DISARMO (XIII, p.1)
Oltre all'antagonismo franco-italiano, molti altri elementi contribuirono a rendere precarî i risultati dell'accordo di Londra del 22 aprile 1930: tra essi, la ripresa dell'imperialismo giapponese, il riarmo germanico, il fallimento della conferenza del disarmo, la ripugnanza, da parte delle potenze poste in posizione di inferiorità, ad accettare le proporzioni stabilite dalla conferenza di Washington. L'insuccesso delle conversazioni anglo-nippo-americane dell'autunno 1934, che portò, nel dicembre, alla denunzia, da parte del Giappone, del trattato di Washington, mostrò ai governi interessati la necessità di procedere a nuove trattative che servissero a frenare la corsa agli armamenti, inevitavile conseguenza dell'acquistata libertà d'azione. La nuova conferenza avrebbe dovuto tener conto anche della posizione della Germania alla quale l'accordo con la Gran Bretagna stipulato il 18 giugno 1935 (scambio di lettere Hoare-von Ribbentrop), aveva riconosciuto il diritto di possedere una flotta che stesse nel rapporto di 35% rispetto a quella britannica.
Il 9 dicembre 1935 si riunì a Londra la nuova conferenza con la partecipazione dell'Impero britannico, degli Stati Uniti d'America, del Giappone, dell'Italia e della Francia.
Suo programma era: a) determinare il tonnellaggio complessivo delle flotte da guerra di ciascuno dei paesi partecipanti, limitandolo al più basso livello possibile, compatibilmente con le esigenze della sicurezza e dei programmi politici di ogni stato; b) determinare le caratteristiche di ogni categoria di naviglio per quanto riguarda il dislocamento e l'armamento, riducendoli, e possibilmente aumentare la durata della vita di certe categorie, autorizzando la sostituzione delle singole unità solo dopo un numero di anni di servizio maggiore di quello fissato sino ad ora; c) dichiarare, se possibile, l'abolizione di certi tipi di navi ritenute particolarmente offensive e prendere tutte quelle disposizioni di natura politica tendenti ad aumentare il senso della sicurezza e quindi facilitare gli accordi sui punti precedenti.
Come pregiudiziale di ogni altra questione, la delegazione giapponese, nella prima seduta, pose il riconoscimento del principio della parità fra le potenze oceaniche. Tale principio di "uguaglianza nella sicurezza" era accompagnato dalla proposta di abolire i tipi di navi cosiddetti "offensivi" cioè le grosse navi da battaglia (corazzate, incrociatori di prima classe, porta-aerei). Le delegazioni americana e britannica si opposero all'abolizione del principio della proporzionalità e per alcuni giorni, fino al 20 dicembre, quando la conferenza fu aggiornata, si discusse la proposta inglese per la limitazione quantitativa del tonnellaggio mediante notificazione dei proprî programmi di costruzione per un periodo di sei anni da parte di ogni potenza navale. Appena la conferenza tornò a riunirsi, il 6 gennaio 1936, il capo della delegazione giapponese, ammiraglio Nagano, insistette perché fosse discussa e accettata la proposta del suo governo di un limite massimo comune di tonnellaggio e, di fronte all'opposizione delle altre delegazioni, il 15 gennaio inviò al presidente della conferenza, lord Monsell, una lettera in cui annunziava il ritiro del Giappone dalla conferenza.
Assente la delegazione giapponese (Tōkyō nominò subito dopo due osservatori per seguire i lavori), fu ripresa la discussione sulla proposta britannica circa lo scambio di informazioni e la preventiva comunicazione dei programmi di costruzione.
