto più adatto a Paesi che devono passare rapidamente da un corpo di tradizioni e consuetudini etiche e da un controllo sociale indifferenziato a un corpo di diritto moderno che non il diritto inglese ed angloamericano relativamente non sistematico» (R. Pound, Roman law in China, in L’Europa e il diritto romano, 1954, i° vol., pp. 441 e sgg.).
Il codice civile del 1928-1931 è ancora in vigore, con modifiche, a Taiwan. L’isola, riunita alla Cina nel 1945, ha adottato il predetto codice civile cinese, innestandolo su un’esperienza di mezzo secolo di un codice del sistema romanistico, pervenendo a una generalizzata effettività del diritto in esso contenuto. Di questo, però, si ritiene che sia «divergente dalla morale comune e dalla mentalità largamente diffuse presso la popolazione» e dalla ricezione del diritto romano ci si attende non solo «codici scritti, sostituzione delle molteplici consuetudini locali di una certa area con un unico diritto», ma anche «lo spirito del diritto naturale insito nel diritto romano perché il diritto non deve essere solamente uno strumento di potere dello Stato, ma anche la realizzazione della giustizia e dell’equità […]. La tendenza del diritto romano a rendere pubblico il diritto privato e privato il diritto pubblico spiega perché abbia ancora dei valori che meritano di essere studiati» (Hsieh Ming Kuan, Wang Wen Chieh, Li Ch’ing T’an in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, 2005). Taiwan ha curato pubblicazioni di lavori romanistici, sia manuali sia altri contributi, oltre a partecipare ad attività romanistiche sviluppatesi nella Repubblica popolare cinese.
La fondazione della Repubblicapopolare cinese
Nel febbraio del 1949, il Partito comunista cinese aveva ormai conseguito il controllo della parte più importante della Cina. Il 1° ottobre di quell’anno la RPC veniva proclamata dalla Conferenza politica consultiva del popolo cinese, nella sua prima sessione. La Conferenza approvava altresì il Programma comune che fissava i principi politico-giuridici che avrebbero guidato il Paese. Il Comitato centrale del partito prese la decisione di dichiarare abrogato l’ordinamento giuridico vigente, e di disporre che si dovessero applicare solo le disposizioni del nuovo governo e, in assenza, i tribunali dovessero decidere il caso secondo la politica della ‘nuova democrazia’. L’attività legislativa fu assai intensa: legge sull’organizzazione del governo centrale; legge di riforma agraria; legge sul matrimonio; legge sul sindacato e così via. Nel 1954 fu convocata la prima Assemblea nazionale popolare la quale produsse la Costituzione del 1954 e successivamente numerose altre leggi.
«Durante questo periodo (1949-1957) il nostro Paese attribuiva molto valore al ruolo del diritto. La scienza giuridica era fiorente […]. Intendevamo creare un nuovo sistema giuridico rivoluzionario secondo l’esempio dell’Unione Sovietica» (Jiang Ping in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, 2005, p. 3). Numerosi giuristi, in questo periodo, si formarono a Mosca e ivi studiarono il diritto romano; per gli studi giuridici e la formazione di quadri di giuristi furono fondate le Università del popolo (1950) e la CUPL (China University of Political science and Law; prima fondazione nel 1952). Fu anche intrapreso (1954) un progetto di codice civile. Il dibattito che si svolse in Cina in tali anni sul ruolo del diritto e, quindi, sul diritto romano deve essere ancora studiato, come lo deve essere l’influenza del dialogo con l’URSS, e quindi anche della lettura di testi giuridici, delle traduzioni, della terminologia. Il progetto di istituzione delle facoltà di Giurisprudenza redatto dal Ministero dell’Educazione nel 1951 dispose esplicitamente «bisogna prendere come principali testi di riferimento i manuali di giurisprudenza dell’Unione Sovietica»; «all’inizio, tutti gli insegnamenti erano impartiti da esperti sovietici in lingua russa». Tra il 1952 e il 1956 furono tradotti in cinese 156 manuali sul diritto so-vietico e molte selezioni di testi legislativi dell’URSS, un’opera senza precedenti; «lo studio del diritto ro-mano, su influenza di quanto avveniva in Unione Sovietica, era l’unico corso su un diritto considerato ‘straniero’» (Ding Mei in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, 2005, p. 102). È, peraltro, noto il contrasto, presente nella scienza giuridica della seconda metà del 20° sec. (Rodolfo Sacco, Witold Wołodkiewicz e altri), sulla qualificazione, sotto il profilo sistemologico, degli ordinamenti degli stessi Paesi socialisti europei, se cioè costituissero un sistema distinto dal sistema giuridico romanistico o – a nostro avviso più esattamente – un sottosistema di quest’ultimo.
