Diritto societario
Business as usual
Riforme di diritto delle società a confronto
di Francesco Galgano
10 gennaio
Il Consiglio dei ministri vara due decreti legislativi che introducono sostanziali mutamenti nell'assetto di società per azioni, società a responsabilità limitata e cooperative. Il primo decreto riguarda la riforma organica delle società, il secondo disciplina gli aspetti più strettamente processuali. La riforma, che cambia regole risalenti a più di 60 anni fa, entrerà in vigore nel 2004.
Un anno cruciale
Può ben dirsi che il diritto delle società sia stato, in campo giuridico, l'evento del 2003, così oltre Atlantico come nel Vecchio Continente, ovunque portato all'attenzione dei governi dalla grave e incessante crisi attraversata dai mercati finanziari nel 2002.
Negli Stati Uniti, in risposta al clamore suscitato dagli scandali Enron e WorldCom, si è completato il 6 aprile 2003 il processo di riforma delle regole di corporate governance avviato, in tema di protezione e trasparenza per gli investitori e i mercati, con il Sarbanes-Oxley Act del 30 luglio 2002. In Italia è stata elaborata e portata a compimento dalla commissione presieduta da Michele Vietti, sottosegretario alla Giustizia, la riforma delle società di capitali e cooperative, emanata con d. lgs. 17 gennaio 2003 nr. 6, destinato a entrare in vigore il 1° gennaio 2004. Negli altri paesi europei c'è stato grande fervore creativo di codici spontanei di corporate governance, anche per impulso della Commissione delle Comunità Europee, che il 16 maggio 2002 aveva rivolto agli Stati membri una Raccomandazione, avente per oggetto le garanzie di indipendenza dei revisori contabili (garanzie la cui assenza nella precedente legislazione americana era stata fra le cause degli scandali finanziari menzionati) e mirata a indurre nei risparmiatori fiducia per l'investimento in capitale di rischio.
La riforma americana
I rapporti tra il management della società quotata e la società di revisione erano stati in America la pietra dello scandalo, essendo ben noto, in relazione a quanto emerso nei casi Enron e WorldCom, che le società di revisione erano solite intrattenere un duplice rapporto con la società soggetta alla loro revisione: di controllo dei conti e, al tempo stesso, di consulenza nei più diversi settori di interesse imprenditoriale, da quello fiscale a quello legale, fino alla progettazione della finanza straordinaria. La società di revisione finiva con il controllare sé stessa, giacché esercitava il proprio controllo su operazioni che essa stessa predisponeva o suggeriva. Inoltre la sua indipendenza poteva risultare compromessa, perché il conferimento di incarichi di consulenza poteva dipendere dalla 'benevolenza' dimostrata in sede di revisione. Per converso, acquisiva una sorta di monopolio della consulenza, essendo in grado, per i poteri di cui disponeva sulla società sottoposta alla sua revisione, di condizionarne le scelte circa i consulenti ai quali rivolgersi. Infine, la spingeva a sentirsi parte del corporate team, a perdere la sua terzietà rispetto alla società oggetto di revisione; il suo coinvolgimento nell'organizzazione aziendale e nelle scelte imprenditoriali, provocato dall'estesa attività di consulenza prestata, poteva diventare tale da indurla a mascherare le situazioni di crisi nelle quali fosse incorsa la società sottoposta al suo controllo.
La garanzia di veridicità delle informazioni rese al mercato ha costituito il punto centrale della riforma americana. È stato previsto l'obbligo dell'amministratore delegato e del direttore finanziario della società di allegare alle relazioni annuali e a quelle trimestrali (non alle relazioni di aggiornamento) una dichiarazione scritta attestante, sotto giuramento, la veridicità, la completezza e l'accuratezza di tutte le informazioni ivi contenute. La falsa dichiarazione o - ma il punto è discusso - l'omessa dichiarazione è reato e per esso è prevista una pena che può arrivare fino a 20 anni di reclusione.
Altro discorso riguarda gli audit committees delle società quotate o che aspirano alla quotazione. Le competenze dell'audit committee includono la nomina dei revisori dei conti, la determinazione dei loro compensi e la supervisione del loro operato, che deve svolgersi nel rispetto delle direttive generali approvate in precedenza dallo stesso comitato per il controllo. Nei periodic reports depositati su Form 10-K, 10-Q o 8-K, la società deve tra l'altro indicare quali membri del proprio audit committee sono financial experts e giustificare l'eventuale assenza di esperti.
Il divieto alla società cliente di attribuire alle società di revisione compiti diversi dalla revisione è, nel Sarbanes-Oxley Act, quanto mai rigido e finisce con l'estendersi a compiti che in Italia si attribuiscono a quelle, come la relazione sulla congruità dei rapporti di concambio in caso di fusione o di scissione di società quotate; il parere sulla congruità del prezzo di emissione in caso di aumento di capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione; il controllo delle valutazioni contenute nella relazione di stima prevista dal Codice Civile per il caso di aumento di capitale mediante conferimenti in natura; il parere sulla distribuzione di acconti sui dividendi.
La legge americana vieta di prestare quei servizi non inerenti all'attività di revisione accorpati in una sorta di lista nera, comprensiva dei servizi di book-keeping e attuariali, di quelli di valutazione aziendale e fairness opinion sul valore di operazioni, delle attività di mediazione o consulenza nella compravendita di titoli mobiliari e dei tradizionali servizi di investment banking e assistenza in operazioni di finanza straordinaria. Previa approvazione dell'audit committee interno della società beneficiaria, invece, i revisori registrati possono offrire ogni servizio non di revisione dei conti non espressamente indicato nella lista nera, come per es. la consulenza fiscale e l'assistenza nell'adempimento degli oneri tributari. Infine, la legge precisa che talune prestazioni, come la redazione della comfort letter nel contesto di un collocamento azionario, sono senz'altro inerenti all'attività di revisione dei conti e non necessitano di approvazione alcuna.
La legge è particolarmente severa con gli avvocati. Il professionista legale che, nel rappresentare una società di capitali soggetta agli obblighi informativi di legge, partecipi alla redazione di documenti da sottoporre alla SEC (Securities and exchange commission) è tenuto a segnalare l'eventuale riscontrata violazione delle securities laws statunitensi ai responsabili presso la società e, in assenza di un'adeguata considerazione da parte di questi, a informare le agenzie federali e l'autorità giudiziaria. Ai sensi delle regole di attuazione, la norma di legge non si applica ai professionisti legali stranieri rappresentanti di società straniere se la loro consulenza in materia di diritto statunitense è prestata congiuntamente alla consulenza di un avvocato iscritto all'ordine professionale di uno Stato dell'Unione americana, ovvero è del tutto incidentale rispetto al servizio professionale complessivo offerto.
La riforma italiana
La riforma delle società di capitali e delle società cooperative, varata con il d. lgs. 17 gennaio 2003, nr. 6, è la più vasta e organica riforma che il Codice Civile abbia registrato nei sessant'anni dalla sua entrata in vigore. Il diritto regolatore delle società di capitali e cooperative ne è risultato profondamente trasformato, rinnovato dalle fondamenta. Chi si attendeva - come i più - una semplice razionalizzazione del diritto vigente è rimasto sorpreso; e le tante critiche che, nel corso dei suoi lavori, sono pervenute alla commissione, man mano che frammenti della riforma trapelavano all'esterno, denotavano quale frattura la riforma stesse apportando nei radicati schemi mentali, nello stesso senso comune degli operatori del diritto societario.
