Abstract
Diritto tributario può definirsi, il complesso di norme e di principi che presiedono all’istituzione e all’attuazione del tributo. Nella voce si esamina la sua evoluzione storica, si ripercorrono i passaggi che ne hanno sancito l’autonomia dagli altri settori del diritto e si indicano i principi fondamentali della disciplina vigente.
La definizione del diritto tributario ha dato luogo in passato ad infinite controversie che caratterizzano le diverse fasi storiche di studio della nostra disciplina. Esse riguardano, infatti, l’estensione del fenomeno tributario, il suo metodo di studio, i rapporti con le altre scienze, giuridiche e non.
Con riguardo all’estensione del fenomeno tributario, i primi studi giuridici tendevano a considerare l’attività di reperimento dei mezzi finanziari, occorrenti per far fronte ai fini pubblici istituzionali, assieme a quella diretta all’impiego di tali mezzi (Per l’evoluzione storica dello studio dei rapporti tra diritto finanziario e diritto tributario si veda, per tutti, Micheli, G.A., Diritto tributario e Diritto finanziario, in Enc. dir., XIII, III, 9).
In questa prospettazione globale del fenomeno finanziario, gli studi avevano per oggetto sincreticamente l’intera attività finanziaria dell’ente pubblico e quindi, oltre a quella di acquisizione delle entrate, anche quella di gestione e amministrazione del patrimonio e quella di erogazione delle spese.
L’espressione “diritto finanziario” veniva così utilizzata in senso ampio, riferendola al complesso di norme che regolano la raccolta, la gestione e l’erogazione di mezzi finanziari pubblici (Per tutti, D’Amati, N., Il diritto tributario e la tradizione giuridico finanziaria italiana, in Studi per A. D. Giannini, Milano, 1961, 397).
Ci si rese peraltro ben conto, nell’evoluzione degli studi giuridici, che all’unità della materia, riferita alle molteplici attività svolte dallo Stato in campo finanziario non corrispondeva unitarietà di disciplina, essendo questa via via ispirata a principi diversi ora di diritto costituzionale, ora di diritto amministrativo, ora di diritto privato, ora persino di materie tecniche (contabili, aziendali) estranee al diritto.
Era pur facile osservare che anche sotto il profilo della compresenza di profili di autoritatività e di autonomia privata era arduo individuare criteri omogenei, dal momento che sia sul versante delle entrate che su quello delle spese potevano riconoscersi esistenti entrambi gli assetti.
Se dunque sul piano descrittivo e tecnico-finanziario poteva essere utile considerare unitariamente gli aspetti del fenomeno, sul piano scientifico l’affinarsi degli studi giuridici ha condotto a una progressiva enucleazione dall’ampia accezione del diritto finanziario di settori caratterizzati da principi e disciplina omogenei.
Così sul versante delle entrate pubbliche vennero attribuite al diritto amministrativo tutte le entrate derivanti dalla gestione dei beni demaniali e patrimoniali, quelle derivanti dall’esercizio di imprese da parte dell’ente pubblico e tutte le altre entrate anche a carattere coattivo ma non qualificate dalla loro natura contributiva. La presenza dell’ente pubblico e la destinazione di tali entrate a consentirgli di far cura dell’interesse pubblico primario furono ritenute infatti sufficienti ad unificare lo studio dei rapporti ad esse relativi nonostante la compresenza di regole pubblicistiche e privatistiche nella loro disciplina.
Viceversa i problemi giuridici della gestione del pubblico denaro, dei beni pubblici e taluni aspetti della spesa pubblica ben possono unificarsi intorno allo studio dei prevalenti profili giuridico-contabili e sono stati dunque attribuiti a quel settore del diritto amministrativo che è costituito dalla contabilità di Stato.
I problemi della spesa pubblica, relativi all’utilizzo delle risorse per far fronte alle diverse esigenze finanziarie dell’ente, sono ora frammentati nei diversi settori di intervento dello Stato e fanno ormai correttamente capo alla scienza del diritto amministrativo e del diritto pubblico dell’economia.
In questa progressiva ricerca, nel grande corpo del diritto finanziario come sopra definito, di settori retti da principi uniformi, la dottrina ha ormai da tempo individuato un corpo di norme riferite alle entrate coattive a carattere contributivo, che ha definito diritto tributario.
Diritto tributario può definirsi, dunque, il complesso di norme e di principi che presiedono all’istituzione e all’attuazione del tributo.
Deve in primo luogo sottolinearsi l’unificazione del diritto tributario intorno alla nozione di tributo, come ora fa la dottrina prevalente, scartandosi la tendenza a concentrarvi tutta la materia delle pubbliche entrate e a lasciare alla contabilità di Stato solo quanto attiene alla gestione del pubblico denaro (come sostenuto da Berliri, A., Principi di diritto tributario I, Milano, 1952, 6; contra, Micheli, G.A., op. cit., 1122).
Questa opinione dottrinale si preoccupava infatti di includere nel diritto tributario anche le prestazioni connesse con l’introduzione di limiti alla libertà del singolo attraverso l’imposizione di una tassa o di un monopolio alle quali tuttavia negava il carattere di prestazione coattiva (il Berliri ha tuttavia mutato la propria opinione in Corso istituzionale di diritto tributario, Milano, I, 1985, 5).
Anche le altre nozioni di diritto tributario via via accolte dalla dottrina derivano dalle rispettive nozioni di tributo e dal metodo di studio del fenomeno. Se infatti l’impostazione sopra criticata appare ingiustificatamente ampia, appare invece troppo restrittiva l’impostazione della dottrina tedesca che restringeva all’imposta l’oggetto dello studio e faceva coincidere col diritto dell’imposta (Steuerrecht) il diritto tributario: ciò perché, anch’essa, individuava soltanto nell’imposta il connotato dell’autoritatività allo stato puro, cioè senza aspetti commutativi, in funzione di concorso alle spese pubbliche (Favorevole a un ritorno al diritto delle imposte abbandonando la inutile ricerca del concetto di tributo: De Mita, E., Appunti di diritto tributario, I, Milano, 1987, 1 ss.).
Una volta riconosciuta da parte della dottrina giuridica la centralità della nozione di tributo, estesa a comprendere oltre all’imposta, anche la tassa, il contributo e il monopolio fiscale, le diverse definizioni di diritto tributario rilevano in dottrina soprattutto sotto il profilo del metodo con cui è intrapreso lo studio della disciplina.