Il periodo seguente (1958-1977) vide perfezionarsi (1960) l’allontanamento, che stava maturando da due anni, fra la RPC e l’URSS; dal 1960 al 1963 la Cina, peraltro, subì tre enormi calamità naturali. Per quanto riguarda il diritto, si assistette a un’evoluzione verso un’impostazione qualificata di ‘nichilismo giuridico’, perché «si ignorava, e perfino si negava completamente il ruolo del diritto in generale»; essa si sviluppò nel quadro della cosiddetta grande rivoluzione culturale proletaria, di cui la Costituzione del 1975 è espressione.
Il risorgere dello spirito del dirittoromano
Jiang Ping, nel suo intervento in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, scrive: «Con lo sviluppo delle riforme dell’economia socialista di mercato, anche in Cina l’ordinamento e la dottrina giuridica si stanno profondamente trasformando. In certo senso si può dire che questa trasformazione è una conseguenza del risorgere dello spirito del diritto romano, del diritto privato e dell’umanesimo» (p. 49).
Nel dicembre 1978, la terza sessione plenaria del Comitato centrale eletto dall’XI Congresso nazionale del Partito comunista cinese stabiliva che le contraddizioni prodotte dalla lotta di classe dovevano essere risolte «in base alle procedure stabilite dalla Costituzione e dalle leggi». Si riapriva così la discussione sulla possibilità e utilità di ricezione del sistema del diritto romano, che si era interrotta alla fine degli anni Cinquanta. Si riproponeva un interesse nei suoi confronti, al dinamismo da esso impresso nella storia europea, alla possibilità che una ricezione critica di alcune parti del diritto romano potesse accelerare il passo verso le ‘quattro modernizzazioni’. Se è vero che ci si muoveva dalla prospettiva del ruolo della legge, è anche vero che, parallelamente, si accentuava l’enfasi sulla formazione di giuristi, per la quale il Ministero della Giustizia rinnovava un particolare impegno nel sostenere cinque istituti universitari a ciò specificamente destinati (a Pechino, Xi’an, Chongqing, Wuhan, Shanghai); lo studio del diritto romano era previsto come materia a scelta dello studente. Nel 1982, mentre veniva approvato dal XII Congresso del Partito comunista cinese il programma di edificazione di un ‘socialismo dalle caratteristiche cinesi’, veniva presentato un progetto di codice civile; ma esso fu ritenuto inadeguato, e si preferì sviluppare la linea già intrapresa (per es., legge sul matrimonio del 1980) di una serie di leggi, tra le quali quella del 1986 sui principi generali del diritto civile è certamente la più importante per il suo ruolo centrale nella costruzione dell’ordinamento giuridico.