È così accaduto, con una sorta di ritorno all'antico dogmatismo, che i concetti costruiti sul diritto anteriore o, ancor più, ereditati da antica tradizione siano stati elevati a metro di valutazione della riforma, giudicata errata perché difforme da quei concetti. La verità è che il diritto non conosce dogmi: i concetti giuridici si costruiscono a partire dalle norme (non le norme a partire dai concetti), nella consapevolezza del disegno di politica legislativa dal quale traggono origine. Questo disegno la commissione presieduta dall'on. Vietti ha sviluppato sulla traccia del progetto di legge delega elaborato dalla commissione presieduta nella precedente legislatura dall'on. Antonino Mirone. Esso è consistito nel superare ogni residua tentazione dirigistica implicita in un sistema, qual era ancora quello anteriore, che rimetteva al legislatore, piuttosto che alle imprese e in ultima analisi al mercato, la decisione su ciò che alle imprese giova oppure nuoce (così, per es., il principio di atipicità o del numero aperto delle categorie di azioni ha preso il posto dell'antecedente principio di tipicità o del numero chiuso). Inoltre, ha lasciato alle imprese la più ampia libertà di scelta delle forme e degli strumenti giuridici più congeniali al loro sviluppo (così, per es., con l'introduzione della trasformazione eterogenea) e ha teso a garantire al mercato certezza e stabilità delle decisioni societarie (com'è accaduto con il nuovo sistema della invalidità delle deliberazioni assembleari), intervenendo con severe norme imperative solo là dove occorreva prevenire abusi o distorsioni (come in materia di gruppi, al fine di evitare i travasi di attività o di passività da una società all'altra del gruppo).
La riforma è destinata a entrare in vigore il 1° gennaio 2004, dopo una congrua vacatio legis, vuoto legislativo di carattere temporaneo durante il quale le imprese e i professionisti possano prendere adeguata coscienza del nuovo diritto societario e apprestare le riforme statutarie che esso talora rende necessarie e talaltra suggerisce, come l'eventuale scelta dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo: il sistema dualistico o il sistema monistico.
Le innovazioni in materia di gruppi di società
Il gruppo di società è la forma di organizzazione caratteristica della grande o medio-grande impresa del nostro tempo. Quando l'impresa raggiunge consistenti dimensioni aziendali, estendendo la sua azione su vasti mercati, essa assume, immancabilmente, la configurazione di una pluralità di società operanti sotto la direzione unificante di una società capogruppo o holding. Dati statistici possono dare il senso delle dimensioni del fenomeno: prendendo per base, in Italia, le società con almeno 50 addetti, si è potuto constatare che il 50% di esse è costituita da società di gruppo, ma che appartiene a un gruppo la quasi totalità delle società con almeno 1000 addetti. Se poi si allarga la prospettiva, si constata che appartengono a un gruppo il 90% delle società giapponesi, il 70% delle società tedesche, il 65% delle statunitensi, il 60% delle francesi, il 55% delle britanniche, il 50% di quelle svizzere. Quanto maggiori sono le dimensioni aziendali, quanto più estesi sono i mercati sui quali l'impresa agisce, tanto maggiore è il numero delle società che compongono il gruppo; superano il numero di 1000 società anche i maggiori gruppi italiani. Il gruppo di società è, all'opposto, frutto dell'inventiva imprenditoriale: non già creazione legislativa, bensì creazione dell'autonomia privata; quando la legge è intervenuta - come è accaduto per la prima volta nel caso della legge azionaria tedesca del 1965 - lo ha fatto solo per prendere atto di un già consolidato fenomeno e solo per correggerne taluni effetti distorsivi. Il gruppo di società nasce dalla valorizzazione di potenzialità implicite nella forma giuridica della società per azioni, che l'inventiva imprenditoriale porta alle estreme conseguenze. La configurazione della partecipazione sociale come valore di scambio permette il controllo fra società: come chiunque può acquistare o sottoscrivere azioni, così una società può acquistare o sottoscrivere azioni di un'altra società, e in misura tale da consentirne il controllo, ossia l'esercizio di un'influenza dominante nell'assemblea dell'altra, che perciò diventa strumento dell'azione della prima. In questo modo una medesima attività economica può frazionarsi in una pluralità di società, tutte legate fra loro da un rapporto di controllo azionario che ne assicura la guida unitaria, e ciascuna destinata a un singolo settore dell'impresa, allo specifico mercato in cui essa opera.
In altre parole, a ciascuna delle società che compongono il gruppo corrisponde, quale oggetto sociale, un distinto settore di attività o una distinta fase del processo produttivo o una distinta forma di utilizzazione industriale di una medesima sostanza base e così via, ma le azioni di ciascuna di queste società appartengono, in tutto o in maggioranza, a un'ulteriore entità, che di regola è una società, la società-madre o capogruppo, detta anche società holding, cui spettano, perciò, la direzione e il coordinamento dell'intero gruppo e al cui interno i vari settori o frammenti sono coordinati e ricondotti a economica unità. Il primo dei vantaggi che si conseguono deriva dalla distinta soggettività giuridica delle società operanti sotto il controllo della holding. In linea di principio, questa è terza rispetto ai rapporti giuridici che le società controllate abbiano posto in essere, sicché coloro che abbiano acquistato ragioni di credito nei loro confronti non hanno titolo per invocare la responsabilità patrimoniale della capogruppo. Da questo punto di vista si può dire che l'organizzazione dell'impresa nelle forme del gruppo di società si colloca in rapporto di continuità storica con il conseguimento del beneficio della responsabilità limitata: questa consentì di tenere indenne il patrimonio personale dell'imprenditore dai rischi dell'attività imprenditoriale; il gruppo di società consente di fruire più intensamente del beneficio della responsabilità limitata: attua la cosiddetta diversificazione dei rischi, perché rende fra loro separati i rischi relativi ai vari settori imprenditoriali, impedendo che le avverse vicende di un settore si comunichino al patrimonio destinato agli altri settori o al patrimonio della holding.
La scomposizione dell'impresa in una pluralità di società raggiunge gli estremi limiti quando si diversificano, facendone oggetto di separate società, le due fondamentali funzioni imprenditoriali: l'attività di direzione da un lato e l'attività di produzione o di scambio dall'altro. Si dà luogo così a una società capogruppo - che si definisce, in tal caso, come holding 'pura' - che non svolge alcuna attività di produzione o di scambio e si limita ad amministrare le proprie partecipazioni azionarie, ossia a dirigere le società del proprio gruppo (società che assumono, per contrapposizione, il nome di società operanti).
Le 'multinazionali' o 'transnazionali' presentano appunto questa struttura: esse danno luogo a una proliferazione di società, tante quanti sono i mercati esteri nei quali l'impresa opera, tutte controllate dalla società nazionale. Si consegue così il vantaggio di separare i rischi del mercato estero da quelli del mercato nazionale e di separare fra loro i rischi relativi a ciascuno dei mercati esteri; inoltre, si ha la possibilità di dislocare le diverse società di gruppo in paesi opportunamente scelti, in rapporto alla convenienza che ciascuno di essi offre sotto i diversi aspetti delle risorse materiali o del costo del lavoro o del mercato dei capitali o del trattamento fiscale.
