Disabilità
"Il nostro errore più grave è quello
di cercare di destare in ognuno proprio quelle
qualità che non possiede, trascurando di
coltivare quelle che ha"
(Marguerite Yourcenar)
L'Italia e l'Anno europeo delle persone con disabilità
di Isabella Menichini
14 febbraio
Si svolge a Bari la cerimonia di apertura per l'Italia dell'Anno europeo delle persone con disabilità, proclamato dal Consiglio dell'Unione Europea il 3 dicembre 2001 al fine di "sensibilizzare i cittadini sui temi legati alla non discriminazione e all'integrazione, e sostenere azioni concrete per favorire le pari opportunità e l'inclusione sociale". L'Anno si chiuderà ufficialmente a Roma in dicembre, durante il semestre di Presidenza italiana dell'Unione Europea.
Un cammino non ancora compiuto
Con la Decisione del 3 dicembre 2001 il Consiglio dell'Unione Europea, richiamando il percorso intrapreso dalle istituzioni comunitarie per stimolare i processi di integrazione e di accesso delle persone con disabilità in ogni settore della vita, da quello sociale a quello occupazionale e a quello culturale, ha inteso dare un rinnovato slancio alle azioni in loro favore e sollecitare gli Stati membri affinché adottino un programma di iniziative coerenti e concrete finalizzate alla promozione di condizioni di pari opportunità e di inclusione sociale, e al rafforzamento dei principi di non discriminazione e di integrazione dei cittadini disabili. Ma soprattutto si è mirato a sensibilizzare le comunità su queste tematiche perché cresca e si diffonda una diversa consapevolezza riguardo alle condizioni di disabilità, perché queste ultime non siano percepite come diversità o, ancora peggio, come inferiorità e perché si consolidi al contrario un'immagine positiva e attiva della persona.
Oggi quando si citano i principi di 'accessibilità', 'mobilità', 'integrazione', 'non discriminazione' e 'pari opportunità' in relazione alle disabilità si richiamano processi noti, formule entrate ormai nel linguaggio abituale sul piano internazionale, nazionale, locale. Si fa riferimento a indirizzi di politica, a buone prassi, a impegni delle istituzioni, a obblighi, a diritti e doveri della comunità. Ma questo traguardo ha comportato un percorso lungo e complesso, segnato da una profonda elaborazione di concetti: una grande sfida che dura da decenni per la conquista di fondamentali diritti di civiltà che costituiscono ora un patrimonio da difendere e accrescere.
Tuttavia se l'Unione Europea ha ritenuto di dedicare il 2003 alla disabilità, le Nazioni Unite di avviare i lavori per una convenzione integrata e il Consiglio d'Europa di indire la Seconda conferenza dei ministri responsabili delle politiche per la disabilità, vuol dire che il cammino non è compiuto. Nonostante le iniziative abbiano fatto registrare una crescita quantitativa e qualitativa in ogni contesto della vita sociale, la disabilità resta una realtà complessa, articolata e mutevole che esige l'impegno costante di tutti. L'integrazione, la piena cittadinanza sono processi in divenire, mai punti di arrivo: occorre quindi l'impegno continuo per difendere i diritti acquisiti, per assicurare che il loro esercizio non incontri ostacoli o peggio venga limitato da situazioni di disuguaglianza, connesse non solo al deficit delle persone ma anche al contesto territoriale in cui si vive. E occorre che i traguardi raggiunti vengano sempre visti come tappe intermedie verso standard di vita migliori: la qualità di vita, l'autonomia, l'indipendenza, vissute pienamente nel quotidiano, sono i veri obiettivi da raggiungere, come il reale godimento dei diritti fondamentali e il riconoscimento del rispetto dei doveri alla pari con tutti i cittadini. Non assistenzialismo o pietismo, quindi, ma uguaglianza di diritti e di doveri. Il raggiungimento di questi obiettivi presuppone l'elaborazione di strategie sempre nuove, di politiche di welfare attente, di una diversa attitudine delle istituzioni a lavorare in stretto coordinamento, a scambiarsi informazioni, a condividere esperienze. Sono condizioni di vita che si possono raggiungere soltanto migliorando il livello di integrazione tra profilo socio-sanitario e profilo lavoristico, tra scuola, assistenza, formazione e lavoro, tra ricerca e tecnologia, tra pubblico e privato, tra famiglie e servizi, tra Stato, Regioni ed enti locali.
L'Anno europeo delle persone con disabilità
La Commissione Europea, in data 5 giugno 2001, ha proposto al Consiglio dell'Unione Europea che il 2003 venisse proclamato 'Anno europeo delle persone con disabilità'. Con queste parole Anna Diamantopoulou, commissario per l'Occupazione e gli affari sociali, ha dato inizio alle celebrazioni: "Gli Stati membri non fanno abbastanza per garantire ai 37 milioni di persone disabili in Europa pari diritti con le persone non disabili. I diritti di cui parliamo possono essere sintetizzati come diritti all'accesso: accesso a un lavoro, accesso agli edifici, accesso alla posta elettronica e a Internet. Tali diritti possono già esistere sulla carta, ma non nella realtà. L'Anno europeo delle persone con disabilità deve segnare l'avvio di un cambiamento duraturo per i nostri 'cittadini invisibili'. Finalità dell'Anno è la diffusione del messaggio che le persone con disabilità hanno diritto a partecipare pienamente alla società, al lavoro e oltre: la disabilità non è di per sé stessa un 'problema', il problema è l'incapacità della società di fornire un ambiente in cui le persone disabili possano vivere e lavorare su basi paritarie con i non disabili".
Con il fine specifico di accrescere l'informazione e la presa di coscienza, di stimolare la partecipazione, di creare processi innovativi e di rafforzare il concetto di cittadinanza europea il Consiglio dell'Unione Europea ha accolto la proposta della Commissione, indicando le finalità, gli obiettivi specifici, le azioni e le modalità di attuazione in ambito comunitario e a livello dei singoli Stati membri. Gli obiettivi dell'Anno europeo delle persone con disabilità sono stati così indicati: a) la sensibilizzazione relativamente al diritto delle persone con disabilità di essere tutelate dalla discriminazione e di godere di pieni e pari diritti; b) l'incoraggiamento della riflessione e la discussione sulle misure necessarie per promuovere pari opportunità per le persone disabili in Europa; c) la promozione dello scambio di esperienze in materia di buone prassi e strategie efficaci attuate a livello locale, nazionale ed europeo; d) l'intensificazione della cooperazione fra tutte le istanze interessate, in particolare i governi, le parti sociali, le ONG, i servizi sociali, il settore privato, il settore associativo, i gruppi di volontariato, i disabili e i loro familiari; e) il miglioramento della comunicazione concernente l'handicap e la promozione di una rappresentazione positiva dei disabili; f) la sensibilizzazione all'eterogeneità delle persone con disabilità e alle molteplici forme di handicap; g) la sensibilizzazione alle molteplici forme di discriminazione cui i disabili sono esposti; h) la sensibilizzazione, in particolare, al diritto dei bambini e dei giovani disabili a un pari trattamento nell'insegnamento, in modo da favorire e sostenere la loro piena integrazione nella società e lo sviluppo di una cooperazione a livello europeo tra il personale preposto all'insegnamento speciale dei bambini e dei giovani disabili, per migliorare la partecipazione degli alunni e degli studenti a programmi specifici negli istituti normali o specializzati, come pure ai programmi di scambi nazionali ed europei.
Fra le molteplici iniziative promosse dall'Unione Europea figurano il cofinanziamento di manifestazioni e di conferenze per l'apertura e la chiusura dell'Anno a livello nazionale, nonché di progetti e azioni in linea con gli obiettivi posti nella Decisione UE. Per propagandare queste iniziative un bus ha attraversato l'Europa, con partenza dalla Grecia in gennaio e arrivo in Italia in dicembre.
