discorso riportato
L’espressione discorso riportato viene usata per indicare il procedimento di riproduzione o rappresentazione di un discorso pronunciato in una situazione comunicativa diversa da quella in atto, ma anche l’oggetto di questo procedimento, ossia il discorso effettivamente riprodotto o rappresentato. Nello stesso senso, fondamentalmente ambiguo, si usa spesso anche il termine citazione. Gli esempi (2) e (3) illustrano due casi canonici di discorso riportato, entrambi riferibili all’enunciato originario (1):
(1) queste cose a Matteo devi dargliele prima di domani!
(2) gli disse: «Queste cose a Matteo devi dargliele prima di domani!»
(3) gli disse che avrebbe dovuto dare quelle cose a Matteo prima del giorno successivo
Per chiarezza utilizzeremo d’ora in poi l’espressione discorso riportato solo nella prima delle due accezioni menzionate, ossia per indicare il procedimento di riproduzione o rappresentazione di un discorso. Per indicare l’oggetto di questa operazione utilizzeremo invece l’espressione discorso citato, mentre per indicare il discorso entro il quale la riproduzione ha luogo parleremo di discorso citante, oppure di cornice (per queste distinzioni e la relativa terminologia, cfr. Calaresu 2004; ➔ discorso diretto).
In (2) e (3) la parte sottolineata corrisponde al discorso citato; la parte non sottolineata al discorso citante o cornice. Per (1) usiamo invece l’espressione discorso originario (o discorso primo). Il discorso originario è un atto singolo cui possono corrispondere infinite riproduzioni.
Può trattarsi di un discorso realmente pronunciato oppure no, come nei seguenti esempi:
(4) – Aprimi! – intanto gridava Geppetto dalla strada.
– Babbo mio, non posso – rispondeva il burattino piangendo e ruzzolandosi per terra (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, in Opere, a cura di D. Marescalchi, Milano, Mondadori, 1995, p. 378)
(5) prima / osservazione / che […] ci faranno / probabilmente / subito / i sindacati // diranno / allora / perché non fare la periferia? // (Emanuela Cresti, Corpus di italiano parlato, Firenze, Accademia della Crusca, 2000, vol. 2°, p. 355)
I discorsi originari in (4) e (5) esistono solo in quanto evocati dal discorso riportato: il primo appartiene infatti alla finzione narrativa, il secondo a una situazione ipotetica, collocata in un momento successivo a quello dell’enunciazione. Il carattere reale o fittizio del discorso originario può essere importante a fini pragmatici, ma non incide sulla natura del processo di riproduzione né sulle tecniche adottate. Rientra nella fenomenologia del discorso riportato anche la citazione di pensieri (si parla allora più esattamente di pensiero riportato), che possono essere assimilati a discorsi proferiti interiormente, nella realtà o nella finzione:
(6) «Che m’importa del tuo saluto!» pensò Anna (Elsa Morante, Menzogna e sortilegio, in Opere, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, Milano, Mondadori, 1988, vol. 1°, p. 186)
Anche in questo caso, il fatto che il discorso originario non sia un atto linguistico ma un atto di pensiero non cambia la natura riproduttiva di (6) né le tecniche adoperate per ottenere la riproduzione.
Il discorso riportato serve ad attività fondamentali legate all’uso della parola, quali quelle di condividere, contestare, discutere opinioni, pensieri, parole altrui: è il meccanismo principale al servizio della plurivocità e della polifonia nei testi. Dal punto di vista argomentativo può servire a rafforzare un ragionamento col puntello di un’autorità, a deresponsabilizzare l’emittente rispetto a un’affermazione, a introdurre una tesi da esaminare; nella narrazione è una componente fondamentale della ricostruzione di eventi, reali o fittizi. Si tratta dunque di un procedimento tipico del linguaggio naturale, tanto della lingua parlata che di quella scritta, sia letteraria che non letteraria.
Caratteristica fondamentale del discorso riportato è quella di introdurre uno sdoppiamento enunciativo tra discorso citante e discorso citato: se infatti il discorso citante è prodotto da un parlante L0 in una situazione enunciativa E0, il discorso citato è invece ascritto ad un parlante L1 in una situazione enunciativa E1, che sono rispettivamente il parlante e la situazione enunciativa del discorso originario. È possibile che L0 ed L1 coincidano, cioè è possibile riportare un proprio discorso, come in (7):
(7) gli ho detto che Pietro non ha nulla a che vedere con questa storia
Non possono invece coincidere le due situazioni enunciative E0 ed E1. Quando questo avviene, come in (8), non siamo di fronte ad un discorso riportato, ma ad un uso performativo di un verbo di dire (Calaresu 2004):
(8) ti annuncio / dico che Pietro non ha nulla a che vedere con questa storia
Esistono varie manifestazioni di discorso riportato, con caratteristiche diverse e diversi gradi di corrispondenza formale e semantica tra discorso originario e discorso citato. In generale, si può dire che esistano due modalità fondamentali di resa di un discorso entro un altro discorso: per riproduzione e per descrizione. Corrisponde fondamentalmente a questa opposizione la distinzione tradizionale tra discorso diretto e ➔ discorso indiretto. Nel discorso diretto il discorso originario viene appunto riprodotto, mantenendolo su un piano separato da quello principale del testo. Ne è un esempio (2), dove il discorso citato è isolato rispetto al discorso citante da indicatori grafici (virgolette, iniziale maiuscola); conserva inoltre l’aspetto del discorso originario, compresa la struttura morfosintattica indipendente, l’illocuzione (un ordine; ➔ illocutivi, tipi), e i ➔ deittici (queste, domani, [tu] devi).