Altro vantaggio che deriva dall'organizzazione dell'impresa nella forma del gruppo di società risiede nella trasformazione che si determina entro l'organizzazione imprenditoriale, essendo spezzata la gerarchia dell'impresa e attribuita una, sia pure relativa, autonomia decisionale ai manager preposti ai diversi settori o alle diverse fasi del processo produttivo e distributivo o ancora ai diversi mercati entro i quali l'impresa opera, essendo tali manager elevati alla condizione di amministratori di separate società, in quanto tali investiti di proprie responsabilità civili e penali. All'antico rapporto piramidale nell'impresa, che pone al vertice l'imprenditore da cui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori, è così sostituito un rapporto che può essere definito dialettico, di reciproco convincimento, di concertazione.
Dei gruppi di società il Codice Civile si occupava, prima del varo della riforma del 2003, sotto un aspetto limitato: esso considerava all'articolo 2359 solo il rapporto, strumentale, di controllo azionario o contrattuale esistente fra società holding e società operanti. La riforma ha invece dato rilievo, con gli articoli 2497-2497 sexies, a quella "attività di direzione e coordinamento di società" cui il controllo è, di regola, preordinato e che lo fa presumere fino a prova contraria, come precisa l'articolo 2497 sexies, per il quale la direzione e il coordinamento di società si presumono nei soggetti che, a norma del d. lgs. 9 aprile 1991, nr. 127, sono tenuti al consolidamento dei loro bilanci o che, comunque, esercitano su di esse il controllo, azionario o contrattuale.
La norma dell'articolo 2497, comma 1°, ricalca lo schema della responsabilità da fatto illecito di cui all'articolo 2043. Specifica, in primo luogo, l'estremo del 'fatto colposo' posto in essere dalla holding, che in questo caso consiste nella violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale; identifica quindi il 'danno ingiusto' cagionato ai soci o ai creditori della controllata, che consiste, quanto ai primi, nella lesione del diritto alla redditività e al valore della partecipazione sociale e, quanto ai secondi, nella lesione della loro garanzia patrimoniale. L'articolo 2497 menziona solo la responsabilità della holding verso i soci e i creditori della controllata; non menziona la sua responsabilità verso la stessa controllata. La ragione è evidente: non sarà di regola la società controllata, proprio perché governata dalla holding, a dolersi del danno cagionatole da quest'ultima (agirebbe, in definitiva, contro sé stessa); interessati ad agire saranno, invece, gli azionisti di minoranza e i creditori della controllata. È anche evidente che l'azione dei soci o dei creditori non può essere pregiudicata dalla transazione o dalla rinuncia all'azione da parte della società, che sarebbe approvata da un'assemblea governata dalla stessa holding danneggiante. Non si può però escludere la configurabilità di un'azione della controllata stessa: può accadere che la partecipazione di controllo venga ceduta, sicché la controllata, ormai governata da una nuova holding, non abbia remore a dolersi del fatto illecito della holding precedente. Da ciò deriva la possibilità di un'azione della stessa controllata, il cui eventuale fruttuoso esperimento varrà a reintegrare il patrimonio sociale e, indirettamente, i diritti dei soci e quelli dei creditori sociali.
I diritti del socio che la norma protegge sono i seguenti. In primo luogo, viene tutelato il diritto alla rimunerazione del suo investimento, la sua legittima aspettativa alla redditività dell'acquistata partecipazione sociale. La società di gruppo resta pur sempre una società, il cui fine è secondo l'articolo 2247 di realizzare utili da dividere fra i soci. La holding non può, per realizzare interessi di gruppo, praticare in una controllata una politica aziendale di pareggio del bilancio, che escluda il conseguimento di utili (per poi conseguirli attraverso altre controllate). La gestione sociale deve essere condotta, nelle controllate, in modo da permettere la rimunerazione del capitale. Certo, l'articolo 2247 non esige che la società tenda alla massimizzazione del profitto; esige, pur tuttavia, che il conseguimento dell'utile non sia escluso e che la percezione di dividendi, sia pure minimi, sia resa possibile. In secondo luogo, la norma protegge il diritto del socio al mantenimento del valore di scambio della sua partecipazione, la sua legittima aspettativa a realizzare, ove decida di venderla, un adeguato controvalore in danaro. Non deve sorprendere che all'azionista si venga così a riconoscere, quando è socio di una società appartenente a un gruppo, un diritto al risarcimento che non spetta al socio di una isolata società, i cui amministratori abbiano, con la propria cattiva gestione, deprezzato il valore di mercato dell'azione. L'obiezione si supera con la considerazione che, rispetto all'azionista della controllata, la controllante è terza: l'azionista della società controllata esercita in questa, e soltanto in questa, i suoi diritti amministrativi; di questa, e soltanto di questa, assume il rischio. Egli non può, in alcun modo, influire sulla gestione della controllante, né è giuridicamente tenuto ad assumerne i rischi. La condizione giuridica di terza, che la società controllante assume rispetto agli azionisti come di fronte ai creditori delle società controllate, è il principale obiettivo cui mira l'articolazione della grande impresa in un gruppo di società. Coerenza esige che di questa condizione di terza la società controllante, come ne ricava i legittimi vantaggi, così subisca le svantaggiose conseguenze.
L'azione dei creditori della controllata è anch'essa, come l'azione dei suoi soci, un'azione diretta, non surrogatoria, come è invece nel diritto tedesco: di essa profitta il creditore che agisce, non la società.
La lesione dei sopra menzionati diritti dei soci e dei creditori della controllata è fonte di responsabilità aquiliana (o 'extra-contrattuale: in diritto romano e moderno, la responsabilità del risarcimento che deriva dalla violazione della norma fondamentale che impone a ogni soggetto di non recare danni agli altri) della controllante solo se conseguente alla mala gestio di questa, la quale abbia violato, secondo la formula usata dall'articolo 2497, comma 1°, i principi di "corretta gestione societaria e imprenditoriale". Trattandosi di responsabilità da fatto illecito, incomberà sui danneggiati l'onere di provare la colpa della holding danneggiante e il rapporto di causalità fra la colpa e il lamentato danno, ossia che questo non è dovuto a un'avversa congiuntura economica, bensì a specifiche violazioni dei principi di correttezza gestionale. La correttezza dovuta nella gestione si estende fino a comprendere la ragionevolezza delle scelte gestionali, com'è rivelato dall'articolo 2497 quinquies, che protegge soci e creditori della controllata sanzionando con la postergazione (e, virtualmente, con la perdita) del credito della holding verso la controllata la non ragionevole scelta del finanziamento anziché della ricapitalizzazione.