In un primo momento, appaiono preminenti le preoccupazioni di sottolineare la collocazione della materia rispetto agli altri settori dell’ordinamento.
Si sottolinea così l’appartenenza del diritto tributario al diritto amministrativo, per accentuarne la comune matrice giuridica e reagire quindi all’impostazione economico-tecnica allora imperante, ovvero si esclude dal diritto tributario la fase di istituzione del tributo che si ritiene riservata al diritto costituzionale.
Per altro verso si limita l’ambito del diritto tributario allo studio dei rapporti tra cittadini e Stato ovvero, lo si estende a comprendere quelli che intercorrono anche tra gli altri enti pubblici territoriali e non, nonché con i soggetti non cittadini e non residenti.
Si ritrovano in queste definizioni, per vario verso parziali e limitate, gli echi delle problematiche relative ai rapporti tra Stato sovrano ed enti minori, nonché di quelle connesse con il collegamento economico tra l’ente pubblico e il privato che beneficia dei servizi resi dal primo (tutte queste prospettazioni si vedano riassunte in Rastello, L., Diritto tributario, Padova, 1987, 44 ss.).
Altre definizioni del diritto tributario fanno riferimento principalmente allo studio dei rapporti giuridici che intercorrono tra ente pubblico e contribuenti in relazione all’imposizione ed alla riscossione dei tributi: esse svelano l’impostazione sostanzialmente privatistica del fenomeno tributario che ha ispirato per lungo tempo lo studio della materia, e pongono al centro dell’attenzione lo studio del rapporto giuridico d’imposta (Per tutti, Pugliese, M., Corso di diritto e procedura tributaria, Padova, 1935, 9; Giannini, A.D., I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956, 2 ss.).
Per questa dottrina, imposizione significa accertamento e viene quindi trascurata la fase di posizione della norma tributaria che si ritiene riservata allo studio del diritto costituzionale. Quest’ultimo aspetto viene, invece, posto in prima evidenza dalla dottrina più recente che pone attenzione sia ai caratteri ed ai limiti della potestà normativa tributaria che a quelli della potestà amministrativa di imposizione: il diritto tributario è da essa definito come lo studio dell’aspetto della attività finanziaria pubblica che attiene all’esercizio del potere d’imposizione (così Micheli, G.A., Diritto tributario, cit., 1121; Id., Profili critici in tema di potestà di imposizione in Riv. dir. fin., 1964, 1, 3).
Nella fase più recente degli studi tributaristici, la considerazione dell’appartenenza del diritto tributario al diritto pubblico in genere ed al diritto amministrativo in particolare ha indotto la dottrina ad utilizzare sempre più strumenti pubblicistici e quindi ad individuare l’oggetto dello studio con riguardo alla funzione tributaria esercitata dall’ente pubblico ed alle modalità del suo svolgimento (Alessi, R.-Stammati, G., Istituzioni di diritto tributario, Torino, s.d., 3, 28 ss. Trimeloni, M., Diritto tributario, in Dig., IV, Sez. Comm., IV, 660-663).
Come si è visto, nella definizione dell’oggetto del nostro studio, si sono storicamente intersecate esigenze prima di autonomia e di ricollegamento scientifico, poi esigenze metodologiche caratterizzate dall’utilizzo di strumenti privatistici o pubblicistici, infine priorità di attenzione dirette a sostenere questa o quella costruzione teorica.
Rispetto a queste esigenze, la definizione sopra proposta si caratterizza per la sua scarsa impegnatività e tendenziale ampiezza: essa include nell’oggetto del nostro studio tutti i tributi, anche operanti in assetto para-commutativo, riferiti (spettanti e/o applicati) allo Stato e agli enti pubblici territoriali e non e comprende sia la fase normativa di istituzione del tributo e le regole che ad essa presiedono, sia la fase di attuazione del tributo intesa come fase di accertamento e riscossione, senza impegnarsi in sede definitoria quanto agli strumenti giuridici attraverso cui si realizza il prelievo (così Fantozzi, A., Diritto tributario, Torino, 1991, 6).
L’individuazione ora operata dell’oggetto del nostro studio ne impone la delimitazione rispetto agli altri settori dell’ordinamento che si sono via via ricordati. È ben vero, del resto, che manca nel nostro ordinamento un corpo organico di leggi tributarie che consenta di mettere ordine in una legislazione sempre più occasionale ed episodica e di elaborare principi generali comuni, quanto meno per grandi gruppi di tributi (il solo caso esistente, costituito dalle disposizioni in tema di accertamento delle imposte sul reddito, è riferito da dottrina e giurisprudenza esclusivamente a tale tipo di tributi e i principi in esso contenuti sono dichiarati inapplicabili agli altri gruppi di tributi. Una delega per la redazione di una legge generale è contenuta nella recente l. 11.3.2014, n. 23, all’art. 1.
A maggior ragione appare difficile individuare la posizione delle norme tributarie rispetto a quelle degli altri settori del diritto che con la materia tributaria vengono variamente in contatto. Se infatti, secondo la definizione che sopra se ne è data, appartengono al diritto tributario sia le norme che disciplinano l’esercizio e i limiti della potestà normativa che quelle che disciplinano l’attuazione del prelievo attraverso l’accertamento, la riscossione e via via l’applicazione delle sanzioni e la tutela contenziosa, sotto altro profilo classificatorio occorre ugualmente riconoscere accanto alla presenza di norme cosiddette impositrici che presiedono alla individuazione dell’ambito sostanziale del tributo, la presenza di norme che disciplinano la fase procedimentale di accertamento, di altre che disciplinano l’applicazione delle sanzioni, il contenzioso tributario, ecc.
La dottrina ha così tradizionalmente esaminato i rapporti tra il diritto tributario e gli altri settori dell’esperienza giuridica sotto il duplice profilo dell’oggetto di conoscenza e dell’interpretazione della norma tributaria.
Il diritto tributario quale oggetto di conoscenza appare dunque come un complesso di norme strumentalmente collegate in funzione della realizzazione del prelievo. Esse per così dire si sovrappongono alla realtà economica e giuridica preesistente, assumendola a fattispecie per l’applicazione dei tributi e disciplinandola fin nella fase sanzionatoria e contenziosa. Al di là delle aree estranee al diritto tributario ed attribuite, come visto sopra, aldiritto costituzionale o amministrativo, o alla contabilità di Stato, anche all’interno del diritto tributario come sopra definito vi sono dunque norme appartenenti per certi profili ad altri settori del diritto.
