discorso indiretto libero
Il discorso indiretto libero è una delle forme tradizionalmente riconosciute del ➔ discorso riportato, cioè uno dei modi che offre la lingua per riprodurre enunciati appartenenti a un atto di enunciazione diverso da quello che dà luogo alla riproduzione. Così, ad una frase come quella di (1) corrispondono le riproduzioni in discorso indiretto libero di (2):
(1) vattene, adesso! (in Mortara Garavelli 1995: 427)
(2) mi diede un ordine perentorio: dovevo andarmene, adesso! / dovevo andarmene, e subito! (in Mortara Garavelli 1995: 427)
Come con le altre forme di discorso riportato (➔ discorso diretto; ➔ discorso indiretto), anche col discorso indiretto libero si possono riportare testi scritti o parlati che sono stati (o si suppongono) realizzati dal parlante a cui si attribuiscono, come in (2), oppure ipoteticamente realizzabili, come in (3):
(3) mi darà, come al solito, un ordine perentorio:
dovrò andarmene, e subito!
A differenza della forma indiretta non libera, che ha varie restrizioni morfosintattiche e lessicali circa il modo di riprodurre il messaggio originale, il discorso indiretto libero può contenere enunciati non dichiarativi, strutture sintatticamente non integrate al cotesto citante, forme lessicali di natura espressiva quali termini dialettali o propri del parlato. Così, nel discorso indiretto libero evidenziato nel testo che segue (commentato in Mortara Garavelli 1995: 465) si ritrovano, inalterati, l’esclamativa nominale E che partito!, il segnale discorsivo nientemeno! e il termine picciottone:
(4) Restò, quando quelle vennero a dirle che la sorella sposava. E che partito! Coi fiocchi, e procurato proprio dalla Zâ Tresa: Pitrinu Cinquemani, nientemeno!, giovine d’oro […]: Pitrinu Cinquemani, quel picciottone che pareva una bandiera, con terre e case e bestie da soma e da lavoro (Luigi Pirandello, “Chi la paga”, in Novelle per un anno, Milano, Mondadori, 1956-1957, vol. 1°, p. 1283).
Al pari delle altre forme del discorso riportato, anche il discorso indiretto libero può essere introdotto da una porzione di testo che segnala esplicitamente il suo carattere citazionale e che viene chiamata cornice o cornice citante (o anche frase o clausola citante: cfr. Mortara Garavelli 1995; Calaresu 2000 e 2004). Essa contiene in genere indicazioni sulla fonte della citazione, un verbo di dire (dire, affermare, bisbigliare, dichiarare, imporre, ordinare, ecc.) o un verbo di sentire (sentire, udire, intendere, ecc.).
Dal punto di vista sintattico, la cornice può essere sovraordinata a uno o più degli elementi citati, come nell’esempio seguente:
(5) mi disse che dovevo andarmene, e subito!
o sintatticamente indipendente, come in (6):
(6) non era questa, rifletteva, la fine che aveva desiderato; non qui almeno (in Mortara Garavelli 1995: 463)
Quanto alla sua distribuzione, le cornici sintatticamente autonome possono, come in (6), interrompere la citazione, ma anche seguirla o precederla, come negli esempi seguenti:
(7) non era questa la fine che aveva desiderato; non qui almeno, rifletteva (ivi)
(8) rifletteva: non era questa la fine che aveva desiderato; non qui almeno (ivi)
Infine, in un discorso indiretto libero la cornice può mancare del tutto, come nel testo qui di seguito (ivi, p. 464):
(9) … il disgusto che provava di se stesso aumentava; ecco: egli era dovunque così: sfaccendato, indifferente; questa strada piovosa era la sua vita stessa (Alberto Moravia, Gli indifferenti, Milano, Garzanti, 1976, p. 120)
La presenza o assenza della cornice è alla base della distinzione proposta da Calaresu (2000) tra i discorsi indiretti liberi segnalati (con cornice) e i discorsi indiretti liberi non segnalati (privi di aggancio linguistico esplicito al cotesto).