Quest'ultima è un'innovazione originale del legislatore italiano, priva di riscontro in altre legislazioni. Da essa ci si può attendere molto in fatto di equilibrato sviluppo delle società di gruppo, dovendo le holding tenere le controllate in condizioni di adeguata capitalizzazione, con benefici effetti sulla protezione delle ragioni dei creditori di queste ultime.
repertorio
Il diritto societario in Europa
di Mario Carta
La formazione del diritto societario comunitario
L'obiettivo prioritario di procedere tra gli Stati membri della Comunità Europea all'instaurazione di un mercato interno ha richiesto, soprattutto per il diritto societario, un'opera di armonizzazione delle diverse legislazioni nazionali che ha incontrato non poche difficoltà. L'applicazione anche alle società del principio della libera circolazione, derivante direttamente dalla nozione di mercato interno, ha immediatamente fatto sorgere la necessità di riconoscere anche nei loro confronti il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi. Il Trattato della Comunità Europea (TCE) ha tradotto in termini precettivi tale esigenza laddove, all'articolo 48, ha previsto che non solo le persone fisiche possono stabilirsi e prestare liberamente i servizi all'interno del territorio comunitario, ma analogo diritto deve essere assicurato anche alle società. Principale ostacolo alla creazione di regole comuni, volte a favorire in definitiva il processo di internazionalizzazione dei traffici commerciali nella Comunità, è costituito dalle evidenti differenze esistenti tra i vari diritti societari nazionali; come è avvenuto per altre materie oggetto di integrazione economica, anche in questo caso le condizioni per un effettivo esercizio dei diritti di cui all'articolo 48 TCE sono state create in maniera graduale, quasi per tappe progressive.
In un primo momento al fine di superare tali disparità e consentire nel contempo la piena equiparazione tra società e persone fisiche, gli organi comunitari hanno adottato specifici atti di diritto derivato che regolamentano numerosi aspetti legati all'attività delle società, concretizzatisi in ben tredici Direttive. L'importanza della produzione legislativa trova la propria giustificazione - come ha avuto modo di illustrare chiaramente la Corte di Giustizia nella sentenza del 27 settembre 1988, Daily Mail - nel fatto che contrariamente alle persone fisiche le società sono enti creati da un ordinamento giuridico e pertanto esistono solo in forza delle diverse legislazioni che ne disciplinano costituzione e fondamento. In particolare l'eterogeneità delle realtà giuridiche a livello europeo ha un significativo impatto sulla libertà di circolazione soprattutto quando le società operano al di fuori dell'ordinamento nel quale sono costituite, poiché potrebbero trovarsi ad agire in un ordinamento che presenta caratteri e regole ben diversi rispetto a quello di origine. Le Direttive di riavvicinamento dei diritti societari nazionali, alcune delle quali sono rimaste a semplice stadio di proposta proprio a testimoniare le difficoltà di armonizzare le varie tradizioni giuridiche nazionali, sono classificabili in due distinti gruppi.
Nel primo gruppo rientrano quelle che regolamentano la struttura, la costituzione e la vita delle società (la prima nr. 68/151, la seconda nr. 77/91, la terza nr. 78/855, la sesta nr. 82/891 che si occupano in particolare della pubblicità, della costituzione e della salvaguardia del capitale, delle fusioni e delle scissioni); vanno considerate sempre in questo gruppo l'undicesima Direttiva (nr. 89/666), che riguarda la pubblicità delle succursali create in uno Stato membro da taluni tipi di società soggette al diritto di un altro Stato membro, e la dodicesima (nr. 89/667), relativa invece alle società a responsabilità limitata con un unico socio che introduce negli ordinamenti nazionali un nuovo importante tipo societario.
Il secondo gruppo invece comprende Direttive che attengono alla disciplina sulla contabilità delle società (la quarta nr. 78/660, la settima nr. 83/349, l'ottava nr. 84/253) soprattutto in relazione alle tematiche dei conti annuali, dei conti consolidati e delle qualifiche professionali richieste per esercitare il controllo contabile. Recentemente in materia è intervenuto il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio nr. 1606/2002 sull'applicazione dei principi contabili internazionali, che si propone di armonizzare l'informazione finanziaria presentata dalle società che hanno titoli negoziati in un mercato pubblico.
Non risultano ancora approvate, per l'opposizione di alcuni paesi contrari a misure così incisive in settori ritenuti ancora delicati, la proposta di quinta Direttiva, risalente addirittura al 15 maggio 1972, avente per finalità l'armonizzazione delle strutture societarie e dei loro organi direttivi, la proposta di nona Direttiva, sulle strutture dei gruppi di imprese e sui rapporti tra imprese 'madri' e 'consociate', la proposta di decima Direttiva, sulle fusioni transnazionali delle società per azioni, e infine la proposta di tredicesima Direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto o di scambio (OPA).
I ripetuti interventi normativi nel settore non hanno però portato ai risultati sperati. In particolare, secondo quanto affermato dalla stessa Corte di Giustizia nella sentenza Daily Mail citata, la disciplina introdotta dalle Direttive non sarebbe in grado di garantire la piena parificazione tra il diritto di stabilimento previsto in favore delle persone fisiche e quello delle società. A queste ultime la normativa comunitaria infatti attribuisce solo il cosiddetto diritto di 'stabilimento secondario', ovvero la facoltà di aprire semplicemente agenzie e succursali in un altro Stato membro. Rimane a esse precluso invece il diritto di stabilimento primario che implica la possibilità di trasferire la sede legale o reale da uno Stato membro a un altro: attualmente il diritto societario comunitario consente l'esercizio di tale opzione solo alla condizione che le legislazioni nazionali degli Stati interessati contemplino espressamente questa ipotesi.
A tal proposito la Convenzione di Bruxelles del 29 febbraio 1968, sul reciproco riconoscimento delle società e delle persone giuridiche, ha tentato di fornire una risposta alla problematica considerata, laddove viene affermato il principio del mantenimento della personalità giuridica delle società nel caso di trasferimento della sede da un paese all'altro; l'accordo però non è ancora entrato in vigore per difetto di ratifiche.