Le norme costituzionali che pongono principi e limiti in materia di prestazioni imposte, ovvero di tributi, appartengono certamente al diritto costituzionale per quanto riguarda la collocazione nel sistema delle fonti e al diritto tributario per quanto riguarda l’oggetto.
Al diritto amministrativo appartengono le numerose norme sull’organizzazione e l’agire dell’amministrazione finanziaria, nonché sull’impugnazione dei suoi atti.
Particolarmente delicati sono i rapporti fra diritto privato e il diritto tributario che sono stati tradizionalmente individuati sia nell’utilizzazione da parte del secondo di strumenti ed istituti privatistici sia quanto alla definizione dei profili oggettivi e soggettivi del rapporto intercorrente tra ente impositore e soggettivi passivi, sia nell’individuazione da parte del diritto tributario di istituti privatistici da assumere quali fattispecie imponibili: quali fatti o atti giuridici cui ricollegare il tributo.
Specie dunque nella fase meno recente, sopra ricordata, di studio del fenomeno tributario le interrelazioni con il diritto privato sono state particolarmente intense. Tra queste una menzione particolare meritano quelle con il diritto commerciale, in considerazione della grande importanza che rivestono per il diritto tributario gli istituti dell’impresa e delle società.
Una larga zona del diritto tributario interferisce con il diritto penale o, più ampiamente con il diritto sanzionatorio in generale, includendo in questo la disciplina delle sanzioni amministrative, e delle sanzioni penali applicate in campo tributario.
Molto strette sono le interrelazioni del diritto tributario con il diritto processuale, specialmente civile, ma anche amministrativo: i principi generali del processo civile vengono espressamente richiamati dal decreto sul contenzioso tributario, mentre alcuni principi del processo amministrativo sono presenti ad es. in tema di acquisizione della prova e di oggetto del giudizio dinanzi alle commissioni. I principi amministrativistici del ricorso gerarchico si applicano per i ricorsi amministrativi previsti per taluni tributi.
Appartengono infine al diritto internazionale sia le norme di diritto interno che delimitano il potere di imposizione dello Stato rispetto allo straniero, sia le norme – ormai frequenti – dettate da organismi sovranazionali che si impongono ai cittadini di uno Stato membro o direttamente, ovvero attraverso un atto di recezione da parte dell’ordinamento interno dei singoli Stati, sia le norme contenute nelle convenzioni internazionali dirette ad eliminare la doppia imposizione nelle imposte sul reddito o sulle successioni, ovvero in materia doganale o di navigazione aerea o infine ad imporre agli Stati contraenti obblighi di collaborazione e di informazione nella lotta all’evasione internazionale.
Il diritto tributario, come è stato notato (Micheli, G.A., Diritto tributario, cit., 1126), appare dunque come uno “spaccato” di attività giuridiche differenti per i soggetti che le pongono in essere, per il contenuto delle attività stesse e per i corpi di norme che di volta in volta le disciplinano. Se la sua unificazione soltanto sotto il profilo della materia, consistente nella istituzione ed attuazione dei tributi, non consente di elaborare principi unitari ma rende necessario risalire ogni volta alle norme ed ai principi propri di ciascun settore del diritto positivo coinvolto, non può tuttavia dirsi che manchi nel nostro settore un principio generale in base al quale ordinare tutte le norme che disciplinano l’istituzione e l’attuazione del tributo.
Si tratta del principio costituzionale di capacità contributiva, che, quale criterio sostanziale di determinazione del presupposto, opera attraverso il principio di stretta legalità, in tutte le fasi di attuazione del tributo fino alla concreta acquisizione del prelievo.
Il problema dell’autonomia del diritto finanziario e, per quel che si è detto in precedenza, del diritto tributario, si è proposto per lungo tempo all’attenzione della dottrina in termini di rapporti tra analisi giuridica, economica, sociologica o tecnica della materia finanziaria.
Esso va inquadrato in termini essenzialmente storici.
In una prima fase storica, invero, le trattazioni sistematiche dei problemi della finanza pubblica furono opera di economisti o comunque di studiosi a formazione non esclusivamente giuridica. Le loro trattazioni, che applicavano al fenomeno finanziario i principi dell’economia classica sugli effetti economici delle imposte, fornirono risultati rilevanti per la stessa disciplina normativa.
L’influsso della dottrina giuridica tedesca favorì poi nella seconda metà dell’ottocento l’affermarsi anche in Italia del cosiddetto “metodo giuridico” che comportava il rifiuto di metodi di indagine appartenenti ad altre scienze e di strumenti estranei alla tradizione giuridica. Ne derivò una sempre più accentuata autonomia degli studi giuridici rispetto a quelli economici e l’utilizzazione sempre più accentuata nel diritto pubblico ed in particolare in quello tributario di strumenti privatistici, tipici dell’elaborazione di una scienza ancora in via di sviluppo.
L’utilizzazione esclusiva del metodo giuridico e in particolare delle categorie privatistiche, dettate peraltro in funzione di interessi diversi da quelli fiscali, non agevolava però la ricostruzione di principi generali, dei quali mancava l’espressa formulazione normativa e che erano invece piuttosto rinvenibili nelle elaborazioni delle scienze economiche.
A questa fase si contrappone la reazione della scuola di Pavia, rappresentata dal Griziotti e dai suoi allievi, secondo cui il fenomeno finanziario va studiato in modo integrato sotto i suoi molteplici profili giuridici, economici, politici e tecnici.
In questa prospettazione, il metodo di studio del diritto tributario veniva ribaltato da prevalentemente giuridico a prevalentemente economico ed il quadro di riferimento attraverso il quale interpretare le norme era fornito dai principi elaborati dall’economia finanziaria in relazione alla funzione economica del tributo. Alla base della costruzione griziottiana era l’individuazione in chiave sostanzialmente corrispettiva dei principi distributivi delle entrate pubbliche e in particolare dei tributi, nonché la teoria della “causa impositionis”, che consentiva in definitiva al giudice di disapplicare la norma tributaria che fosse in contrasto con i principi distributivi del sistema. Corollari di questa costruzione erano la cosiddetta rilevanza economica della fattispecie (Wirtschaftliche Betrachtungsweise) e l’interpretazione funzionale della norma tributaria (la prospettiva della scuola di Pavia si veda nella raccolta degli studi di Griziotti, B., Scienza delle finanze e diritto finanziario, I, II, Milano, 1956, nonché in Zingali, G., Lezioni di scienza delle finanze e diritto finanziario e Pesenti, A., Unità dialettica tra scienza delle finanze e diritto finanziario, in Riv. dir. fin., 1961, I, 133 ss).