Nel dibattito scientifico, si rinnovavano i motivi delle scelte compiute, la scientificità come la forza del lavoro dei giuristi e, parallelamente, venivano ulteriormente precisati i possibili obiettivi di un uso selettivo del diritto romano di cui era indicato il «significato sociale generale» e la possibilità di essere «ereditato e utilizzato dal diritto socialista». In particolare, con riferimento alla riduzione in atto dei «campi di applicazione dei ‘piani direttivi statali’, è stata notevolmente aumentata l’autonomia di gestione delle imprese statali; […] i contratti economici hanno perso il loro carattere pianificato, e sono diventati simili ai contratti commerciali», così che «molti studiosi ammettono […] la ‘razionalità’ del diritto romano privato» pur nel quadro di un diritto come quello socialista in cui «non è conosciuta la divisione del diritto in pubblico e privato» (Jiang Ping in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico 2005, p. 4). Inoltre, viene considerata rilevante la presenza nel diritto romano del ‘diritto naturale’. In contrasto con la tradizione filosofica del diritto cinese antico, il diritto romano «ha prodotto un concetto dualistico di diritto, operando una netta distinzione fra diritto ideale e diritto effettivo […]. Questa distinzione ha determinato la consapevolezza che il diritto effettivo doveva sottostare a esami e critiche e ogni norma che se ne allontana non può essere chiamata tale […]. Questo procedimento è stato lo strumento teorico utilizzato per abolire il sistema schiavistico dalla pratica e dal codice civile» (Yang Zhenshan in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, 2005, p.33). Le nuove esigenze focalizzano l’attenzione dei giuristi cinesi sull’approfondimento dei «principi di uguaglianza, di rispetto della volontà delle parti, della equivalenza e della risarcibilità che sono fissati nei Principi generali del diritto civile, il che rappresenta una sorta di incarnazione dei principi del diritto romano privato». In un’economia di scambio sempre più articolata e complessa, la teoria dell’obbligazione in generale, della buona fede del contratto e dell’illecito, dell’adempimento, emergono in tutta la loro importanza e specificità; ciò sia nei confronti dei criteri utilizzati in un’economia pianificata e gestita da un apparato amministrativo sia nei confronti della concezione tradizionale e delle modalità di gestione burocratica delle controversie orientata alla «conciliazione nel rispetto dei riti, salvo il passaggio al campo delle azioni penali» (Jiang Ping).
Così pure risulta di centrale interesse la possibilità di soggetti giuridici differenziati, di varie forme di proprietà, o di appartenenza, godimento, disponibilità delle cose. In questo clima, vedono la luce due nuovi manuali di diritto romano (l’uno di Zhou Nan e altri autori, commissionato nel 1983 dal Ministero dell’Educazione; l’altro di Jiang Ping, Mi Jian del 1987); su riviste giuridiche e non – fra queste, l’autorevolissimo Renmin Ribao (Quotidiano del popolo), organo del Partito comunista cinese – vengono pubblicati diversi articoli attenti ad argomenti che vanno dalle XII Tavole al diritto di cittadinanza, allo ius gentium, al ruolo del diritto romano in Europa, al ruolo di modello del diritto romano e così via. Viene puntualmente affermata l’appartenenza dell’ordinamento giuridico cinese al sistema del diritto romano e viene pubblicata una traduzione delle Institutiones di Giustiniano (Zhang Qitai nel 1989).
Questa traduzione è l’indice di un’esigenza: era maturato il convincimento che «il compito più urgente in Cina nel campo degli studi di diritto romano è quello della traduzione e della pubblicazione delle fonti del diritto romano e dei principali testi su di esso pubblicati nel mondo» (Mi Jian in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, 2005, p. 24). Si svolge così un’intensa attività di traduzione dei codici di Giustiniano e dei suoi giuristi, e di altri testi giuridici, che si allarga all’interesse per il diritto pubblico e per altri testi di autori latini (Cicerone, Livio) che lo riferiscono.