Come rivelano gli esempi visti fin qui, il termine discorso indiretto libero si applica a varie forme citazionali in cui si manifestano strategie tipiche della citazione indiretta e tecniche riproduttive proprie al discorso diretto. Tale «incontro-assimilazione tra diegesi e mimesi» (Mortara Garavelli 1985: 105) è osservabile anzitutto nell’intersezione dei due centri ➔ deittici all’origine della citazione, quello cioè degli enunciati originariamente prodotti e quello del contesto citante.
Le relazioni di persona, manifestate dalle apposite marche dei verbi, dai pronomi e dai possessivi, appaiono dunque sempre stabilite, come nel discorso indiretto, rispetto alla voce citante, mentre gli altri elementi deittici (in particolare i dimostrativi e le indicazioni spazio-temporali) sono regolati sul centro discorsivo dell’enunciato originale, come nel discorso diretto. È ciò che si osserva nei brani seguenti, in cui i dimostrativi e le locuzioni spazio-temporali evidenziati (fra quindici minuti, lì dirimpetto, ora, questo, domani, là) sono equivalenti a quelli della produzione, mentre le relazioni personali sono regolate sull’ego della riproduzione:
(10) Arriva un casertano dagli uffici trafelatissimo […], deve prendere un treno a Termini fra quindici minuti (Pier Vittorio Tondelli, Pao Pao, in Opere. Romanzi, teatro, racconti, a cura di F. Panzeri, Milano, Bompiani, 2000, p. 271)
(11) Forse non sa neppure Margheritina che lì dirimpetto c’è un villino con una Madonnina allo spigolo e un lampadino rosso acceso. Che è il mondo per lei? ecco, ora egli può intenderlo bene, Bujo. Questo bujo. […] E se domani, là in Francia Faustino sarà ucciso? (Luigi Pirandello, “Berecche e la guerra”, in Novelle per un anno, Milano, Mondadori, 1956-1957, vol. 2°, p. 770)
Condizione pragmatica fondamentale del discorso indiretto libero, l’intersezione dei centri deittici è all’origine di diversi fenomeni d’ordine morfosintattico, lessicale, intonativo, testuale e contestuale, che possono essere considerati segnali di riconoscimento. Con Mortara Garavelli ricordiamo tuttavia che «nessuno [di tali segnali] bast[a] singolarmente a definire le specificità del [discorso indiretto libero]: né, d’altra parte, sembra sufficiente mettere insieme i tratti rilevabili sui vari piani per avere un identikit completo – e omogeneo – di questo tipo di discorso» (Mortara Garavelli 1985: 105).
È da annoverare tra i segnali morfosintattici del discorso indiretto libero l’uso anomalo del sistema dei tempi verbali (➔ concordanza dei tempi), orientati secondo la prospettiva del parlante originario e non – come in un tradizionale discorso indiretto – secondo quella del parlante che riporta la citazione.
Così, nel passo seguente (commentato in Mortara Garavelli 1985: 116):
(12) Egli aveva promesso di assistere come testimonio alle nozze segrete di Luisa, ma ora, sul punto di andar a Castello, gli era venuta una gran paura di compromettersi […]. Se il riveritissimo I. R. Commissario di Porlezza venisse a sapere di questo pasticcio, come la intenderebbe? (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Milano, Mondadori, 1978, p. 73)
il momento dell’enunciazione a cui si rapportano l’imperfetto del congiuntivo venisse e il presente del condizionale intenderebbe non è quello della citazione bensì l’hic-nunc della produzione: nella forma indiretta non libera si avrebbe, infatti, fosse venuto e avrebbe intesa. La ‘collisione’ tra i tempi del cotesto e quelli del riporto non è che un sintomo di discorso indiretto libero, ma non è sistematica: esistono infatti citazioni indirette libere, come quelle più sopra in (4) e in (9), in cui il sistema temporale è quello di un normale discorso indiretto.