Questa impostazione, dopo un vivace dibattito dottrinale, è stata ormai da tempo abbandonata da parte della dottrina e della giurisprudenza, sempre più orientate a riconoscere rilevanza al solo sistema normativo, escludendo dallo studio del diritto tributario ogni elemento metagiuridico.
Su questa via si è assistito talora ad un formalismo e ad un normativismo troppo esasperati e come tali inaccettabili nello studio di un settore dell’ordinamento fortemente permeato di riflessi economici.
Il dibattito dottrinale che per oltre un cinquantennio si è condotto nel nome dell’autonomia del diritto tributario non è tuttavia trascorso senza lasciare segni sul sistema tributario italiano. Da un lato, infatti, l’art. 53 Cost. raccoglie l’espressione “capacità contributiva” già utilizzata da Griziotti e la fa assurgere a supporto normativo per l’elaborazione di principi generali di ripartizione delle spese pubbliche: per di più, includendolo in una costituzione rigida, pone il criterio come limite della legittimità delle norme di legge ordinaria istitutive di tributi.
Da altro lato, il dibattito sull’autonomia del diritto tributario evidenzia le opposte reazioni all’eccessiva rigidità di quadri di riferimento non di diritto positivo ma desunti integralmente ora dalla scienza economica, ora dal diritto privato. In questi termini estremistici il dibattito appare ormai superato dalla dottrina giuridica e dalla stessa evoluzione del sistema normativo che ora contiene principi generali di riferimento costituzionali e non (v. infra § 4).
Il problema dell’autonomia del diritto finanziario e dei suoi rapporti con le altre discipline economiche, politiche, sociologiche, tecniche e di altra natura si risolve, in questa sua prima prospettazione, nel superamento di ogni contrapposizione fra necessità di integrazione interdisciplinare di un dato normativo che si riferisce alle più varie esperienze della vita e rifiuto di ogni processo conoscitivo fondato su assunzioni diverse da quelle giuridiche.
Di particolarismo del diritto tributario, la dottrina ha parlato, infine, trascurando il riferimento a principi generali comuni e mettendo in evidenza le peculiarità di questo settore del diritto che si caratterizza per la sua strumentalità, per il particolare rafforzamento dei poteri amministrativi e per l’estensione e l’importanza dei controlli (La formula deriva dal Geny, F., Le particularisme du droit fiscal, in Rev. trim. dr. civ., 1931, 797 ss. ed è stata ripresa dal D’Amelio, M., L’autonomia dei diritti, in particolare del diritto finanziario, nell’unità del diritto, in Riv. dir. fin., 1941, I, 1 ss. La sua critica si veda già in Giannini, A.D., Concetti, cit. 17 e, con l’esposizione delle diverse argomentazioni via via prospettate dalla dottrina in Rastello, L., Diritto tributario, cit., 74 ss.).
Le particolarità che la dottrina ha di volta in volta ricordato riguardavano la riserva di legge, la solidarietà, la mora del debitore, i privilegi, la causa dell’obbligazione tributaria, l’interpretazione analogica e funzionale, la regola del solve et repete ecc. In questi termini il cd. particolarismo si limita a mettere in evidenza e a racchiudere in una formula, su cui peraltro la dottrina non ha più obiezioni da sollevare, alcune caratteristiche salienti di questo settore del diritto.
La natura strumentale del diritto tributario è stata così addotta per lungo tempo quale indice del suo particolarismo. Intesa nel senso di differenza rispetto ad altre attività che realizzano immediatamente i fini pubblici, questa caratteristica sussiste però per quasi tutte le attività di gestione e di erogazione del denaro pubblico. Ed anche sul versante delle entrate coesistono ipotesi di attività idonee a soddisfare immediatamente gli interessi pubblici (si pensi ad ipotesi di attività di conservazione di zone del territorio che tuttavia siano produttive di entrate) ed ipotesi di attività strumentali a tale soddisfazione. Anche nel campo tributario vi sono ipotesi di prestazioni coattive meramente finalizzate al prelievo ed altre che uniscono alle finalità di prelievo altre finalità per esempio di intervento nell’economia o nella circolazione dei beni.
In questo senso, dunque, non può dirsi che la strumentalità sia caratteristica esclusiva del diritto tributario.
In altro senso si parla di strumentalità da parte della dottrina per indicare l’attitudine del diritto tributario a sovrapporsi su una realtà di regola già qualificata da altre norme giuridiche. Rilevando questo aspetto del suo particolarismo, si chiarisce insieme un carattere tipico del diritto tributario che richiede spesso all’interprete una elaborazione di “secondo grado” dei risultati già raggiunti in altri settori dell’esperienza giuridica e quindi un’opera assai difficoltosa di composizione e combinazione fra principi e istituti di diversa natura ed origine.
In questa prospettiva vanno inquadrati gli studi, della dottrina tradizionale, diretti a misurare con il preteso particolarismo di questo settore del diritto gli istituti per lo più di derivazione privatistica al fine di afferrarne la peculiarità: così per quanto riguarda le nozioni di soggettività tributaria, solidarietà tributaria, successione nel debito d’imposta, le figure del sostituto e del responsabile d’imposta e la stessa obbligazione tributaria.
Per questa dottrina l’aggettivo “tributario” aggiunto all’istituto di derivazione civilistica testimoniava quasi sempre la deformazione apportata ad esso dal particolarismo del nostro settore del diritto. Per altro verso la dottrina che si richiamava al particolarismo, nell’esemplificare gli istituti sopra ricordati, ha correttamente sottolineato un altro aspetto che certamente informa di sé il nostro settore: quello dell’accentuazione dei poteri di controllo della pubblica amministrazione.
In infiniti casi la cd. “ragion fiscale” deforma la disciplina del tributo in funzione delle esigenze di controllo del fisco. La norma tributaria non viene scritta cioè nel presupposto che il principio di capacità contributiva sia l’unico criterio di ripartizione dei carichi pubblici; viene scritta tenendo conto delle maggiori possibilità evasive ed elusive del contribuente in danno delle minori possibilità di controllo dell’amministrazione. Numerose norme, e non solo attraverso lo strumento della presunzione legale, sono dunque redatte in modo da prevenire l’eventuale comportamento illecito del contribuente e quindi circondando l’interesse del fisco di particolari cautele e protezioni “avanzate” che pur sono state quasi sempre in questa prospettiva ritenute legittime dalla Corte Costituzionale. Basti pensare alla normativa antielusione (v. Beghin, M., Elusione e abuso del diritto).