Questa notevole attività di traduzione ha suscitato apprezzamento e ha accresciuto l’attenzione generale dei giuristi per il diritto romano e per l’opera degli specialisti cinesi che la stanno svolgendo, anche in altri Paesi dell’area. Essa determina la produzione di ulteriori manuali attenti alle fonti e di una più ricca serie di contributi scientifici, anche monografici: la monografia del 1998 di Ding Mei, Luoma fa qiyue zeren (Responsabilità contrattuale nel diritto romano), ha per prima utilizzato in modo diretto delle fonti; il manuale del 2003 di Huang Feng, Luoma sifa daolun (Manuale di diritto romano privato), ha ricevuto un premio in Cina per la novità costituita dal metodico rinvio alle fonti; la monografia di Zhang Lihong, pubblicata in Italia nel 2007 con il titolo Contratti innominati nel diritto romano: impostazioni di Labeone e di Aristone. Tale attività coinvolge altresì il lessico giuridico con crescente consapevolezza della sua dimensione dogmatica e pratica (Colloquio di Xiamen, 2008). Soprattutto, il confrontarsi direttamente con le fonti apre la via anche a una possibile rilettura critica delle concretizzazioni moderne del sistema; a un’individuazione delle diverse potenzialità di esso; a un’attività interpretativa secondo i principi del sistema, in armonia con essi, in permanente privilegiata comunicazione con le altre esperienze interpretative.
Verso la codificazione del diritto civile
Dopo la drammatica crisi del 1989, che vede anche coinvolti esponenti di spicco del mondo giuridico e romanistico (Jiang Ping fu quello di livello più elevato), il movimento di fondo iniziato in Cina nel 1978 continua, e il XIV Congresso del Partito comunista cinese (1992) vara l’obiettivo della ‘economia socialista di mercato’. Il mondo giuridico coglie le opportunità che si aprono al livello della produzione dell’ordinamento. Il congresso internazionale Diritto romano, diritto cinese e codificazione del diritto civile, organizzato a Pechino nel 1994 dalla CUPL, in collaborazione con l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e il gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano, ha segnato una svolta nel dibattito scientifico (tra coloro che vi hanno partecipato, molti attualmente sono membri del gruppo di lavoro per la redazione del codice civile o di diverse leggi).
Il 50° anniversario della fondazione della RPC vede tradurre nella Costituzione dell’inizio del 1999 la linea del XV Congresso del Partito comunista cinese sintetizzata nella formula ‘governo del Paese in base al diritto’. Nel 1998 era stato elaborato un programma di massima per procedere alla produzione di altre leggi fondamentali, da riunire e coordinare anche con leggi già approvate in un codice civile per il 2010. Del codice nel suo insieme, sono stati elaborati una pluralità di progetti: quello del gruppo di lavoro per la redazione del codice civile, la cui stesura è stata rivista dalla Commissione dell’Assemblea legislativa, ed è stata presentata alla discussione del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale alla fine del 2002; quelli elaborati sotto il coordinamento di due autorevoli membri del gruppo di lavoro, e che sono delle varianti (Liang Huixing, Wang Liming); quello elaborato da un gruppo di studiosi facenti capo all’università di Wuhan (coordinati da Xu Guodong), e altri parziali. Ciò costituisce certamente l’espressione di una grande partecipazione alla realizzazione di questo obiettivo. Fra le leggi maggiormente significative che intanto vengono approvate, o modificate, si deve segnalare quella sui contratti in vigore dal 1999; quella di riforma del diritto societario, sensibilmente emendata nel 2005. La legge sui diritti reali ha prodotto un dibattito più complesso, che si è concluso nel 2007; su di essa si riflette la novità del XVI Congresso nazionale del Partito comunista cinese (2002) relativa al ‘pensiero delle tre rappresentatività’ e di alcuni emendamenti alla Costituzione approvati nel 2004, sui diritti umani (art. 33, 3° co.) e sulla inviolabilità dei beni privati, legittimi, dei cittadini (art. 13), e ancora chiarificazioni sui diversi schemi dell’appartenenza delle cose, sul rapporto fra tutela della proprietà statale e dei singoli, sulla riserva di legge in merito alla creazione di diritti reali (numerus clausus), sulle relazioni fra la tutela dell’appartenenza delle cose ai singoli e la sicurezza sociale nei tumultuosi cambiamenti dello sviluppo del mercato, sui soggetti cui spettino i nuovi diritti sulle terre comuni e così via. Della legge sulla responsabilità civile extracontrattuale è stato avviato l’iter nel 2005.