Il Gruppo europeo di interesse economico
L'incompleta armonizzazione dei diritti societari nazionali realizzatasi attraverso il ricorso allo strumento delle Direttive ha spinto gli organi comunitari a cercare soluzioni più idonee a favorire la cooperazione transfrontaliera tra imprese. Abbandonata la preferenza per la Direttiva quale tipologia di atto in virtù del quale procedere, in una seconda fase la collaborazione tra operatori economici comunitari è stata facilitata dall'istituzione del Gruppo europeo di interesse economico (GEIE), avvenuta mediante Regolamento nr. 2137/1985 del 25 luglio 1985. Il GEIE è un ente giuridico di diritto comunitario costituito su base contrattuale tra società, enti giuridici di altro tipo e persone fisiche, tra le quali anche liberi professionisti, purché aventi sede o esercenti attività in Stati membri della Comunità diversi tra loro. Esso, pur non rappresentando un'impresa comune dotata di una propria personalità giuridica, in quanto per es. i singoli membri rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni di qualsiasi natura contratte dal gruppo, ha la capacità di essere titolare in nome proprio di diritti e obbligazioni di qualsiasi natura. Ciò consente ai suoi membri di sviluppare attività e iniziative economiche comuni quali: la partecipazione a procedure e gare di appalto pubbliche e private; la ricerca e lo sviluppo; l'acquisto, la produzione, la vendita in collaborazione di beni o la produzione di servizi specializzati; la verifica della qualità dei materiali; il trattamento elettronico dei dati. L'esercizio di tali attività da parte del GEIE deve essere pertanto al servizio delle economie dei singoli membri, in un rapporto che può essere definito di ausiliarietà rispetto alle attività condotte dai membri in quanto ispirato al fine di migliorarne o agevolarne i risultati economici. Lo scopo essenziale dell'attività comune non è quindi di lucro ma mutualistico, tant'è che gli eventuali profitti vengono imputati agli stessi membri, che conservano il loro status giuridico originario, secondo le proporzioni stabilite nel contratto istitutivo. Del pari il Regolamento comunitario nr. 2137/1985 non prevede necessariamente che il GEIE sia fornito di un capitale proprio, né di un fondo di dotazione, o che allo stesso debbano essere destinati conferimenti periodici a opera dei suoi membri. Se questi caratteri da una parte fanno del GEIE uno strumento duttile di cooperazione transnazionale tra imprese, dall'altra ne rendono difficile l'assimilazione in toto ai modelli conosciuti nel nostro ordinamento nazionale: le figure con le quali condivide gli aspetti di maggior contiguità, in considerazione della sua struttura di organismo a 'vocazione' associativa, sono sia le società sia i consorzi. Dalle prime si differenzia principalmente per la mancanza di personalità giuridica e della capacità di realizzare profitti in proprio, mentre rispetto ai consorzi il GEIE non ha la possibilità di perseguire il comune interesse economico attraverso un'attività e un'organizzazione parimenti comune, con relativo fine lucrativo. Nonostante gli sforzi compiuti in tal senso l'obiettivo di creare un corpus di regole europee uniformi onde consentire, insieme alla costituzione di società di diritto nazionale, la costituzione e il funzionamento di società disciplinate direttamente dalla normativa di derivazione comunitaria, non poteva comunque considerarsi raggiunto né grazie all'esito del processo di armonizzazione legislativa realizzato dalle tredici Direttive né in seguito all'adozione del Regolamento sul GEIE. Le misure adottate si rivelavano di certo un valido strumento di riavvicinamento normativo e di cooperazione internazionale tra imprese comunitarie, ma non risultavano idonee e sufficienti a eliminare le forti differenze presenti nei vari diritti societari nazionali. La consapevolezza, da parte delle istituzioni comunitarie, che gli ostacoli alla creazione di imprese europee di dimensioni tali da poter competere con le principali realtà industriali e imprenditoriali statunitensi e giapponesi poteva essere superato solo grazie all'istituzione di una società di diritto europeo, è alla base della proposta di Regolamento presentata già nel 1970 relativa allo statuto della 'Società anonima europea'.
La Società Europea
L'ultima tappa per la realizzazione di un'effettiva libera circolazione anche per le società è costituita indubbiamente dall'approvazione del Regolamento nr. 2157/2001 dell'8 ottobre 2001, che entrerà in vigore l'8 ottobre 2004, a distanza quindi di più di trent'anni dalla elaborazione del primo progetto sul tema. La novità fondamentale è rappresentata dall'introduzione e dalla previsione per la prima volta nell'ordinamento comunitario di un nuovo tipo di società commerciale europea disciplinata direttamente da una fonte di diritto comunitario, il Regolamento appunto, che per la sua portata generale e la diretta applicabilità assicura un quadro giuridico uniforme all'interno del territorio della Comunità. Il ritardo nell'approvazione del nuovo soggetto, denominato Società Europea (SE), è ascrivibile principalmente alle divergenti posizioni degli Stati sul ruolo e la partecipazione dei lavoratori nella gestione delle società per azioni, secondo un modello di organizzazione (Mitbestimmung) assai diffuso e previsto in Germania. L'accordo politico che ha consentito di superare l'impasse sul punto e varare la Società Europea è contenuto nella Direttiva 2001/86CE del Consiglio (dell'8 ottobre 2001) sul coinvolgimento dei lavoratori, approvata insieme al Regolamento sopra citato. La Direttiva, atto indissociabile da quest'ultimo anche in quanto completa per tale aspetto lo statuto della società, definisce i termini e le modalità della rappresentanza dei lavoratori negli organi decisionali della società stessa delineandone una molteplicità di forme che vanno dalle semplici procedure di informazione e consultazione, a un vero e proprio modello di cogestione. Le ragioni, anche di ordine pratico, che hanno infine spinto gli Stati a dare il via libera alla Società Europea sono chiaramente espresse nel Regolamento nr. 2157/2001. Innanzitutto il primo 'considerando' afferma che il completamento del mercato interno richiede oltre all'eliminazione degli ostacoli agli scambi "una ristrutturazione di fattori produttivi di dimensioni adeguate a quelle della Comunità". Il sesto e l'undicesimo considerando specificano la portata dell'asserzione laddove la creazione di una società commerciale europea è giustificata dall'esigenza di far "corrispondere il più possibile l'unità economica e giuridica dell'impresa nella Comunità" e permettere così a una società per azioni di trasformarsi in Società Europea "senza passare per lo scioglimento", sempre che essa abbia la sede in un paese membro della Comunità e un'affiliata o sussidiaria in un altro Stato membro. Ciò consentirà a qualsiasi impresa che possiede tali requisiti e ha la sede sociale sul territorio di uno Stato membro della Comunità di costituirsi in un unico soggetto, la SE, che avrà la capacità di agire secondo regole comuni e uniformi in tutta l'Unione Europea con l'indubbio vantaggio di eliminare gli oneri economici relativi all'apertura di affiliate o sussidiarie, come accadeva inevitabilmente nel sistema previgente. È lo stesso Regolamento che ricorda infatti, al terzo considerando, come le direttive di riavvicinamento del diritto delle società non dispensano ancora le imprese soggette a legislazioni diverse dall'obbligo di scegliere una forma di società disciplinata da una determinata legislazione nazionale.
In virtù delle novità introdotta dal Regolamento la Società Europea potrà essere costituita principalmente: a) come società holding; b) per fusione propria o per incorporazione di almeno due società azionarie aventi sede in diversi Stati membri; c) per trasformazione di una società di capitali, già esistente in forza di una normativa nazionale, e dotata di carattere transnazionale per avere da almeno due anni un'affiliata soggetta alla legislazione di un altro Stato membro. In questo caso la trasformazione di una società per azioni in SE non dà luogo allo scioglimento né alla costituzione di una nuova persona giuridica.
Il Regolamento, dal punto di vista della tecnica redazionale, enuncia da una parte una serie di elementi essenziali di cui la Società Europea deve essere in possesso, non derogabili dalle legislazioni nazionali e che rappresentano la garanzia di una normativa comunitaria uniforme in materia, mentre dall'altra la facoltà di scelta in merito a determinati profili strutturali e organizzativi della SE è operata tramite rinvio al diritto dello Stato membro.