Può ritenersi che questo aspetto del suo particolarismo configuri il diritto tributario come un pendolo che oscilli tra esigenza di giustizia, espressa dal principio costituzionale di capacità contributiva, ed esigenza di controllo, espressa da tutte le norme che deformano il primo principio in favore dell’interesse del fisco.
Infine può ritenersi che un aspetto non trascurabile del particolarismo del diritto tributario derivi dalla marcata influenza esercitata dalla dottrina nell’elaborazione dei principi su cui esso si basa (Fedele, A., Cultura giuridica e politica legislativa nel diritto tributario, in Jus, 1998, 76 e ss.; Falsitta, G., Nascita e sviluppo scientifico del diritto tributario in Italia, in Rass. trib., 2000, 353).
Nelle pagine che precedono ho ricordato come il dibattito sull’autonomia rispetto alle scienze economiche non sia stato privo di effetti sul legislatore costituzionale e come le lunghe polemiche sui rapporti con il diritto finanziario ed il diritto amministrativo abbiano in definitiva influenzato l’approccio scientifico e la stessa definizione dell’oggetto di studio. Queste lunghe polemiche e la rilevata sostituzione di schemi pubblicistici a schemi privatistici non sono rimaste senza influenza sulla sistemazione normativa della disciplina. Oggi il diritto tributario risente di formule normative ispirate ora a questa, ora a quella concezione teorica e di cui appare talora difficile la conciliazione (Per tutti, Fregni, M.C., Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998).
Anche a questo riguardo può rilevarsi un movimento pendolare che oscilla sia nel diritto sostanziale che in quello processuale tributario tra concezioni privatistiche e pubblicistiche, tra concezioni sostanziali e processuali, che testimoniano ancora una volta della novità del nostro settore, della sua dipendenza dalle elaborazioni dottrinali e dunque, ma sotto questo diverso profilo, della particolarità del diritto tributario.
Sulla base di quanto precede, si può ora risolvere con una certa facilità e brevità il problema dei rapporti del diritto tributario con la scienza delle finanze. Non si tratta più, infatti, di derivare da quest’ultima il quadro di riferimento per l’interpretazione di norme giuridiche né di far prevalere principi e finalità economiche in uno studio sincretico del diritto tributario. Si tratta ormai soltanto, in presenza di un sistema più o meno organico di norme di cui sono chiari i principi di riferimento, costituzionali e non, e che la dottrina studia ora con metodo esclusivamente giuridico, di riconoscere tuttavia gli intimi legami tra la scienza che studia l’istituzione e l’attuazione del tributo (giuridica) e quella che ne studia la scelta e gli effetti (economici).
Evidentemente la scienza delle finanze, in quanto diretta a studiare le leggi economiche che disciplinano il fenomeno finanziario, costituisce un prius rispetto allo studio giuridico del tributo inteso come istituto di diritto positivo. Per il giurista, dunque, la conoscenza dei criteri economici di scelta dei tributi costituisce un importante (anche se non indispensabile come sosteneva la dottrina passata) punto di riferimento per l’interpretazione delle norme che tali effetti economici hanno inteso realizzare (v. Carpentieri, L., Fonti del diritto tributario).
Alcune nozioni elaborate dalla scienza delle finanze, come le distinzioni tra imposte dirette e indirette, personali e reali, istantanee e permanenti, sono state utilizzate o presupposte dal legislatore tributario, costituendo un utile strumento ricostruttivo.
In altri casi la conoscenza dei fenomeni economici può offrire all’interprete elementi essenziali per individuare la ratio legis. Si tratta, è ben vero, di studi condotti su piani e con metodi diversi e non può non rilevarsi ancora una volta l’equivoco che la loro commistione ha determinato per decenni nello studio del nostro settore del diritto.
Ridotto nei suoi termini esatti, il problema dei rapporti tra le due scienze consiste allora nel rilevare che il legislatore tributario è indotto a raggiungere con i suoi interventi risultati economici di incentivazione e disincentivazione, di governo dell’economia, di politica economica e finanziaria che costituiscono evidentemente oggetto della scienza economica. Anche quando non previsti e voluti, effetti economici derivano comunque dal tributo e il loro studio costituisce supporto essenziale per l’attività del legislatore.
Ma anche il giudice ed in genere l’operatore del diritto trova nella scienza economica gli elementi per dare un preciso contenuto alla norma positiva quando questa impieghi termini o nozioni che meglio possono essere chiariti conoscendo il contributo apportato dalle scienze economiche al linguaggio con cui sono formulate le norme tributarie (Sul punto Lupi, R., Diritto tributario, in Dir., V, 438 ss.). Il rapporto tra diritto tributario e scienza delle finanze, lungi dal manifestarsi come le due facce di un unico fenomeno come sosteneva la scuola griziottiana, si appalesa tuttavia come un nesso, sia pure di particolare complessità, tra due scienze appartenenti a diversi sistemi.
Di questa progressiva separazione delle due scienze è testimonianza la vicenda relativa all’insegnamento della materia nelle università italiane. All’insegnamento sincretico del fenomeno finanziario nei suoi molteplici aspetti, teorizzato dal Griziotti ed espresso nella unitarietà della cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario, si è sostituita a partire dagli anni sessanta la scissione degli insegnamenti. Alla materia economica è rimasto l’insegnamento nelle università della scienza delle finanze e diritto finanziario (che viene ora prevalentemente insegnato da economisti, mentre nelle nuove università sempre più si istituiscono insegnamenti della sola scienza delle finanze) mentre il diritto tributario si è affermato quale materia di insegnamento autonomo come del resto – a seconda delle università – il diritto finanziario e la contabilità di Stato (Sulla questione si vedano i contributi di Falsitta, G., Osservazioni sulla nascita e lo sviluppo scientifico del diritto tributario in Italia, in L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Atti del convegno I settant’anni di “Diritto e Pratica tributaria”, Genova, 2-3 luglio 1999, coordinati da V. Uckmar, Padova, 2000, 77 ss.; Amatucci, A., L’insegnamento del diritto finanziario, ibidem, 97; Ferlazzo Natoli, L., La rilevanza del principio del contraddittorio nel procedimento di accertamento tributario, ibidem).