Un altro segnale, strettamente connesso alla sovrapposizione dei due centri discorsivi, è la presenza di interrogative caratterizzate «dalle relazioni di tempo e di persona della forma cosiddetta indiretta e dall’intonazione della forma diretta» (Mortara Garavelli 1985: 124), come nell’esempio seguente (da Mortara Garavelli 1995: 467):
(13) E in casa – gli chiesi – anche in casa ci avevano lavorato? Quando ci stavo io, c’era il camino che non tirava più – l’avevano poi rotto quel muro? (Cesare Pavese, La luna e i falò, Torino, Einaudi, 1968, p. 30)
A differenza di quanto accade in un discorso indiretto tradizionale, in (13) le interrogative non sono introdotte da congiunzioni subordinanti ma riproducono, come nella citazione diretta, la forma sintattica e intonativa della domanda originale.
Tra i segnali lessicali di discorso indiretto libero va segnalata anzitutto l’inserzione entro il cotesto diegetico di un lessico espressivo, di interiezioni (➔ interiezione), di intensificazioni, di termini dialettali, gergali, ecc., secondo una gradualità che va dagli indici lessicali minimi, non caratterizzanti il personaggio (esclamazioni, stereotipi affettivi, formule di passaggio o di appoggio come bene, ecco, ecc.) fino ai modi di esprimersi con funzione caratteriologica (cfr. Mortara Garavelli 1985).
Tra le formule di stampo orale e colloquiale le interiezioni e le esclamative sono tra i segnali più affidabili di discorso indiretto libero, poiché svelano l’intromissione improvvisa della parola del personaggio nel cotesto diegetico, spostando la prospettiva del discorso al punto di vista del parlante originale. Così, nei brani seguenti, le interiezioni perdio e santo cielo in (15) e accidenti in (14), l’esclamativa Massì, certo, è Pietro il veronese in (16) e le sequenze di chi si era innamorato accidenti, per chi aveva buttato le notti a sospirare, sempre lui, solo lui, la sua belva in (14) sono tutte attribuibili al parlante originario:
(14) Baffina era tutto un mollamento di dolore […], di chi si era innamorato accidenti, per chi aveva buttato le notti a sospirare […], sempre lui, solo lui, la sua belva (Tondelli, Pao Pao, cit., p. 315)
(15) Gli dico che questa è una serata fantastica, davvero ottima, ci siamo ritrovati e questo basterà, perdio se basterà. E Lele […] chiederà insistentemente di lasciarlo un attimo, di dargli tregua, che queste cose non le ha mai fatte e santocielo almeno un po’ di tempo (ivi, p. 275)
(16) Esco dalla compagnia di Alex, m’imbatto in un soldato, praticamente gli rovino addosso. Chiedo scusa. Massì, certo, è Pietro il veronese (ivi, p. 212)
Talvolta, invece, il discorso indiretto libero è segnalato da scarti di ordine diatopico e diastratico, da cambiamenti di registro, da inserzioni di tecnicismi o di forme vernacolari: in sostanza, dall’«adozione momentanea di un vocabolario avvertito come estraneo [al parlante citante]» (Calaresu 2004: 186). In (17), ad es., il termine militaresco patrio esercito appartiene al vocabolario del colonnello, il parlante originario, e non al narratore:
(17) Finché il colonnello mi ha chiamato e ha detto che se son gentile sta bene, però vedessi un poco di fare ben benino il mio lavoro e non tutta un’avemaria come se fossimo in una confraternita e non nel patrio esercito (Tondelli, Pao Pao, cit., p. 300)
Allo stesso modo, in (18) il diminutivo riassuntino e l’espressione meno che meno funzionano da segnali dell’inserzione della voce del personaggio nel cotesto autoriale:
(18) Non conosce i romanzi di Kerouac, Scott Fitzgerald le dice niente, Norman Mailer meno che meno, Hemingway, be’ questo sì, ha fatto un riassuntino a scuola del Vecchio e il mare (ivi, p. 209)
Sempre a livello lessicale, infine (vedi § 3.1), sintomo del discorso indiretto libero è la presenza di avverbi di luogo e di tempo riferiti deitticamente al qui e all’ora della produzione (domani invece di il giorno dopo, ecc.).
Dal punto di vista intonativo (➔ intonazione), la marca del discorso indiretto libero è anzitutto la ‘bivocalità interna’ alla citazione (cfr. Mortara Garavelli 1985: 107), all’origine di uno scarto dell’intonazione tra la narrazione diegetica e la parte citata. Sia nell’orale che nello scritto, in effetti, il discorso indiretto libero è segnalato da un’intonazione particolare.