L'Italia e la disabilità
Lo sviluppo delle politiche sulle disabilità in Italia si è articolato secondo percorsi lunghi e complessi a partire dai primi anni del Novecento. Con la Carta Costituzionale sono stati riconosciuti alcuni principi che attengono alla disabilità, primi fra tutti l'uguaglianza effettiva di tutti i cittadini e il diritto all'istruzione e al lavoro. L'articolo 38, in particolare, recita: "Gli inabili e minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale". Tuttavia gli interventi normativi sono rimasti a lungo frammentari e si è consolidata negli anni la pratica della 'monetizzazione dell'handicap' come risposta ai bisogni e alle esigenze delle persone con disabilità e delle loro famiglie. In questo periodo il trattamento delle persone disabili ha teso a favorire una loro separazione dai contesti ordinari della società.
Soltanto nel corso degli ultimi decenni, l'attenzione delle istituzioni pubbliche si è progressivamente evoluta, anche in risposta alle crescenti sollecitazioni pervenute dalle sedi internazionali e dalla società civile. Si è andato via via determinando un miglioramento delle condizioni di vita delle persone con disabilità e uno sviluppo del processo di integrazione sociale. Le politiche centrate sull'istituzionalizzazione e l'assistenzialismo sono state gradualmente superate promuovendo politiche di pari opportunità e stimolando la realizzazione di buone prassi, sulla base di una sempre maggiore responsabilizzazione delle istituzioni, dell'associazionismo e del privato sociale, grazie a un effettivo esercizio della partecipazione ai processi tanto decisionali quanto realizzativi delle politiche. Il cardine della vigente legislazione è la "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate" (l. 5 febbraio 1992, nr. 104, successivamente integrata con la l. 21 maggio 1998, nr. 162), che ha segnato il passaggio dallo Stato assistenziale allo Stato sociale, predisponendo condizioni strutturali a livello normativo per offrire risposte adeguate e mirate alle diverse esigenze delle persone in situazione di handicap. La legge, che consta di 44 articoli, ha affrancato la persona con disabilità dallo stereotipo della 'diversità', enunciando principi, riconoscendo i diritti di cittadinanza, individuando interventi, prevedendo servizi che assicurano l'autonomia e l'inclusione sociale. Essa regolamenta in maniera puntuale ogni aspetto della disabilità indicando procedure e misure nel campo della prevenzione, della cura, della riabilitazione, dell'educazione attraverso un sistema coordinato di rapporti e puntando sul ruolo attivo delle famiglie e dell'associazionismo quali attori indispensabili per il raggiungimento delle finalità previste; ha disposto strumenti e modalità operative a sostegno della famiglia e della vita indipendente della persona disabile, con particolare riguardo a quanti si trovano in situazione di handicap grave, e ha individuato nell'attività coordinata delle istituzioni centrali e delle autonomie locali i percorsi operativi necessari per realizzare la loro effettiva e imprescindibile esigibilità; ha definito le modalità di intervento di tipo assistenziale, indicando la tipologia di prestazioni e servizi volti a favorire l'integrazione sociale (affidamenti e inserimenti presso persone e nuclei familiari, centri socio-riabilitativi ed educativi diurni, comunità alloggio, case famiglia). In linea con i più avanzati obiettivi che la comunità internazionale ha posto ai governi nella definizione delle politiche nazionali in favore delle persone con disabilità, il quadro giuridico definito con la legge 104/92 e successive modificazioni sollecita un approccio olistico alla persona, a partire dalla sua nascita, dal contesto di riferimento, dalla presenza in famiglia, per assicurare concreti percorsi di integrazione sin dal primo ingresso nel sistema scolastico e poi, a seguire, nel mondo del lavoro; insiste sulla necessità di rimuovere le situazioni invalidanti e di predisporre interventi che evitino processi di emarginazione; chiarisce che la persona con handicap è considerata tale quando la minorazione di cui è portatrice causa delle difficoltà e può determinare processi di svantaggio sociale. Dall'emanazione della legge sono stati raggiunti considerevoli traguardi in molti ambiti, ma i risultati conseguiti non possono considerarsi pienamente soddisfacenti in termini qualitativi e quantitativi e richiedono ancora uno sforzo a livello culturale, normativo, amministrativo e operativo. La necessità di sostenere con particolare riguardo strutture e servizi a favore delle persone handicappate in situazione di gravità ha portato alla promulgazione della legge 162/98 che ha rafforzato l'impegno anche finanziario nel campo dell'assistenza e dell'integrazione sociale delle persone disabili con handicap grave, in termini di assistenza domiciliare e di aiuto personale anche della durata di 24 ore, di servizi di accoglienza e di emergenza. Poco prima, nel 1997, la legge nr. 284 aveva disposto interventi e iniziative finanziati dallo Stato e definiti dalle Regioni, rivolti alla prevenzione della cecità, all'integrazione e alla riabilitazione delle persone cieche pluriminorate. Importanti disposizioni hanno integrato e completato negli anni il quadro di riferimento giuridico in materia di disabilità. Di sensibile impatto la legge-quadro di riforma del 'sistema integrato interventi e servizi sociali' (l. 8 novembre 2000 nr. 328), che definisce un nuovo assetto di servizi e prestazioni in favore dei nuclei familiari e della persona, garantendo la non discriminazione, le pari opportunità e i diritti di cittadinanza, e definendo le responsabilità secondo l'assetto istituzionale ulteriormente innovato dalla riforma del Titolo V della Carta Costituzionale. È importante ricordare il valore del progetto personalizzato per assicurare alla persona con disabilità autonomia e integrazione attraverso l'individuazione di risposte coerenti con la specifica condizione della persona. Al Terzo settore è riconosciuto un ruolo attivo sia in termini di affidamento di servizi sia promuovendo azioni finalizzate a una sua maggiore qualificazione.
Sono state poi affrontate le complesse problematiche legate a quello che in linguaggio tecnico viene definito il 'dopo di noi': come assicurare alle persone con handicap grave che restano prive di familiari cura e assistenza in strutture di accoglienza di dimensioni ridotte. A questo scopo sono stati stanziati fondi e nel 2003 il governo ha sostenuto con nuove risorse la realizzazione di progetti personalizzati.
Il progressivo trasferimento di competenze dal centro alle realtà locali ha comportato una crescente assunzione di responsabilità da parte di Regioni ed enti locali nella definizione delle politiche sulla disabilità e nella realizzazione dei servizi e interventi. Tutte le Regioni, in attuazione delle disposizioni nazionali e in molti casi con produzione normativa autonoma, si sono impegnate in questi anni per la concreta messa in opera dei principi fondanti le politiche per la disabilità, anche attraverso la realizzazione di interventi innovativi e la promozione di iniziative sperimentali.
La scuola
L'accesso all'istruzione è certamente uno degli ambiti nei quali l'Italia ha fatto registrare i più significativi passi in avanti. Punto fondamentale è il fatto che non sono previsti percorsi scolastici 'differenziati' per gli studenti disabili. Da almeno trent'anni, grazie anche al coordinamento tra i diversi livelli di responsabilità nazionale e territoriale e alla realizzazione sistematica di progetti e sperimentazioni, gli alunni disabili sono in grado di vivere la loro esperienza formativa con tutti gli altri compagni e il loro inserimento nelle classi è assicurato dalla competenza dei docenti di sostegno, il cui numero nella scuola statale ammonta a oltre 70.000. Nel corso del tempo il livello di istruzione delle persone con disabilità si è notevolmente elevato: il 38% delle persone disabili di età compresa tra i 15 e i 44 anni possiede un diploma o una laurea, rispetto al 14% di età compresa tra i 45 e i 64 anni. Tuttavia, permane una percentuale considerevole di disabili, anche giovani, senza alcun titolo di studio: è in questa condizione circa il 15% di età compresa tra i 15 e i 44 anni, mentre fra i non disabili tale percentuale è praticamente nulla. Negli ultimi cinque anni colpisce, inoltre, l'aumento consistente degli studenti disabili nelle scuole superiori, più che raddoppiati, essendo passati da 10.377 unità del 1995-96 a 21.330 nel 1999-2000 (anche quale immediata conseguenza del prolungamento fino a 15 anni dell'obbligo scolastico). Il diritto allo studio delle persone con disabilità è garantito anche a livello universitario con l'erogazione di appositi finanziamenti (l. 17/99) destinati a strutture, tutors e agevolazioni economiche.