Anche sul piano dell’insegnamento universitario, può dirsi così definitivamente compiuto il processo di separazione delle discipline e dunque completa l’affermazione del Diritto tributario, quale scienza giuridica rientrante in un’ampia accezione di “diritto amministrativo”, ma retta da norme e principi propri.
L’evoluzione ora esposta conduce all’affermazione ormai incontestata che il diritto tributario costituisce un complesso sistema di norme rigorosamente giuridiche (ovvero la scienza che le studia), che disciplinano l’istituzione e l’attuazione del tributo.
Quest’ultimo è ricondotto dalla dottrina dominante (De Mita, E., Appunti di diritto tributario, I, L’imposta come istituto giuridico e i principi costituzionali in materia tributaria, Milano, 1994, 11 ss; Maffezzoni,F., Profili di una teoria giuridica generale dell’imposta, Milano, 1969, 23-24), alla nozione di istituto giuridico e studiato come tale.
In presenza di una legislazione alluvionale e confusa, sempre più pressata da esigenze contingenti e di gettito, una voce generale intitolata alla materia e integrata dalle numerose voci dedicate agli specifici istituti che la compongono, può soltanto limitarsi ad indicare i principi del diritto tributario attuale: cioè come esso si presenta oggi con le modifiche determinate dalla fiscalità di massa, dall’avvento del diritto comunitario e della internazionalizzazione e globalizzazione dell’economia (Fantozzi, A., Fisco, in Enc. it., Appendice, VII, Roma, 2007, 44 ss.).
L’elaborazione di principi comuni nella nostra materia discende da esigenze di coordinamento e di unità sistematica, ma soprattutto consente di agevolare la funzione interpretativa realizzando così l’unitarietà del sistema. Per usare la terminologia di autorevole dottrina (Fedele, A., Diritto tributario (Principi), in, Enc. dir., Annali, II, 2, 447) “il coordinamento dei principi evidenzia un sistema normativo unitario che rappresenta, nella sua totalità, la funzione fiscale”.
I principi comuni che concorrono alla conformazione del sistema tributario possono avere rango costituzionale e sono contenuti in primo luogo negli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. non a caso richiamati dall’art. 1, l. 27.7.2000, n. 212 per farne discendere i principi generali dello Statuto dei diritti del contribuente.
Ovvero possono essere dichiarati espressamente tali dalla legge: si vedano appunto le disposizioni in materia di produzione legislativa, efficacia delle norme tributarie, formazione degli atti tributari, attuazione del tributo e rapporti tra fisco e contribuente dichiarati principi generali dall’art. 1 l. n. 212/2000. Altre disposizioni della stessa legge sulle modalità degli interpelli e delle verifiche non possono invece essere ricondotte a tale natura.
Infine i principi generali sono stati desunti dalla giurisprudenza per via di estrazione dalla legge costituzionale o meno: così il principio di contrasto all’abuso del diritto considerato immanente nell’ordinamento e desumibile dall’art. 53 Cost. da Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30057, ovvero il principio di nullità degli atti traslativi di imposta ricavato direttamente dall’art. 53 Cost., da Cass., S.U., 18.12.1986, n. 6445 o infine il principio generale del contraddittorio nei rapporti tra fisco e contribuente affermato da Cass., S.U., 29.7.2013, n. 18184 e posto in dubbio da Cass., ord. 5.11.2013, n. 24739 almeno con riferimento all’abuso del diritto.
A loro volta i principi fondamentali del sistema tributario sono richiamati dagli artt. 117 co. 2 e 119 Cost. che li riferiscono alla competenza legislativa ripartita fra Stato e regioni (Gallo F., Federalismo fiscale e ripartizione delle basi imponibili tra Stato, Regioni ed Enti locali, in Rass. trib., 2002, 2011; Fedele, A., Diritto tributario (Principi), cit. 457, nota n. 70; Fantozzi, A., Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria, Riv. dir. trib., 2005, I, 3).
Con il progressivo affermarsi della primautè del diritto comunitario ci si è domandati se i principi generali di questo si ponessero a loro volta come principi sovraordinati a quelli del diritto interno ovvero se emergessero da quest’ultimo principi generalissimi o “controlimiti” alla prevalenza del diritto comunitario. La Corte Costituzionale ha ormai da tempo escluso che la riserva di legge prevista dall’art. 23 consenta un sindacato di legittimità delle norme comunitarie nonostante il loro “deficit democratico” (C. cost., 27.12.1973, n. 183 in Foro it., 1974, I, 314; Fedele, A., Diritto tributario (principi), cit., 458).
Dunque i principi di diritto comunitario, ormai costituzionalizzati dall’art. 117, co. 1, Cost. si impongono alle leggi ordinarie: essi si pongono sullo stesso piano dei principi costituzionali nazionali applicabili in campo tributario quali la riserva di legge e la capacità contributiva.
Come principio generalissimo o “controlimite” sopraordinato rispetto ai principi costituzionali o fondamentali dei singoli Stati la dottrina (Gallo, F., Ordinamento comunitario e principi costituzionali tributari, Roma, 2006; Id., I principi di diritto tributario: problemi attuali, in Rass. trib., 2008, I, 920-921) individua soltanto il principio di uguaglianza che ha valenza generale e da cui discendono il principio interno di capacità contributiva e quello comunitario di non discriminazione (Del Federico, L., Tutela del contribuente e integrazione giuridica europea, Milano, 2010).
Infine vi sono principi ricavabili dalla “ratio” di ciascun tributo: il presupposto definisce infatti la manifestazione di capacità contributiva che il tributo è volto a colpire. La ratio del tributo costituisce dunque il principio cui esso si ispira e alla cui stregua vanno interpretate e applicate le relative norme (Fedele, A., Diritto tributario (Principi), cit., 464).
I principi generali del diritto tributario attuale possono ora distinguersi, per comodità di esposizione, tra quelli attinenti al diritto tributario sostanziale ovvero conformativo dei singoli tributi e quelli attinenti al diritto tributario formale ovvero all’attuazione del prelievo.
La funzione di riparto dei carichi pubblici cui il tributo assolve costituisce (Fedele, Diritto tributario (Principi), cit., 449) un primo fondamentale principio della nostra materia.