Nel discorso indiretto, invece, il discorso originario è fatto oggetto di una descrizione linguistica, e dunque inglobato nel piano principale del testo. Ne è un esempio (3), dove il discorso citato è sintatticamente integrato nel discorso citante sotto forma di una subordinata completiva (➔ completive, frasi) del verbo disse della cornice, ed è quindi privo di illocuzione e di un centro deittico autonomi: le espressioni deittiche del discorso originario sono infatti adattate in modo da essere orientate sul centro deittico della cornice (quelle, il giorno successivo, [egli] avrebbe dovuto).
Tradizionalmente si riconoscono poi altri due tipi di discorso riportato: il ➔ discorso indiretto libero e il ➔ discorso diretto libero, a formare uno schema simmetrico (Mortara Garavelli 1985). Con il nome di discorso indiretto libero si indicano varie forme indirette in cui si ha mescolanza tra strategie descrittive e riproduttive, come nel seguente esempio:
(9) Domandò di nuovo alla vedova Menegazzi, alla signora Zabalà, se lei, riflettendoci bene, avesse magari qualche idea, qualche sospetto, sul conto di qualcheduno. Non poteva fornire un indizio? Gente di casa, no? Pratici delle sue abitudini e della casa dovevano di certo essere, a giudicare dalla disinvoltura. Domandò ancora se fossero rimaste delle tracce … o delle impronte, o altro … dell’assassino (Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano, Garzanti, 1987, p. 25)
In (9) due caratteristiche fondamentali rivelano che si è in presenza di una forma indiretta: i deittici personali si orientano sul centro deittico della cornice ([lei] avesse; [lei] poteva, ecc.); i tempi verbali del discorso citato concordano con quello della cornice (Domandò … se avesse). Quanto alla forma grafica, si può aggiungere che, a differenza di (2), il discorso citato non è in (9) delimitato, tramite virgolette o altro, rispetto a quello citante. D’altra parte, il discorso citato conserva tratti evidenti dell’enunciazione originaria, come in un discorso diretto: ad es., la forma interrogativa (Non poteva fornire un indizio?), gli incisi (riflettendoci bene), le frasi nominali (gente di casa, no?), le esitazioni (delle tracce … o delle impronte, o altro … dell’assassino). Il discorso diretto libero è invece «un discorso diretto svincolato da introduttori sintattici» (Mortara Garavelli 1995: 470) e che, nello scritto, può anche essere privo di indicatori grafici, come nel seguente esempio:
(10) Adesso cominciava a vederci chiaro. Non poteva servirsi con dignità di quel testamento disonorante per la nonna nella forma e nella sostanza […]. No, mai. Conveniva dire al professore di bruciar tutto. Così, signora nonna, trionferò di te: facendoti grazia della roba e dell’onore senza curarmi di dirtelo! Assaporandosi questo proposito, Franco si sentì quasi alzar da terra (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Milano, Mondadori, 1978, p. 104)
Sia il discorso indiretto libero che il discorso diretto libero sono spesso considerati procedimenti propri della scrittura letteraria: appartengono invece innanzitutto al linguaggio naturale (sono, ad es., frequenti nel parlato spontaneo), e solo secondariamente alle tecniche letterarie.
L’esame dei testi reali, soprattutto parlati, mostra d’altra parte che non sempre è facile decidere a quale di queste quattro forme fondamentali corrisponda una data occorrenza di discorso riportato, e anche che esistono forme di discorso riportato che sfuggono a questa classificazione. Si vedano i seguenti esempi (entrambi commentati da Calaresu 2004):
(11) Una qualche precognizione, d’altronde, per Agostino è il movente di ogni attività teorica e pratica. Se non avessimo almeno abbozzata nello spirito la nozione di ogni scienza, spiega, ci mancherebbe la motivazione ad apprenderla (Lia Formigari, Il linguaggio. Storia delle teorie, Roma - Bari, Laterza, 2001, p. 67)
(12) Vedere la mia infanzia? Più di dieci lustri me ne separano e i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli di ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Milano, Dall’Oglio, 1938, p. 24)
Il primo può essere considerato sia un discorso indiretto sintatticamente indipendente, sia un discorso diretto privo di indicatori grafici. Quanto a (12), la domanda iniziale riporta un’espressione attribuita dal narratore (L0) allo psicanalista (L1) che lo ha invitato a scrivere i propri ricordi a fini terapeutici: se tuttavia la formula appartiene allo psicanalista, l’illocuzione interrogativa è introdotta dal narratore. Notiamo per inciso che nei due esempi l’incertezza non ha alcun peso comunicativo: da un punto di vista pragmatico è sufficiente che il discorso riportato sia riconosciuto come tale.
Un caso particolare, infine, è quello del condizionale di dissociazione o di riserva (➔ condizionale), in cui la dissociazione del parlante rispetto al contenuto di un’asserzione comporta l’attribuzione della stessa ad una fonte enunciativa diversa. Un enunciato come (13), commentato in Mortara Garavelli 1995:
(13) nella sola giornata di ieri sarebbero state raccolte duemila firme
implica pragmaticamente che qualcuno diverso dal parlante L0 dice o ritiene che le firme raccolte nella giornata precedente ammontano a più di duemila, e che L0 non si impegna personalmente sulla verità dell’affermazione.
Calaresu, Emilia (2004), Testuali parole. La dimensione pragmatica e testuale del discorso riportato, Milano, Franco Angeli.
Mortara Garavelli, Bice (1985), La parola d’altri. Prospettive di analisi del discorso, Palermo, Sellerio.
Mortara Garavelli, Bice (1995), Il discorso riportato, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, vol. 3°; pp. 429-470.