La famiglia
La struttura della società italiana e il ruolo giocato dalla famiglia nella cura e nello sviluppo della persona hanno richiesto la definizione di apposite norme. A partire dall'articolo 33 della legge 104/92 fino alle disposizioni in materia di maternità e paternità (d. lgs. 151/2001) sono assicurate specifiche misure per consentire di svolgere adeguatamente il lavoro di cura a fianco degli impegni professionali: permessi giornalieri e mensili, congedi retribuiti fino a due anni, possibilità di trasferirsi presso sedi di lavoro più vicine al proprio domicilio. Nel 2003 particolare attenzione è stata rivolta al rilancio delle politiche in favore della famiglia, con misure e interventi innovativi atti a supportarne il carico di responsabilità e la conciliazione tra queste e gli impegni professionali. Nella convinzione che l'aiuto alle famiglie sia un diritto prima di tutto delle persone che vivono in condizioni di limitazione a causa di un handicap, tra le priorità incluse nell'Agenda sociale del Libro bianco sul welfare, presentato dal governo nel febbraio 2003, vi è lo sviluppo di programmi e progetti che sostengano le famiglie con persone con disabilità. Si è ormai acquisita la consapevolezza che la mancanza di autosufficienza delle persone non può più essere considerata come problema della singola famiglia, ma va riconosciuta come una responsabilità della collettività, della quale ognuno, in maniera proporzionale, deve farsi carico. L'impegno è di avallare la diffusione di modelli organizzativi di servizi integrati per la cura e il trattamento delle non autosufficienze, più orientati ai servizi domiciliari e più equilibrati tra sociale e sanitario. La libertà di vivere la vita in condizioni di parità passa anche attraverso il rafforzamento delle reti di solidarietà, nelle quali, almeno in Italia, la famiglia svolge un ruolo primario. È noto infatti che dei tre miliardi di ore spese annualmente nel paese per lavoro di cura, il 95% è svolto all'interno delle reti informali di familiari, anche in senso più allargato.
Il lavoro
Dalla legge nr. 482 del 1968, che segnò l'avvio di politiche per le fasce deboli all'interno del mondo del lavoro, ci sono voluti trent'anni per giungere il 12 marzo 1999 al varo delle "Norme per il diritto al lavoro delle persone disabili". La legge nr. 68 rappresenta una virata innovativa nella definizione dei percorsi di accesso al mondo del lavoro per le persone con disabilità, introducendo in questo ambito il collocamento mirato, vale a dire un approccio olistico, mutuato dalla legge 104/92, da realizzare anche attraverso una stretta sinergia tra tutti i soggetti competenti (scuola, ASL, Comuni e Province, servizi per l'impiego, servizi per la formazione professionale, organizzazioni sindacali e datoriali, associazioni e cooperative). Orientamento intensivo e ricerca di lavoro, formazione professionale, incentivi alle imprese, sostegno all'inserimento lavorativo, lavoro protetto rappresentano le principali misure di politica attiva del lavoro indirizzate ai disabili secondo le analisi svolte nell'Unione Europea. Secondo i dati pubblicati dall'ISFOL (Istituto per la formazione dei lavoratori) nel 2000 erano oltre 340.000 le persone con disabilità iscritte alle liste uniche. A fronte si rilevava un'offerta di circa 67.000 posti di lavoro. Gli avviamenti al lavoro sono stati circa 20.000. La riforma ha diversi punti qualificanti: la legge si applica alle persone con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali; vengono introdotte nuove quote di riserva per le persone disabili in analogia a sistemi presenti in altri paesi dell'Unione Europea, riducendo la precedente percentuale ed estendendo l'obbligo a tutte le imprese superiori a 15 dipendenti, compresa la pubblica amministrazione; con il collocamento mirato è definita una nuova metodologia per l'avviamento al lavoro, volta a favorire la coerenza delle attività lavorative con le effettive potenzialità lavorative attraverso l'accertamento dei profili professionali e la predisposizione di interventi necessari per valorizzare le capacità residue; vengono decentrate le competenze in materia di collocamento al lavoro attraverso nuove funzioni degli enti locali al fine di potenziare l'integrazione tra politiche attive del lavoro, servizi all'impiego e politiche formative; sono previsti interventi di sostegno alle aziende che assumono disabili attraverso incentivi e sgravi contributivi in funzione delle disabilità dei soggetti.
Altri aspetti
Il processo di integrazione delle persone con disabilità in Italia tocca anche tanti altri aspetti legati alla partecipazione alla vita relazionale e collettiva, alle attività culturali, sportive, turistiche e del tempo libero. Notevoli, per es., gli sforzi per migliorare le condizioni di autonomia personale, di accessibilità nei contesti di vita quotidiana, di mobilità con i propri mezzi di trasporto sia attraverso la progressiva applicazione delle disposizioni in materia di superamento di barriere architettoniche (l. 13/89, d.p.r. 503/96) sia attraverso specifici interventi, comprese le agevolazioni fiscali e l'uso delle tecnologie informatiche. I significativi risultati conseguiti per migliorare la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico, nonché l'accesso ai mezzi di trasporto ferroviario, aereo e marittimo necessitano tuttavia di ulteriori azioni per arrivare a soddisfare le specifiche esigenze delle persone con disabilità. L'associazionismo delle persone disabili e delle loro famiglie ha raggiunto un'espansione quantitativa e qualitativa di rilievo. Il suo ruolo propositivo si manifesta, in particolare, attraverso la consultazione permanente di organismi istituiti a livello centrale e territoriale, attività promozionali e di collaborazione con gli enti pubblici. Le associazioni operanti sia a livello nazionale sia a livello locale si sono distinte non solo per la continua attività di informazione e sensibilizzazione sulle tematiche della disabilità, ma anche per la promozione e la gestione di servizi in favore delle persone con disabilità e di iniziative innovative e sperimentali, che in diversi casi si configurano come modelli di buona prassi da seguire in altre realtà territoriali.
Un riconoscimento di grande prestigio all'impegno riservato alle problematiche della disabilità e ai risultati conseguiti è giunto dall'Istituto Franklin & Eleanor Roosevelt, che ha conferito all'Italia per l'anno 2003 il F.D. Roosevelt International Disability Award, premio attribuito annualmente a un paese che abbia compiuto progressi normativi significativi per favorire la situazione dei propri cittadini disabili, secondo quanto previsto dal Programma mondiale di azione per i disabili adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1982.
L'Anno europeo delle persone con disabilità in Italia
In applicazione a quanto previsto dalla Decisione del Consiglio dell'Unione Europea è stato istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali l'Organismo di coordinamento per l'Anno europeo, presieduto dal Ministero e dal Dipartimento delle Politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri. A esso sono stati affidati i compiti di predisposizione delle iniziative necessarie per la programmazione, l'attuazione e il monitoraggio, a livello nazionale, delle azioni previste dalla Decisione, compresa la selezione dei progetti relativi alle azioni a livello locale, regionale, transnazionale. L'Organismo ha definito, inoltre, tempi e modalità di svolgimento del programma di lavoro e ha rappresentato la struttura di riferimento per le attività e le iniziative connesse con l'Anno europeo delle persone con disabilità promosse a livello locale e regionale. Dell'Organismo hanno fatto parte rappresentanti dei ministeri competenti in materia, delle associazioni di persone disabili e delle loro famiglie (FAND, Federazione delle associazioni nazionali disabili, e FISH, Federazione italiana per il superamento dell'handicap), delle Regioni, dei Comuni e delle Province, ed esperti della materia. Nel Programma di lavoro approvato il 5 dicembre 2002 l'Organismo ha sottolineato in particolare che "nel nostro paese occorrerà operare per contribuire a ridurre le disomogeneità che si riscontrano tra alcune realtà nell'offerta dei servizi e nella programmazione di risposte globali e mirate alle esigenze dei cittadini disabili e delle loro famiglie. Sarà necessario, inoltre, migliorare la cultura della collaborazione interistituzionale a vari livelli affinché l'esigibilità dei diritti civili dei disabili sia garantita e assicurata in ogni ambiente di vita quotidiana. Le positive esperienze in atto hanno ampiamente dimostrato che quando nei confronti delle esigenze e delle aspettative dei cittadini disabili vengono offerti servizi ed interventi coordinati ed integrati è possibile realizzare effettive condizioni di pari opportunità. In ogni contesto territoriale, in particolare, si dovrà pervenire alla realizzazione di progetti personalizzati nei confronti di ogni persona disabile in situazione di handicap grave che, nel rispetto della sua dignità, promuovano tutte le sue potenzialità di vita indipendente e le possibilità di libera partecipazione alla vita sociale". Anche ai fini dell'assegnazione delle risorse messe a disposizione dalla Commissione Europea sono state individuate alcune priorità: sensibilizzazione e diffusione delle innovazioni tecnologiche mirate a rappresentare meglio la situazione delle persone disabili e a favorire la loro comunicazione e integrazione, nonché della mobilità e degli interventi a favore delle persone disabili gravi e delle loro famiglie, con particolare riguardo alle iniziative finalizzate al miglioramento della qualità della vita nel contesto familiare. Sono state inoltre valorizzate le azioni proposte da diversi soggetti che, sempre nell'ambito delle aree indicate, si sono costituiti in rete al fine della presentazione dei progetti da parte di un unico 'capofila' e quelle connotate da aspetti innovativi e sperimentali, da elementi di trasferibilità e da possibili effetti moltiplicatori.