I controprogetti dei governi italiano e francese differivano lievemente dalla proposta britannica, soprattutto sul periodo di tempo che doveva passare tra la preventiva comunicazione dei programmi di costruzione e la loro esecuzione. Gl'Inglesi finirono col rinunziare al termine di sei anni da loro proposto e accettarono il criterio franco-italiano dello scambio annuale di comunicazioni. Maggiori difficoltà si ebbero nel risolvere il problema del tonnellaggio massimo delle corazzate, che gli Americani non avrebbero voluto inferiore alle 35.000 tonnellate, e il problema dell'adesione, al trattato che sarebbe stato firmato, delle potenze non partecipanti alla conferenza. Il primo problema, dibattuto dalle delegazioni americana e francese, fu risolto, il 3 marzo, con l'accettazione, da parte dei Francesi, del tonnellaggio richiesto dagli Stati Uniti, ma non oltre il 1940; il secondo, imperniato sul rifiuto francese a legalizzare il riarmo della Germania invitandola formalmente alla conferenza e sul desiderio britannico di essere al corrente delle costruzioni tedesche consentite dall'accordo Hoare-von Ribbentrop del '35, fu risolto con un compromesso, accettato anche da Berlino: la Germania avrebbe concluso con la Gran Bretagna un trattato con un contenuto analogo a quello che sarebbe stato firmato dalle potenze riunite a Londra.
Il nuovo trattato fu firmato il 25 marzo 1936. L'ambasciatore italiano Grandi, ribadendo, nella seduta di chiusura, quanto aveva annunziato ripetutamente il delegato ammiraglio Raineri Biscia, dichiarò che era impossibile per l'Italia firmare un trattato navale mentre erano in vigore, a suo danno, le sanzioni economiche e gli accordi di mutua assistenza nel Mediterraneo promossi nel dicembre 1935 dalla Gran Bretagna. Il trattato fu firmato dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti e dalla Francia; aperto all'adesione dell'Italia e del Giappone, rimarrà in vigore sino al 31 dicembre 1942.
È diviso in cinque parti: definizioni, limitazioni qualitative, preventiva notificazione delle costruzioni e scambio di informazioni, clausole generali e di salvaguardia, clausole finali. Al trattato sono inoltre aggiunti due protocolli. In uno scambio di lettere del 24 e del 25 marzo tra le delegazioni americana e britannica fu riconfermato solennemente il principio della parità fra le due flotte.
La principale clausola di salvaguardia della parte 4ª si riferisce al caso che una delle potenze non partecipanti al trattato costruisca o acquisti navi non rispondenti alle limitazioni e restrizioni del trattato circa il dislocamento e l'armamento.
Alla fine del 1937 le potenze firmatarie del trattato di Londra chiesero informazioni a Tōkyō sul suo programma di costruzioni navali. Il rifiuto giapponese fece sospettare che la marina del Giappone intendesse superare i limiti di dislocamento fissati a Londra. Da allora, specie da parte dell'ammiragliato degli Stati Uniti, si afferma la volontà di procedere all'impostazione di navi superiori alle 35.000 tonnellate. Sulle clausole di salvaguardia è basato anche il gigantesco programma di riarmo della Gran Bretagna: il bilancio della marina britannica prevede per il 1937-1938 una spesa di 105.065.000 sterline, con un aumento di 23.766.000 sul bilancio precedente. Per conto suo l'Italia ha provveduto a rafforzare la sua marina in armonia con le sue esigenze.
Un uguale insuccesso hanno avuto i tentativi di limitazioni degli armamenti terrestri ed aerei. La conferenza del disarmo, preparata minuziosamente sotto la presidenza dell'inglese A. Henderson, fallì dopo molte discussioni e svariate riunioni. Le rivalità politiche inducevano molti governi a cercare, nella limitazione, una posizione vantaggiosa per sé, e a condizionare il disarmo alla più assoluta garanzia di sicurezza. L'intransigenza di Parigi portò al riarmo integrale della Germania, deciso da Hitler nel marzo 1935: con ciò cadde ogni speranza di giungere ad un accordo sul disarmo. Gli ultimi anni sono caratterizzati da vasti programmi di riarmo decisi da quasi tutti gli stati.