Disadattamento
Il termine disadattamento indica una particolare categoria di comportamenti devianti, cioè non conformi ai modelli culturali vigenti all'interno di un determinato gruppo sociale, che si situano sul piano del vissuto individuale. Essi si distinguono da quelli delinquenziali in quanto, mentre il disadattamento è riferito a comportamenti in genere lesivi del soggetto che li compie o diretti verso norme che sono violate in quanto tali, la delinquenza designa comportamenti lesivi di cose o persone (sanciti o meno dal codice penale come reati) e trasgressivi di norme in funzione del raggiungimento di certi scopi, spesso illegali.
l. Disadattamento minorile
Il fenomeno del disadattamento è focalizzato come problema sociale soprattutto in rapporto a soggetti in età evolutiva, riferendosi a una categoria di minori responsabili della messa in atto di una classe di comportamenti ritenuti indizi di disagio o di profonda difficoltà nella costruzione di sé: forme di autolesionismo, fughe da casa, ripetuti insuccessi scolastici, vagabondaggi, nevrosi, consumo di stupefacenti ecc. Si tratta di casi in cui la disfunzionalità è individuata non tanto nell'ampia gamma delle condizioni materiali e relazionali del contesto di vita (come per i cosiddetti 'ragazzi a rischio'), quanto nell'assunzione da parte del soggetto di moduli comportamentali più o meno sistematicamente disadattivi. Sono adolescenti o preadolescenti che, in risposta a situazioni percepite come dolorose o anche solo critiche, hanno consolidato atteggiamenti tendenzialmente lesivi di sé o dell'immediato contesto in cui vivono. Le reazioni messe in atto come risposta a una certa interpretazione del proprio universo relazionale oscillano dall'assunzione di atteggiamenti svalutativi o oppositivi (senso di fallimento, rivendicazioni di indipendenza ecc.) all'adozione di comportamenti irregolari, devianti (v. devianza), per quanto entro la soglia dell'accettabilità legale. Il disadattamento è una realtà socialmente costruita, nel senso che non esiste un comportamento o un individuo disadattato in sé, esiste invece solo l'attribuzione di una definizione ad alcuni individui in funzione di certi loro comportamenti ritenuti difformi dalla norma, sempre in base a una definizione socialmente condivisa. In tale prospettiva, occorre tener conto della variazione storica dell'individuazione concreta dei soggetti appartenenti a tale categoria e prendere atto del fatto che quella del minore disadattato è una 'categoria sociale realizzata'. Questo significa che a valle dei processi di definizione circa ciò che conta come comportamento adeguato o come condizione di vita auspicabile per una certa classe di età, vi sono alcuni minori i quali, dal punto di vista istituzionale o anche solo dell'opinione comune, vengono considerati disadattati.
Recenti studi sul disadattamento minorile, orientati alla proposta di modelli di intervento educativo (De Leo 1990; Bertolini-Caronia 1993), hanno messo in luce l'inadeguatezza di paradigmi esplicativi di tipo deterministico a rendere conto della genesi del fenomeno e della sua possibile risoluzione. I comportamenti disadattivi, infatti, appaiono risposte individuali non tanto a determinate e descrivibili condizioni ambientali e relazionali, quanto al significato attribuito loro da un soggetto in età evolutiva. Tali approcci alla genesi del disadattamento conferiscono centralità teoretica al soggetto inteso come luogo di significazione attiva della realtà, di riformulazione o di superamento delle definizioni condivise di essa. Il contributo soggettivo alla costituzione della propria visione del mondo e di sé nel mondo con gli altri si specifica come messa in campo di alcune peculiari elaborazioni cognitive, in base alle quali l'individuo conferisce significato agli eventi della realtà in cui è inserito, stabilisce motivi e scopi del proprio agire e attribuisce un senso al proprio comportamento. Tale prospettiva recupera, come ineludibili elementi esplicativi del disadattamento, il punto di vista del soggetto circa il suo 'essere-nel-mondo', i significati che egli attribuisce alle condizioni sociali, familiari, biologiche che lo caratterizzano e la visione del mondo che egli si è costruito a partire dai suoi percorsi di socializzazione. Assumere come centrale il contributo del soggetto alla costituzione di sé (come disadattato o deviante, ma anche come capace di cambiamento) non significa però svuotare di ogni pertinenza l'incidenza dei fattori psicologici, familiari o sociali, che resta estremamente rilevante soprattutto per soggetti in età evolutiva. La deprivazione materiale e relazionale è vista come relativa e non assoluta: essa si configura come tale a partire dall'interpretazione di alcune condizioni di vita, le cui caratteristiche limitano però le possibilità di significazione proprie del soggetto. Anche all'interno di un paradigma esplicativo centrato sul soggetto resta, quindi, pertinente l'attenzione alle condizioni reali della vita dell'individuo. Esse sono infatti quei dati di realtà cui ogni ragazzo ha attribuito un certo significato, gli elementi in base ai quali ha elaborato una certa visione del mondo. Se questo processo di elaborazione - relativamente autonomo - conduce il ragazzo ad assumere comportamenti disadattivi, è necessario partire da questo processo per individuare un percorso educativo mirato a provocare un cambiamento stabile non tanto del comportamento del ragazzo quanto di quella visione del mondo che, motivandolo, lo rende sensato ai suoi occhi. Moltiplicare le relazioni con gli altri, dilatare il campo di esperienza dei ragazzi difficili, indurli a ripensare tanto sé stessi quanto la propria visione del mondo diventa, per tale approccio teoretico, la direzione principale di un percorso educativo che è finalizzato alla risoluzione del disagio sociale dei soggetti in età evolutiva (Bertolini-Caronia 1993; Carpano et al. 1994).
p. bertolini, Comportamento deviante, disadattamento, delinquenza e criminalità minorile, "Questioni di Sociologia", 1966, 2, pp. 615-55.
p. bertolini, l. caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, Firenze, La Nuova Italia, 1993.
d. carpano et al., Il più bravo tira la via. Attività educative con adolescenti di una periferia difficile, Bologna, Tempi Stretti, 1994.
g. de leo, La devianza minorile. Metodi tradizionali e nuovi modelli di trattamento, Roma, NIS, 1990.