Accanto all’attività legislativa, incisivo è il ruolo della Corte suprema in quanto le sue sentenze non costituiscono precedente vincolante, ma hanno, nella pratica, un grande rilievo, soprattutto le sue interpretazioni generali su leggi o su loro parti, e pareri dati su richiesta di corti di livello inferiore sono vincolanti (la Corte suprema crea degli appositi gruppi di lavoro per la redazione di tali interpretazioni e chiama spesso esperti universitari a farne parte; questa attività è peraltro discussa).
La riflessione sui codici e sull’attività legislativa è accompagnata da: a) lo sviluppo dei rapporti con Macao e Hong Kong nel quadro del principio ‘un Paese, due sistemi’, e con Taiwan; b) una rete sempre più fitta di scambi culturali, di visite di studiosi, di traduzione di opere, di integrazione dell’attività negoziale a livello internazionale – l’ingresso della Cina nella World trade organization è un punto di riferimento spesso menzionato; c) l’adesione al notariato latino; d) la gestione del sempre più articolato intreccio di interessi economici e di pressante presenza di studi professionali internazionali, con le loro pratiche e i loro modelli negoziali, di diffusione della lingua inglese e della lettura diretta di opere, sentenze ecc., di common law; e) una silenziosa riemersione di elementi della propria grande cultura.
In questa cornice, si sono svolti a Pechino due congressi (sulla base organizzativa del precedente del 1994): il congresso Diritto romano, diritto cinese e codificazione del diritto civile. Diritti reali e obbligazioni, nel 1999, in coincidenza con il 50° anniversario della RPC e in concomitanza con l’entrata in vigore dell’importante legge sui contratti; e il congresso Diritto romano, diritto cinese e codificazione del diritto civile. Diritto romano, diritti reali, responsabilità extracontrattuale e diritto commerciale, nel 2005, durante la fase finale della discussione della legge sui diritti reali e in vista dell’avvio della legge sulla responsabilità extracontrattuale. Entrambi, come già il primo, sono attenti alla dimensione del sistema nella sua estensione nel tempo e anche nello spazio: simbolica, ma significativa, la partecipazione di studiosi della Germania, Ungheria, Russia, Colombia, del Brasile, Messico, Perù, Egitto, Giappone, di Taiwan. A queste ha corrisposto la partecipazione di studiosi cinesi al Congreso latinoamericano de derecho romano di Lima del 1996 e ad altri scambi scientifici con i giuristi latinoamericani, oltre ai congressi dei romanisti dell’Europa Orientale e dell’Asia di Vladivostok, Novi Sad, Dušanbe. Sulla stessa linea si inseriscono le traduzioni di codici civili (del Cile, dell’Argentina, del Brasile ecc.) e la creazione di centri di studio: alla CUPL è stato costituito un Centro sulla diffusione del diritto romano e nel 2005 è stata fondata una rivista, «Digesta»; presso l’università di Economia, Scienze politiche e Diritto del Centro-Sud di Wuhan è stato costituito un Centro di studi sulle codificazioni; presso l’università di Xiamen è stata fondata nel 2000 la rivista «Diritto romano e diritto civile moderno»; all’università dello Hunan è stato costituito un Centro di studio sul sistema giuridico romanistico. Tutto ciò è conforme a una prospettiva aderente alla realtà concreta della storia e della dinamica dei grandi sistemi giuridici contemporanei, e anche all’essere il diritto romano ‘patrimonio comune dell’umanità’.
La crescita del numero delle facoltà di Giurisprudenza è stata impressionante, e la formazione accademica dei giuristi, pur nelle condizioni di una rapidissima crescita, costituisce il punto chiave dello sviluppo del sistema.
Un tempo dei giuristi?