Nella scrittura, l’intonazione (di lettura) è resa in particolare dall’assetto sintattico-interpuntivo e dalle eventuali interiezioni, domande, esclamazioni, ecc. Nella comunicazione parlata, le marche intonative assumono un’importanza notevole e possono a volte da sole caratterizzare un discorso come discorso indiretto libero. Ciò succede in particolare:
quando, all’interno di una parte di discorso, palesemente in forma indiretta, [il locutore citante] ‘imita’ la voce o il tono (veri o presunti) [del locutore originario], passando, cioè, dalla sua normale qualità di voce o intonazione a una qualità di voce o intonazione decisamente ‘altra’, con effetto generale di mimica (Calaresu 2004: 168).
Nel testo orale in (19), il discorso indiretto libero è segnalato sia dall’intonazione della voce citante che mima il parlante originale, sia dall’interiezione esclamativa ah!:
(19) si erano dati appuntamento a casa e quello lì non è venuto perché dice ah! che c’aveva un sacco di lavoro! (a partire da un esempio in Calaresu 2004: 168).
Il discorso indiretto libero può infine essere riconosciuto relativamente al cotesto e al ➔ contesto. Nella prosa letteraria è fondamentale il grado di differenziazione tra la lingua del narratore e la lingua dei personaggi: quanto minore è la distanza che le separa, tanto maggiore è la difficoltà a riconoscere la presenza della seconda all’interno del cotesto diegetico (cfr. Mortara Garavelli 1985: 120 segg.).
Tra gli indici di natura cotestuale si segnalano in particolare la prossimità di verba dicendi, sentiendi, declarandi, ecc. e la presenza nelle immediate vicinanze del discorso indiretto libero di enunciati in discorso diretto e indiretto (cfr. Mortara Garavelli 1985: 107). In (20), ad es., il discorso indiretto libero (riconoscibile grazie al rafforzativo proprio e alla chiusa altroché se lo ha capito) è preceduto da una sequenza di domande in discorso diretto (Come come?, E non ce lo mostri?, Non lo presenti?) e dalla risposta, sempre in discorso diretto (Ah no carissimi, proprio no):
(20) Beaujean e io ci guardiamo negli occhi strampalati. Come come? E non ce lo mostri? Non lo presenti? Ah no carissimi, proprio no, dice lui che evidentemente deve avere ancora le stimmate scottanti per la storia abortiva con Beaujean, a forza di appuntamenti buchi, visto che proprio non è scemo, lo ha capito, altroché se lo ha capito (Tondelli, Pao Pao, cit., p. 267)
A livello testuale (➔ testo, struttura del), può infine essere sintomatica della presenza di un discorso indiretto libero la posizione incidentale di contenuti di varia natura (cfr. Mortara Garavelli 1985: 122). La scelta di collocare una porzione di testo tra parentesi, trattini o virgolette sembrerebbe cioè rivelare in alcuni casi la volontà di chi scrive di inserire una ‘seconda voce’ nel cotesto diegetico. Nel testo seguente, ad es., la posizione in inserzione della sequenza gioie e dolori e tanta noja può essere un segnale dell’affacciarsi, nel contesto diegetico, della voce del locutore originario:
(21) Dice di non preoccuparsi, che non starò malissimo, che vivacchierò come tutti, gioie e dolori e tanta noja, che forse ogni tre settimane potrò avere una licenza ecc. ecc. (ivi, p. 193).
La modalità del discorso indiretto libero è stata oggetto di numerose ricerche relative al punto di vista e alla plurivocità teorizzata da Michail Bachtin (cfr. Bachtin 1975). Essa, spesso sotto il nome di stile indiretto libero, è inoltre tradizionalmente considerata un procedimento letterario, di cui si sono serviti soprattutto i naturalisti francesi dell’Ottocento e poi diffuso nelle altre lingue, tra cui l’italiano. In realtà, come ricorda Bice Mortara Garavelli, «il procedimento ha le sue radici nell’uso linguistico comune ed è documentabile ben prima dell’Ottocento» (Mortara Garavelli 1995: 464). Ciò non toglie che la netta maggioranza degli studi sul discorso indiretto libero abbiano come oggetto la prosa letteraria, mentre mancano – perlomeno in italiano – ricerche approfondite sulle funzioni del discorso indiretto libero nella scrittura funzionale e nella comunicazione orale (cfr. alcune considerazioni in Calaresu 2004).