L'Anno europeo si è aperto in Italia con le celebrazioni ufficiali tenute a Bari il 14, 15 e 16 febbraio 2003 alle quali è stata associata, proprio per valorizzare l'impegno del paese sui temi della disabilità, la seconda Conferenza nazionale sulle politiche della disabilità, impegno triennale previsto dalla normativa vigente. La Conferenza ha rappresentato il momento di verifica dei risultati conseguiti dal primo incontro di Roma del 1999, ma è stata soprattutto un lungo momento di confronto tra istituzioni, persone con disabilità e associazioni che li rappresentano, e operatori su alcune tematiche prioritarie: famiglia, presa in carico e progetti individualizzati; scuola, università e formazione; lavoro; mobilità e accessibilità; tempo libero; prevenzione, ricerca e innovazione tecnologica. Se da un lato sono stati confermati i positivi traguardi raggiunti, dall'altro da questo lungo dibattito è scaturito un nuovo programma di lavoro denso di impegni: c'è ancora molta strada da percorrere per giungere al pieno godimento dei diritti di cittadinanza.
Un problema e due sfide
Uno dei problemi tuttora irrisolti riguarda le modalità di accertamento dell'handicap, a causa della persistente difficoltà di definire la disabilità, dello stratificarsi di norme spesso non coerenti tra loro e il consolidarsi di posizioni finanziarie connesse a diritti esigibili, oggi difficili da modificare. Il tema dell'accertamento si lega strettamente a quello definitorio. I diversi concetti e le diverse definizioni di 'invalidità', 'disabilità' e 'persona handicappata', comunemente utilizzati e vincolanti sul piano normativo e amministrativo, hanno determinato differenti criteri di classificazione e di valutazione legati a diverse cause e tipologie di disabilità o a specifiche categorie. Così ancora oggi il sistema normativo italiano prevede da un lato il riconoscimento dell'invalidità (derivante dalla legge 118/71 e dalle successive norme) e dall'altro l'accertamento dell'handicap (con riferimento alla legge 104/92 che definisce la persona handicappata e le modalità per la sua individuazione). Da tempo le associazioni, gli operatori e le istituzioni preposte sollecitano una riforma profonda in questo settore. Anche dalla Conferenza di Bari è emersa con forza l'esigenza di definire un nuovo sistema di classificazione, che potrebbe utilmente riferirsi allo standard internazionale per descrivere e misurare la salute, vale a dire all'ICF (International classification of functioning, disability and health), messo a punto nel 2001 dall'Organizzazione mondiale della sanità. Esso si basa su tre livelli di osservazione: quello del corpo (come menomazione di funzione o struttura corporea), quello della persona (significativo dell'ampiezza dell'attività e della restrizione alla partecipazione alla vita sociale) e infine quello del livello dell'integrazione nella società. Questo approccio consente di individuare gli aspetti positivi e negativi esistenti nelle interazioni tra soggetto disabile e ambiente nel quale vive. Nuovi criteri per la definizione e l'accertamento della disabilità agevolerebbero tra l'altro l'individuazione della migliore soluzione in termini di progetto personalizzato per ogni persona che vive la condizione di disabilità. Una sfida ancora da giocare è rappresentata dalle opportunità offerte dall'innovazione tecnologica. In questo senso il Libro bianco sull'innovazione tecnologica, presentato a Roma il 5 marzo 2003 a cura di una Commissione interministeriale (Lavoro e politiche sociali, Innovazione e tecnologie, Salute), è una grande apertura sul futuro, contenendo una serie di proposte concrete, di obiettivi e di iniziative da mettere in atto anche attraverso un nuovo disegno di legge, e indicando alcune azioni necessarie a promuovere l'inserimento delle persone con disabilità nella società basata sull'informazione e la conoscenza. Il governo si è impegnato a recepire le molteplici raccomandazioni e a determinarne l'attuazione nell'arco della legislatura.
L'Unione Europea ha da sempre evidenziato, insieme ai vantaggi di una società basata sulle tecnologie dell'informazione, le barriere che lo sviluppo informatico può creare per la crescita democratica dell'intera popolazione e, in particolare, di alcuni gruppi più vulnerabili. Le misure adottate a livello europeo per migliorare la 'e-accessibilità' vanno ad agire su diversi aspetti: diritti umani, inclusione sociale, supporto alla R&S e azioni di standardizzazione. La 'e-accessibilità' è dunque una delle misure e delle iniziative intraprese nei confronti del mondo della disabilità, come dimostrano tra l'altro la Comunicazione Verso un'Europa senza barriere per i disabili del 12 maggio 2000 e la Direttiva del Consiglio Europeo del 27 novembre 2000. Nel 2002 è stato lanciato il Piano di azione e-Europe 2002: una società dell'informazione per tutti ispirato dalla sempre più diffusa consapevolezza che l'applicazione delle tecnologie digitali è divenuta il fattore chiave per la crescita e l'occupazione. Gli ambiziosi obiettivi da conseguire prevedono dieci azioni principali, tra le quali la promozione della 'e-participation' delle persone disabili.
L'Europa e l'Italia hanno dunque un obiettivo prioritario: rendere patrimonio di tutti la società basata sulle tecnologie dell'informazione; è concreto, infatti, il pericolo che le persone con disabilità, non riuscendo ad accedere alle tecnologie, ne possano rimanere escluse. Il settore pubblico - con il supporto di quello privato e delle componenti della società civile che già si impegnano a favore dei più deboli - può certamente dare un contributo decisivo per promuovere lo sviluppo di una società dell'informazione veramente aperta a tutti, ispirata all'esigenza di rispondere ai bisogni di ogni individuo, a prescindere dalla condizione sociale e dalle competenze professionali. Nell'ottica della necessità di un intervento attivo delle istituzioni per abbattere le barriere tecnologiche e assicurare la reale accessibilità per tutti, il Libro bianco ha individuato le tre aree in cui può essere strategico l'apporto delle tecnologie per il miglioramento sostanziale della qualità della vita delle persone con disabilità: la prevenzione di malformazioni genetiche, la riabilitazione e il raggiungimento della piena inclusione sociale. È comunque determinante la chiara definizione dei termini 'accessibile' e 'accessibilità', che devono essere distinti da 'accesso'. Mentre questo identifica semplicemente la disponibilità di hardware, software e infrastrutture, l'accessibilità indica se e come la tecnologia può essere utilizzata dall'utente finale disabile. Per es., un design accessibile è quello che permette di utilizzare la rete web o un computer in maniera funzionale alle proprie esigenze. Perché tutti possano navigare in rete senza penalizzazioni dovute a disabilità, il W3C (World wide web consortium) ha promosso la WAI (Web accessibility initiative) che mira a individuare e suggerire criteri di realizzazione dei siti web tali da permettere la fruizione delle informazioni in essi contenute, indipendentemente dalle disabilità eventualmente presenti nel soggetto.