Il regime giuridico che ne emerge delinea necessariamente un tipo di società di capitali per azioni fondata su una responsabilità dei soci limitata al capitale sottoscritto, non inferiore a 120.000 euro, e dotata di un propria personalità giuridica, a differenza del GEIE. Presupposto per l'applicazione della normativa comunitaria, oltre al rispetto delle procedure richiamate relative alla costituzione, è l'ubicazione della sede sociale all'interno della Comunità che, secondo l'articolo 5 del Regolamento, deve coincidere con l'amministrazione centrale della SE. È ammesso peraltro il trasferimento della sede sociale da uno Stato membro all'altro senza che ciò dia luogo allo scioglimento o alla costituzione di una nuova persona giuridica. A tutela delle ragioni dei creditori, dei titolari di altri diritti e degli azionisti che non hanno interesse al trasferimento è esclusa tale possibilità quando sono stati avviati nei confronti della SE procedure di scioglimento, di liquidazione, di insolvenza, di cessazione dei pagamenti o altre procedure analoghe, anche in considerazione dello scarso grado di omogeneità esistente tra gli ordinamenti interni dei singoli Stati in questi settori. Per quanto riguarda l'organo di direzione e la gestione della Società Europea, la cui denominazione sociale deve essere preceduta o seguita dalla sigla 'SE', i problemi legati all'attuale coesistenza all'interno della Comunità di due differenti sistemi in cui è strutturata l'amministrazione delle società per azioni sono stati risolti nel senso di lasciare aperta l'opzione, da esercitarsi nello Statuto, in favore del modello monistico o dualistico. Nel primo caso avremo quindi, accanto all'assemblea generale degli azionisti, il solo organo di direzione che sarà nominato dalla stessa assemblea generale. Nel modello dualistico invece all'organo amministrativo è affiancato contemporaneamente un organo di vigilanza; è facoltà dei singoli Stati prevedere la nomina e la revoca dei membri del primo oltre che da parte dell'organo di vigilanza anche a opera dell'assemblea generale. Analogo margine di discrezionalità è riconosciuto ai legislatori nazionali in relazione alla definizione del regime di responsabilità dei soggetti che ricoprono cariche nell'organo di vigilanza e di direzione. È opportuno precisare a tal proposito che nel sistema dualistico vige un naturale principio di incompatibilità tra il membro dell'organo di vigilanza e quello dell'organo di gestione. Tra le norme a carattere inderogabile poste dalla normativa comunitaria vanno anche considerate le disposizioni presenti nella Direttiva sul coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dell'impresa. In particolare l'obbligo per la SE di iscriversi nel registro tenuto dallo Stato membro della sede può essere adempiuto solo in presenza di un accordo preventivo recante una precisa regolamentazione sulle modalità di coinvolgimento dei lavoratori. Le finalità di promozione sociale che ispirano la Direttiva mirano ad assicurare che non sia stravolta, in seguito alla costituzione della SE, la prassi del coinvolgimento dei lavoratori presenti nelle società che partecipano alla costituzione della SE o a essa affiliate; a tal fine la rappresentanza dei lavoratori è garantita all'interno di una 'delegazione speciale di negoziazione' competente a trattare il contenuto dell'accordo che precede l'iscrizione.
Peraltro l'adozione delle misure necessarie a dare attuazione al contenuto della Direttiva, a riprova della loro rilevanza, ha condizionato la stessa entrata in vigore del Regolamento che, come detto, è stata posticipata all'8 ottobre 2004 proprio per consentire l'opera di recepimento della Direttiva negli ordinamenti nazionali.
Se il corpus di norme del Regolamento indubbiamente favorisce la cooperazione tra imprese di Stati membri diversi, e quindi soggette a legislazioni diverse, dispensandole di fatto dal dover scegliere una forma di società disciplinata da una determinata legislazione nazionale, tuttavia non è sufficiente a completare il quadro di riferimento nella disciplina di società di tal genere che richiede invece un rinvio ai vari diritti nazionali. È lo stesso articolo 9 del Regolamento, infatti, nel caso di materie che sfuggono in tutto o parzialmente alla sua disciplina, a richiamare secondo un ordine gerarchico, dopo il Regolamento, in primo luogo le disposizioni di legge adottate dagli Stati membri in applicazione di misure comunitarie relative alla SE, in seconda battuta le disposizioni di legge degli Stati membri che si applicherebbero a una società per azioni costituita in conformità della legislazione dello Stato membro in cui ha sede la SE e, da ultimo, le stesse disposizioni dello Statuto della SE alle condizioni nelle quali è ammesso farvi ricorso per una società per azioni costituita conformemente alla legislazione dello Stato membro in cui la SE ha la sede sociale.
Infine, a presidio del rispetto del principio della parità di trattamento e della non discriminazione tra la SE e le società per azioni nazionali, l'articolo 10 del Regolamento contiene una clausola di chiusura a carattere residuale che, per quanto non espressamente contemplato nel Regolamento, impone a ogni Stato membro di trattare la SE come una società per azioni costituita in conformità della legislazione dello Stato membro in cui la SE ha la sua sede. Gli elementi demandati all'intervento normativo nazionale in virtù del predetto rinvio non appaiono di scarso rilievo, riguardando tra l'altro le modalità di costituzione e il capitale della SE (a eccezione del limite minimo di capitale sottoscritto costituito da 120.000 euro), gli obblighi di pubblicità degli atti della SE connessi anche alla sua registrazione e cancellazione, che in questo caso devono essere pubblicati sulla Gazzetta ufficiale della Comunità Europea, le procedure di fusione per la costituzione di una SE, gli adempimenti in materia di conti annuali e consolidati, con relativo controllo e pubblicità, posti a carico di quelle SE che operano nel settore creditizio, finanziario, o assicurativo. Sotto il profilo fiscale la SE è equiparata in toto alle ordinarie imprese multinazionali in quanto è soggetta a tassazione in base alla legislazione nazionale di ciascuno Stato membro nel quale abbia società figlie.
La portata innovativa e la reale autonomia del soggetto di nuova istituzione può essere quindi interamente apprezzata solo dopo un esame delle pertinenti normative nazionali che regolamentano gli aspetti non interamente considerati a livello comunitario. In questa sede ci si limiterà a esaminare in breve il diritto societario in un paese della Comunità che presenta notevoli affinità con il nostro ordinamento, attesa la comune tradizione giuridica continentale di civil law, e cioè la Francia, per poi delineare a grandi linee la disciplina delle società nel Regno Unito, ove il common law favorisce il ricorso a istituti in parti estranei ai sistemi di civil law e quindi anche all'Italia, e infine nel diritto del Lussemburgo in quanto lo stesso offre soluzioni a carattere pratico che rispondono alle specifiche esigenze degli operatori economici e degli investitori stranieri. Elementi che invece appaiono legare tra loro queste diverse realtà sono relativi alla classica bipartizione tra società di persone e società di capitali, al riconoscimento in capo a queste ultime della personalità giuridica, all'esistenza in tutti i sistemi di modelli di società per azioni e, nella maggior parte degli ordinamenti, di società a responsabilità limitata oramai anche con un unico socio.
Le società in Francia
In materia societaria la Francia accoglie oltre alla classica distinzione tra società di persone e società di capitali, aventi requisiti quasi del tutto coincidenti a quelli previsti nell'ordinamento italiano, anche la bipartizione tra sociétés civiles e sociétés commerciales; essa trae origine sia dalla natura dell'attività che viene svolta da ciascun soggetto, sia dalla maggiore complessità e varietà di forme che caratterizza le società commerciali. In linea di massima le società civili non possono svolgere attività commerciali e operano per es. in settori come quello dell'agricoltura, delle attività educative e di insegnamento, dell'esercizio di una professione liberale, di pubblicazioni di opere letterarie e scientifiche, mentre per contro sono considerate commerciali le attività legate alla compravendita o all'intermediazione immobiliare, le attività bancarie e assicurative, le operazioni marittime, le attività di fornitura, agenzia, ufficio d'affari, pubblici spettacoli, trasporto e così via, che possono essere esercitate solo dalle società commerciali. Per la costituzione e il funzionamento di società appartenenti a quest'ultima categoria, la legislazione francese richiede maggiori formalità per quanto concerne l'obbligo di tenuta della contabilità, le regole di pubblicità, l'assoggettamento alle procedure concorsuali, la giurisdizione del Tribunal de Commerce. Solo nei loro confronti infine si applica la classica suddivisione tra società di persone, nell'ambito delle quali abbiamo la Société en nom collectif (Snc) e la Société en comandite simple (Scs), e le società di capitali, quali sono invece la Société anonyme (Sa), la Société à responsabilité limitée (Sarl), la Société en comandite par actions (Sca) e da ultimo la Société anonyme simplifiée (Sas). Anche nel sistema francese, in genere, i soci delle società su base personale sono ritenuti personalmente e illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali assunte e hanno pieno ed eguale potere di amministrazione derivante direttamente dalla qualità di socio; ciò implica di regola l'impossibilità di cedere la propria qualità di socio senza il consenso degli altri soci. Al di là di questi pochi elementi comuni le società di persone possono, nell'atto costitutivo, decidere con ampio margine di libertà le regole per la gestione e l'amministrazione ritenute più idonee al tipo di attività svolto.