Essa riposa ora nelle democrazie moderne, dopo un lunghissimo percorso evolutivo (Fantozzi, Diritto tributario, cit., 690; Fedele, A., Comm. Cost. Branca, Rapporti civili, art. 22-23, Bologna-Roma, 1978, 21 ss.) sul principio del consenso al tributo espresso nella nostra Costituzione dall’art. 23 sulla riserva di legge e sul principio solidaristico espresso dall’art. 2 e dall’art. 53, co. 1, Cost. Questi due principi sono stati ritenuti da parte della dottrina fissare i limiti (formale il primo e sostanziale il secondo) posti al legislatore ordinario nell’esercizio della sua potestà normativa in campo tributario (Micheli, G. A., Profili critici, cit.; Fantozzi, A., Diritto tributario, cit.).
Altro principio di rango costituzionale, peraltro rimasto secondo la dottrina (Fedele, A., Diritto tributario (Principi), cit. 457; Fantozzi, A., Diritto tributario, cit., 50) inattuato, è quello contenuto nell’art. 53, co. 2, Cost. secondo cui il sistema tributario nel suo complesso è ispirato a criteri di progressività: si tratta di una norma di indirizzo la cui violazione, come da sempre avviene nel nostro sistema sostanzialmente regressivo, non comporta vizi di illegittimità di singole norme.
Il principio di capacità contributiva discende, secondo la dottrina e la giurisprudenza della Corte costituzionale dal principio generale di uguaglianza: l’imposizione in modo uguale in presenza di presupposti uguali e in modo differenziato in presenza di presupposti diversi costituisce la conseguenza nel diritto tributario del principio generalissimo di uguaglianza riferito ai diritti della persona, rispetto al quale gli stessi principi costituzionali nazionali devono cedere.
Da esso derivano nel diritto tributario comunitario le quattro libertà fondamentali rispetto alle quali il principio di uguaglianza si è trasformato, in base alla copiosissima giurisprudenza della Corte di Giustizia, in principio di non discriminazione e non restrizione.
È evidente la declinazione del principio di uguaglianza in termini di libertà della concorrenza e del mercato cui si ispirano i principi del mercato unico e dell’Unione (economica) europea.
È stato infatti rilevato (Fantozzi, A., Armonizzazione fiscale tra modelli comunitari e autonomia normativa degli Stati, Relazione al Convegno di studi “Le ragioni del diritto tributario in Europa”, Bologna, 26-27 settembre 2003; Boria, P., L’antisovrano. Potere tributario e sovranità nell’ordinamento comunitario, Torino, 2004, 59, 103 ss.) che nel diritto comunitario, il principio generale di uguaglianza che attiene in linea generale ai diritti fondamentali della persona assume una valenza marcatamente economica orientata al mercato: si traduce così nel principio di non discriminazione in base alla cittadinanza o alla residenza o nel principio di non restrizione delle libertà economiche dei cittadini-residenti propri di un paese rispetto ai soggetti di altro stato membro che esercitino una delle libertà fondamentali (Laroma Jezzi, P., Integrazione negativa e fiscalità diretta: l'impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell'Unione europea, Pisa, 2012).
I principi del diritto comunitario e quelli derivanti dagli obblighi internazionali sono stati ora costituzionalizzati nell’art. 117, co. 1, Cost.: essi si impongono dunque alle leggi ordinarie nonché alle fonti subordinate.
Dal diritto internazionale generale ricavato dai principi comuni e da un elevatissimo numero di convenzioni bilaterali possono ricavarsi, a mio avviso (contra Maisto, G., Deducibilità dei tributi ai fini Ires e qualificazione dei rapporti giuridici retti dal diritto straniero, Riv. dir. trib., 2013, 41 ss.) il diniego di doppia imposizione e di doppia non imposizione nonché il principio generale di territorialità (Fransoni, G., La territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, 200 ss.) da intendere come articolazione geografica del principio di capacità contributiva: esclusa l’esistenza di principi di collaborazione o non collaborazione fra stati sovrani, l’esercizio extraterritoriale della potestà di imposizione deve essere appunto giustificato da un ragionevole rapporto (genuine link) di appartenenza del contribuente alla collettività il cui fabbisogno il tributo è destinato a coprire.
Da taluni (Fedele, A., Diritto tributario (Principi), cit. 461) questi principi vengono ricondotti a quello generale di sovranità che escluderebbe qualunque esercizio dei poteri di accertamento e riscossione fuori dal territorio. In verità i numerosi accordi di collaborazione e di scambio di informazioni in tema di accertamento e riscossione mostrano che il difetto di sovranità resta insuperabile e che le esigenze di assicurare l’effettività extraterritoriale del tributo possono essere assicurate o attraverso misure pattizie ovvero ammettendo una sorta di interesse fiscale extraterritoriale, di rango costituzionale al corretto ed effettivo esercizio della funzione fiscale da parte di ciascuno e di tutti gli stati (Fedele, A., Prospettive e sviluppi della disciplina dello scambio d’informazioni fra amministrazioni finanziarie, in Rass. trib., 1999, 49).
Rispetto ai principi generali del diritto tributario sostanziale che sono rimasti più o meno invariati nel tempo, ancorati ai principi di uguaglianza e di capacità contributiva, è nell’attuazione del tributo che si sono verificate le più incisive innovazioni legislative determinate da una forte influenza della dottrina che si è esercitata sulle esigenze richieste dalla fiscalità di massa, dalla competizione internazionale e dalla globalizzazione dei mercati (Fantozzi, A., Attualità del pensiero di Ezio Vanoni in tema di accertamento tributario, in Riv. dir. trib., 2000, I, 599).
Con la l. n. 212/2000 si è così finalmente realizzata quella legge tributaria generale, che altri paesi possiedono e che da noi ha assunto la denominazione di Statuto dei diritti del contribuente. Essa introduce disposizioni che dichiaratamente costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, rafforzate rispetto alla legge ordinaria poiché possono essere derogate o modificate soltanto espressamente e mai da leggi speciali.
Tra i principi generali contenuti nello Statuto basti qui ricordare quelli in materia di chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie, quelli sulla loro efficacia temporale (irretroattività), i principi in tema di informazione del contribuente, di conoscenza degli atti e loro semplificazione, quelli in materia di tutela dell’integrità patrimoniale, di tutela dell’affidamento e della buona fede. In definitiva può dirsi che le disposizioni dello Statuto abbiano introdotto nel nostro ordinamento i principi di civiltà, di “parità delle armi” tra fisco e contribuente, da tempo vigenti nelle democrazie occidentali.