La seconda sfida è rappresentata dal contributo che il mondo imprenditoriale potrà apportare allo sviluppo sociale del paese. La Responsabilità sociale d'impresa (CSR, Corporate social responsibility), di cui si è cominciato a parlare in Europa nel 1993, impegna le imprese a prendere parte allo sviluppo sostenibile della società attraverso impegni precisi nella lotta contro l'esclusione sociale, la diffusione di buone prassi collegate all'istruzione e alla formazione lungo tutto l'arco della vita, all'organizzazione del lavoro, all'uguaglianza delle opportunità, all'inserimento sociale e allo sviluppo durevole. Il progetto CSR-SC (Social commitment), presentato dal Ministero del Lavoro e politiche sociali nel dicembre 2002 e inserito tra le priorità del semestre di Presidenza italiana dell'Unione Europea, è in sintonia con le linee guida dell'Unione. Esso attribuisce importanza alla diffusione di comportamenti etici nelle imprese, ma con un ampliamento di questa visione attraverso il loro coinvolgimento nel finanziamento di una parte delle politiche di welfare. Il governo sollecita pertanto interventi proattivi nel sociale, il social commitment dell'azienda, allo scopo di "favorire la partecipazione attiva delle imprese al sostegno del sistema di welfare nazionale e locale secondo una moderna logica di integrazione pubblico-privato". In particolare, per quanto riguarda la disabilità, è evidente che le aziende che investono nel lavoro delle persone disabili investono nel successo economico, civile e culturale della propria azienda oltre che di tutta la società.
repertorio
Il problema della definizione
Il primo tentativo di uniformare e sistematizzare il concetto di disabilità è stato compiuto dall'Organizzazione mondiale della sanità, che nel 1980 ha pubblicato, dopo anni di lavori, la Classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali (ICIDH, International classification of impairments, disabilities and handicaps). Questa pubblicazione, che tentava di soddisfare le necessarie esigenze di omogeneità interpretativa e definitoria, distingueva tre livelli: la menomazione, intesa come qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica (esteriorizzazione); la disabilità, ovvero qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un'attività nel modo o nell'ampiezza considerati normali per un essere umano (oggettivazione); l'handicap, ovvero la condizione di svantaggio, secondaria a una menomazione o a una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l'adempimento del ruolo ritenuto normale per esso in relazione all'età, al sesso e a fattori socioculturali (socializzazione). Il merito di questa classificazione è stato quello di porre l'accento su tre elementi principali: lo scostamento dalla normalità organica, funzionale e operativa, individuato come tale sia dal soggetto interessato sia dai membri del gruppo di cui egli è parte; i valori culturali, quali il tempo, il luogo, la condizione sociale e il ruolo, per cui un individuo può essere considerato disabile in un gruppo e non in un altro; la presenza di uno svantaggio per la persona colpita. La medicina del tempo aveva infatti la tendenza a scindere la 'malattia' dalla persona che ne era affetta e dal contesto nel quale questa viveva. L'OMS ha sottolineato invece come a causa dell'incapacità o impossibilità del soggetto che ne è portatore di corrispondere ai modelli del suo particolare gruppo di appartenenza, la disabilità assume carattere di fenomeno sociale, prima ancora che medico-biologico, e si connota per la sua neutralità riguardo ai fattori che l'hanno originato. Con il passare del tempo, però, si è dovuto riconoscere che la pubblicazione del 1980 aveva molti limiti concettuali, non ultimo proprio quello di proporre un modello di disabilità di natura quasi consequenziale: malattia-menomazione-disabilità-handicap. Numerose revisioni e critiche di questo modello hanno portato a una nuova classificazione. Ai lavori di stesura e di validazione, cominciati negli Stati Uniti e in Canada nel 1993 e durati sette anni, hanno partecipato 65 paesi, tra cui l'Italia. Nel maggio 2001 l'OMS ha pubblicato la nuova Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e disabilità, (ICF, International classification of functioning, disability and health), che 191 paesi riconoscono come la nuova norma per salute e disabilità. Il documento rinnega l'uso di termini come impairment e handicap, che in uno studio condotto dall'OMS in diversi paesi risultano avere connotazione negativa, e riconosce che la disabilità non riguarda una categoria separata di persone ma può interessare qualsiasi soggetto, poiché chiunque può trovarsi in una condizione di salute che in un contesto ambientale sfavorevole causa disabilità.
L'ICF è quindi una classificazione della salute e degli stati a essa correlati, che tiene conto del contesto ambientale (familiare, sociale, economico e lavorativo) dei soggetti interessati. La salute è multidimensionale, così come la disabilità; per questo motivo viene introdotta una griglia classificatoria che tiene conto dei seguenti parametri: le funzioni corporee (sia fisiologiche sia intellettive); le strutture corporee (le parti anatomiche del corpo); le attività (l'esecuzione di un compito o di un'azione da parte di un individuo); la partecipazione (ovvero il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita); i fattori ambientali (le caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti, che possono avere impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto). Il documento OMS prevede pertanto una valutazione a più livelli, a loro volta estensibili a ulteriori sottoclassificazioni. A ogni livello di classificazione è associata una sigla.
Rispetto a quella precedente, la classificazione ICF ha il vantaggio di non dover specificare le cause di una menomazione o disabilità, ma solo di indicarne gli effetti. La classificazione non si occupa della diagnosi, che non ha rilevanza dal punto di vista del funzionamento e della disabilità, intesa sia come 'restrizione di attività' sia come 'limitazione di partecipazione'. L'ICF, quindi, pone tutte le patologie sullo stesso piano, indipendentemente dal fatto che la loro causa sia di origine fisica, psichica o sensoriale. Viene invece messa in evidenza l'esigenza di intervenire sul contesto sociale, costituendo una rete di servizi di qualità che consentano di fatto di ridurre la disabilità. Inoltre, l'ICF 'codifica' l'esperienza della disabilità, riconoscendola come universale, e nel suo spostare il fuoco dalla causa all'impatto, colloca tutte le condizioni di salute su un piede di parità, consentendone una comparazione, basata su un metro comune. L'OMS, applicando i nuovi criteri, ha stimato che ogni anno vengono 'persi' 500 milioni di anni di vita in buona salute a causa di disabilità associate a patologie.
Dati quantitativi
Il problema della definizione di disabilità influenza anche la rilevazione statistica: la terminologia infatti cambia a seconda del tipo di rilevazione e di chi la effettua (spesso si usano in modo impreciso termini come disabile, handicappato, invalido, inabile ecc.). La principale fonte di dati utilizzata per stimare il numero di disabili presenti in Italia è l'Indagine ISTAT sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari. L'Istituto di statistica adotta la definizione di disabilità proposta dall'OMS nella classificazione del 1980; la rilevazione è però parziale e va quindi integrata per giungere a una stima complessiva.
Secondo i dati ISTAT presentati il 12 marzo 2003 sono 2.800.000 le persone con disabilità in Italia. Il numero sale a 4.400.000, pari all'8,5% della popolazione con più di sei anni, se si considerano i cittadini con difficoltà a svolgere almeno un'attività della vita quotidiana. Sono 2.364.000 le famiglie con un componente disabile. Di queste, solo 291.000 ricorrono a servizi di assistenza. La stragrande maggioranza dei disabili (2.600.000, il 5% della popolazione) non è autonoma nello svolgere almeno un'attività quotidiana e vive in famiglia: le donne sono più numerose degli uomini (1.700.000 contro 900.000) e il 75% è costituito da anziani. Altre 165.000 persone non autosufficienti o con disabilità psichiche vivono in istituti di assistenza. Sono confinate a letto o su una sedia a rotelle 1.153.000 persone: vive in queste condizioni il 25% degli anziani (900.000 persone). Presentano difficoltà nel vestirsi, nel lavarsi, nel mangiare e quindi necessitano di aiuto 1.555.000 persone (3% della popolazione), mentre la disabilità nei movimenti riguarda 1.204.000 persone (2,2%) e quella sensoriale (problemi nel sentire, vedere, parlare) 600.000 persone (circa 1%). Stime ufficiali fissano a 37 milioni il numero totale di disabili presenti nei paesi dell'Unione Europea (il 10% della popolazione dell'Unione) e a 80 milioni quello dei disabili del continente europeo.