Se il filo conduttore unificante questo secolo di storia giuridica della Cina è quindi il cammino verso i codici, la cultura giuridica cinese si è mostrata consapevole dei delicati meccanismi del nostro sistema giuridico di diritto codificato e, cioè: della complementarietà esistente fra i codici e un ceto specializzato di giuristi che li produce e poi li interpreta e quotidianamente li migliora; del ruolo del principium come potissima pars del sistema; del pluralismo, anche linguistico, a cui il sistema è aperto nel dialogo con tale principium. Essa ha così anche aderito a una corrente profonda della propria realtà, dando nuovi strumenti alla tradizionale forte presenza, nella propria vita pubblica, di un ceto di intellettuali, e alla costruzione della ‘armonia’ della vita della società.
La cultura cinese ha chiaramente percepito come il sistema debba essere fatto proprio a partire dal principium, dalle fonti antiche che contengono i principi che nell’arco di oltre un millennio dalla fondazione di Roma a Giustiniano sono maturati e intorno ai quali il sistema si è formato, per poi accrescersi ulteriormente. Per questo, essa non ha voluto più limitarsi a conoscere gli schemi giuridici formulati nei nostri codici, o nei nostri manuali degli ultimi due secoli, ma ha voluto affrontare e tradurre le fonti, così da acquisire l’insieme di concetti, principi, istituti dei quali questi schemi sono la formulazione odierna, e poter plasmare la propria lettura del sistema e il proprio contributo a esso. Tale lavoro ha investito il linguaggio giuridico e ha creato un ponte fondamentale con il proprio passato e il preesistente complesso di esperienza giuridica. L’interesse al principium è però in parte diverso da quello di un secolo fa, ed è intensamente rivolto al presente; non è guidato dalla ricerca delle cause del presente, ma dalla consapevolezza della vitale presenza del principium. Punto essenziale ci sembra essere quello di una forte consapevolezza delle potenzialità del sistema giuridico romanistico e della necessità che esso non perda il contatto con il suo principium, costituito dal diritto romano, ma lo sviluppi, per non indebolirsi irrimediabilmente nella crisi dello statual-legalismo, e per aprirsi alla richiesta di universalismo del diritto.
Parallelamente all’impegno verso la codificazione, la Cina ha avviato la progressiva diffusione, nell’apparato giudiziario, amministrativo e nelle professioni, di operatori formati in diritto, nelle università e – si noti – nella scienza giuridica del sistema romanistico; nella sua forte e propria logica interna, non legalistica ma sistematica; nella verificabilità e nel continuo sforzo di miglioramento delle sue conclusioni. Questi nuovi operatori del diritto vengono con il tempo a sostituire i precedenti operatori i quali, invece, provenivano dall’apparato militare e di partito e, anche nella gestione della soluzione giudiziaria delle controversie, procedevano secondo logiche che facilmente si confondevano con quelle politiche o burocratico-organizzative. La Cina sta formando un ceto di giuristi, che sviluppa un sistema di principi e di proprie coerenze giuridiche, e che nei codici trova un proprio prodotto. Tale prodotto verrà rafforzato dal legislatore, che, a sua volta, così rafforzerà il sistema di coerenze e di principi propri dei giuristi. Questo sistema è comune con il nostro, con i suoi principi, e ne accrescerà l’universalismo.
L’attuale corso del governo della RPC, dopo aver concentrato ogni sforzo, negli ultimi venti anni, sullo sviluppo economico, si fa ora di nuovo più attento ai problemi della parte più debole della popolazione, ai problemi della giustizia sociale e del diritto. Nella nuova versione dello statuto del Partito comunista cinese, all’art. 3, sui doveri dei membri del partito, al punto (1), ai preesistenti doveri di cultura, scienza, e capacità professionali, è stato aggiunto dal XVII Congresso (2007) quello di «apprendere nozioni di diritto». È stato scritto che, nei rapporti con la Cina, si potrebbe riconoscere un tempo degli ambasciatori, un tempo dei pellegrini, uno dei mercanti, uno dei missionari, uno dei navigatori; ci si può domandare se non sia quello presente un tempo dei giuristi e se, oltre che riferirsi al dialogo con la Cina, questa caratteristica non possa anche riferirsi allo sviluppo in Cina di un tale gruppo professionale.