Ben altri requisiti presentano le società di capitali sopra ricordate che mostrano, dal punto di vista sia giuridico sia economico, i profili di maggior interesse. Innanzitutto i soci sono responsabili delle obbligazioni sociali limitatamente ai conferimenti e quindi non intervengono per far fronte ai debiti sociali con il loro patrimonio personale; inoltre amministratori della società possono anche essere dei terzi non aventi la qualità di soci.
Proprio in relazione alla scelta delle modalità di amministrazione il diritto societario transalpino per la Société anonyme, che per molti aspetti è assimilabile alla nostra società per azioni e rappresenta un tipo societario adottato con una certa frequenza in Francia, prevede la facoltà di optare o per la sua gestione a opera di un consiglio di amministrazione e di un presidente del consiglio di amministrazione oppure per un governo affidato a un direttorio affiancato da un consiglio di supervisione, con compiti di sorveglianza e controllo, secondo un modello chiaramente dualista. La prima ipotesi accentra nel presidente, designato dal consiglio di amministrazione a sua volta nominato dall'assemblea dei soci esclusivamente tra i propri membri, la maggior parte dei poteri di gestione e di amministrazione della società, anche nei confronti dei terzi, disegnando così un modello assai vicino alla prassi italiana. Nel secondo caso invece i poteri sono divisi tra il direttorio, che amministra la società ed è composto da persone fisiche che non devono essere socie della società, e lo stesso consiglio di sorveglianza che è nominato dall'assemblea dei soci e ha compiti di controllo sull'operato del direttorio. A prescindere dal tipo di amministrazione prescelto, per la costituzione e il funzionamento della Société anonyme è richiesto l'adempimento di numerose formalità che vanno dalla presenza di un numero di almeno sette soci, i quali possono essere persone fisiche o giuridiche, a un capitale minimo che varia a seconda dell'attività svolta e dalla quotazione in borsa o meno della società (si oscilla dai 225.000 euro, nel caso di appello al pubblico risparmio, ai 37.000 euro nel caso contrario). Inoltre il capitale deve essere interamente sottoscritto e versato nella misura del 25% del valore nominale della azioni, al momento della costituzione; lo statuto, che contiene tutte le indicazioni sulla vita della società, deve essere depositato presso il Tribunal de Commerce competente per territorio e immatricolato nel Registro di commercio, atto all'esito del quale la società acquista personalità giuridica. Per facilitare la cooperazione tra imprese e ovviare all'eccessivo formalismo insito nella normativa sulle Sociétés anonymes, di recente il legislatore francese ha introdotto un nuova tipologia di società, la Société anonyme simplifiée, che può essere costituita semplicemente da due soci; la circostanza che la partecipazione sia riservata obbligatoriamente ed esclusivamente a persone giuridiche e mai a persone fisiche è finalizzata a incentivare investimenti comuni tra imprese, anche con nazionalità estera. La gestione della società risulta ulteriormente snellita in quanto nello statuto le parti possono privilegiare la forma di governo, monista o dualista, considerata più opportuna con un unico limite previsto per legge e costituito dalla necessaria presenza di un presidente; in virtù di tale requisito appare ipotetica anche l'esistenza di un organo ritenuto usualmente fondamentale come l'assemblea degli azionisti.
L'altro modello di società su base capitalistica, la Société à responsabilité limitée, è sicuramente il più diffuso in Francia e viene utilizzato dalle imprese di medie e piccole dimensioni anche perché il capitale minimo per la sua costituzione (7500 euro) è di molto inferiore a quello richiesto per la costituzione della Sa. Struttura e caratteristica richiamano la Srl italiana e quindi abbiamo anche qui responsabilità limitata alla quota di capitale posseduta (parts sociales, quote e non azioni come nella Sa) e personalità giuridica distinta da quella dei singoli soci. A differenza della Sa le dimensioni ridotte escludono da una parte che le Sarl possano svolgere attività assicurativa, creditizia o finanziaria e dall'altra non consentono la negoziabilità delle quote in Borsa. In genere anche le quote, come le azioni nel caso della Sa, sono liberamente trasferibili tanto da poter essere considerate dei veri e propri titoli di credito; con esse si trasferisce anche lo status di socio che non è soggetto pertanto alle limitazioni che esistono invece per le società di persone. L'amministrazione e la gestione della Société à responsabilité limitée è di competenza di uno o più gérants indicati dall'assemblea dei soci a maggioranza assoluta e con attribuzioni definite dettagliatamente nello statuto, che ne stabilisce i poteri, la durata dell'incarico, le cause di cessazione e quant'altro deciso dai soci.
Le società nel Regno Unito
Contrariamente a quanto appena constatato per il diritto francese, i principi di common law tipici del sistema giuridico inglese non consentono di operare un immediato parallelismo con gli istituti giuridici propri del nostro ordinamento. Tuttavia per la branca del diritto societario, rispetto ad altri settori, l'obbligo di recepimento della legislazione comunitaria da parte del Regno Unito ha di recente portato a un grado di omogeneità maggiore tra l'ordinamento inglese e quello degli altri paesi membri dell'Unione Europea, pur permanendo notevoli differenze tra i due sistemi. Dal punto di vista della classificazione delle società in base alle loro caratteristiche, desumibile non solo dai companies acts che si sono succeduti dal 1948 a oggi ma grazie anche alla giurisprudenza vincolante con forza e valore di precedente della House of Lords e della Court of Appeal, il diritto inglese non conosce la distinzione tra società civili e società commerciali come non è chiaramente delineata neanche la bipartizione tra società di persone e società di capitali cara alla tradizione giuridica continentale. La summa divisio è invece quella tra la Unincorporated e la Incorporated business association che segna la differenza tra le società prive di, o aventi, personalità giuridica. Alla prima categoria appartengono la Partnership (general, ordinary o unlimited), che potrebbe essere considerata alla stregua della società in nome collettivo ove i soci pertanto rispondono illimitatamente dei debiti della società, e la Unlimited partnership che ha molti tratti in comune con la società in accomandita semplice, ove accanto ai soci illimitatamente responsabili (general partners) che amministrano la società ve ne sono altri (limited partners) che invece sono obbligati nei limiti del capitale versato e non amministrano la società. In entrambe le ipotesi il numero dei soci non può essere superiore a venti, altrimenti scatta l'obbligo della registrazione al quale consegue, ipso iure, il sorgere della personalità giuridica ovvero, secondo la terminologia del luogo, la incorporation. Nell'ambito appunto della seconda categoria di società menzionate, le Incorporated business associations, enti dotati di personalità giudica, le companies costituiscono il modello più comune nel quale i soci generalmente sono responsabili nei limiti della quota di capitale azionario sottoscritto; in questo caso il tipo societario che ricorre più di frequente nella pratica commerciale è denominato Limited company by shares e può essere paragonato alla nostra società per azioni. A loro volta le Limited companies by shares possono costituirsi in Public limited companies (Plc), con capitale minimo di 50.000 sterline e possibilità di quotarsi in borsa, e le Private limited companies (Ltd) - molto simili alle società a responsabilità limitata del civil law - che non hanno invece un minimo di capitale sociale (che risulta però diviso sempre in azioni, o shares), non possono emettere azioni destinate al pubblico e hanno un numero di soci prefissato nell'atto costitutivo. Il diritto britannico conosce un'altra forma di Limited company che si caratterizza per il fatto di prevedere una responsabilità dei soci operante solo nei limiti dell'ammontare di una data somma prestabilita: le Companies limited by guarantees. Per sottolineare ancora una volta la non coincidenza con gli schemi di civil law occorre ricordare che a quest'ultima formula possono ricorrere le associazioni senza scopo di lucro e che è possibile, in tale ipotesi, stabilire in pratica anche una garanzia illimitata dei singoli soci.