A livello mondiale sono calcolate in più di mezzo miliardo - il 10 % della popolazione - le persone con disabilità di ordine fisico, mentale o sensoriale: l'80% circa vive nei paesi in via di sviluppo e per di più in aree rurali, e il loro numero aumenta in ragione della crescita demografica e di guerre, violenze, disastri naturali, della carenza di servizi sanitari e assistenziali, raggiungendo in alcuni paesi il 20% dell'intera popolazione. La vita delle persone disabili, nella maggior parte dei casi, è caratterizzata da fenomeni di segregazione e marginalizzazione e da forme gravi di discriminazione a causa dei pregiudizi e dell'ignoranza.
Le organizzazioni internazionali e la disabilità
Nazioni Unite
Da oltre cinquant'anni la comunità internazionale è impegnata nel porre fine all''emergenza silenziosa' che colpisce le persone con disabilità e le loro famiglie e che origina fortemente dalle condizioni di scarso sviluppo economico e sociale dei paesi. Il profondo impegno profuso dall'ONU e delle Agenzie a essa collegate, quali l'UNESCO, l'UNICEF, l'OMS, l'ILO, in tutti i settori che interessano le problematiche della disabilità affonda le radici nella Carta delle Nazioni Unite, il cui Preambolo riconosce la dignità e il valore di ogni persona e dà primaria importanza alla promozione della giustizia sociale, e nella Dichiarazione universale dei diritti umani, nella quale è esplicitamente menzionato il diritto di ogni persona alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà (articolo 25). Nel primo decennio di attività le Nazioni Unite si sono mosse in una prospettiva di assistenza, a partire dalle azioni indirizzate a favore delle persone affette da cecità e orientate soprattutto alla prevenzione e alla riabilitazione. Gli anni Sessanta hanno visto un progressivo spostamento dell'attenzione in direzione dello sviluppo sociale e della promozione dell'integrazione sociale delle persone con disabilità; tale indirizzo ha portato nel dicembre 1969 all'adozione della Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo sociale, che enfatizzava l'esigenza di proteggere i diritti e il benessere delle persone affette da disabilità fisiche e mentali. Gli anni Settanta hanno segnato una svolta importante con l'affermazione sul piano internazionale del tema dei diritti umani in relazione alle persone disabili. Hanno rappresentato una tappa fondamentale due importanti strumenti adottati dall'Assemblea Generale. Il primo è la Risoluzione sui diritti delle persone con ritardi mentali (20 dicembre 1971) che definiva un quadro di riferimento per la loro protezione, con attenzione particolare all'assistenza sanitaria e scolastica, alla sicurezza economica e alle misure di tutela dalle discriminazioni. Il secondo è la Dichiarazione sui diritti delle persone disabili (9 dicembre 1975) che, oltre a confermare i diritti allo studio e all'accesso ai servizi, riconosceva l'importanza di misure atte a favorire l'autosufficienza delle persone con disabilità, la loro sicurezza economica e sociale, il diritto al lavoro e a vivere nel contesto familiare; la dichiarazione sottolineava soprattutto l'esigenza di strumenti che impedissero forme di sfruttamento o discriminazione. Nel 1976 l'Assemblea Generale dichiarò il 1981 'Anno internazionale delle persone disabili', sollecitando i governi ad attivare meccanismi per il raggiungimento degli obiettivi indicati in tutti gli aspetti della vita quotidiana: ha preso le mosse così quel processo, ancora in atto, che ha trasformato la persona con disabilità da paziente in cittadino. Il 1981, oltre a molteplici programmi e azioni, ha visto anche l'istituzione di un Fondo di supporto ai governi. Nel 1982 veniva inoltre proclamato il 'Decennio (1983-1992) della disabilità'. Il World program of action, adottato nel 1982 quale impegno dell'Assemblea Generale all'indomani dell'Anno internazionale, ha definito le politiche sulla disabilità secondo tre direttrici principali: prevenzione, riabilitazione e pari opportunità. La sua implementazione ha comportato la definizione di strategie di lungo periodo integrate nelle politiche nazionali sullo sviluppo socioeconomico e sulle attività di prevenzione, con un approccio multidisciplinare e multisettoriale comprensivo dello sviluppo delle tecnologie e della prevenzione della disabilità, l'attuazione di legislazioni nazionali contro la discriminazione con particolare riguardo all'accesso ai benefici, alla sicurezza sociale, all'istruzione e all'occupazione. I governi sono stati inoltre invitati a rafforzare la cooperazione internazionale mentre le Nazioni Unite si impegnavano a lavorare in stretto raccordo con le Organizzazioni non governative. Si è chiesto inoltre di destinare risorse per il raggiungimento degli obiettivi fissati e per la prima volta si è avviata la riflessione sul rapporto tra le persone disabili e l'ambiente che li circonda: si è cominciato a parlare di abbattimento delle barriere quale conditio sine qua non per l'accessibilità e l'integrazione. Il Decennio della disabilità ha impresso un rinnovato slancio alle politiche del settore: è stato nuovamente finanziato il Fondo per la realizzazione di progetti innovativi, si sono rafforzate le iniziative di promozione dei diritti e delle opportunità, si è focalizzata l'attenzione sulle occasioni nel campo del lavoro, si è proceduto a una verifica di medio termine sull'implementazione del World program. Veniva riconosciuta poi la necessità di ampliare lo spettro delle azioni verso la disabilità con campagne di informazione "a vasto raggio e ben coordinate", realizzando una banca dati sulla disabilità e mettendo a punto programmi di cooperazione tecnica.
Nel 1993 è stata istituita la 'Giornata internazionale delle persone con disabilità', da celebrare il 3 dicembre di ogni anno, e sono state approvate le 22 Regole standard, che rappresentano il momento di sintesi dell'evoluzione dei principi in materia di disabilità e delle definizioni di strumenti per assicurare alle persone con disabilità condizioni di vita paritarie. Esse costituiscono uno strumento internazionale di grande portata innovativa, toccando tutti i profili della disabilità a partire dall'annosa questione della definizione, e indicano ai governi il modo di affrontare e gestire efficacemente le problematiche connesse alla disabilità, di approntare regimi giuridici in grado di garantire concretamente e quotidianamente l'accessibilità, la mobilità, l'ingresso nel mondo del lavoro, l'accesso alla cultura, il godimento di tutti i diritti, compresi quello a vivere in famiglia e a costruirsi una famiglia propria, e quello, soprattutto per le persone che vivono in condizioni di gravità, a ricevere servizi di sostegno sanitari e assistenziali adeguati per sé e per chi ha cura di loro. Le Regole stabiliscono inoltre meccanismi di monitoraggio per garantirne l'applicazione.
L'ultimo decennio ha visto il proseguimento dell'impegno costante delle Nazioni Unite e degli organismi specializzati per la promozione, la verifica, il monitoraggio dell'implementazione delle Regole e per la promozione dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità. Questi temi hanno attraversato inoltre il dibattito sviluppato nelle numerose Conferenze mondiali tenute negli anni Novanta: dal Cairo (Popolazione e sviluppo, 1994), a Stoccolma (Sviluppo sociale, 1995), a Pechino (Politiche femminili, 1995). Con la Risoluzione 56/168 nel dicembre 2001 è stato istituito dall'Assemblea Generale un comitato ad hoc allo scopo di valutare l'opportunità di un nuovo strumento convenzionale, onnicomprensivo e integrale per la promozione e la protezione dei diritti e della dignità delle persone con disabilità, basato su un approccio olistico e che tenga in considerazione sviluppo sociale, diritti umani e non discriminazione.