Per quanto riguarda la prosa letteraria, tradizionalmente si considera che il discorso indiretto libero nasca dall’esigenza di avvicinare, secondo i principi del verosimile narrativo e linguistico, la lingua letteraria alla lingua viva. Grazie, infatti, alla sovrapposizione dei piani enunciativi del narratore e del personaggio, il discorso indiretto libero consente di «illuminare il grigiore della pagina dei riflessi della phoné e di rompere il suo innaturale silenzio con echi e tracce di vocalità» (Testa 1997: 315). Da un punto di vista sintattico, inoltre, il discorso indiretto libero è visto come un discorso indiretto alleggerito dagli elementi grammaticali più fastidiosi (verba dicendi, che subordinativo, ecc.). Herczeg (1963), ad es., giustifica la nascita del discorso indiretto libero proprio come operazione di alleggerimento sintattico: essendo il discorso diretto la forma che meglio accoglie una lingua colorita e ricca, a scapito però di contenuti più analitici, più adatti al discorso indiretto, gli scrittori della fine del XIX secolo (da Alessandro Manzoni in poi) sentono il bisogno di una nuova forma che permetta di salvare la verità e la vivacità della lingua e di assicurare allo stesso tempo l’intervento del narratore nel racconto.
Le correnti che fanno del discorso indiretto libero il loro strumento privilegiato, con funzioni però opposte, sono da un lato quella che va da ➔ Alessandro Manzoni a ➔ Giovanni Verga fino ai neorealisti e dall’altro quella espressionista. Il discorso indiretto libero dei veristi accoglie in genere una sintassi e un lessico di stampo dialettale e serve essenzialmente a dar voce alle classi popolari e contadine: la questione del discorso indiretto libero è dunque indissociabile dalla questione del parlato e, almeno in un primo tempo, da quella dei dialetti (cfr. Pasolini 1965). Alla funzione mimetica dei veristi e dei neorealisti si contrappone quella dei narratori espressionisti (in particolare di ➔ Carlo Emilio Gadda, Lucio Mastronardi, ecc.), in cui la contaminazione tra lingua e dialetto non risponde alla necessità di rispecchiare il reale, ma è uno strumento di rottura, di estraniamento e di deformazione oltre che di mimesi fortemente ironica e caricaturale (cfr. Cane 1969). In sostanza, se il discorso indiretto libero dei veristi consente di ottenere la verosimiglianza linguistica senza impedire al narratore di intervenire sui contenuti del riporto, il discorso indiretto libero degli espressionisti serve a ottenere un effetto in primo luogo estraniante e caricaturale (cfr. Herczeg 1963; Pasolini 1965; Segre 1991; Testa 1997).
Bachtin, Michail (1975), Estetica e romanzo, trad. it., Torino, Einaudi.
Calaresu, Emilia (2000), Il discorso riportato. Una prospettiva testuale, Modena, Il Fiorino.
Calaresu, Emilia (2004), Testuali parole. La dimensione pragmatica e testuale del discorso riportato, Milano, Franco Angeli.
Cane, Eleonora (1969), Il discorso indiretto libero nella narrativa italiana del Novecento, Roma, Silva.
Herczeg, Giulio (1963), Lo stile indiretto libero in italiano, Firenze, Sansoni.
Mortara Garavelli, Bice (1985), La parola d’altri, Palermo, Sellerio.
Mortara Garavelli, Bice (1995), Il discorso riportato, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 3°, pp. 427-468.
Pasolini, Pier Paolo (1965), Intervento sul discorso libero indiretto, «Paragone» giugno, pp. 121-144.
Segre, Cesare (1991), Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento, Torino, Einaudi.
Testa, Enrico (1997), Lo stile semplice, Torino, Einaudi.