Per completare il quadro dei modelli societari brevemente delineati si devono infine ricordare le Unlimited companies, aventi personalità giuridica ma senza responsabilità limitata dei soci, che invece rispondono personalmente delle obbligazioni della società. Si tratta in definitiva di una specie di società in nome collettivo conosciuta dalla tradizione giuridica continentale, la cui adozione è facoltativa al di sotto di enti che annoverano meno di venti soci (con il rischio di sovrapposizione in questo caso con il modello offerto dalla Partnership se non fosse per il fatto che il numero dei soci nelle Unlimited non è prestabilito) ma che diviene obbligatoria quando si supera tale soglia.
Per quanto concerne il regime attuale di amministrazione della company organi principali sono l'assemblea degli azionisti (general meeting) e il consiglio di amministrazione (board of directors). Le peculiarità del sistema britannico riguardano proprio quest'ultimo organo nel quale è accentrata la maggior parte dei poteri di governo della società, persino quello della rappresentanza legale della company, che possono a totale discrezione del board essere delegati ad amministratori (managing directors) anche in relazione a specifiche questioni. Unica differenza significativa tra le Private limited companies e le Public limited companies è rappresentata dal fatto che nelle prime è necessaria la presenza di almeno un amministratore, nelle seconde di due. Infine occorre segnalare l'esistenza di una figura che ogni company ha l'obbligo di avere, il secretary, che non ha corrispondenti negli ordinamenti di civil law. I compiti svolti sono i più vari: dalla partecipazione alle riunioni del consiglio e della assemblea dei soci, delle quali redige i verbali, alla tenuta dei libri sociali sino alla conclusione di alcune categorie di contratti necessari a garantire il funzionamento della company. In ogni caso non si tratta di semplici mansioni esecutive ma di funzioni di un vero e proprio organo, ben distinto dal consiglio di amministrazione e dagli amministratori delegati, e che inoltre deve essere dotato di particolari requisiti di professionalità.
Le società nel Lussemburgo
Il diritto lussemburghese ha da sempre offerto agli investitori stranieri formule societarie di rilevante interesse, soprattutto in ragione delle importanti agevolazioni di natura fiscale riconosciute, sol che si consideri che il testo legislativo di riferimento è ancor oggi la Legge Fondamentale risalente al 1915. Le tipologie di società rispecchiano per gran parte gli schemi già esaminati nel diritto francese, con la classica dicotomia tra società di persone e società di capitali, ma il modello maggiormente utilizzato per operazioni finanziarie e investimenti è senza dubbio la Société anonyme (Sa). Dal punto di vista della sua struttura la Sa può essere paragonata a un'ordinaria società per azioni con un minimo di capitale sociale (37.000 euro), non meno di due soci responsabili limitatamente ai conferimenti effettuati e con i tradizionali organi sociali rappresentati dall'assemblea degli azionisti e dal consiglio di amministrazione; la ragione della sua diffusione risiede nel fatto che essa costituisce la formula prescelta dai due strumenti operativi elaborati nel Granducato per favorire operazioni di partecipazione finanziaria, ovvero la Società holding e la Società di partecipazione finanziaria cosiddetta SoParFin, sempre con finalità di tax planning internazionale. La prima è difatti un società di diritto comune, preferibilmente come detto una Sa, che ha come scopo esclusivo l'assunzione di partecipazione in altre società lussemburghesi o straniere, sempre di capitali e mai di persone, e la gestione e valorizzazione di tali partecipazioni; per poter beneficiare del regime fiscale di favore la holding deve richiamare nello statuto il regime giuridico previsto dal diritto lussemburghese per le holdings, non può svolgere attività industriale e commerciale o fornire servizi a terzi dietro remunerazione o anche possedere proprietà immobiliari. Per contro alle holdings che rispettano tali requisiti sono riconosciuti importanti vantaggi fiscali come l'esenzione dalle imposte sui redditi costituiti da dividendi, interessi o plusvalenze; unica tassazione prevista è la corresponsione di un diritto di apporto al momento della costituzione, simile alla nostra imposta di registro con aliquota peraltro decisamente bassa, pari all'1% del capitale, e la tassa di abbonamento annuale nella misura dello 0,20% del valore delle azioni emesse. La natura e l'entità delle facilitazioni ammesse, prive di riscontro negli altri ordinamenti europei, hanno indotto la quasi totalità degli Stati a escludere dall'ambito di applicazione delle convenzioni fiscali contro le doppie imposizioni proprio la holding lussemburghese, che non beneficia così dell'eliminazione dell'imposizione transfrontaliera. L'impossibilità per le holdings di usufruire delle agevolazioni previste nelle convenzioni contro le doppie imposizioni ha contribuito al declino di tale forma societaria quale strumento principale di pianificazione fiscale internazionale e ha spinto le autorità lussemburghesi a ripensare la legislazione di settore. Nel 1990 è nata così la Société de participation financière (SoParFin, appunto), che a differenza delle holdings può svolgere attività di vario genere, da quella industriale alla commerciale alla semplice prestazione di servizi, nel qual caso non usufruisce del regime fiscale privilegiato accordato alle holdings ed è pertanto destinataria delle imposte previste per le società di capitali. Nell'ipotesi invece di una SoParFin che svolga esclusivamente attività di gestione di partecipazioni sociali la legislazione del 1990 ammette un regime impositivo fiscale assai più lieve; in pratica in presenza di determinati requisiti non solo i dividendi percepiti dalla SoParFin possono andare esenti da imposta in Lussemburgo, ma sono anche escluse da tassazione le plusvalenze conseguenti alla cessione di partecipazioni. Questi e altri evidenti vantaggi, sempre contenuti nel regolamento del Granducato del 31 dicembre 1990, si cumulano al trattamento fiscale più favorevole derivante dall'applicazione delle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione di cui invece, come abbiamo visto, non può godere la holding.