Consiglio d'Europa
Parallelamente all'attività dell'ONU e con vigore e impegno non inferiori, il dibattito e la ricerca di strategie sempre nuove per la realizzazione di condizioni di parità in favore delle persone con disabilità sono stati condotti in seno al Consiglio d'Europa, per sua vocazione statutaria dedicato a un vasto ambito di tematiche, tra cui in primo piano figurano la promozione dei diritti umani, la definizione di regimi giuridici a tutela dei diritti della persona, lo sviluppo dei processi di coesione sociale, la protezione delle minoranze, della diversità e dell'identità. La Convenzione Europea firmata a Roma il 4 novembre 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali rappresenta il primo fondamento dell'impegno del Consiglio d'Europa per la promozione dei diritti delle persone con disabilità, laddove all'articolo 14 sancisce il divieto di discriminazione. Con l'Accordo parziale nell'ambito sociale e della sanità pubblica, sottoscritto nel 1959 da sette paesi tra cui l'Italia (oggi sono 18) e otto osservatori, la politica del Consiglio d'Europa ha contribuito poi a incoraggiare e a concretizzare i processi di integrazione delle persone con disabilità, stimolando il superamento degli interventi meramente assistenziali e finanziari. La dignità umana, le pari opportunità, una vita autonoma, una partecipazione attiva alla vita della collettività sono i temi che costituiscono il cuore delle attività del Consiglio d'Europa in favore delle persone disabili. L'obiettivo generale è quello di promuovere la coesione sociale in Europa conciliando il principio d'uguaglianza dei diritti per tutti gli individui e la nozione dei bisogni particolari. Una delle aree di intervento riguarda la riabilitazione e l'integrazione delle persone con disabilità. Al Comitato per il riadattamento e l'integrazione delle persone disabili è affidato il compito di coordinamento delle azioni, anche assicurando il necessario raccordo con altre organizzazioni internazionali, nonché con le Organizzazioni non governative.
In cinquant'anni di attività il Consiglio d'Europa ha messo a punto una ricca produzione di provvedimenti, di studi, di analisi comparative soprattutto sui temi della disabilità che gli sono più congeniali: da un lato le legislazioni nazionali e la loro efficacia, dall'altro la riabilitazione, la prevenzione, la formazione degli operatori, l'istruzione, la formazione e l'inserimento professionale delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, la condizione della donna disabile, maggiormente esposta al rischio di discriminazione e di sfruttamento. Alcuni di questi atti rappresentano un autentico caposaldo nell'evoluzione delle politiche nazionali e internazionali in tema di disabilità. Il principale è la Risoluzione R(92)6 Una politica coerente per le persone con disabilità, adottata il 9 aprile 1992, all'indomani della prima Conferenza europea dei ministri del Consiglio d'Europa responsabili per le politiche sulla disabilità, tenuta a Parigi: definendo il programma-quadro delle attività del Consiglio in quest'ambito, la Risoluzione delinea, al di là dei principi generali, le strategie di intervento attraverso le quali i governi nazionali possono attuare in tutti gli ambiti un approccio integrato e globale alle persone con disabilità, anche in settori quali l'identificazione e la diagnostica, i trattamenti e gli aiuti terapeutici, o ancora l'educazione, il lavoro, il riadattamento e l'integrazione. Dalle più recenti analisi effettuate, è emerso che la R(92)6 del 1992 ha favorito particolarmente lo sviluppo di processi evolutivi nei paesi aderenti al Comitato per il riadattamento e l'integrazione delle persone disabili, ove è stato possibile coniugare il più tradizionale approccio di welfare a misure antidiscriminazione. Al 1995 risale la Carta sulla valutazione professionale delle persone disabili, che invita a un ricollocamento delle priorità: valutare le competenze professionali delle persone e non i loro handicap, mettendoli in rapporto con ambiti professionali particolari.
Dagli anni Settanta, il Consiglio d'Europa ha rivolto la sua attenzione a un altro aspetto determinante per la vita delle persone con disabilità: le condizioni dell'ambiente. Si è occupato quindi di accessibilità agli edifici pubblici, alle abitazioni o alle installazioni per il tempo libero, con la consapevolezza che le sole modifiche tecniche o architettoniche non bastano a ridurre tutte le difficoltà che si possono incontrare in un ambiente edificato. Si è così sviluppato in seno al Consiglio il principio detto di 'concezione universale', che mira a prevedere un'accessibilità ottimale per tutti gli utilizzatori di un nuovo edificio, a partire dalle prime fasi della progettazione. Il principio di fondo è che non spetta all'utente 'adattarsi all'edificio', ma a quest'ultimo di rispondere ai bisogni di tutti i suoi utilizzatori. Nel 2001 il Consiglio d'Europa ha adottato una Risoluzione che invita gli Stati membri a introdurre i principi di 'concezione universale' in tutte le costruzioni. Il provvedimento si rivolge in particolare agli addetti ai lavori (architetti, ingegneri ecc.) affinché si formino secondo tali principi e li applichino concretamente nei loro progetti e nelle loro realizzazioni. Il Consiglio d'Europa segue inoltre attentamente gli sviluppi nell'utilizzazione delle tecnologie applicate al mondo della disabilità e l'impatto delle nuove tecnologie sulla qualità di vita, analizzandone l'apporto in funzione dei diversi tipi di deficit. In una Risoluzione ha sottolineato l'importanza di garantire un accesso equo delle persone disabili a queste opportunità: i mezzi informatici devono essere facilmente utilizzabili dalle persone disabili, affinché si prevenga ogni 'discriminazione tecnologica'.
Alla fine del 2000 il Consiglio d'Europa ha pubblicato uno studio comparativo sulle legislazioni dei paesi aderenti (aggiornato nel 2003), allo scopo di fare un bilancio dell'attuale assetto normativo a livello nazionale, sotto diversi aspetti: educazione, mobilità, accessibilità, orientamento e formazione professionale, impiego, sport, divertimenti e cultura, cure mediche ecc. Il rapporto approfondisce tre approcci principali per misurare la parità di opportunità: la legislazione antidiscriminatoria, il trattamento preferenziale e le misure compensatorie. Emerge che quasi tutti i paesi intorno agli anni Novanta hanno adottato legislazioni antidiscriminazione, peraltro già contemplate in alcune Carte Costituzionali. È raccomandato ai governi di adottare una combinazione equilibrata di misure legislative e di altro tipo per eliminare ogni discriminazione fondata sulla disabilità e raggiungere così la piena cittadinanza delle persone disabili.
Il 7 e 8 Maggio 2003 i ministri responsabili per le politiche sulla disabilità si sono riuniti per la seconda volta a Malaga, per confrontare e condividere i risultati conseguiti nei rispettivi paesi in adesione alla Risoluzione del 1992, fissare gli obiettivi del prossimo decennio e individuare i principali ambiti d'azione in cui sono necessari ulteriori progressi. Sono stati approfonditi due temi in particolare: la promozione della partecipazione attiva e quindi la piena cittadinanza delle persone disabili, e lo sviluppo di approcci innovativi in materia di servizi orientati a incontrare i bisogni delle persone con disabilità in qualità di 'consumatori'. Il confronto tra le delegazioni dei 45 paesi ha evidenziato l'esigenza di coinvolgere maggiormente e più direttamente le persone disabili nell'elaborazione delle politiche che le riguardano, e di sollecitare i governi su questioni meno evidenti ma non meno gravi, come la situazione delle donne disabili o l'integrazione dei bambini disabili nell'ambiente scolastico 'normale'. L'elaborazione di un nuovo piano d'azione deriva dalle raccomandazioni contenute nella Dichiarazione politica, che riafferma l'esigenza di migliorare la qualità della vita quotidiana delle persone con disabilità, la loro attiva partecipazione e integrazione nella vita della società, per la piena affermazione dei diritti di cittadinanza. In questo ambito come 'cittadinanza' si deve intendere il riconoscimento e l'attuazione dei diritti, la reale tutela in ogni intervento politico e normativo che anche di riflesso possa coinvolgere la vita delle persone con disabilità, la difesa davanti ai tribunali di ogni ordine e grado.