Da alcuni spunti contenuti nello Statuto, soprattutto in tema di motivazione, di notificazioni, di comunicazioni, la dottrina e la giurisprudenza hanno poi ricavato i principi della partecipazione del privato all’attuazione del tributo (Salvini, L., La “nuova” partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto dei diritti del contribuente ed oltre), Riv. dir. trib., 2001, I, 3; Muleo, S., Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000; Viotto, A., I poteri d’indagine dell’amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla Costituzione, Milano, 2002) del contraddittorio (Ragucci, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009; Miceli, R., Il diritto al contraddittorio nella fase istruttoria, Riv. dir. trib., 2001, 371; Id., La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, in Fantozzi, A.–Fedele, A., (a cura di), Lo Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 473; Viotto, A., I poteri d’indagine dell’amministrazione finanziaria, cit.; Marongiu, G., La necessità del contraddittorio nelle verifiche fiscali tutela il contribuente, in Corr. trib., 2010, 3051; Id., Accertamenti e contraddittorio tra statuto del contribuente e principio di costituzionalità, Corr. trib., 2011, 474, Id., Contribuente più tutelato nell’interazione con il fisco anche prima dell’avviso di accertamento, in Corr. trib., 2011, 1719; Cass., 15.3.2011, n. 6088; Tundo, F., Procedimento tributario e difesa del contribuente, Padova, 2013) con l’affermazione della conseguente invalidità degli atti emessi in violazione di tali principi (Fantozzi, A., Violazione del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., 2011, I, 137; Miceli, R., Il diritto al contraddittorio, cit.).
Ciò è avvenuto di pari passo con la modifica della legge sul procedimento amministrativo (v. l. 7.8.1990, n. 241; Fedele, A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 466-467) e dall’altro con l’affermarsi nel diritto tributario dei principi dispositivi del diritto privato (Moscatelli, M.T., Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Milano, 2007; La Rosa, S., a cura di, Autorità e consenso nel diritto tributario, Milano, 2007; Civitarese Matteucci, S.–Del Federico, L., a cura di, Azione amministrativa ed azione impositiva tra autorità e consenso. Strumenti e tecniche di tutela dell’amministrato e del contribuente, Milano, 2010; Crovato, F., Il consenso nella determinazione dei tributi, Roma, 2012).
Sono così aumentate da ultimo, le forme di definizione consensuale del tributo e le forme di deflazione del contenzioso attraverso accordi o negoziati tra fisco e contribuente (Versiglioni, M., Accordo e disposizione nel diritto tributario. Contributo allo studio dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, Milano, 2001; Corasaniti, G., Il reclamo e la mediazione nel sistema tributario, Padova, 2013)
Per altro verso dalla clausola quasi generale antielusiva dell’art. 37 bis si è passati al principio di origine giurisprudenziale di contrasto all’abuso del diritto, che si è fatto dipendere da una particolare lettura della giurisprudenza della Corte di Giustizia (Cass., sez. trib., 29.9. 2006, n. 21221; Cass., 4.4.2008, n. 8772; Cass., 21.4.2008, n. 10257 che richiamano per la configurazione del concetto di abuso la sentenza Halifax, C. giust. CE, Grande Sezione, 21.2.2006, causa C-255/02) e dell’art. 53 Cost. (Cass., S.U., 21.1. 2009, n. 1465; Cass., 23.12.2008, n. 30055, n. 30056, n. 3005).
In definitiva per un verso si è messa progressivamente in dubbio la natura autoritativa del tributo (Fedele, A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, cit., 16; Gallo, F., Le ragioni del Fisco, Bologna, 2007, Id., L’enciclopedia del diritto e l’evoluzione del diritto tributario, in Giur. comm., 2009, 553) superando il principio di indisponibilità mediante il ricorso agli istituti privatistici dell’accollo, della cessione del credito, ecc. (Fedele, A., Autonomia negoziale e regole privatistiche nella disciplina dei rapporti tributari, in La Rosa, S., a cura di, Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, cit., 121) per altro verso si è invocata attraverso la pretesa clausola generale antielusione e antiabuso (Cass., 13.5.2009, n. 10981) l’illimitata possibilità di riqualificazione da parte del fisco di atti, fatti e negozi posti in essere dal contribuente (in tema si veda da ultimo Beghin, M., L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2013).
Sotto molteplici profili si afferma la primautè dei principi di derivazione comunitaria che emanano da paesi di common law e dunque la prevalenza delle ragioni della sostanza su quelle della forma.
Mentre da un lato si sostiene il maggiore impiego in forma indiscriminata nel diritto tributario dei principi comuni del diritto civile, amministrativo, penale (Fedele, A., Diritto Tributario (Principi), cit., 469-470) dall’altro si ritorna a far prevalere nel momento applicativo del tributo la rilevanza sostanziale della fattispecie, in una valutazione complessiva e sincretica della stessa che ci riporta, in qualche modo ma in una prospettiva completamente diversa, al particolarismo della nostra materia e all’oscillazione pendolare tra diritto e abuso del diritto che si è sopra rilevata.
L. 27.7.2000, n. 212; d.P.R., 29.9.1973, n. 600; d.P.R., 29.9.1973, n. 602; d.lgs., 31.12.1992, n. 546; d.P.R., 22.12.1986, n. 917; d.P.R., 26.4.1986, n. 131; d.P.R., 26.10.1972, n. 633; d.lgs., 31.10.1990, n. 347.
Gallo, F., L’enciclopedia del diritto e l’evoluzione del diritto tributario, in Giur. comm., 2009, I, 553; De Mita, E., Diritto tributario (giurisprudenza costituzionale), in Enc. dir., Annali, III, 2010, 249; Sacchetto, C., Diritto tributario (convenzioni internazionali), in Enc. dir., Annali, I, 2007, 517; Trimeloni, M., Diritto tributario, in Dig. comm., IV, 1989; Uckmar, V., Principi comuni di diritto costituzionale tributario, Padova, 1958; Gaffuri, G.-Albertini, F., Diritto tributario, in Diz. dir. pubbl. Cassese, III, Milano, 2006, 1969; Bosello, F., Note sparse sulla identificazione dell’oggetto del diritto tributario, in Riv. dir. fin., 1993, I, 210; D’Amati, N., Diritto tributario, in Nss. D. I., Appendice, II, Torino, 1981, 1249; Marongiu, G., Lo statuto del contribuente: una disciplina di principi e per principi, in Lo statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2004, 59.