Bibliografia
J. Gilissen, Diritto cinese. I. Antichità e tradizione, in Enciclopedia giuridica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1988, ad vocem.
M. Timoteo, Il contratto in Cina e in Giappone nello specchio dei diritti occidentali, Padova 2004.
Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, a cura di L. Formichella, G. Terracina, E. Toti, Torino 2005.
G. Ajani, A. Serafino, M. Timoteo, Diritto dell’Asia Orientale, Torino 2007.
Fei Anling, Gli sviluppi storici del diritto cinese dal 1911 fino ad oggi. Lineamenti di una analisi relativa al diritto privato, «Roma e America», 2007, 23, pp. 113 e sgg.
Xu Guodong, Note introduttive all’esame della struttura dei tre principali Progetti di Codice civile per la RPC attualmente in fase di elaborazione, «Roma e America», 2007, 23, pp. 131 e sgg.
Si veda inoltre:
Diritto romano, diritto cinese e codificazione del diritto civile, Atti del I Congresso internazionale, Pechino 1994, a cura di Yang Zhenshang, S. Schipani, Huang Feng, Pechino 1995.
Diritto romano, diritto cinese e codificazione del diritto civile. Diritti reali e obbligazioni, Atti del II Congresso internazionale, Pechino 1999, a cura di Yang Zhenshang, S. Schipani, Fei Anling, Pechino 2001.
Diritto romano, diritto cinese e codificazione del diritto civile. Diritto romano, diritti reali, responsabilità extracontrattuale e diritto commerciale, Atti del III Congresso internazionale, Pechino 2005, a cura di Jiang Ping, S. Schipani, Fei Anling, Pechino 2008.
Per la bibliografia romanistica pubblicata in Cina:
G. Terracina, Bibliografia romanistica pubblicata in Cina (1978-2003), «Index. Quaderni camerti di studi romanistici», 2004, 32, pp. 267 e sgg.
Mi Jian, Diritto cinese e diritto romano, in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, a cura di L. Formichella, G. Terracina, E. Toti, Torino 2005, pp. 25 e sgg.
Sulla bozza della legge sui diritti reali:
Marco Polo 750 anni. Il viaggio. Il libro. Il diritto, a cura di F. Masini, F. Salvatori, S. Schipani, Roma 2006.
Sulla legge sui diritti reali:
Sistema giuridico romanistico e diritto cinese. Le nuove leggi cinesi e la codificazione: la legge sui diritti reali, a cura di G. Schipani, G. Terracina, Roma 2008.
Su alcune leggi tradotte in italiano (elaborate nell’intento di riunirle, in seguito, nel codice civile):
Leggi tradotte della Repubblica Popolare Cinese. Legge sui contratti, a cura di L. Formichella, E. Toti, Torino 2002.
Leggi tradotte della Repubblica Popolare Cinese. II. Leggi sul matrimonio, sulle adozioni, sulle successioni, sul trust, sulle garanzie delle obbligazioni, a cura di L. Formichella, A. Petrucci, G. Terracina et al., Torino 2003.
Leggi tradotte della Repubblica Popolare Cinese. III. Leggi sui marchi, sui brevetti, sul diritto d’autore, sul commercio estero, a cura di L. Cavalieri, L. Formichella, M. Timoteo et al., Torino 2006.
Leggi tradotte della Repubblica Popolare Cinese. IV. Legge sulle società, a cura di L. Formichella, E. Toti, Torino 2008.
Leggi tradotte della Repubblica Popolare Cinese. V. Legge sui diritti reali, a cura di G. Terracina, Torino 2008.