Unione Europea
Analogamente a quanto realizzato nelle altre sedi internazionali, le istituzioni europee hanno riservato crescente attenzione ai diritti delle persone con disabilità, soprattutto in relazione all'attuazione di alcuni principi particolarmente cari alla Comunità Europea: i diritti umani, i diritti di cittadinanza, le pari opportunità, la non discriminazione, la partecipazione con un approccio trasversale alle politiche di inclusione sociale, istruzione e formazione, l'integrazione lavorativa, l'accessibilità, la mobilità, la libera circolazione. Una società aperta e accessibile, dalla quale sono rimosse tutte le barriere, è l'obiettivo generale della 'Strategia sulla disabilità' definita dell'Unione Europea, modellata sui principi base delle Regole standard delle Nazioni Unite. L'Unione Europea ha sempre profuso grande impegno su questo versante, contribuendo in maniera significativa allo sviluppo e al consolidamento di più ampie e adeguate politiche di integrazione sociale e ponendo la disabilità come questione di interesse comunitario. A partire dal 1990 l'attività della Commissione e del Parlamento per la definizione di una nuova strategia culturale e politica all'interno dell'Unione si è intensificata, caratterizzandosi per un approccio integrato con le strategie di politica generale dei paesi membri, nel convincimento che non si possono raggiungere risultati apprezzabili in questo settore se non abbandonando ogni forma di approccio separatistico. Senz'altro rilevante è stata l'azione portata avanti dai movimenti europei delle persone con disabilità, consolidando il dialogo tra le istituzioni europee e le Organizzazioni non governative, le associazioni e le parti sociali. Ciò ha rafforzato inoltre il principio di partecipazione delle persone con disabilità ai processi decisionali e di individuazione delle nuove strategie: è questa una condizione imprescindibile, in quanto mai come in questo ambito è possibile intercettare realmente i bisogni degli interessati soltanto ascoltando e accogliendo proposte e suggerimenti che nascono dalle difficoltà quotidiane.
Al 30 maggio 1990 risale la Risoluzione del Consiglio dei ministri dell'Istruzione sull'integrazione degli studenti con disabilità nel sistema educativo ordinario, con l'obiettivo di favorire una vita attiva e più soddisfacente da adulti, partendo dall'integrazione nel sistema scolastico ordinario e ricorrendo ai servizi specializzati in caso di necessità. È stata tuttavia la Comunicazione della Commissione Europea del 30 luglio 1996 'Sulla parità di opportunità delle persone con disabilità' a segnare la svolta portando all'elaborazione della 'Strategia culturale e politica', da cui sono discesi la Risoluzione del Consiglio del 20 dicembre 1996 'Sull'eguaglianza di opportunità per le persone disabili', e soprattutto l'articolo 13 del Trattato di Amsterdam, riguardante l'adozione di una disposizione relativa alla non discriminazione che autorizza il Consiglio a prendere i provvedimenti necessari, deliberando all'unanimità, per lottare contro qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, sulla razza, sull'origine etnica, sulle credenze religiose o sui convincimenti personali, su un handicap, sull'età o sull'inclinazione sessuale. La Risoluzione del 1996, tra l'altro, invita gli Stati membri a orientare le politiche nazionali in direzione di un empowerment delle persone con disabilità, al fine di garantire la loro partecipazione nella società, incluse le persone con gravi condizioni e rivolgendo particolare attenzione ai bisogni delle loro famiglie. Una nuova Risoluzione del Consiglio del 17 giugno 1999, dedicata all'inserimento lavorativo delle persone con disabilità, ha sollecitato gli Stati a riservare particolare attenzione a questo settore sulla base dei risultati emersi dalla Conferenza sulla politica europea per l'occupazione delle persone disabili del febbraio 1999. In particolare si tratta di sviluppare politiche occupazionali anche attraverso azioni preventive e positive in cooperazione con le parti sociali e le ONG; sfruttare a pieno le risorse disponibili sui Fondi Strutturali; riservare attenzione alle possibilità offerte dalla società dell'informazione in termini di nuovi sbocchi. Secondo il Consiglio, le pari opportunità nell'occupazione si raggiungono attraverso una serie di interventi nel settore della formazione e dell'apprendimento continuo e assicurando la protezione contro i licenziamenti illeciti, l'accessibilità del luogo di lavoro, la tutela dell'occupazione. I dati dicono che il 17% della popolazione in età da lavoro nell'UE ha qualche forma di disabilità; che più del 50% tra le persone disabili è fuori dal mercato del lavoro rispetto al 25% dei normodotati; che nell'ambito della forza lavoro le persone disabili hanno il 50% in più di probabilità di rimanere disoccupate; che quelle che trovano lavoro hanno possibilità di carriera molto più limitate.
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata solennemente al Consiglio europeo di Nizza del 7-9 dicembre 2000, così recita all'articolo 21: "È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, […] di qualsiasi altra natura, la nascita, gli handicap [ …]" e all'articolo 26: "L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità". In adesione alle previsioni contenute nel Trattato di Amsterdam, la Commissione ha avviato un nuovo processo per la definizione di strategie, in particolare con la Comunicazione del 12 maggio 2000 al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni. Essa affronta essenzialmente la questione dell'accessibilità, sottolineandone lo stretto legame con la cittadinanza piena nella società moderna. Un miglioramento dell'accessibilità ha ripercussioni positive in altri settori, come la qualità della vita professionale, la tutela del consumatore e la competitività delle imprese. Corollario di questo principio è la mobilità, cruciale per garantire la partecipazione all'attività economica e sociale. La Comunicazione tocca poi gli aspetti legati alla non discriminazione ricordando che il nuovo articolo 13 ha gettato le basi per un notevole sviluppo della promozione dell'uguaglianza dei diritti per i disabili a livello dell'Unione.
Dall'adozione della 'Strategia europea per l'occupazione' del 1997, le questioni collegate alla disabilità costituiscono parte integrante degli orientamenti annuali del Consiglio. I Piani d'azione nazionali per l'occupazione (PAN/ occupazione) comprendono sforzi evidenti per il miglioramento delle prospettive professionali delle persone con disabilità, considerate come uno dei gruppi che possono maggiormente beneficiare delle azioni preventive e di misure per l'occupazione. Provvedimenti in favore delle persone con disabilità sono inoltre contenuti nei Piani nazionali d'azione sulla povertà e l'inclusione sociale che, come stabilito dal Consiglio europeo di Lisbona, devono sviluppare azioni prioritarie indirizzate a particolari gruppi bersaglio. Gli Stati membri operano una scelta tra queste azioni a seconda della loro situazione specifica.
La nuova Strategia, sostenuta fortemente dal Parlamento Europeo, ha portato alla definizione di due programmi comunitari (sulla non discriminazione e sulla lotta all'esclusione sociale), di azioni politiche di inclusione sociale in tutte le politiche dell'Unione (dalle nuove tecnologie, ai trasporti, all'impiego, alla produzione di beni e servizi), a una legislazione sulla non discriminazione (Direttiva 78/2000 sulla non discriminazione in materia di impiego), a una serie di indirizzi parlamentari (sull'Europa senza barriere, sull'uso delle nuove tecnologie, nel campo della ricerca ecc.). La Direttiva 78/2000, che i paesi membri si sono impegnati a recepire entro la fine del 2003, rappresenta un traguardo di alto profilo nella definizione di politiche di piena integrazione delle persone disabili: con questa gli Stati membri hanno accettato di proibire, laddove non ancora previsto negli ordinamenti nazionali, ogni forma di discriminazione sia diretta sia indiretta, a motivo di credo religioso o convinzioni personali, handicap, età e tendenze sessuali in materia di occupazione, di formazione professionale e di condizioni di lavoro. Il provvedimento consente alle vittime della discriminazione di avviare una procedura giudiziaria o amministrativa, associata a sanzioni proporzionate e, circostanza di grande portata innovativa, di trasferire l'onere della prova, nelle cause civili, a carico del convenuto. La ridefinizione dei luoghi di lavoro perché siano realmente accessibili rappresenta uno dei principali aspetti della nuova legislazione. Alla Direttiva si è aggiunta la Decisione del 27 novembre 2000 che ha definito un Programma d'azione comunitaria per combattere la discriminazione finanziando progetti in questo ambito. Interlocutore costante delle istituzioni europee sui temi della disabilità è il Forum europeo della disabilità, fondato nel 1996. Ne fanno parte i 15 Consigli nazionali della disabilità e differenti gruppi attivi a livello nazionale. In questi anni il Forum ha dato un forte contributo alla definizione delle politiche europee in questo ambito e alla messa a punto degli atti a ciò destinati. Nel marzo 2002 con la Dichiarazione di Madrid Non discriminazione più azione positiva=integrazione, gli oltre 600 partecipanti al Congresso europeo sulla disabilità hanno accolto con favore la proclamazione dell'Anno europeo della disabilità e hanno proposto un quadro ideale d'azione, di obiettivi e di strategie da sviluppare durante questo tempo a livello nazionale, regionale e locale.